Close

29 Giugno 2021

La magia dei druidi nella società celtica

la magia dei druidi nella storia

Viaggio nella storia del druidismo, la religione misterica dei sacerdoti celti: chi erano i druidi? Quali segreti nascondeva la loro magia?

I druidi, gli alti sacerdoti di una religione misterica tra le più oscure. Da sempre vengono considerati ai vertici della società celtica, custodi di un’antica sapienza basata sulla magia naturale. Cosa sappiamo veramente di loro? Quali tracce hanno lasciato nella storia?

Adesso che ho terminato la stesura del mio romanzo, quello ambientato in un medioevo storicamente accurato con l’aggiunta di un pizzico di magia (e ovviamente tanti ammazzamenti) ho più tempo da dedicare alla scrittura degli articoli, qui sul blog. Per questo ho deciso di buttarmi a capofitto nella storia antica, dove mitologia, magia e religione si rimescolano nel calderone dei miti e delle leggende che amiamo ascoltare ancora oggi, dopo duemila anni (mi raccomando, non perdere il video sul mio canale YouTube).

Alcuni storici hanno rilevato nelle necropoli della Gallia pre-romana caratteristiche assimilabili ai sacrifici rituali, da sempre associati alle funzioni religiose dei druidi1. Qualcun altro invece individua tracce druidiche riguardo le stelle e il loro movimento tra reperti matematicamente complessi come nel caso del calendario di Coligny2. Tuttavia sono solo ipotesi. Perché ad oggi non esistono fonti archeologiche sull’argomento. Le poche cose che sappiamo sui druidi le dobbiamo alle cronache del tempo, soprattutto quelle greche e romane3.

Tra i primi a nominarli vi è Posidonio di Apamea, che nel I secolo a.C. analizza la società gallica identificando tre categorie di uomini particolarmente rispettati: i bardi, i vati e i druidi4. I bardi sono considerati compositori d’inni e poesie (proprio come Aneirin, l’ultimo guerriero di Gododdin). I vati ricoprono cariche religiose, attendono alle cerimonie sacre e si occupano dello studio della natura. I druidi invece sono i più giusti fra gli uomini. Assolvono la funzione di giudici nelle controversie private e pubbliche, si occupano di guerra e partecipano perfino agli scontri (come vedremo fra poco); predicano l’immortalità dell’anima e dell’universo e profetizzano “che verrà un tempo in cui su tutto il resto prevaleranno il fuoco e l’acqua.”

Al termine di questa breve descrizione però viene menzionato un altro aspetto del mestiere druidico, qualcosa che fin dalla prima apparizione nelle fonti ha scatenato la fantasia dei cronisti, impegnati nel corso dei secoli a inserire dettagli sempre più macabri e sanguinosi sulla vicenda. Mi riferisco ovviamente alla celebrazione dei sacrifici rituali.

Lo scopo di queste pratiche che i romani consideravano incivili (ma che in passato avevano praticato pure loro, come nel caso della celebre devotio) era quello divinatorio. I druidi riuscivano a predire il futuro osservando la vittima contorcersi sul terreno dopo averla pugnalata alla schiena. Oppure impilavano svariati innocenti in una colossale gabbia di vimini a forma di gigante e davano loro fuoco. Tutto molto bello.

Dopo Posidonio molti altri autori si cimentano nella descrizione dei misteriosi sacerdoti celtici. E tutti più o meno sembrano concordare sugli stessi punti. Anzi, spesso si limitano a citare l’autore venuto prima di loro lasciandoci con un orribile dubbio: si tratta di conferme atte ad autenticare la veridicità delle informazioni oppure facevano tutti semplicemente copia/incolla?5. Non possiamo saperlo. Tuttavia la cosa appare ben evidente all’interno di una delle fonti letterarie più celebri, nata dalla penna di un vero e proprio gigante della storia: Giulio Cesare.

“I druidi sono timorati degli Dei, attendono a sacrifici umani pubblici e privati e discettano di religione. Un gran numero di giovani tenendoli in gran conto, si accalca intorno a loro per istruirsi… Si reputa che il druidismo sia originario della Britannia, da dove venne esportato nella Gallia e oggigiorno coloro che studiano la materia in gran parte effettuano viaggi in quella terra per approfondire le loro cognizioni… Si dice che imparino a memoria una gran mole di poesie e che di conseguenza alcuni di loro proseguano gli studi per vent’anni. Considerano errato affidare i loro studi alle scritture… Hanno pure vaste conoscenze riguardo alle stelle e al loro movimento, alle dimensioni del mondo e alla terra, alla filosofia naturale e ai poteri e alle sfere d’azione degli Dei immortali, di cui discutono trasmettendole ai loro giovani discepoli.”

Molte delle affermazioni che per primo enunciò Posidonio le ritroviamo pari pari nel De Bello Gallico. Cesare, che è stato in Gallia ed è probabile che i druidi li abbia visti davvero, ce ne parla descrivendone il ruolo giuridico pubblico e privato, la dottrina religiosa dell’immortalità dell’anima, l’insegnamento di svariate conoscenze dalla filosofia naturale, la grandezza della Terra e il movimento degli astri. A parte qualche aggiunta come le origini del druidismo e i 20 anni di studi necessari per il diploma di sacerdote celtico, il resto è tutto esattamente come Posidonio.

Più avanti nel testo viene perfino nominato il gigante di vimini ricolmo di vittime da bruciarsi vive6. Qualcuno potrebbe interpretare la ripetizione di questi concetti come una prova della loro veridicità. Se più autori sostengono una tesi significa che è vera, giusto? Sì, è giusto. Tendenzialmente. Ma non sempre. Molti storici hanno notato delle similarità sospette fra queste fonti, che lascerebbero pensare al copia/incolla di cui vi parlavo poco fa7.

Insomma, è possibile che svariati autori abbiano preso per vere le parole di Posidonio senza prendersi la briga di verificarle. Oppure che nessuno ne abbia mai avuto né la voglia né la possibilità, visto che i druidi erano già svaniti nel nulla.

Già, perché ad un certo punto della storia, verso la fine del I secolo, dei druidi si persero le già flebili tracce. Qualcuno afferma che i più giusti fra gli uomini proseguissero i loro insegnamenti e la trasmissione orale delle conoscenze segrete per vie clandestine, contro il volere di Roma, ma sono teorie che alcuni storici smentiscono8. Per il semplice fatto che l’esercizio di controllo nelle province dell’Impero era estremamente limitato. Nonostante l’emanazione di leggi contro la religione druidica come quella dell’Imperatore Claudio, non erano disponibili abbastanza truppe per svolgere ruoli di polizia locale in tutta la Gallia e perseguitare gli irriducibili druidi9.

Con l’espansione romana e la conseguente “romanizzazione” culturale dei popoli soggiogati, i nostri amici con le tuniche, i cappucci calati sul volto e i falcetti dorati si prendono una lunghissima vacanza per non fare più ritorno (al contrario di Merlino, che dopo essere stato a Honolulu ritorna volentieri al Medioevo per evitare il “guazzabuglio moderno”).

Plinio il vecchio (25-79 d.C.) nella sua opera enciclopedica in trentasette voluminosi libri è il primo a tirar fuori qualcosa di nuovo. Ci fa sapere che la magia della Britannia celtica era molto potente e che quei druidi superavano in grandezza perfino i magi persiani. Ma non solo. E’ forse grazie al suo contributo che la figura del druido assume i tratti caratteristici che ancora oggi fanno parte dell’immaginario collettivo, da Dungeons and Dragons ad Asterix e Obelix:

“Non bisogna dimenticare a questo proposito anche l’ammirazione di cui il vischio è fatto oggetto in Gallia. I Druidi –cosi si chiamano i maghi di quei paesi- non considerano niente più sacro del vischio e dell’albero su cui esso cresce, purché si tratti di un rovere. Già scelgono come sacri i boschi di rovere in quanto tali, e non compiono alcun rito religioso se non hanno fronde di questo albero, tanto che il termine di Druidi può sembrare di derivazione greca. In realtà essi ritengono tutto ciò che nasce sulle piante di rovere come inviato dal cielo, un segno che l‘albero è stato scelto dalla divinità stessa. Il vischio di rovere è molto raro a trovarsi e quando viene scoperto lo si raccoglie con grande devozione[…] Dopo aver apprestato secondo il rituale il sacrificio e il banchetto ai piedi dell’albero, fanno avvicinare due tori bianchi a cui per la prima volta vengono legate le corna. Il sacerdote, vestito di bianco, sale sull’albero, taglia il vischio con un falcetto d’oro e lo raccoglie in un panno bianco. Poi immolano le vittime, pregando il dio perché renda il suo dono propizio a coloro ai quali lo ha destinato […] così grande è la devozione che certi popoli rivolgono a cose per lo più prive d’importanza.”

Naturalis Historia, XVI, Plinio il Vecchio

Da questo momento in poi l’archetipo del druido nelle sue vesti bianche, col falcetto dorato, intento a strappare rami di vischio dalla quercia nel bosco sacro assume i tratti che tutti noi conosciamo. E nel testo di Plinio il Vecchio si fa perfino menzione del banchetto ai piedi dell’albero, proprio come il finale delle storie ideate da quei geni di Uderzo e Goscinny. Mancano solo il cinghiale arrosto e il bardo imbavagliato.

Prima di scomparire dalle cronache del tempo e divenire personaggi leggendari, farciti di aggiunte e rimaneggiamenti romantici, i druidi ci regalano un’ultima teatrale apparizione durante la conquista romana del Galles, nel 60 d.C., nel corso della battaglia dell’isola di Mona o Anglesey.

I romani erano approdati in Britannia già con Cesare, nel 55 a.C. per una missione che servì a preparare il terreno per un’invasione vera e propria, circa un secolo dopo. La Britannia era un’isola popolata dai celti (chiamati britanni dai romani), che abitavano quelle lande sperdute fin dall’Età del Ferro. Una moltitudine di tribù spesso in guerra fra loro accomunate da una sola cosa: la religione. Erano infatti i druidi, membri della casta sacerdotale riconosciuta più o meno in tutte le isole britanniche, ad avere il controllo religioso e, di conseguenza, politico delle popolazioni celtiche. Se c’era qualcuno in grado di riunirli erano proprio loro. E questo i romani lo sapevano bene.

Nel 60 d.C. le legioni di Roma raggiunsero la sponda della sottile striscia di mare che separa l’isola di Anglesey dal resto del Galles, con lo sguardo rivolto all’angolo più remoto dei domini celtici. L’obiettivo era quello di avanzare fino al bosco sacro che cresceva rigoglioso nell’isola santuario e distruggere ogni cosa. Tolti di mezzo i druidi, l’intera Britannia sarebbe caduta sotto il giogo della lupa.

Costruirono navi dallo scafo piatto, atte a quel mare di scarsa profondità e insidioso. Così traghettarono la fanteria; seguirono i cavalieri a guado, o, dove l’acqua era più fonda, con i cavalli a nuoto.

Tacito, Annali XIV

I romani attraversarono nel punto più stretto (circa 200 metri) con le barche mentre la cavalleria guadava a nuoto. La cosa può sembrare sbalorditiva, ma si trattava di una specialità della cavalleria ausiliaria romana composta da reparti di truppe d’élite germaniche, i migliori cavalieri barbari che Roma abbia mai arruolato tra le proprie fila: i Batavi10.

I batavi erano una tribù del basso Reno, originari dell’odierna Olanda. Guerrieri formidabili, alti, forti e impareggiabili in sella. Tanto meritevoli da guadagnarsi l’esenzione tributaria: nessuna tassa da pagare finché combattevano per Roma!11

“I batavi forniscono all’Impero solo uomini e armi; ampiamente addestrati nella guerra contro i Germani, avevano visto crescere la loro gloria con le campagne in Britannia, per merito delle coorti colà inviate al comando, secondo l’antica tradizione, dei capi più nobili del loro popolo. Vantavano anche reparti scelti di cavalleria, così specializzati nel nuoto da attraversare il Reno con armi e cavalli, in formazione compatta.

Historiae IV, Tacito

Le legioni che sbarcarono nell’isola sacra dei celti quel giorno erano dunque il migliore esempio della superiorità bellica romana. Fanterie addestrate e bene equipaggiate coadiuvate dalla cavalleria ausiliaria tra le più temute del tempo: i difensori non avevano alcuna possibilità di resistere a una simile potenza. Laddove la spada britannica non poteva arrivare però, poteva farlo la magia. Ed è proprio quello che misero in campo i druidi per resistere: l’ultimo rituale prima della fine.

“Sulla riva opposta stava l’esercito nemico con il suo vasto numero di guerrieri armati, mentre, fra le file schierate, le donne, in abito nero come le Furie, con i capelli scomposti, agitavano le torce. Attorno, i druidi, alzando le mani al cielo e lanciando imprecazioni terribili, spaventavano i nostri soldati con uno spettacolo sconosciuto così che, come paralizzati, stettero immobili, esposti ai colpi dei nemici.

Tacito, Annali XIV

I druidi si disposero attorno a un gruppo di donne in abito nero come le Furie (personificazioni femminili della vendetta), e cominciarono a maledire i romani nella loro lingua sconosciuta, con le mani sollevate alla luce delle fiaccole: uno spettacolo da raggelare il sangue. Qualunque guerriero avrebbe vacillato a una simile vista, specialmente quando si tratta dei temibili celti discendenti di quel Brenno che centinaia di anni prima osò mettere a sacco la città eterna. Tuttavia, come ci ricorda Tacito, quelli non erano guerrieri comuni. Erano legionari. E la disciplina di cui si facevano maestri poteva battere qualsiasi superstizione.

“Sollecitati dalle acclamazioni del loro generale e dagli incoraggiamenti reciproci di non scoraggiarsi davanti ad una truppa di donne deliranti, portarono avanti i vessilli, sconfissero ogni resistenza, avvolsero il nemico fra le fiamme delle loro stesse torce. Una forza quindi sottomise i vinti, e i loro sacri boschi, soggetti a superstizioni disumane, furono distrutti. Ritennero veramente un dovere distruggere i loro altari, che erano stati coperti con il sangue dei prigionieri, nel consulto delle proprie divinità, attraverso le viscere umane.”

Tacito, Annali XIV

Le legioni si abbatterono sui druidi con una tale forza da riportare una vittoria schiacciante. E una volta padroni dell’isola distrussero ogni cosa, riducendo l’intero bosco sacro in fiamme. Da lì in poi la storia dei druidi si fa sempre più sottile fino a scomparire per sempre, sommersa dalla mole di speculazioni e fantasie new age.

Se proprio dobbiamo tirare le somme di questo breve viaggio nella religione druidica, mi verrebbe da pensare che il druido meglio rappresentato del genere fantastico (e che più si avvicina al modello di Plinio il Vecchio) sia quello di Asterix e Obelix: ovvero Panoramix. Una conferma di quanto fossero ben studiati quei fumetti e di quanto sia importante conoscere la storia per poter liberare la propria immaginazione. Cosa che mi sprona giorno per giorno per la scrittura dei miei romanzi.

Iscrivetevi alla newsletter se volete restare aggiornati sui prossimi articoli e sui miei libri di prossima uscita. Ciao!

  1. La necropoli di Acy-Romance, nelle Ardenne, presenta degli scheletri sepolti con armi che sembrano esser state usate per eseguire i sacrifici
  2. Un calendario gallico del II secolo in bronzo, che ci illustra il sistema matematico di datazione dell’anno lunisolare in uso presso i celti
  3. Esistono trascrizioni medievali di antiche leggende celtiche, ma sono filtrate dalla mentalità cristiana oltre che da una traduzione in latino sulla quale non possiamo fare granché affidamento
  4. Strabone, Geografia, volume II, libro IV
  5. I testi di Posidonio li conosciamo proprio grazie a Strabone, che lo cita nelle sue opere. Diodoro Siculo scrive quasi le stesse cose con qualche aggiunta di suo pugno, come il legame tra la filosofia druidica e quella pitagorica
  6. De Bello Gallico, VI, 16
  7. Robert Wiśniewsk, Deep Woods and Vain Oracles: Druids, Pomponius Mela and Tacitus
  8. Robert Wiśniewsk, Deep Woods and Vain Oracles: Druids, Pomponius Mela and Tacitus
  9. Senza contare che l’opera da cui ha origine l’interpretazione sbagliata dei fatti, la Cosmographia di Pomponio Mela, è stata scritta nel 44 d.C. e dunque prima delle leggi contro la religione druidica dell’Imperatore Claudio
  10. Esiste un altro celebre esempio di cavaliere nuotatore, che ci viene restituito dal Giappone feudale. La tecnica marziale è quella del Suijutsu (Tecnica del nuoto), che insegnava ai guerrieri giapponesi il nuoto in armi, con l’armatura, la spada e tutto quanto il necessario. Una branca di questa disciplina era il Suiba, di cui esisteva perfino un evento annuale che vedeva partecipare i samurai in una sfida di nuoto a cavallo.
  11. Tacito, Historiae IV-V
Lorenzo Manara
Latest posts by Lorenzo Manara (see all)