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20 Gennaio 2024

Le avventure di Setne

setne

Le avventure di Setne nell’antico Egitto dei Faraoni, ritrovate su un papiro del III secolo a.C. la storia di khaemwaset e del libro magico di Thot

Nel precedente episodio di Leggende Affilate ho narrato la storia del libro magico del dio Thot, oggetto potentissimo ma di grande sventura, che nell’Antico Egitto fu causa di dolore e sofferenza per il mago Naneferkaptah, il quale si vide sterminata tutta la famiglia. Oggi, voglio proseguire la storia narrando del successivo possessore di tale oggetto magico che, come colui che era venuto prima, ne rimase “colpito”. Sto parlando di Khaemwaset, chiamato anche Setne, principe d’Egitto della XIX dinastia, nonché figlio del faraone Ramses II, vissuto nel XIII secolo avanti Cristo, quindi più di 3000 anni fa. 

Setne, come Naneferkaptah, era un mago e un avventuriero, esploratore d’antiche tombe come quella del medesimo Naneferkaptah, all’interno della quale era conservato il libro di Thot. Quando giunse alla camera funebre, però, Setne si trovò dinnanzi allo spirito dell’antico mago, il quale gli raccontò la propria storia e gli disse che non avrebbe potuto prendere il libro magico per sé. Ma Setne non voleva mollare e disse apertamente che se non gli avesse dato il libro, se lo sarebbe preso. Per minacciare un antico spirito in una tomba faraonica, questo Setne doveva avere due coglioni così.

Va a finire che lo spirito suggerisce di giocarsi il libro a dama. Si pensa che la dama fosse già in uso nell’antico Egitto, a quel tempo, magari con regole un po’ diverse, ma con la scacchiera e i pezzi e tutto quanto. Non ho idea del perché lo spirito scelga proprio questo gioco, sta di fatto che i due maghi iniziarono a giocare. E la prima partita la vinse lo spirito, Naneferkaptah, che pronunciò una formula e colpì in testa Setne facendolo sprofondare nel terreno con i piedi. Giocarono una nuova partita e pure questa fu vinta dallo spirito, che pronunciò una formula, lo colpì in testa e fece sprofondare Setne fino all’altezza del suo fallo. Infine, giocarono una terza partita e pure questa fu vinta da Naneferkaptah, che si dimostrò il mago più bravo, e tramite una terza formula, fece sprofondare Setne nel terreno fino alle orecchie. Siamo già di fronte a un bivio, il nostro protagonista è alla mercé di uno spirito in un’antica tomba. Come ne uscirà?

Setne, da bravo pianificatore, non era sceso nella tomba da solo, ma si era portato suo fratello Inaros. Fu a quel punto che lo chiamò, dicendogli di tornare subito dal faraone, in superficie, e raccontargli tutto quanto, in modo da farsi dare gli amuleti del dio Ptah, di cui Setne era sacerdote, e tutti i libri di magia di cui era in possesso. Insomma, mandò il fratello a equipaggiarsi, o a prendere il “drop” per usare gergo da videogiochi.

Inaros tornò in superficie, raccontò tutto al faraone, si fece dare amuleti, libri e tornò nella tomba, carico come un mulo. Non appena posò tutta quella roba addosso a Setne, che se ne stava sempre lì, sprofondato fino alle orecchie, quest’ultimo schizzò in aria, su fino in cielo. E con sé riuscì a prendere il libro, quello magico di Thot, il tesoro per cui era sceso là sotto e si era fatto prendere a sberle da un antico spirito.

Insomma, tutto contento, il principe d’Egitto Khaemwaset, detto Setne, mago e gran sacerdote, se ne tornò a casa con il libro del dio Thot in pugno. Il faraone, però, vedendolo lo ammonì: riporta subito quel coso dove lo hai preso, oppure sarà Naneferkaptah stesso a fartelo riportare, “con un bastone forcuto in mano e un braciere acceso in testa”. Ma Setne, ovviamente, non gli dette ascolto.

Dunque, accadde che Setne si lesse tutto il libro e raggiunse un nuovo livello di conoscenza, ma mentre camminava lungo il dromos di Ptah, ovvero un viale processionale che collegava edifici sacri, in questo caso votati al dio Ptah, di cui Setne era sacerdote, incontrò una donna bellissima, così bella che nessuna donna era pari a lei. Ed era anche ricca, piena di gioielli e di servi. Si trattava di Tabubu, la figlia del profeta della dea Bastet. Setne, infoiatissimo, disse al servo d’andarle a dire la seguente frase d’abbordaggio “Ti darò 10 pezzi d’oro, se trascorri un’ora con me. E se non vuoi l’oro, ti prenderò con la forza in un luogo nascosto, dove nessun uomo al mondo potrà trovarti!” Mi raccomando, non replicate questa strategia, a casa.

Il servo, che dovette fare comunque questa cosa disgustosa visto che a comandarglielo era il figlio del faraone, andò a dirlo a Tabubu e lei, plausibilmente, si mise a gridare. E tutta incazzata andò diretta da Setne, dicendogli che se aveva il coraggio doveva dirgliele in faccia quelle cose. E Setne, che giocava a dama coi morti nelle tombe, ripeté: ti darò 10 pezzi d’oro, se trascorri un’ora con me. E se non vuoi l’oro… eccetera eccetera.

Nel papiro originale del III secolo avanti Cristo in cui è conservata questa storia, le parole vengono ripetute nello stesso ordine, come una cantilena, e anche la risposta di Tabubu, viene ripetuta, dando inizio a una sorta di formula. Infatti, la donna, rispose dicendo che lei non era una donna di basso rango, ma una sacerdotessa, e che quindi se Setne voleva fare qualcosa con lei, sarebbe dovuto andare a casa sua, dove vi era tutto il necessario per star bene. Insomma, Tabubu ci stava.

I due andarono a casa di lei: una casa altissima, con un muro attorno e un giardino. Il pavimento della casa era pulito, spruzzato di lapislazzuli e turchesi, e colmo di letti rivestiti di bisso (ovvero una sorta di seta preziosissima, ottenuta da dei molluschi), e una tavola imbandita di bicchieri d’oro. Si misero a mangiare e a bere e trascorsero così la giornata. Finché Setne, col sangue tutto convogliato nelle parti basse, non propose di fare ciò per cui erano giunti fin lì. A quel punto lei ripete la cantilena, ovvero che si tratta di una sacerdotessa, non una donna di basso rango, aggiungendo che se voleva concludere con lei, avrebbe dovuto fargli un documento scritto in cui attestava che le avrebbe donato ogni bene che possedeva… tutto quanto, fino all’ultima moneta. E Setne, infoiato, disse: “si chiami lo scriba!”

Giunse lo scriba e Setne firmò tutto. Tabubu allora indossò una sottile tunica di bisso, da cui s’intravedeva il suo bellissimo corpo, e Setne uscì pazzo al solo vederla. Ma prima d’andare a letto, lei recitò ancora quella cantilena: ovvero che si trattava di una sacerdotessa, non una donna di basso rango, e che quindi, quel documento, avrebbero dovuto firmarlo anche i figli di Setne, così non ci sarebbe stata alcuna rivalsa legale. E qui, mi permetto di fare una parentesi per sottolineare la raffinatezza di questa società di 3000 anni fa, che anche in questo caso si dimostra estremamente moderna, per via di un documento che, visto l’evidente squilibrio che avrebbe creato in fase di spartizione patrimoniale tra gli eredi, sarebbe potuto essere contestato dagli eredi stessi. Proprio come in Italia nel 2024.

Setne, pazzo d’amore, disse: “si chiami i figli miei!” Dunque, arrivarono i figli e furono tutti costretti a firmare. A quel punto, Setne, chiese di concludere. Ma Tabubu non aveva finito: sono una donna di rango sacerdotale, eccetera eccetera, e quindi se vuoi giacere con me adesso devi uccidere i tuoi figli.

Se prima era appena emerso, adesso viene fuori il motivo per cui Tabubu aveva accettato l’orribile corteggiamento di Setne. Probabilmente come punizione per il suo atteggiamento oltre (e qui torniamo all’oggetto della storia) al motivo per cui veniva punito: aver rubato il libro di Thot. Abbiamo fatto un giro molto largo, ma ci siamo arrivati.

Setne, a questo punto in preda alla follia e, anzi, sotto il giogo di un incantesimo, acconsentì pure a quest’ultima richiesta. Lasciò che i servi di Tabubu prendessero i suoi figli e li guardò morire sotto i suoi occhi. I corpi furono gettati dalla finestra dell’altissimo palazzo e divorati dai cani e dai gatti, di sotto. Setne udì le bestie masticare, mentre era alla finestra, che beveva dai bicchieri d’oro con la bellissima Tabubu.

“Adesso facciamo quel che siamo venuti a fare”. E Tabubu acconsentì, placata della sete sanguinaria. Si sdraiarono sul letto d’avorio e d’ebano e quando Setne avvicinò la mano per toccarla lei spalancò la bocca in un grido. Setne aprì gli occhi e si ritrovò da solo, tutto nudo e sudato. Aveva sognato tutto!

Giunse il faraone su una portantina, che gli spiegò che i suoi figli erano vivi e si trovavano a Menfi. Setne viaggiò fino a Menfi, li abbracciò tutti, e infine decise di ascoltare il faraone, suo padre, riportando il libro di Thot a Naneferkaptah: poiché l’incantesimo di Tabubu e l’orribile incubo erano opera sua, dello spirito rinchiuso in quella tomba all’inizio della storia, che aveva vinto tre partite a dama di fila ed era a dir poco infuriato.

Setne tornò, quindi, alla tomba di Naneferkaptah con un bastone forcuto in mano e un braciere acceso sulla testa, e scese fino alla camera dello spirito, il quale aveva una richiesta da fare, prima di liberarlo dalla maledizione del libro. Gli chiese di andare a Copto, nella necropoli, per prelevare i corpi di sua moglie (che era anche sua sorella) e suo figlio, e di riportarli nella tomba da lui, in modo da riposare per l’eternità tutti assieme. Un compito non semplice, poiché ci vollero giorni per ritrovare le giuste tombe nell’immensa necropoli, rovesciando le steli degli scribi della Casa della Vita e leggendo tutte le iscrizioni che vi erano sopra. Ricordo, infatti, che Naneferkaptah era un mago che Setne considerava “antico”. Antico per lui che è vissuto 3000 anni fa.

Tombe così antiche che, infatti, Setne non riuscì a trovarle. Neanche con l’aiuto dei sacerdoti di Copto e dei suoi incantesimi e delle sue preghiere. Finché non conobbe un sacerdote vecchissimo, al quale gli chiese: “non è che per caso tu ricordi le tombe della moglie e del figlio di Naneferkaptah?” Il vecchio ci pensò e disse che il padre del padre di suo padre disse a suo padre, che il padre del padre di suo padre aveva visto le tombe della moglie e del figlio di Naneferkaptah presso l’angolo sud della casa del generale. Insomma, un dettaglio tramandato per sei generazioni da quel sacerdote della necropoli di Copto. E io che mi scordo le chiavi del lucchetto dentro l’armadietto della palestra e sarà la terza volta che son costretto a farlo rompere con le tenaglie.

Setne trovò così le mummie che cercava, tornò a Menfi, le mise nella tomba con Naneferkaptah e li chiuse dentro, tutti assieme. Presumibilmente mettendoci dentro anche il libro di Thot, ma in realtà questo dettaglio non sono riuscito a recuperarlo dal testo originale, in cui sembra mancare del tutto. E’ possibile, quindi, che ci troviamo di fronte a un finale aperto. Che Setne si sia tenuto il libro magico e abbia continuato a usarlo in altre strepitose avventure? Non lo so, almeno finché qualche esperto filologo dell’Antico Egitto non viene a svelare l’arcano (sempre che esista una soluzione).

In ogni caso, il papiro del III secolo avanti Cristo contenente la storia di Setne, principe della XIX dinastia faraonica, si conclude così. Se l’episodio ti ha appassionato, seguimi e condividilo con tutte le squisite e filologiche personcine della tua cerchia, così mi aiuterai a diffondere il verbo affilato. Alla prossima.

Lorenzo Manara
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