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18 Maggio 2024

La lancia maledetta

lancia maledetta

La vera storia medievale di una lancia maledetta, arroventata nel fuoco dell’Inferno

Tutti conosciamo la Sacra Lancia, oggetto di leggende medievali e non: un’arma in grado di rilasciare poteri soprannaturali legati al divino, e talvolta alla magia. Ma nessuno sa che è esistita un’altra lancia, di natura opposta, direi quasi sacrilega. Una lancia sempre ardente, nata nel fuoco dell’Inferno.

Di armi soprannaturali, nella storia medievale, ce ne sono state tante. Si tratta per la maggior parte di spade. Parlando di armi inastate, invece, come la lancia, le leggende si riducono praticamente a un solo grande esempio che tutti conoscono: ovvero la lancia del Destino, o Sacra Lancia, oppure la Lancia di Longino: insomma, quell’arma che secondo le Scritture fu usata per trafiggere Cristo al costato. Una lancia che la tradizione vuole impugnata da questo soldato romano, Longino, poi divenuta protagonista nel corso dei secoli di numerose reinterpretazioni magiche ed esoteriche, tra le quali spiccano le “cacce al tesoro” avvenute in tempi recenti, come le spedizioni attribuite al Terzo Reich e alla società di ricerca segreta di Hitler, l’Ahnenerbe, di cui ho già parlato in un episodio di Leggende Affilate, dedicato al Graal.

Tuttavia, oggi voglio raccontare di un’altra lancia, che può essere definita l’opposto di quella sacra, ovvero la versione sacrilega, scovata in un manoscritto, il Liber Visionum1, opera di un monaco tedesco vissuto nell’XI secolo, il cui nome tradotto in italiano è Otlone di sant’Emmerano.

Otlone, come molti altri, prima e dopo di lui, fu un autore molto produttivo, soprattutto per quanto riguarda la scrittura di esempi dottrinali; parabole, sostanzialmente dei veri e propri racconti, che servivano per istruire le persone, per forgiare dei fedeli devoti, attenti ai dettami cristiani, e di farlo tramite la leva psicologica più usata di tutte nella storia: la paura.

Perché a indirizzare sulla retta via, non è tanto la promessa di un’eternità di beatitudine nei cieli paradisiaci, ma piuttosto, la minaccia di finire all’Inferno, tra tormenti eterni, fuoco e puzza di zolfo. Ecco perché i racconti più efficaci sono quelli che contengono degli ammonimenti: “Fai così, perché sennò ti succede questa cosa molto spiacevole…” Una forma di indottrinamento che trova la sua massima espressione nei racconti a sfondo soprannaturale, quando gli spiriti dei trapassati ritornano sulla terra per interferire con gli affari dei viventi. I racconti di fantasmi, insomma, già presenti nelle opere cristiane fin dai primi secoli; strumenti efficacissimi per veicolare gli insegnamenti religiosi, tra i quali ho scovato, appunto, la menzione di questa straordinaria arma ardente: una lancia maledetta, che arde tutto ciò che tocca.

Questa storia comincia con due fratelli che stavano compiendo un viaggio a cavallo. E mentre cavalcavano i due si trovarono all’improvviso testimoni di un evento straordinario: una folla di individui si muoveva, volando, non lontano dalla superficie della terra; quindi, non troppo in alto. E subito veniamo catapultati nel folklore nord-europeo, alle origini di un grande mito fantasy contemporaneo, naturalmente ripreso dalle leggende d’epoca: quello della caccia selvaggia.

Ho raccontato molte storie antiche e medievali riguardo gli eserciti dei morti, in svariati episodi di Leggende Affilate. E ci ho pure scritto un romanzo sopra, dal titolo La Canzone dei Morti, appunto. Ma stavolta, in questo specifico episodio, gli individui che marciano, sospesi nell’aria, non rappresentano alcuna minaccia per i due fratelli.

Costoro, infatti, per prima cosa, si fecero il segno della croce: un gesto che troviamo di frequente in questo genere di racconti, impiegato come vera e propria protezione dal male. Poi, in nome del Signore, pronunciato come imperativo, quasi come un comando per obbligare i partecipanti di questa caccia selvaggia a rispondere, chiesero agli individui chi fossero. E con un perfetto colpo di scena anni ‘80 (del Novecento), uno degli individui svolazzò rapidamente verso i due fratelli, vestito con una bella armatura da cavaliere, e rispose: “Io sono vostro padre.”

“Io sono vostro padre e vi prego di restituire al monastero quelle proprietà terriere che ho ingiustamente tolto alla comunità. Fatelo per amore di Dio e per la mia liberazione. Perché se non restituirete la terra, né io né voi né alcuno dei nostri discendenti sfuggiremo al fuoco perpetuo dell’inferno.”

Il fatto è che il loro padre cavaliere era stato dannato, dopo la morte avvenuta non si sa come né quando, per aver saccheggiato le terre di un’istituzione monastica. Le stesse terre i cui proventi erano ancora in mano alla famiglia e agli stessi due fratelli, suoi figli, di cui ne usufruivano, come rendita. Ecco, dunque, l’accorato appello del padre ai figli per salvare la sua anima, la loro, e quella di tutti i discendenti: restituite la terra, il maltolto, poiché siamo tutti dannati al fuoco perpetuo dell’Inferno.

E già adesso cominciamo a capire le intenzioni del monaco Otlone, autore del manoscritto, e a chi si rivolga questo racconto: ai nemici della Chiesa. L’ammonimento è piuttosto chiaro, non rubate ai monaci che sennò finite a guazzo nelle Malebolge.

I due figli del cavaliere maledetto, costretto a vagare con gli altri dannati nell’eterna caccia selvaggia, dimostrarono però qualche riserva. Non erano mica tanto convinti, di quel che stava dicendo il padre. Prima di tutto, a causa dei loro interessi, e di quelli dell’intera famiglia: restituendo la terra, si sarebbero impoveriti, e di parecchio. Senza contare che il padre, tutto ben vestito, che marciava, mica sembrava passarsela male. Con quella bella armatura da cavaliere, così ornata e bella che sembrava da principe.

“Bella armatura?” rispose il padre. “Devo dirvi, figlioli, che ovunque l’armatura tocca la mia carne, io brucio con un fuoco intollerabile. Sento che tutto ciò che mi circonda, sia che lo percepisca attraverso la vista, l’udito o il tatto, mi sta consumando. Affinché voi possiate capirlo bene, prendete la mia lancia.”

Il padre, insomma, spiegò ai propri scapestrati figlioli che le apparenze ingannano. Che nonostante non si vedesse, a occhio nudo, lui stava bruciando. Una caratteristica dei dannati delle cronache medievali di cui ho già parlato in passato. Ma stavolta, per provare fisicamente quel che intendeva dire, il cavaliere maledetto disse ai figli di provare a impugnare la sua lancia. Ed ecco, l’apparizione dell’arma sacrilega oggetto di questo episodio, il cui ferro affilato è stato intinto tra i lembi di fuoco d’Inferno, conferendole una maledizione che la rendeva ardente, come l’armatura.

Il padre, quindi, allungò il braccio dannato e tese l’asta della lancia maledetta verso i figli. Uno dei due l’afferrò, e non appena la sua pelle entrò in contatto con l’arma, un calore intollerabile lo costrinse a mollare la presa. La lancia bruciava in maniera lancinante.

Ma prima ancora che la lancia toccasse il terreno, lasciata cadere dal figlio, il padre scattò verso di essa, per riprendersela. E disse: “Dovresti sapere, figliolo, che se questa lancia avesse toccato terra, avresti reso il mio tormento ancora più grande.”

Vorrei poter dire di più su quest’ultima frase, ma la verità è che non disponiamo di una spiegazione dell’autore, a riguardo. Possiamo fare delle ipotesi: potremmo ipotizzare che un oggetto maledetto, secondo il folklore dell’epoca, debba restare lontano dal mondo dei vivi, e quindi dal terreno su cui camminano, semplicemente. Ma ci potrebbe essere dietro anche una spiegazione dottrinale, rielaborazione del pensiero dei padri della chiesa, nei secoli precedenti, che trattarono la morte e il prodigio divino in maniera approfondita. Non ne ho idea.

Fatto sta che il cavaliere, dopo essersi ripreso la lancia maledetta, disse quest’ultima frase: “Vi prego, figli miei, esaudite i desideri di vostro padre.” E scomparve. Allora i figli, che avevano capito la gravità della maledizione e del tormento che affliggeva il padre, e che avrebbe afflitto pure loro e tutti i discendenti, decisero di fare la cosa giusta. Restituirono i beni al monastero, spezzarono la maledizione e la loro storia corse in lungo e in largo, fino in Italia, fino alle orecchie di papa Leone IX, che stando a quanto scrive l’autore del manoscritto, fu colui che gliela narrò per primo. Insomma, la leggenda della lancia maledetta, ardente di fiamma perenne, fu raccontata dal papa, a Otlone, nel XI secolo, il quale la scrisse sul manoscritto, che io ho letto e vi ho raccontato, che al mercato mio padre comprò.

Se la storia della lancia maledetta ti ha appassionato, mi raccomando: aiutami a diffondere il verbo affilato condividendo l’articolo. Il tuo contributo è fondamentale per alimentare l’eterna fiamma della storia, non lasciare che si affievolisca. Che sennò finisco come il babbo di quei due tutto bruciacchiato a marciare nell’aria col ferro rovente addosso, e non ne ho voglia. Grazie, alla prossima.

  1. Liber Visionum, Vision VII, Otloh of St Emmeram – Medieval Ghost Stories: An Anthology of Miracles, Marvels and Prodigies a cura di Andrew Joynes
Lorenzo Manara
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