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17 Luglio 2022

Le origini storiche de Il Signore degli Anelli

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Quali sono le origini storiche de Il Signore degli Anelli? A cosa si è ispirato Tolkien per scrivere il fantasy medievale dell’Unico Anello?

L’universo fantasy moderno non può fare a meno di scontrarsi con gli archetipi scolpiti nella pietra dal professor J. R. R. Tolkien. E’ grazie a lui se esiste un intero genere narrativo che perdura da quasi un secolo e ancora oggi continua ad affascinarci. Ma a cosa si è ispirato Tolkien per scrivere la sua saga fantasy? Quali sono le origini storiche de Il Signore degli Anelli?

Il worldbuilding, o costruzione di un’ambientazione per dirla in italiano, è quel processo che gli autori di narrativa, romanzi, racconti, ma anche videogiochi, film e giochi di ruolo, devono affrontare se vogliono dar vita a storie di genere fantastico. Troppo spesso ci si limita a prendere gli elementi ricorrenti del genere e riutilizzarli così come sono, sotto forma di cliché, senza nessun approfondimento, senza neppure sfogliare un libro di storia per documentarsi.

Per questo, oggi voglio raccontarvi la storia dietro la trilogia dell’Unico Anello: l’ispirazione che ha dato vita a un mondo fantastico nato dallo studio dei miti e delle leggende antiche, fra mitologia, folklore e letteratura epica. Lo stesso mondo che ancora oggi appassiona milioni di persone, e di cui è in lavorazione una mastodontica serie tv Amazon su Prime Video, dal titolo “Gli Anelli del Potere”, disponibile dal 2 settembre 2022.

In una lettera a Milton Waldman, J.R.R. Tolkien scrisse:

Sono stato fin dall’inizio addolorato per la povertà del mio amato paese: non aveva storie proprie… Certo ce n’era una, ed è il mondo arturiano, ma potente com’è, è imperfettamente naturalizzato… e non sostituisce ciò che sentivo mancare… Non ridere! Ma una volta… avevo in mente di realizzare un corpus di leggende più o meno connesse, che andavano dal grande e cosmogonico, al livello della fiaba romantica… che avrei dedicato semplicemente all’Inghilterra.

Jane Chance, ed., Tolkien the Medievalist (London: Rutledge, 2003), 26.

Per stessa ammissione di Tolkien, l’idea alla base della sua opera era proprio quella di ricreare un corpus di leggende prettamente “inglesi”, poiché l’insieme dei miti associati alla cultura anglosassone, in verità, affonda le proprie origini nel mondo norreno e germanico, da cui provenivano le varie popolazioni che invasero la Britannia nel corso della storia.

Tolkien, quindi, intraprese la sua “quest” cavalleresca per creare un nuovo ciclo leggendario e, forte di una mirabile preparazione universitaria, si mise all’opera sul grande capolavoro novecentesco all’origine delle storie fantastiche e avventurose che ancora oggi vengono raccontate. Come vedremo, però, nonostante le premesse, il professore ha attinto più e più volte alla mitologia nordica e germanica, manifestando una passione per la storia letteraria che ha soppiantato gli intenti rivoluzionari giovanili. Ma a cosa si è ispirato, nello specifico? (ho anche pubblicato un video a riguardo sul mio canale YouTube, non perderlo!)

Le origini storiche della Terra di Mezzo

In molte occasioni l’autore della saga fantasy occidentale più famosa al mondo ha spiegato quali siano le correlazioni fra Il Signore degli Anelli e la storia antica. Il termine stesso Middle Earth, Terra di Mezzo, appare nel testo di un poema scritto in Old English (anglosassone) del 800 dopo Cristo.

Hail Earendel, brightest of angels,
Sent to men over Middle-Earth…

Christ I – frammento di poema tratto dal Codex Exoniensis (800 ca.)

Middle-Earth è la traduzione anglicizzata di Miðgarðr, o Midgard, antico nome in lingua norrena che indicava la terra degli uomini, uno dei nove regni sorretti, secondo la mitologia nordica, dall’albero cosmico Yggdrasill.

I più attenti di voi avranno notato anche un altro nome presente in questo frammento di poema anglosassone, ovvero Earendel: termine usato per indicare un astro luminoso, tipicamente il pianeta Venere; e termine che lo stesso Tolkien riprende sotto forma di Eärendil. Ricordate la scena del terzo film di Peter Jackson con Frodo e il ragno gigante? Ecco, la fiala luminosa che impugna lo hobbit viene chiamata “luce di Eärendil“, che sarebbe la stella del vespro, la più luminosa delle stelle1.

Narsil, Anduril e la spada di Sigurd

Nella Saga dei Volsungar, una delle opere della mitologia norrena su cui si basa la concezione fantasy contemporanea (fra cui Il signore degli anelli di J.R.R. Tolkien), compare la storia di Sigfrido (o Sigurd), l’ammazzadraghi2. Egli è figlio del potente re Sigmundr, il quale possedeva una leggendaria spada magica che era riuscito a estrarre dal Barnstokk, l’albero vivente attorno cui era costruita la grande sala dei Volsunghi. Odino stesso, dietro sembianze di uno sconosciuto molto alto, con un solo occhio, l’aveva incastrata durante un banchetto. Chiunque fosse riuscito a estrarre la spada dall’albero avrebbe potuto tenerla come ricompensa, e non avrebbe mai trovato spada migliore.

La spada si chiamava Gramr, simile alla spada nella roccia nella sua genesi di “arma incastrata”. Purtroppo però, andò in frantumi quando Sigmundr lottò contro lo stesso Odino. Proprio come Narsil, la spada appartenuta a Elendil che il figlio Isildur utilizza per strappare l’anello dalla mano di Sauron.

Sigurd si recò, quindi, dalla madre a chiedere se per caso avesse messo da parte i frammenti di Gramr, la spada magica del padre. Ed è così che, come la Narsil spezzata divenne Anduril nelle mani di Aragorn, erede di Isildur, anche Sigfrido fece riforgiare la leggendaria Gramr.

Con ciò Sigurd andò da Regin e gli ordinò di fabbricare una buona spada come meglio poteva; Regin si arrabbiò, ma andò nella fucina (…) Fece dunque una spada e, mentre la traeva fuori dalla fucina, parve che il fuoco ardesse lungo i bordi di essa. Ordinò a Sigurd di prendere la spada, e disse che non sapeva come fare meglio di così. Allora Sigurd la menò contro l’incudine e lo squarciò fino al suo ceppo, e non spezzò la spada.

Sigfrido s’incamminò quindi verso l’antro del drago con la sua nuova spada magica, per dare inizio al mito dell’ammazza-draghi più affascinante della letteratura fantastica. Mito da cui lo stesso Tolkien prese ispirazione, come potete immaginare.

Smaug e il drago Fafnir

Fafnir è un antichissimo drago norreno. E’ chiamato Lindorm in lingua scandinava e appartiene alla mitologia nordica. Non ha zampe, non vola e, soprattutto, non sputa fuoco. Secondo l’Edda Poetica, Fafnir espira veleno al posto delle fiamme. Si tratta perciò di una bestia molto più simile a un serpente piuttosto che alla figura del drago per come lo conosciamo oggi. Estetica che Tolkien aveva ben presente, visti i suoi disegni su Smaug, il drago de Lo Hobbit, rappresentato dallo stesso professore con un corpo molto lungo e sottile, quasi serpentiforme.

“Un drago enorme color oro rosso lì giaceva profondamente addormentato, e dalle sue fauci e dalle froge provenivano un rumore sordo e sbuffi di fumo, perché, nel sonno, basse erano le fiamme. Sotto di lui, sotto tutte le membra e la grossa coda avvolta in spire, e intorno a lui, da ogni parte sul pavimento invisibile, giacevano mucchi innumerevoli di cose preziose, oro lavorato e non lavorato, gemme e gioielli, e argento macchiato di rosso nella luce vermiglia. Le ali raccolte come un incommensurabile pipistrello, Smaug giaceva girato parzialmente su un fianco, e lo hobbit poteva così vederne la parte inferiore del corpo, e il lungo, pallido ventre incrostato di gemme e di frammenti d’oro per il suo lungo giacere su quel letto sontuoso.”

Lo Hobbit, J.R.R. Tolkien, Capitolo: “Notizie dall’interno”

La pelle del drago Smaug non può essere trapassata, né bucata o scalfita da nessun tipo di arma, protetta da ferro e gemme preziose. Quasi del tutto invulnerabile, esattamente come Fafnir, che riposava a guardia dell’immenso tesoro dei Nibelunghi, fra le montagne. Per ucciderlo, l’eroe Sigurd dovette fare ricorso alla spada magica di suo padre, e trapassarlo al cuore.

Anche nel Beowulf, poema epico in inglese antico, compare un lindworm, con la notevole differenza che, in questo caso, tale mostro è dotato di ali e sputa fiamme. Viene chiamato perciò anche drago, o serpente di fuoco, il quale, come da perfetta tradizione letteraria, fa la guardia a un immenso tesoro. La causa del suo risveglio, nelle vicende conclusive del poema, riguarda l’assenza di una preziosa coppa, rubatagli sotto le narici fumanti, che lo costringerà a librarsi in aria per compiere massacri e distruzioni. Vicenda molto simile al drago Smaug ne lo Hobbit.

Beowulf, ormai anziano e segnato dalle molte avventure, riuscirà a uccidere il drago al prezzo della sua stessa vita, in un sacrificio che lo annovera tra i più grandi eroi della storia letteraria. Tolkien, più tardi, ammetterà le analogie fra lo Hobbit e l’opera in antico inglese, senza però sbilanciarsi troppo.

“Beowulf è tra le mie fonti più considerate; benché non l’avessi consapevolmente in mente durante la stesura, in cui l’episodio del furto deriva naturalmente (e quasi inevitabilmente) dalle circostanze. È difficile immaginare un altro modo di proseguire la storia arrivati a quel punto. Immagino che l’autore di Beowulf direbbe la stessa cosa.”

Humphrey (ed.) Carpenter, The Letters of J.R.R. Tolkien, numero 25

I nazgul, spettri dell’Anello e cavalieri neri

Di non morti ne abbiamo già discusso ampiamente da queste parti, ma le fonti storiche sull’argomento sono tantissime e durante le ricerche per i miei romanzi m’imbatto sempre in qualcosa di sconosciuto, direi quasi inedito in Italia, come le storie sui cavalieri neri che sto per raccontarvi e che sono certo Tolkien conoscesse molto bene.

Tra le varie opere letterarie sui guerrieri redivivi ne ho trovata una in particolare che narra di un avvistamento nei pressi della città di Worms, in Germania, nel XII secolo. La comunità locale si fece spettatrice di un evento straordinario: una lunghissima colonna di cavalieri emerse all’improvviso da una montagna e si mise in marcia verso una destinazione sconosciuta. L’esercito era enorme e la sua natura soprannaturale chiara a tutti: erano apparsi dal nulla come degli spiriti.

Un coraggioso abitante della zona, armato di fede cristiana e ripetuti segni di croce, si avvicinò all’armata di cavalieri fantasma per chiedere loro cosa volessero. Lo fece in nome del Dio Onnipotente da cui sperava di ottenere tutta la protezione necessaria a fronteggiare quella possibile minaccia dell’Aldilà. E i cavalieri, molto cordialmente, risposero.

“Noi non siamo, come pensi, delle illusioni. Piuttosto, siamo le ombre dei cavalieri che di recente sono stati uccisi. Le armi, le armature e i cavalli che prima erano i nostri strumenti per il peccato sono ora gli strumenti del nostro tormento. In verità, stiamo bruciando, anche se non puoi vederlo con i tuoi occhi corporei.”

Eccheardo d’Aura, Chronicon Uraugiensis

Le origini storiche dei Nazgul de Il Signore degli Anelli sembrano quindi provenire dal folclore europeo medievale. Un altro avvistamento di cavalieri neri ci viene raccontato da Orderico Vitale3, nella sua cronaca.

La notte del primo gennaio dell’anno 1091, data estremamente significativa per via della sua valenza esoterica4, un prete di nome Walchelin fu testimone della comparsa di un’infinita colonna di cavalieri neri. Costoro montavano destrieri neri e senza insegne, armati con tutti gli strumenti necessari alla guerra.

Il prete si avvicinò alla schiera dannata e fu aggredito da quattro di quei cavalieri neri. Uno di essi lo afferrò per la gola, dimostrando di essere capace di compiere atti materiali, proprio come gli spettri dell’Anello: cadaveri, certo, ma del tutto in grado di manipolare la materia terrena al contrario dei fantasmi o altre entità immateriali.

Il contatto con il cavaliere nero diede origine a una ferita sovrannaturale, che nessuna medicina umana era in grado di curare. E questo ci porta dritti verso un altro elemento delle origini storiche presenti nella trilogia di Tolkien

Il pugnale Morgul

A Collevento, Frodo viene ferito dal Signore dei Nazgul con una lama intrisa di magia nera: il pugnale Morgul, che tramite il suo potere malefico è in grado di tramutare in spettro chiunque subisca il suo tocco. Quello della ferita sovrannaturale, ovviamente, è un motivo folcloristico presente nelle fonti medievali, di cui abbiamo un esempio nella cronaca di Orderico Vitale, del XII secolo.

Dopo esser stato preso per il collo, stretto dalla presa infernale di un cavaliere nero della masnada di Hellequin, un povero prete si ammalò e rimase a letto per una settimana, portando con sé un segno inequivocabile dell’incontro con l’esercito dei morti.

Il prete era stato marchiato dalle mani incandescenti del cavaliere nero. Lo stesso autore della cronaca riferisce di aver visto con i suoi occhi quell’orrenda bruciatura sul collo, testimonianza incontrovertibile del racconto della notte in cui si spalancarono le porte dell’Oltretomba.

In un racconto di fine XII secolo5, un cavaliere rimase stordito dall’incontro con il Diavolo in persona, dopo un’evocazione negromantica. Il sovrano degli Inferi aveva infatti cercato di agguantarlo per portarlo via con sé, e tale orrenda visione aveva lasciato il cavaliere preda di una malattia inguaribile, che peggiorava giorno dopo giorno, proprio come accade a Frodo nella trilogia dell’Unico Anello, ferito dal pugnale Morgul e mai guarito del tutto.

Da quel momento in poi il cavaliere divenne mortalmente pallido, e non riguadagnò mai più il suo stato di salute originario; visse con molta attenzione e non ebbe più dubbi sull’esistenza dei demoni. Morì poco tempo dopo.

I nani della mitologia nordica

Nella letteratura fantastica del XX secolo i nani assumono un ruolo di rilievo grazie alle opere di Tolkien. Compaiono ne Il Signore degli Anelli, ma soprattutto ne Lo Hobbit, dove li troviamo protagonisti di una sgangherata spedizione alla riconquista di un reame perduto. Il professore di Oxford però non si è inventato niente. Le creature barbute che vivevano sottoterra facevano parte dei miti e delle leggende europee già nell’Età Antica.

I nani sono descritti come un popolo infido, pericoloso: affascinano gli uomini con le loro ricchezze per poi rivelarsi malvagi e vendicativi. Si tratta di un motivo comune a molte altre leggende, a cominciare da quelle che più di tutte hanno ispirato la creazione del mondo fantasy de Il signore degli anelli, ovvero le saghe dell’eroe Sigfrido (o Sigurd) di cui Tolkien era esperto conoscitore e il ciclo eddico.

Dapprima i dvergar si erano formati e avevano presa vita nella carne di Ymir, ed erano proprio vermi, ma per decisione degli dèi avevano ricevuto la conoscenza del sapere umano e l’aspetto degli uomini; nondimeno abitavano nella terra e nelle rocce. Móðsognir fu il primo e il secondo Durinn.

Edda in prosa, Snorri Sturluson

Dalle carni del gigante Ymir, il primo essere vivente della Cosmogonia norrena, ebbero origine tutte le altre creature, a partire dai giganti di ghiaccio e dagli dei, fra cui il più antico era Odino. Seguirono gli uomini e la terra stessa, Midgard, che si formò sul corpo morto del gigante.

Dalla putrefazione del cadavere ciclopico nacquero dei vermi che, per decisione degli dei, ottennero la conoscenza del sapere umano e l’aspetto degli uomini: i nani. Per via della loro origine di creature del sottosuolo, i nani vivevano nella terra e nella roccia (ed ecco spiegato il motivo per cui i nani fantasy stanno sempre sottoterra).

E questi, disse [la vǫlva], erano i loro nomi:
Nýi, Níði,
Norðri, Suðri,
Austri, Vestri,
Alþjófr, Dvalinn,
Nár, Náinn,
Nípingr, Dáinn,
Bífurr, Báfurr,
Bǫmburr, Nóri,
[Órinn], Ónarr,
Óinn, Mjǫðvitnir.
Vigr e Gandálfr,
Vindálfr, Þorinn,
Fili, Kili,
Fundinn, Váli,
Þrór, Þróinn,
Þekkr, Litr, Vitr,
Nýr, Nýráðr,
Rekkr, Ráðsviðr.

Gloin, Dori, Ori… tutti i nomi che abbiamo imparato a conoscere con “Lo hobbit” sono ripresi dalle opere cui fa capo l’Edda in prosa di Snorri Sturluson, un manuale di poesia scaldica: ovvero un’intricata forma poetica rivolta ai signori nordici basata su un utilizzo di perifrasi (dette kenningar), che oggi giorno risultano alquanto difficili da decifrare poiché ci mancano i riferimenti culturali per comprendere il variegato “sottotesto” privo di spiegazione.

Quattro nani sostenevano la volta celeste. I loro nomi erano: Norðri, Suðri, Austri e Vestri, dai quali sono derivati i moderni punti cardinali (Nord, Sud, Est, Ovest). Móðsognir fu il primo della stirpe dei nani, seguito poi da Durinn. Durin è un nome che ricorre spesso nell’ambientazione tolkeniana, poiché si tratta di uno dei Sette padri nanici e predecessore dei sovrani che si succedettero fra i Lungobarbi, tutti che portavano il suo stesso nome (fino a Durin VII). Si pensa che nell’originale germanico significasse “l’addormentato”, ma non ci sono molte spiegazioni a riguardo. Così come non sappiamo altro riguardo i nani che nell’Edda vengono a malapena nominati.

Ma i nani non erano soltanto accumulatori compulsivi. Erano soprattutto esperti artigiani, fabbri e gioiellieri. Uno dei miti che rafforza questa caratteristica comune nelle leggende antiche deriva in particolar modo dal Andvaranautr, secondo alcuni alle origini storiche della creazione dell’Unico Anello tolkeniano.

L’Unico Anello e il mito dei Nibelunghi

In una celebre opera appartenente alla mitologia germanica “La canzone dei Nibelunghi”, trascritta nel XIII secolo da un autore anonimo, il popolo dei nani viene anche chiamato “popolo della nebbia”, richiamando le caratteristiche chiave delle interpretazioni folcloristiche dei secoli precedenti quali l’avarizia, l’accumulo di ricchezze e l’appartenenza a un’avanzata civiltà sotterranea. Il loro tesoro è composto da straordinarie quantità d’oro, che in alcune versioni del mito più recente provengono da un anello magico, posseduto da un personaggio che incarna le caratteristiche del popolo dei nani delle antiche saghe. Si tratta di Andvari, nell’Edda viene identificato come uno dei primi nani del Creato.

Andvaranautr era un anello magico in grado di produrre oro ma al prezzo di una terribile maledizione, che avrebbe portato sventura a chiunque ne fosse entrato in possesso. Nella mitologia scandinava, lo stesso Fafnir prima di diventare un drago era un nano, che a causa della sua avidità fu corrotto dalla maledizione dell’anello.

Le analogie fra Il Signore degli Anelli e la Canzone dei Nibelunghi sono molte ma, in questo caso, Tolkien negò fermamente ogni collegamento: “Entrambi gli anelli sono rotondi, e le somiglianze finiscono qui6. A parer mio è una risposta un po’ troppo lapidaria. Può darsi che il professore fosse semplicemente stufo di tutte le domande che riceveva riguardo le analogie con le opere del passato e del presente, comprese le teorie che volevano associare alla saga dell’Unico Anello un sottotesto politico.

Le origini storiche degli orchi

“E così Melkor originò l’orrenda razza degli Orchi, a invidia e scherno deli Elfi, dei quali in seguito furono i più accaniti avversari. Gli Orchi infatti prendevano vita e si moltiplicavano allo stesso modo dei Figli di Ilúvatar…”

Il Silmarillion, J.R.R. Tolkien, capitolo III

Gli orchi per il creatore dell’universo de Il signore degli anelli sono una razza di creature malvagie, originata dalla corruzione di altre creature e di conseguenza costrutti estranei al Creato. Dio non li ha voluti e non li vuole7.

Tolkien non dà descrizioni molto precise sull’aspetto degli orchi. Vengono a volte raffigurati con la pelle nera, di forma umanoide, ma più bassi di un uomo, pelati, con braccia lunghe e gambe corte. I denti sono gialli, affilati, per permettere loro di mangiare qualsiasi cosa, dalla carne umana a quella dei loro stessi simili. Nel Silmarillion (brano che ho messo come citazione d’apertura di questo paragrafo) leggiamo che si riproducono allo stesso modo delle altre razze, quindi dobbiamo mettere da parte l’interpretazione cinematografica di Peter Jackson che li vuole tirati fuori dalla melma, pronti alla battaglia.

Alcuni storici della letteratura hanno paragonato gli orchi di Tolkien alle rappresentazioni dei demoni medievali, intenzionalmente raffigurati in modo grottesco.

“… la caratteristica più sorprendente e coerente dei demoni nell’arte medievale è la loro combinazione di forma fisica animale e umana per creare una perversione bestiale dell’immagine di Dio.”

Debra Higgs Strickland, “Demoni, saraceni ed ebrei”

I demoni medievali erano quindi raffigurati come una presa in giro dell’immagine di Dio, e Tolkien ci dice che gli Orchi furono creati per prendere in giro gli elfi, creature mortali divinizzate, molto più vicine alla perfezione celeste rispetto agli uomini.

Un orco è un parassita, un essere che vive soprattutto delle creazioni d’altri. Egoista per pura sopravvivenza. Sono ingegnosi in certi ambiti, come quello della guerra, ma si preoccupano soprattutto di conquistare quello che già esiste sulla terra, per appropriarsene e sfruttarlo fino all’osso. Le origini storiche degli orchi potrebbero derivare da quei popoli che per necessità viaggiavano in lungo e in largo, conquistando e saccheggiando, per alimentare orde di guerrieri spaventosi: gli imperi nomadi.

Unni, Cimmeri, Sciti, Tartari… talvolta vengono chiamati anche imperi delle steppe o dell’Asia centrale. Sono intere popolazioni che dall’Età Antica al Medioevo hanno fatto parlare di sé per la loro ferocia, l’inarrestabilità e per l’insaziabile fame di conquista.

Sono animali selvaggi, bestie a due zampe, semi-uomini che mangiano i loro vecchi, bevono il sangue e si nutrono della carne scaldata sotto le selle dei loro cavalli.”

Jordanes, sugli Unni, V secolo

I romani erano terrorizzati dall’arrivo degli Unni guidati da Attila, che si spinse in Europa fino ad assediare le città d’Italia. Con le loro cavalcate le orde unne devastavano il territorio, sempre bisognose di gigantesche quantità di foraggio per i cavalli. Stesso copione si replicò coi Mongoli, una grande orda nomade che terrorizzò l’occidente medievale.

I mongoli sottomisero gli abitanti di grandi e popolose città e vaste province a tali massacri che difficilmente qualcuno rimase vivo […] In alcune aree di frontiera, attraversate frequentemente dagli eserciti, la popolazione locale fu annientata completamente o se ne fuggì, lasciando loro vasti territori […] Neppure la decima parte delle terre è ora coltivata e il resto è in disuso.

Rashid ad-Din Hamdani, Jami al-Tawarikh

Vi sono altri esempi di “armate delle tenebre” dell’Antichità, alcune delle quali erano composte da guerrieri terribili, con il corpo “tinto di scuro“, e che combattevano nelle “notti tenebrose“. Le origini storiche degli orchi di Tolkien sembrerebbero analoghe a una specifica tribù germanica che, esattamente come le infide razze della Terra di Mezzo, preferivano combattere nelle notti tenebrose.

Quanto agli Arii, a parte la forza che li fa emergere fra i popoli or ora enumerati, con artifici e scelta di tempo esaltano la ferocia, già insita nel loro aspetto truce: hanno scudi neri e il corpo tinto di scuro; per combattere scelgono notti tenebrose, e la sola raccapricciante comparsa di questo esercito di fantasmi semina panico, poiché nessun nemico sa reggere a quella stupefacente e quasi infernale visione; infatti in ogni battaglia i primi a essere vinti sono appunto gli occhi.

Tacito, De origine et situ germanorum (98 d.c.)

Boromir e La Chanson de Roland

“Rolando sente la morte vicina, gli esce fuori il cervello dagli orecchi. Prega Dio ch’egli accolga i suoi compagni e per sé prega l’angelo Gabriele. Prese il corno, che biasimo non abbia, con l’altra mano Durendal, la spada. Per poco più d’un tratto di balestra cammina verso Spagna in mezzo a un prato; sale su un colle; sotto due begli alberi quattro massi vi sono, duro marmo. Sull’erba verde è caduto riverso: e sviene, che la morte gli è vicina.”

La Chanson de Roland

Orlando, col cervello che gli esce dagli orecchi per aver appena suonato l’olifante, prega Dio di accogliere i Dodici Pari in cielo e, Durendal in pugno, si rivolge a ovest, verso la Spagna, la terra che, infine, lo sta per uccidere. Sviene sul terreno, ma la sua ora non è ancora giunta perché, come Boromir della Compagnia dell’Anello di Tolkien, Orlando è costretto a combattere ancora, nonostante la stanchezza. Le origini storiche della scena più toccante de “La Compagnia dell’Anello” sembrano provenire proprio da qui.

“Un saraceno tien fisso lo sguardo; si finse morto e si stese fra gli altri, il corpo e il viso lordati di sangue. Si rizza in piedi e di corsa si avanza. È bello e forte e di grande valore, e per orgoglio compie una follia. Prese Rolando, il suo corpo con l’armi, e disse: «È vinto il nipote di Carlo! Io porterò questa spada in Arabia!». Un poco il conte rinvenne allo strappo. Rolando sente che prende la spada; dischiuse gli occhi e ha detto una parola: «Per quel che vedo tu non sei dei nostri!». Stringe il corno che perdere non vuole, lo coglie all’elmo con gemme e con oro, spezza l’acciaio e la testa e anche l’ossa; gli ha fatto uscire dal capo i due occhi ed ai suoi piedi l’ha abbattuto, morto. «Servo, – gli dice – tanto audace fosti da prendermi, a diritto oppure a torto? Nessun l’udrà che non t’abbia per folle! È spaccato il mio corno al padiglione e n’è caduto l’oro ed il cristallo».”

Un saraceno ancora vivo, che si era finto morto tra i corpi sparsi sul campo di battaglia, si rizza in piedi e corre verso il paladino per rubargli la spada Durendal. La riporterebbe in Arabia per coprirsi di onori, se non fosse che Orlando ha ancora un briciolo di forza da poter sfruttare. Il prode si alza in piedi e lo uccide: l’ultima fatica prima di abbandonarsi alla preghiera e alla morte.

Le origini storiche della tragedia di Boromir sembrano attingere alla canzone di Orlando, nell’episodio dell’eroica morte del paladino del ciclo carolingio. Orlando, ferito a morte, ha la forza di suonare l’olifante, il suo straordinario corno, e lo suona con tanta forza da farsi udire fino in Francia, da Carlo Magno, allo stesso modo in cui Boromir riesce a farsi udire fino a Minas Tirith8.

Da Merlino a Gandalf

Secondo le origini storiche del ciclo arturiano, o materia di Bretagna, Merlino non è un normale essere umano. La sua natura è sovrannaturale, poiché nasce dal ventre di una principessa gallese che si è unita a un demonio9. Lo spirito demoniaco le faceva visita di notte, a volte comparendo improvvisamente, a volte solo sussurrandole nell’orecchio. Dall’unione tra i due nacque Merlino, il cui nome deriva dal villaggio gallese Caer Myrddin (“villaggio di Myrddin”). Myrddin dunque era il paese natale del nostro mago medievale più celebre di sempre, nome poi latinizzata dallo stesso Goffredo in “Merlinus” (perché Merdinus suonava male).

Merlino fin da subito manifesta dei poteri sovrannaturali. Secondo Goffredo egli superava qualsiasi altro mago in quanto a capacità divinatoria, dominio della magia della tempesta, della metamorfosi e della conoscenza medica e farmaceutica. Dunque, egli non è divenuto mago in seguito allo studio della magia, ma ha sviluppato delle doti naturali ereditate dal padre infernale.

Le origini storiche e letterarie di Gandalf sono quindi più vicine al Merlino antico, non rimaneggiato nel tardo medioevo, di quanto si potrebbe pensare. Entrambi si presentano come creature sovrannaturali dotate di poteri innati, che non si possono apprendere sui libri o i grimori. Il mago tardo-medievale, infatti, è un uomo dotto, che legge sui testi esoterici per imparare formule e rituali negromantici, fra cerchi tracciati sul terreno ed evocazioni demoniache (per approfondire, leggi l’articolo: “La Negromanzia medievale“), cosa del tutto diversa dalla concezione magica antica e altomedievale.

Certo, nell’immaginario tolkeniano Gandalf è più un essere angelico, mentre Merlino appartiene all’altro lato della barricata, quello demoniaco. In ogni caso, il nome Gandalf compare nella mitologia scandinava nel ciclo della creazione nanica, sotto forma di Gandálfr, ovvero uno dei nani della stirpe di Móðsognir e Durinn. Insomma, parrebbe che Tolkien per l’Istari protagonista della trilogia abbia usato il nome di un nano mitologico presente nell’Edda poetica. Buffo, vero?

Le origini storiche de Il Signore degli Anelli non finiscono qui!

Quelle che ho raccolto in questo articolo sono solo alcune delle ispirazioni storiche che hanno permesso la creazione della Terra di Mezzo. Ogni pagina della trilogia trasuda infatti un amore per la storia antica e medievale che Tolkien ha portato avanti per tutta la vita, regalandoci una delle saghe fantasy (e aggiungerei letterarie) più importanti della nostra epoca. Io stesso, nel mio piccolo, con i miei romanzi, devo ringraziare l’uomo che ha dato vita a una storia epica, fatta di avventure fantastiche, personaggi affascinanti e ferro affilato.

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  1. Lettera 297 a Mr Rang, agosto 1967, The Letters of J.R.R. Tolkien
  2. di cui abbiamo la più antica testimonianza in un manoscritto islandese del XIII secolo
  3. Orderico Vitale, Historia Ecclesiastica, libri XIII
  4. secondo alcune leggende pagane del nord Europa, la notte dell’anno nuovo è associata alla comunicazione fra i mondi, quello mortale e quello immortale, e il ritorno delle anime dannate
  5. Dialogo sui Miracoli, Cesario di Heisterbach
  6. Humphrey Carpenter, La realtà in trasparenza, lettera nº 229
  7. Il Silmarillion, capitolo III “Fu forse questa l’azione più abietta di Melkor, e la più odiosa a Ilúvatar.
  8. J.R.R. Tolkien, Il ritorno del re, Appendice A – “Annali dei Re e Governatori”, p. 437
  9. Goffredo di Monmouth Historia Regum Britanniae
Lorenzo Manara
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