La battaglia dei clan
Una disputa giudiziaria a North Inch, Scozia: 30 contro 30 per una battaglia dei clan delle highlands
Di duelli ce ne sono stati tanti nella storia, soprattutto quella antica e medievale, laddove eroici guerrieri si scontravano per avere ragione l’uno dell’altro di fronte a una folla urlante di appassionati sanguinari. In un recente episodio di Leggende Affilate, ad esempio, ho raccontato del duello tra un gigantesco guerriero gallico e un indomito romano, il cui esito avrebbe deciso le sorti di un’intera guerra. Ma non era sempre così. Le contese organizzate non erano sempre uno contro uno. Infatti, oggi, voglio raccontare la bellissima cronaca di una vera e propria battaglia giudiziaria, avvenuta nella Scozia tardomedievale tra due famiglie o, per dire col termine più adatto, tra due clan: 30 contro 30, al cospetto dello stesso re Roberto III, in quella che nella storia scozzese è stata ribattezzata, appunto, come la battaglia dei clan.
La battaglia dei clan fu uno scontro giudiziario, organizzato su un bel prato verde, recintato, con un grande spalto da cui il re poteva osservare ogni singola spadata; il tutto per mettere d’accordo degli acerrimi rivali, dilaniati da una faida che durava anni. Così infuriati l’uno con l’altro da arrivare a scannarsi orribilmente, sotto gli occhi di tutti, come dei gladiatori. Ma perché questi due clan erano così infuriati? Per saperlo, bisogna andare indietro di qualche anno, al 1386.
Ma prima voglio fare una premessa. Questa vicenda è stata narrata in svariati resoconti, molti dei quali sono apertamente in contrasto. Gli storici che si sono cimentati nel raccontare questo episodio non sono nemmeno d’accordo sui nomi dei clan che parteciparono alla disputa. C’è chi dice che a partecipare fu un determinato clan, chi un altro… e a complicare ulteriormente le cose è l’organizzazione e il sistema di alleanze dei clan stessi, i quali potevano unirsi in una coalizione dando vita a un grande clan composto da clan più piccoli all’interno… insomma, visto che io sono interessato alla storia in sé, all’avventura e alle spadate (e chi mi segue, soprattutto chi ha letto i miei romanzi, lo sa bene), ecco ho deciso di scegliere il resoconto presente in un volume ottocentesco di “Storia scozzese delle Highlands”, edito da Sir John Scott Keltie1.
Tutto ha inizio con due clan delle Highlands: i Macpherson e i Davidson. Questi due clan facevano parte di una coalizione più grande, con altri clan al suo interno, e dunque erano alleati. Il significato di una simile unione stava tutto nel sostenersi a vicenda in battaglia, ed essere così in grado di affrontare avversari davvero potenti, contro cui non avevano speranza se fossero rimasti soli, proprio come avvenne nell’anno 1386, nella battaglia contro il clan Cameron.
I Cameron avevano schierato 400 uomini per saccheggiare e depredare le terre della coalizione. I clan alleati furono chiamati a difenderle, e tra loro vi erano anche i Macpherson e i Davidson. Ma quando giunsero a schierarsi, uno di fianco all’altro, questi due alleati cominciarono a battibeccare per decidere quale dei due avrebbe dovuto comandare l’ala destra dello schieramento di coalizione. Un litigio che fu portato dinnanzi al capo dell’intera armata, per decidere i dà farsi. E a vincere fu il capoclan dei Davidson, il quale ebbe l’onore di guidare l’ala destra. Ma questo, ovviamente, ai Macpherson non piacque affatto: perciò tutti i guerrieri del clan offeso voltarono le spalle e sciolsero i ranghi. Si dà il caso che i Macpherson fossero pure in gran numero, molti di più dei Davidson, e il loro abbandono del campo fu una vera e propria tragedia.
La battaglia cominciò, e senza i Macpherson la colazione si ritrovò subito in difficoltà contro i Cameron. Di fatto, lo scontro si era già tramutato in massacro, e il nemico aveva la vittoria in pugno. A quel punto i Macpherson, vedendo gli alleati sul punto d’essere sopraffatti, misero da parte l’orgoglio ferito e si lanciarono in battaglia, ribaltando le sorti dello scontro. Freschi e numerosi, si abbatterono sui Cameron, sconfiggendoli, e ammazzando pure il capoclan nemico. Viva l’amicizia! Che bel lieto fine. Oppure no? Be’, in verità, l’orgoglio ferito era ancora parecchio ferito, e questi scozzesi pare che abbiano per davvero delle testacce dure come vuole lo stereotipo. Perciò, nonostante la battaglia vinta, i Macpherson e i Davidson continuarono a odiarsi, e il loro odio incrementò a tal punto da scoppiare in conflitto aperto: per dieci anni, portarono avanti una guerra di sterminio, squassando tutto il paese, e arrivando addirittura alle orecchie di re Roberto III, il quale, a una certa, non ne poté più.
Per prima cosa, il re tentò di risolvere la cosa diplomaticamente. Inviò emissari illustri, sempre più autorevoli, addirittura dei conti, a parlare coi due clan, per raggiungere un accordo. Ma i tentativi fallirono tutti. Ed ecco che si prospettò l’unica soluzione possibile per giungere a una conclusione definitiva e onorevole: quell’ancestrale tradizione barbara di impugnare il ferro e affidarsi al fato, e ai muscoli. Fu identificato un bel prato verde, perfettamente pianeggiante sulle rive del Tay, a Perth, noto come North Inch. Un luogo in cui sono pure stato nel 2017, durante un meraviglioso viaggio in Scozia. E il lunedì prima della festa di San Michele, celebrata il 29 settembre, i migliori guerrieri del clan Macpherson incontrarono i migliori guerrieri del clan Davidson: 30 contro 30, in una disputa all’ultimo sangue, come una vera e propria battaglia.
Spade larghe scozzesi, scudi, pugnali, asce da battaglia e persino archi e frecce. Quel giorno, quei pochi guerrieri delle Highlands si schierarono in due linee, una di fronte all’altra, per dare vita a uno spettacolo che avrebbe allietato lo stesso re, seduto su uno spalto costruito per l’occasione, alla maniera dei grandi tornei francesi dell’epoca, e una nutrita folla che stava assiepata tutta attorno al prato, abbarbicata ai recinti che contenevano il campo, proprio come un torneo. Ma a differenza delle feste d’armi d’origine normanna, stavolta si faceva sul serio: stavolta si puntava alla gola, per squartare e dissanguare, senza alcun premio che non fosse la riconquista dell’onore perduto, dinnanzi al cadavere ancora caldo del nemico.
La battaglia giudiziaria stava per avere inizio. I due clan erano schierati, le armi pronte a vibrare. Ma accadde qualcosa di inaspettato: un guerriero dei Macpherson, preso dalla paura, uscì dal campo, si tuffò nel Thay per attraversarlo a nuoto e, nonostante fosse inseguito da migliaia di persone, riuscì a fuggire. Insomma, se l’era fatta sotto. Non so, c’è qualcosa che non mi convince di questa versione. Perché sì, come dicevo, la vicenda presenta numerose varianti. Un’altra delle quali vuole che questo sconosciuto codardo fosse, invece, ammalato, e che quindi non si poté presentare assieme ai suoi compagni. Insomma, fatto sta che, da lato dei Macpherson, di guerrieri, quel giorno, ce n’erano 29. Colpo di scena. E ora? Non si può mica giocare con un uomo in meno. Non in un’occasione così importante. La battaglia, quindi, non cominciò. I giudici proposero ai Davidson di rinunciare a un uomo, così da essere pari, 29 contro 29, ma loro rifiutarono. E quindi ci si trovò bloccati in uno stallo, con tutta la città intorno ai recinti e pure il re che stava già pensando d’aver tirato su tutto quel teatrino per finire a bocca asciutta. Ma quando la situazione sembrava non avere alcuna soluzione, ecco che giunse il secondo colpo di scena.
Il re stava per sciogliere la disputa e mandare tutti a casa, quando un uomo minuscolo e disonesto, ma feroce, come viene descritto nel resoconto, balzò oltre le barriere e si rivolse ai giudici. “Eccomi. Io sono disposto a riequilibrare i clan, se lo vorrete. Ma voglio essere pagato.”
Costui era un cittadino di Perth, un armaiolo, che tutti riconobbero perché era abbastanza conosciuto. Aveva pure un soprannome: “Crooked Smith”, ovvero l’armaiolo disonesto, anche se il termine Crooked può essere tradotto anche come “storto”, “sghembo”. Il fatto è che questo singolare personaggio che voleva tirar su qualche soldo, offrì l’unico modo per portare avanti la disputa. E quindi il re e i nobili acconsentirono.
I 29 Macpherson (+1) e i 30 Davidson imbracciarono le armi. E, anche se in ritardo, la battaglia cominciò. Per primo, toccò alle frecce. I due gruppi si scagliarono addosso frecce su frecce, bersagliandosi spietatamente, e tra i primi a segnare un centro fu proprio Crooked Smith, che beccò in pieno un Davidson ammazzandolo sul colpo. Dopodiché, l’armaiolo si avviò verso l’uscita del campo, scavalcò il recinto, e abbandonò lo scontro. Subito gli chiesero cosa diavolo stesse facendo e lui rispose: ho riequilibrato i clan e voglio essere pagato. Ed effettivamente era proprio vero, adesso erano 29 contro 29. Ma gli fu risposto in gaelico, in maniera molto saggia, con una frase che può essere tradotta così: “Chi non tiene di conto le proprie buone azioni, senza conto sarà ripagato”. Insomma: o te ne torni dentro a combattere, o non ti diamo un soldo. E Crooked Smith, pare che sia tornato a combattere.
Dopo la pioggia di frecce, entrambi gli schieramenti si lanciarono l’uno contro l’altro, dando inizio a una violentissima mischia, alimentata dal furore di uomini fomentati da un odio decennale, che non vedevano l’ora di sterminarsi a vicenda. Gli spettatori che credevano di assistere a uno scontro cavalleresco si ritrovarono a inorridire dinnanzi a un bagno di sangue come nelle antiche arene gladiatorie, quando i condannati a morte venivano azzannati dalle bestie. Come si legge nel resoconto: fu una tragedia. “I violenti colpi dei pugnali e i tremendi squarci inflitti dalle spade a due mani e dalle asce da battaglia accelerarono l’opera di macello e di morte. Le teste erano fatte a pezzi, gli arti erano tagliati dal tronco. Il prato fu presto inondato di sangue e coperto di uomini morti e feriti.”
19 guerrieri del clan Macpherson morirono, e i restanti furono tutti feriti, tranne l’eroico Crooked Smith, il quale si distinse per la sua bravura con la spada e rimase persino illeso. In ogni caso, i Davidson subirono la sorte peggiore, poiché abbandonarono l’anima al Creatore 29 di loro. Ne rimase solo uno, infatti, in campo. Illeso, con la spada in pugno, circondato da 11 nemici. Racconta una versione che costui, visto come stavano andando le cose, si tuffò nel Thay per attraversarlo a nuoto e scomparire sulla sponda opposta. La stessa cosa che era stata detta su quell’ipotetico Macpherson codardo, nella precedente versione.
La vicenda, quindi, si concluse con la vittoria dei Macpherson, che dopo anni di faida e non si sa quanti uomini perduti, avevano finalmente lavato l’onta di quella volta che non erano stati scelti per guidare l’ala destra dello schieramento, in battaglia. Ne è valsa la pena? Non lo so. Di certo, l’unico che ci ha guadagnato da tutta questa vicenda, e Crooked Smith, che avendo ucciso un bel po’ di nemici si fece un bel gruzzoletto, per poi scomparire per sempre dalla storia umana, dopo questa fugace e incredibile apparizione. Ma ha lasciato il segno, decisamente, anche perché ha ispirato Sir Walter Scott per uno dei suoi romanzi, divenendo uno dei personaggi principali di questa strana, violenta, ma affascinante battaglia dei clan, nella Scozia medievale.
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In the year 1386, a feud having taken place between the clan Chattan and the Camerons, a battle took place in which a great number of the clan Chattan were killed, and the Camerons were nearly cut off to a man. The occasion of the quarrel was as follows. The lands of Macintosh in Lochaber, were possessed by the Camerons, who were so tardy in the payment of their rents that Macintosh was frequently obliged to levy them by force by carrying off his tenants’ cattle. The Camerons were so irritated at having their cattle poinded and taken away, that they resolved to make reprisals, preparatory to which they marched into Badenoch to the number of about 400 men, under the command of Charles Macgilony. As soon as Macintosh became acquainted with this movement he called his clan and friends, the Macphersons and Davidsons, together. His force was superior to that of the Camerons, but a dispute arose among the chiefs which almost proved fatal to them. To Macintosh, as captain of the clan Chattan, the command of the centre of the army was assigned with the consent of all parties; but a difference took place between Cluny and Invernahavon, each claiming the command of the right wing. Cluny demanded it as the chief of the ancient clan Chattan, of which the Davidsons of Invernahavon were only a branch; but Invernahavon contended that to him, as the oldest branch, the command of the right wing belonged, according to the custom of the clans. The Camerons came up during this quarrel about precedency, on which Macintosh, as umpire, decided against the claim of Cluny. This was a most imprudent award, as the Macphersons exceeded both the Macintoshes and Davidsons in numbers, and they were, besides, in the country of the Macphersons. These last were so offended at the decision of Macintosh that they withdrew from the field, and became, for a time, spectators of the action. The battle soon commenced, and was fought with great obstinacy. Many of the Macintoshes, and almost all the Davidsons, were cut off by the superior number of the Camerons.
The Macphersons seeing their friends and neighbours almost overpowered, could no longer restrain themselves, and friendship got the better of their wounded pride. They, therefore, at this perilous crisis, rushed in upon the Camerons, who, from exhaustion and the loss they had sustained, were easily defeated. The few that escaped, with their leader, were pursued from Invernahavon, the place of battle, three miles above Ruthven, to Badenoch. Charles Macgilony was killed on a hill in Glenbenchir, which was long called Torr-Thearlaich, i.e., Charles’-hill.
In the opinion of Shaw this quarrel about precedency was the origin of the celebrated judicial conflict, which took place on the North Inch of Perth, before Robert III., his queen, Annabella Drummond, and the Scottish nobility, and some foreigners of distinction, in the year 1396, and of which a variety of accounts have been given by our ancient historians. The parties to this combat were the Macphersons, properly the clan Chattan, and the Davidsons of Invernahavon, called in the Gaelic Clann-Dhaibhidh. The Davidsons were not, as some writers have supposed, a separate clan, but a branch of the clan Chattan. These rival tribes had for a long period kept up a deadly enmity with one another, which was difficult to be restrained; but after the award by Macintosh against the Macphersons, that enmity broke out into open strife, and for ten years the Macphersons and the Davidsons carried on a war of extermination, and kept the country in an uproar.
To put an end to these disorders, it is said that Robert III. sent Dunbar, Earl of Moray, and Lindsay of Glenesk, afterwards Earl of Crawford, two of the leading men of the kingdom, to endeavour to effect an amicable arrangement between the contending parties; but having failed in their attempt, they proposed that the differences should be decided in open combat before the king. Tytler is of opinion that, the notions of the Norman knights having by this time become familiar to the fierce mountaineers, they adopted the singular idea of deciding their quarrel by a combat of 30 against 30. Burton, however, with his usual sagacity, remarks that, “for a whole race to submit to the ordeal of battle would imply the very highest devotion to those rules of chivalry which were an extravagant fashion in all the countries under the Norman influence, but were utterly unknown to the Highlanders, who submitted when they must submit, and retaliated when they could. That such an adjustment could be effected among them is about as incredible as a story about a parliamentary debate in Persia, or a jury trial in Timbuctoo.” The beautiful and perfectly level meadow on the banks of the Tay at Perth, known as the North Inch, was fixed on, and the Monday before Michaelmas was the day appointed for the combat. According to Sir Robert Gordon, who is followed by Sir Robert Douglas and Mr. Mackintosh, it was agreed that no weapon but the broad sword was to be employed, but Wyntoun, who lived about the time, adds bows, battle-axes, and daggers. “All thai entrit in Barreris, With Bow and Axe, Knyf and Swerd, To deal amang them thair last Werd.”
The numbers on each side have been variously reported. By mistaking the word triceni, used by Boece and Buchanan, for treceni, some writers have multiplied them to 300. Bower, the continuator of Fordun and Wyntoun, however, mentions expressly 60 in all, or 30 on either side. On the appointed day the combatants made their appearance on the North Inch of Perth, to decide, in presence of the king, his queen, and a large concourse of the nobility, their respective claims to superiority. Barriers had been erected on the ground to prevent the spectators from encroaching, and the king and his party took their stations upon a platform from which they could easily view the combat. At length the warriors, armed with sword and target, bows and arrows, short knives and battle-axes, advanced within the barriers, and eyed one another with looks of deadly revenge. When about to engage, a circumstance occurred which postponed the battle, and had well-nigh prevented it altogether. According to some accounts, one of the Macphersons fell sick; but Bower says, that when the troops had been marshalled, one of the Macphersons, panic-struck, slipped through the crowd, plunged into the Tay and swam across, and, though pursued by thousands, effected his escape. Sir Robert Gordon merely observes, that, “at their entrie into the feild, the clan Chattan lacked one of their number, who wes privilie stolne away, not willing to be pertaker of so deir a bargane.” A man being now wanting on one side, a pause ensued, and a proposal was made that one of the Davidsons should retire, that the number on both sides might be equal, but they refused. As the combat could not proceed from this inequality of numbers, the king was about to break up the assembly, when a diminutive and crooked, but fierce man, named Henry Wynd, a burgher of Perth, better known to readers of Scott as Hal o’ the Wynd, and an armourer by trade, sprung within the barriers, and, as related by Bower, thus addressed the assembly: “Here am I. Will any one fee me to engage with these hirelings in this stage play? For half a mark will I try the game, provided, if I escape alive, I have my board of one of you so long as I live. Greater love, as it is said, hath no man than this, that a man lay down his life for his friends. What, then, shall be my reward, who stake my life for the foes of the commonwealth and realm?” This demand of Gow Crom, “Crooked Smith,” as Henry was familiarly styled, adds Bower, was granted by the king and nobles. A murderous conflict now began. The armourer, bending his bow, and sending the first arrow among the opposite party, killed one of them. After showers of arrows had been discharged on both sides, the combatants, with fury in their looks, and revenge in their hearts, rushed upon one another, and a terrific scene ensued, which appalled the heart of many a valorous knight who witnessed the bloody tragedy. The violent thrusts of the daggers, and the tremendous gashes inflicted by the two-handed swords and battle-axes, hastened the work of butchery and death. “Heads were cloven asunder, limbs were lopped from the trunk. The meadow was soon flooded with blood, and covered with dead and wounded men.”
After the crooked armourer had killed his man, as already related from Bower, it is said that he either sat down or drew aside, which being observed by the leader of Cluny’s band, he asked his reason for thus stopping; on which Wynd said, “Because I have fulfilled my bargain, and earned my wages.”—“The man,” exclaimed the other, “who keeps no reckoning of his good deeds, without reckoning shall be repaid,” an observation which tempted the armourer to earn, in the multiplied deaths of his opponents, a sum exceeding by as many times the original stipulation. This speech of the leader has been formed into the Gaelic adage, “Am fear nach cunntadh rium Cha chunntainn ris,” which Macintosh thus renders, “The man that reckons not with me I will not reckon with him.”
Victory at last declared for the Macphersons, but not until 29 of the Davidsons had fallen prostrate in the arms of death. Nineteen of Cluny’s men also bit the dust, and the remaining 11, with the exception of Henry Wynd, who by his excellence as a swordsman had mainly contributed to gain the day, were all grievously wounded. The survivor of the clan Davidson escaped unhurt. Mackintosh following Buchanan, relates that this man, after all his companions had fallen, threw himself into the Tay, and making the opposite bank, escaped; but this is most likely a new version of Bower’s account of the affrighted champion before the commencement of the action.
The leader of the clan Kay or Davidsons is called by Bower Schea-beg, and by Wyntoun, Scha-Ferquharis son, Boece calls him Strat-berge. Who Christi-Mac-Iain, or Christi-Jonson was genealogically, we are not informed; but one thing is pretty clear, that he, not Schea-beg, or Shaw Oig,—for these are obviously one and the same,—commanded the clan Chattan, or “Clann-a-Chait.” Both the principals seem to have been absent, or spectators merely of the battle; and as few of the leading men of the clan, it is believed, were parties in the combat, the savage policy of the government, which, it is said, had taken this method to rid itself of the chief men of the clan, by making them destroy one another, was completely defeated. This affair seems to have produced a good effect, as the Highlanders remained quiet for a considerable time thereafter.
- The Scottish Highlands, Highland Clans and Highland Regiments, Volume I (of 2), Edited by Sir John Scott Keltie ↩
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