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30 Giugno 2022

5 storie horror medievali

5 storie horror medievali

5 storie horror medievali tra fantasmi, non morti, cavalieri, negromanti e profezie infernali: i racconti spaventosi delle cronache antiche

Le storie avventurose all’insegna di non morti, creature soprannaturali e situazioni macabre sono antiche quanto l’uomo. La paura è un’emozione forte, utile ai fini della sopravvivenza, e veicolo conoscitivo molto efficace. Lo sapevano gli autori appartenenti al mondo greco-romano e pure i cronisti dall’Anno Mille in poi che, grazie ai loro manoscritti, ci hanno tramandato un mondo fantastico di cui nutrirsi all’infinito. Oggi voglio presentarvi 5 storie horror medievali spaventose quanto originali, che sono servite d’ispirazione per il mio ultimo romanzo “La Stirpe delle Ossa“: un’avventura grimdark fra le malsane paludi di un Italia medievale perduta… Buona lettura!

  1. Il prete cane (hundeprest o hound priest)
  2. Il carbonaio di Niversa
  3. Il cavaliere e il negromante
  4. Re Herla
  5. L’usuraio che andò all’Inferno

Il prete cane (Hundeprest o Hound Priest)

Fra le varie storie horror medievali a tema “morti viventi” emergono i racconti di Guglielmo di Newburgh, che nel XII secolo descrisse nero su bianco i macabri accadimenti che scossero la Gran Bretagna, tra omicidi e cadaveri riemersi dal sottosuolo. Una delle più interessanti ha come protagonista un cappellano poco rispettoso per l’ordine sacro di cui faceva parte, legato ai vizi e ai piaceri terreni, e in particolare alla caccia. Amava così tanto cacciare da essere soprannominato prete cane (hundeprest, da Hound-priest o dog priest).

Quando morì venne seppellito al monastero di Melrose, in Scozia, vicino al castello di cui era cappellano, ma fu una sistemazione alquanto provvisoria. Poiché una notte il prete cane uscì dalla tomba, ritto sulle sue gambe, e attraversò il monastero lanciando forti gemiti e orribili mormorii, pronto a dare inizio a una nuova battuta di caccia.

Due frati tra i più agguerriti del monastero e due uomini tra i più forti della comunità decisero di frapporsi alla minaccia sovrannaturale. Raggiunsero il cimitero, fra le croci di pietra, armati di spade e asce: la loro missione era di ricacciare il prete cane sottoterra, e di farlo a pezzi.

Uno dei frati, non appena il morto fu vicino, gli mollò un colpo d’ascia in pieno petto. Il non morto gemette forte, devastato dall’orrenda ferita, e cominciò a fuggire. Il frate cacciatore di demoni allora si lanciò al suo inseguimento per tutto il cimitero. Voleva menarlo ancora. E più forte.

Il morto s’infilò nella tomba e la terra si richiuse subito al suo passaggio. I compagni del frate scavarono tutta la notte, fino al sorgere del sole. E quando finalmente raggiunsero il corpo, lo trovarono immobile, con una grande ferita in petto e una grande quantità di sangue sul fondo della fossa. Ormai era chiaro che per porre fine al maleficio avrebbero dovuto usare le maniere forti: distruggere il prete cane.

Lo trascinarono oltre le mura del monastero e lo bruciarono, poi raccolsero le ceneri e le sparsero al vento. Da quel momento nessuno seppe più del prete cane (potete approfondire la storia nell’articolo dedicato).

Il carbonaio di Niversa

Il protagonista della seconda di queste storie horror medievali è un carbonaio, un umile lavoratore che produceva carbone stipando legna in una fossa, vigilando su un lento processo di combustione, giorno e notte, davanti alla brace. E fu proprio attorno alla mezzanotte, durante la sua monotona guardia, che si ritrovò spettatore di un evento soprannaturale.

“Vide venire verso la fossa correndo e stridendo una femina scapigliata e gnuda, e dietro le venia uno cavaliere in su uno cavallo nero, correndo, con uno coltello ignudo in mano, e della bocca e degli occhi e dello naso del cavaliere e del cavallo uscia fiamma di fuoco ardente.

Il carbonaio assistette all’omicidio della donna, che dopo essere stata brutalmente pugnalata al petto dal cavaliere fantasma venne gettata nella fossa dei carboni e lasciata a rosolare per un po’. Il cavaliere attese che diventasse “tutta focosa e riarsa” e se la riprese in sella per galoppar via da dove era venuto. La scena si ripeté la notte seguente e quella dopo ancora, a riprova della natura infernale di una simile visione, che niente aveva a che fare con la realtà terrena.

Il carbonaio, che non sapeva bene cosa fare, andò dal conte a raccontargli tutto. E il conte, curioso, si presentò alla fossa dei carboni, di notte, per aspettare che il prodigio si verificasse sotto i suoi occhi… cosa che avvenne.

Il conte chiese al cavaliere infernale la ragione di quel tormento. E il cavaliere spiegò il mistero che si celava dietro la più tragica fra le maledizioni medievali: i due stavano scontando una penitenza per amore, poiché si erano uniti al di fuori del matrimonio, arrivando perfino a uccidere il marito di lei.

“Però che questa donna per amore di me uccise il suo marito, l’è data questa pena, che ogni notte, tanto quanto ha stanziato la divina giustizia, patisce per le mie mani duolo di penosa morte di coltello, e però ch’ella ebbe verso di me ardente amore di carnale concupiscenza, per le mie mani ogni notte è gittata ad ardere nel fuoco, come nella visione vi fu mostrato. E come già ci vedemmo con gran disio e con piacere di grande diletto, così ora ci veggiamo con grande odio e ci perseguitiamo con grande sdegno.1

Il cavaliere e il negromante

La terza delle storie horror medievali di oggi ha come protagonista uno scettico cavaliere, che ritenendo i demoni frutto di superstizione e ingenuità popolare, mandò a chiamare un prete negromante di nome Filippo per evocare un demone e vedere coi propri occhi se fosse davero possibile scendere a patti col Diavolo.

Il prete negromante prima di accontentare il cavaliere lo avvertì che i demoni sono orribili e pericolosi da guardare, e che se era davvero convinto di proseguire con l’esperimento avrebbe dovuto giurare che nessun suo parente sarebbe andato a cercare il prete per vendicarsi, nel caso fosse andato storto qualcosa. Il cavaliere era ormai troppo curioso per tirarsi indietro e dette la sua parola. Quindi, il rituale ebbe inizio.

Un giorno a mezzogiorno, perché il potere demoniaco è al suo massimo a quell’ora, Filippo condusse il cavaliere a un bivio, gli disegnò un cerchio tutto attorno con una spada, e gli spiegò la legge del cerchio nel cerchio, e poi disse: “Se metti una qualsiasi delle tue membra fuori da questo cerchio prima che io torni, morirai, perché sarai trascinato via dai demoni e sbranato”.

Dialogo sui Miracoli, Cesario di Heisterbach

Grazie al rituale, il cavaliere cominciò a vedere dapprima eventi naturali straordinari (fiumi d’acqua improvvisi, grugniti di porci, ululati del vento), poi l’arrivo del diavolo in persona: un’ombra nera gigantesca, alta più degli alberi.

Tese il braccio verso il cavaliere con l’intenzione di trascinarlo fuori e portarlo via, e lo spaventò così tanto che il cavaliere cadde all’indietro e gridò. Ascoltato il grido Filippo tornò subito, e alla sua venuta il fantasma scomparve. Da quel momento in poi il cavaliere divenne mortalmente pallido, e non riguadagnò mai più il suo stato di salute originario; visse con molta attenzione e non ebbe più dubbi sull’esistenza dei demoni. Morì poco tempo dopo.

Re Herla

Secondo il monaco Map2, Herla era un leggendario re dell’Inghilterra (uno dei tanti prima dell’unificazione) che poco prima del suo matrimonio incontrò sul suo cammino uno strano essere a cavallo di un caprone. Si trattava del re dei nani, popolo mitico che abitava sotto le montagne. Il re dei nani aveva saputo del matrimonio di Herla e chiese di partecipare anche lui ai festeggiamenti, con la promessa di ricambiare l’invito. Mai nessun uomo era stato ospite dei nani, padroni di un regno che si diceva ricco ogni oltre immaginazione, perciò Herla accettò senza esitazione.

Il nano partecipò al matrimonio, bevve molto e festeggiò per tre giorni. Al termine della cerimonia salì in groppa al suo caprone e invitò Herla a seguirlo nel suo regno. Herla raccolse i suoi cavalieri migliori e lo seguì fino alla scogliera, da cui sorgeva l’entrata per il regno sotterraneo. Per la prima volta gli uomini poterono ammirare le bellezze del regno dei nani, ricco di tesori e magia.

La festa durò altri tre giorni. Quando giunse il momento di tornare a casa dalla sua sposa, Herla venne richiamato dal re dei nani che voleva fargli dono di un tesoro: un segugio. Per ritrovare la strada Herla avrebbe dovuto seguirlo facendo molta attenzione: lui e i suoi cavalieri non sarebbero dovuti smontare da cavallo finché il segugio non fosse giunto a destinazione. Per nessuno motivo.

Herla e la sua schiera lasciarono la montagna, sulla scia del segugio. Attraversarono il territorio passando per luoghi che Herla non ricordava affatto. Gli sembrava d’essere finito da tutt’altra parte. Non appena scorse un contadino lo chiamò per chiedergli dove si trovassero, ma entrambi faticavano a comprendersi. Parlavano la stessa lingua eppure la utilizzavano in maniera differente, come se si trattasse di due dialetti diversi.

Per spiegarsi meglio, Herla gli disse il proprio nome e il contadino aggrottò la fronte. Per lui si trattava di un nome antico, di un sovrano scomparso sotto la montagna, trecento anni prima…

Uno dei cavalieri del seguito di Herla scese di cavallo, sconvolto, e si polverizzò all’istante. L’inganno del re dei nani era ormai in atto: nessuno poteva smontare, non finché il segugio non avesse finito il suo viaggio. Herla e i suoi cavalieri avevano trascorso trecento anni sotto la montagna ed erano ormai condannati a un’eterna cavalcata. Il segugio, infatti, non si fermò mai più.

Il mito ha dato origine a una grande leggenda medievale, quella della Caccia Selvaggia.

L’usuraio che andò all’Inferno

Durante la chiamata alle armi contro i saraceni in quella che era probabilmente la Quarta crociata, un usuraio di Utrecht fu costretto dai suoi conoscenti a prendere la croce. Si trattava di un impegno letterale (prendere una croce ricamata da cucire sulla veste o sul mantello) da onorare tramite il viaggio fino in Terra Santa, per combattere e conquistare Gerusalemme. Ma di questo, l’usuraio, non ne aveva alcuna intenzione.

Una notte, nel mulino di sua proprietà, si manifestò una visione demoniaca: due cavalli neri come il carbone, tenuti per le briglie da un servitore infernale, anch’esso nero come il carbone. “Monta a cavallo” venne ordinato all’usuraio. “Perché il cavallo è per te.”

Insieme si recarono “da una dimora di dolore all’altra”, in una discesa agli Inferi degna di una catabasi greca (vedi l’articolo su “La necromanzia“).

Tra le fiamme dell’eterna dannazione, l’usuraio vide i propri genitori e molte altre persone di cui non conosceva la morte, fra cui un cavaliere scomparso di recente, afflitto da un tormento dantesco in piena regola: egli montava una giovenca al contrario, con la faccia rivolta verso la coda, e si buscava colpi di corna sulla schiena a ogni passo. L’aveva presa a una vedova, senza pietà, e ora ne sopportava le pene del contrappasso.

Infine, l’ultima visione fu quella di una sedia infuocata, mezzo di “dolore senza fine”, tormento eterno e dannazione: esattamente ciò che attendeva l’usuraio al termine dei tre giorni successivi. Una profezia funesta che lo accompagnò nel viaggio di ritorno, in groppa al cavallo nero, fino al mulino, dove venne ritrovato dalla moglie, mezzo morto.

Come profetizzato, l’usuraio morì il terzo giorno e finì all’Inferno, sulla sua sedia infuocata. Ma se lo sarebbe potuto risparmiare perché, come ci viene spiegato al termine dell’episodio, il pentimento sincero è l’unico modo per scampare alla dannazione. Per approfondire puoi leggere l’articolo dedicato: “La condanna e il pentimento: storie di eterna dannazione“.

Le storie horror medievali non finiscono qui!

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  1. Jacopo Passavanti, “D’uno carbonaio che vidde entrare una femina nella fossa de’ carboni che aveva accesa.”, tratto da Elinando di Froidmont, Flores, I, 13 e Vincenzo di Beauvais, Speculum Historiale, XXX, 120
  2. Walter Map, monaco che visse nel XII secolo
Lorenzo Manara
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