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12 Maggio 2023

La caccia alle streghe

caccia alle streghe

Articolo del podcast Storia della Magia, episodio 15: la caccia alle streghe nella realtà storica

Nel corso degli anni trenta del Novecento una società segreta chiamata Ahnenerbe compiva i primi passi nell’oscura pagina di storia della Germania.“Società di Ricerca dell’Eredità Ancestrale”: un nome voluto dal numero due del Terzo Reich, Heinrich Himmler. Lo scopo di questa società? Studiare il passato, ma con un occhio di riguardo per i fatti occulti e misteriosi, tra cui figurano migliaia di processi per magia e stregoneria avvenuti in Europa a partire dal tardo Medioevo. Per ordine di Himmler venne condotta una ricerca, e nella sola area germanica furono riportati alla luce 30.000 processi documentati attraverso cinque secoli. Un lavoro, quello dell’oscuro dipartimento del Terzo Reich, che con tutti i suoi difetti, ideologici soprattutto, può essere considerato come un primo approccio metodologico al tema che ancora oggi attrae folle di appassionati: quello della cosiddetta caccia alle streghe.

Considerato che gli atti processuali coinvolgono talvolta più di una persona, e che molti altri processi sono andati perduti, storici come Brian Levack1 stimano che il numero totale nella sola area germanica, si attesti attorno ai 45.000 individui accusati di stregoneria, una cifra che corrisponde più o meno alla metà degli accusati di tutta Europa nel corso della storia moderna, ovvero circa 90.000 persone. Perché, a quanto pare, in Germania ci davano dentro parecchio.

Le cause che scatenarono simili episodi andavano ben oltre la superstizione, da ricercarsi in un malessere più profondo, alimentato da tensioni politiche, miseria e guerre scoppiate nel corso di periodi storici tra i più disparati. In ogni caso, 90.000 persone processate in tutta la storia europea, dal tardo Medioevo all’Età Moderna (più o meno 500 anni), è certamente una stima inferiore rispetto a ciò che viene comunemente immaginato (talvolta sparando cifre che superano il milione di vittime). Perché è facile pensare ai contadini medievali che con torce e forconi catturano le fanciulle del villaggio per gettarle tra le fiamme. Si tratta di uno stereotipo diffuso, ma a giudicare dai dati parrebbe che non fosse così facile trovarsi in mezzo a una caccia alle streghe. Senza contare che quelle 90.000 persone sono state processate, ma non significa che siano state tutte condannate a morte.

Nel 1595 venne istituito un processo a Rovigo dove cinque donne furono considerate colpevoli di stregoneria. Le condanne furono le più disparate, emesse a seconda della gravità delle accuse. Fustigazione ed esilio per alcune di loro, incarcerazione per altre e, infine, la condanna peggiore: amputazione delle orecchie e della punta del naso per colei che si era macchiata di aver stretto un patto col diavolo.

In linea di massima la giustizia cristiana non agiva per bruciare, affogare, squartare o impiccare. In Italia, soprattutto, a seguito di una piena confessione veniva spesso concesso il perdono tramite l’abiura (pubblica o segreta), la fustigazione, la carcerazione o l’esilio. Molti storici concordano sul fatto che in generale le istituzioni religiose non fossero organi assetati di sangue, e che abbiano agito in maniera molto più moderata rispetto alle autorità laiche, soprattutto del nord Europa, nel periodo più cruento della caccia alle streghe.

Nel corso della storia ci furono diversi organi religiosi che si occuparono di processi alle streghe: la giustizia episcopale, ordinata dai vescovi, le commissioni pontificie e il tribunale dell’Inquisizione propriamente detto. L’obiettivo comune, però, era lo stesso: la lotta all’eresia. Ed è solo quando la stregoneria fu ufficialmente equiparata all’eresia, in quanto gravità, che si cominciò a perseguire in maniera più ampia coloro che praticavano il maleficio: una persecuzione più ampia, sì, ma di natura straordinaria e non sistematica, diffusa dopo il lento assorbimento di questa nuova concezione solo dal XV secolo in poi.

Una nuova concezione che mutò quel che si era sempre creduto riguardo la magia. Dando origine, ad esempio, all’idea che streghe e stregoni fossero membri di una setta diabolica: cospiratori legati al Diavolo tramite un patto marchiato sulla pelle, durante i sabba, spesso tramite riti dai richiami sessuali. Cominciò anche a diffondersi l’idea di una magia facile da imparare, accessibile a tutti, al contrario di quella antica e tardo-medievale, di tipo più occulto e iniziatico. Le streghe moderne invocano demoni con successo senza bisogno di alcuna istruzione specifica, diversamente dai sapienti negromanti che apprendono l’arte dallo studio di libri in greco e, talvolta, pure in ebraico. Insomma, diventare strega è semplice: basta essere cattivi.

Tutto quello che emerge dalle testimonianze processuali, però, è il frutto distorto di vari fattori che non rispecchia il pensiero medio di un abitante del periodo. Le confessioni estorte sotto tortura, infatti, sono la somma del pensiero colto dei funzionari giudiziari e delle frammentate rimanenze di folclore pagano mischiate col cristianesimo, diverse di paese in paese. Insomma, quando la fanciulla di turno confessa d’aver aderito a una diabolica cospirazione per sovvertire l’ordine naturale, sta chiaramente esponendo un pensiero che non le appartiene, e che forse, talvolta, nemmeno comprende, guidata dall’andamento dell’interrogatorio. Di suo, magari, spinta dall’esasperazione o da chissà quali fattori psicologici scatenati dalla tortura, aggiungerà qualche dettaglio conosciuto dalla sua gente, come ad esempio la maledizione di una mucca che non fa più latte, e cose di questo genere. Il risultato è un vero e proprio processo creativo, all’origine di un gran numero di resoconti che oggi ci appaiono omogenei, e che potremmo scambiare per l’insieme delle credenze dell’epoca, ma che sono in verità posticci. Le persone, mediamente, non pensavano così. Molti, come abbiamo visto più volte nei precedenti episodi di Storia della Magia, nemmeno ci credevano a queste cose.

La confessione, dunque, permetteva di concludere in maniera rapida tali processi, e spesso senza ammazzare nessuno. Confessione da ottenere a qualsiasi costo, con la minaccia o metodi ben più persuasivi, ed ecco che salta fuori l’elemento davvero immancabile quando si parla di caccia alle streghe: la tortura.

La vergine di ferro, la sedia di ferro, la ruota dentata (di ferro), la pera anale, naturalmente di ferro, e tanti altri marchingegni ammirabili nei musei di ogni borgo medievale altamente turistico che si rispetti: se il compito delle istituzioni religiose era di combattere l’eresia, e quindi di salvare i peccatori, perché ricorrere a un metodo così poco “cristiano”? Il motivo è molto semplice: la tortura fa parte del diritto romano.

Anche se la associamo al buio e sudicio Medioevo, la tortura è uno strumento giuridico antico, in uso presso numerosissime società, comprese quella greca e romana, e che venne impiegato a lungo in tutta Europa, fino all’Ottocento.

Gli schiavi greci e romani infatti venivano torturati, e come loro persino gli uomini liberi che si macchiavano dei reati più gravi, come ad esempio il tradimento. Con la fine dell’Impero romano d’Occidente questa pratica venne messa da parte assieme a tutto il sistema giudiziario antico per poi essere reintrodotta nel tardo-medioevo. Dobbiamo attendere infatti il 1228, a Verona, per trovare la prima prova documentale dell’utilizzo della tortura in epoca medievale.

Esattamente come in passato anche nel Medioevo la tortura veniva utilizzata nei casi considerati gravi. Tutti quei reati che comportavano la pena capitale ne prevedevano l’utilizzo per scopo interrogatorio. Si tratta, però, di un meccanismo inaffidabile, che non permette di raggiungere la verità, e i giudici laici e religiosi, in principio, sembravano esserne a conoscenza. Per questo dal XIII secolo in poi vennero enunciati una serie di regolamenti e norme per disciplinare l’utilizzo di questo orrido strumento, al fine di renderlo il più obiettivo ed efficiente possibile, per quanto paradossale possa apparirci oggigiorno un simile ragionamento.

Alle origini della sua applicazione, la tortura era ammessa solo laddove vi era una presunta colpevolezza dell’imputato. Ciò significa che erano necessari almeno due testimoni oculari che confermassero le accuse e sufficienti prove indiziarie. Se tali condizioni non erano rispettate, allora la tortura non era legittima. Tuttavia, come vedremo più avanti, le cose cambiarono col tempo e, a seconda dei luoghi, potevano sfuggire letteralmente di mano.

L’accusato che avrebbe dovuto subire l’interrogatorio sotto tortura doveva essere avvertito in anticipo tramite una notifica che, al tempo stesso, fungeva da minaccia: vera e propria arma psicologica per spronare l’individuo a confessare, magari mostrandogli in anticipo i ferri. Tutto questo per ottenere una rapida risoluzione del processo. Infine, l’accusato poteva godere di una garanzia fondamentale: non doveva morire. Il fine dell’interrogatorio sotto tortura era pur sempre quello di strappare una confessione, non di ammazzare. Anche perché esistevano modi molto più rapidi e meno dispendiosi per ottenere un simile risultato.

Secondo i precetti originari, la tortura doveva essere praticata in un’unica giornata e non poteva essere ripetuta in alcun modo: il supplizio era irripetibile. Inoltre, non potevano essere torturate né le donne incinte, né i bambini. Ma quali erano gli strumenti più utilizzati? Come si torturava un accusato di stregoneria?

Le immagini di sarcofagi pieni di spine, troni chiodati, marchingegni anali e altre robacce simili abbondano sul web. Ma non compaiono nei documenti storici. Per la maggior parte si tratta di falsi inventati nel Novecento o al massimo nell’Ottocento, in un contesto di fascinazione medievale legata ai più svariati miti macabri e oscuri. E’ proprio da quelle manie vittoriane che derivano le credenze popolari ancora oggi radicate nella nostra mente.

I metodi convenzionali di tortura, reali e documentati, utilizzati dal Medioevo all’Età Moderna, comportavano prevalentemente strumenti semplici, che permettevano lo stiramento o la compressione degli arti. E il sistema che ritroviamo più spesso nelle fonti è forse quello della corda, del tratto di corda, o della “strappata”.

Si legavano le mani dell’imputato dietro la schiena, lo si sollevava da terra e poi lo si faceva cadere con violenza. I pesi da appendere alla corda permettevano di regolare il grado di supplizio. Inutile dire che era molto doloroso, ma non fatale. Nella peggiore delle ipotesi questo tipo di tortura poteva causare uno slegamento o la fuoriuscita delle articolazioni delle braccia.

Altri strumenti che venivano impiegati di frequente prevedevano la compressione degli arti o delle dita, come semplici morse da stringere con delle viti. Anche in questo caso era possibile regolare il livello di dolore e interrompere la tortura nel caso la vittima fosse disposta a confessare. Poi ogni paese aveva i propri strumenti, ma la tipologia predominante restava più o meno la stessa.

Se da un lato si torturava per ottenere una confessione, paradossalmente una confessione ottenuta sotto tortura non bastava a condannare l’imputato. Il motivo ricade ancora una volta in quella sorta di “garantismo” a cui le autorità religiose miravano per rendere più efficiente questo strumento giudiziario. Bisognava essere sicuri che a parlare non fosse il dolore, ma la verità.

Dunque per essere ritenuta valida, la confessione doveva essere ripetuta spontaneamente al di fuori della camera di tortura, entro ventiquattro ore. In questo modo l’imputato poteva riflettere, diciamo a mente lucida, e dare una parvenza di attendibilità scientifica all’intero processo.

Questo insieme di precetti in uso presso le istituzioni ecclesiastiche è il motivo principale per cui in Italia, e nei paesi cattolici in cui la Chiesa poteva esercitare un certo dominio, mediamente ci sono state meno condanne a morte per magia e stregoneria che nel resto d’Europa. Il controllo inquisitorio era capillare e le regole venivano applicate con precisione e severità, trascritte in dettagliati resoconti che oggigiorno sono una vera miniera di informazioni, su tutti i livelli, e da cui attingo spesso anche io, visto che in molti casi traspaiono spaccati di vita quotidiana che difficilmente è possibile trovare nelle altre fonti storiche. Nel mio romanzo, La Stirpe Delle Ossa, molti dettagli provengono proprio da questi resoconti, a cominciare dai misteri che aleggiano nelle campagne paludose di un’Italia perduta, afflitta dalla guerra e dalla miseria. 

Intendiamoci, non che la Chiesa fosse moralmente giusta nell’applicazione di una simile metodologia. Secondo i valori odierni tutto questo è profondamente sbagliato in ogni caso. Ma è importante notare come l’impiego più abietto di queste pratiche, considerate “medievali”, è in realtà frutto delle menti dei moderni uomini laici, come nel famoso caso del processo alle streghe di Salem, molto più vicino alla nostra epoca che a quella di Carlo Magno.

Ma la sedia arroventata della strega? Le tenaglie per strappare le unghie? L’ingurgitare acqua fino a scoppiare? Anche queste sono falsità? Be’, a differenza dei complicati e ridicoli congegni che vediamo in alcuni pessimi musei, purtroppo ci sono dei metodi di tortura che, per quanto teatrali, compaiono in alcune fonti storiche. Non li ho menzionati finora perché vanno ben al di là della sfera giudiziaria delle istituzioni religiose, e riguardano alcuni degli episodi più bui della storia: episodi finiti in tragedia.

Si racconta che nel 1631 in una città tedesca, durante una caccia particolarmente violenta, il boia sottopose a tortura una donna incinta e dichiarò quanto segue:

“Io non ti torturerò per uno, due, tre, nemmeno otto giorni, e nemmeno poche settimane, ma per sei mesi o un anno, per tutta la tua vita, finché non confesserai: e se non confesserai, ti torturerò a morte, e dopo sarai bruciata.”

tratto da “Storia del diavolo e dell’idea del male” – Carus P.

Sempre in Germania, a Ringingen, l’accusata di stregoneria Anna Spulerin perse la vista e l’udito a seguito della tortura. E le strapparono pure gli arti. Nel 1591, in Scozia, un maestro di scuola caduto nella rete processuale di un’ampia caccia alle streghe, subì il supplizio dello “stivale” e si ritrovò con “le gambe schiacciate e fracassate, le ossa e la carne così sfracellate, che il sangue e il midollo sprizzavano fuori in gran quantità“. Una tragica storia che approfondisco in un episodio del mio podcast settimanale “Leggende Affilate”.

Molti di questi orribili metodi di tortura non erano impiegati dal tribunale dell’Inquisizione, ma da giudici laici fin troppo zelanti (e probabilmente sadici), dal XVI secolo in poi. Michelangelo aveva già dipinto la cappella sistina, Galileo aveva fondato le basi del metodo scientifico, e poi Copernico, Keplero, Cartesio… Mentre l’Europa si avviava alla cosiddetta Epoca dei Lumi, in qualche angolo buio d’Occidente le forme più orribili di supplizio accompagnavano casi di processi alle streghe.

Dove la Chiesa non riusciva ad arrivare entravano in gioco i tribunali secolari che, senza alcun controllo istituzionale, dettero sfogo alle più sfrenate superstizioni, in un contesto infiammato dallo scisma protestante e dalla diffusione di una letteratura sempre più lontana dalla dottrina originaria, che ribaltava le concezioni garantiste e autorizzava pratiche del tutto arbitrarie. Un processo maturato nei secoli, e cominciato proprio al tempo di papa Giovanni XXII e della sua bolla contro gli specchi e le statuine di cera; un tempo in cui operò anche un personaggio tra i più famosi del suo ambito, oggi famoso in quanto divenuto personaggio letterario: Nicholas Eymeric.

Nel manuale per inquisitori di Nicholas Eymeric, scritto nel 1376, il divieto della irripetibilità della tortura, ad esempio, fu ignorato. La stessa cosa avvenne con la pubblicazione del Malleus Maleficarum, circa un secolo dopo, dove si paventava la continuazione del supplizio per strappare una confessione, andando contro a una delle garanzie più importanti di cui inizialmente godeva l’imputato. Ma non è l’unico caso in cui si scelse deliberatamente di infrangere le regole.

Oltre all’irripetibilità della tortura, venne ignorata un’altra importante regola stabilita in passato: quella dell’obiettività dell’interrogatorio. Le domande cominciarono a essere poste in maniera faziosa, dando origine a una manipolazione mentale che spingeva la vittima a dire cose che, normalmente, non avrebbe mai detto.

Prendiamo questa domanda, ad esempio: “Come ti recavi al sabba col diavolo?” In questo caso il presupposto è chiaro: che l’imputato vi si recava e, quindi, era già in qualche modo ritenuto colpevole. Il Malleus Maleficarum approfondisce la pratica dell’interrogatorio con un’ampia serie di trucchetti psicologici, fondando la base superstiziosa e bigotta che, dal Cinquecento in poi, caratterizza gli episodi più cruenti di caccia alle streghe.

In ogni caso, l’argomento è vastissimo, poiché abbraccia la storia dell’intero Occidente attraverso i secoli. Io ho cercato di scardinare certi stereotipi, come ad esempio quello dei terrificanti inquisitori che andavano di villaggio in villaggio a bruciare vergini. La realtà è molto diversa, molto più sfaccettata, e ben poco “medievale”, al contrario dei film. Anzi, quello della Caccia alle streghe è un fenomeno che può essere definito come prettamente moderno. Se vuoi approfondire i temi che ho appena sfiorato, consiglio la lettura del libro “La caccia alle streghe in Europa agli inizi dell’Età Moderna” di Brian Levack, molto esaustivo, ricco di statistiche e aneddoti, e privo di falsità new age che, purtroppo, abbondano sull’argomento.

Nel prossimo episodio ci addentreremo tra le pagine del libro che forse è il più citato nell’ambito esoterico, e che riguarda da vicino le streghe e gli stregoni: proprio lui, il Malleus Maleficarum. Mi raccomando, seguimi se vuoi scoprire le vere origini della magia a partire dalle fonti storiche.

  1. La caccia alle streghe in Europa agli inizi dell’Età Moderna
Lorenzo Manara
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