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9 Marzo 2021

I metodi di tortura medievale

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Quali erano i veri strumenti di tortura in uso durante i processi inquisitori? E la caccia alle streghe? Tra bufale e falsi storici vediamo di capirci qualcosa.

Nel Medioevo non esistevano sistemi d’indagine come li conosciamo oggi. Spesso le prove a sostegno di un’accusa erano poche o del tutto inesistenti e, proprio come adesso, la legge impediva a un giudice di condannare un imputato senza alcuna ragione. Come uscirne? Semplice, con una confessione. E la tortura era il miglior strumento per raggiungere l’obiettivo…

Nel romanzo che sto scrivendo ambientato in un misterioso medioevo italiano sfioro appena l’argomento, ma data la mia fissazione col realismo e la profonda paura di fare degli errori, mi son ritrovato a scavare tra le fonti bibliografiche molto più a fondo di quanto avevo intenzione di fare. Visto che nello scorso articolo abbiamo parlato di streghe allora sarà meglio chiarire una volta per tutte l’aspetto legato al mirabolante mondo della tortura fatto di congegni appuntiti, sarcofagi spinati e musei farlocchi sparsi per i borghi turistici più belli d’Italia.

Li chiamo musei farlocchi perché molti di quei luoghi diffondono consapevolmente un grande mito sul Medioevo che in realtà non è vero manco per niente: ovvero quello di un’epoca buia, macabra, piena di pazzi sanguinari che chiudevano gli innocenti nelle vergini di ferro. Se volete sapere la verità mettetevi comodi e rilassati perché stiamo per iniziare un viaggio verso il processo inquisitorio. Pronti a essere incriminati per magia e stregoneria?

Indice:

  1. Una tortura interrogatoria
  2. Le regole del gioco
  3. I ferri del mestiere
  4. La convalida della confessione
  5. Ignorare le regole del gioco
  6. Una pratica medievale o moderna?

Una tortura interrogatoria

Innanzitutto la tortura non era una punizione, ma un sistema giudiziario che aveva un unico scopo: ottenere una confessione. Era un’usanza antica, che traeva origine da mondo greco-romano. Gli schiavi greci e romani infatti venivano regolarmente torturati e come loro perfino gli uomini liberi che si macchiavano dei reati più gravi, come ad esempio il reato di tradimento.

Con la fine dell’Impero questa pratica venne dimenticata assieme a tutto il sistema giudiziario antico per poi essere reintrodotta nel tardo-medioevo. Dobbiamo attendere infatti il 1228, a Verona, per trovare la prima prova documentale dell’utilizzo della tortura medievale1.

Esattamente come in passato anche nel Medioevo la tortura veniva utilizzata nei casi considerati gravi. Tutti quei reati che comportavano la pena capitale ne prevedevano l’utilizzo, così come i reati definiti “occulti”: eresia, magia e stregoneria.

Il presupposto concettualmente sbagliato alla base della tortura si fonda sulla credenza che la sofferenza fisica spinga gli individui a confessare la verità. Ci sono casi in cui ciò è possibile che avvenga, ma in generale si tratta di una prassi piuttosto inaffidabile poiché non si può mai dire se la confessione corrisponda alla verità o derivi semplicemente dal desiderio dell’imputato di porre fine alla tortura stessa. Durante gli episodi di caccia alle streghe infatti migliaia di accusati confessarono reati che non avevano commesso e non avrebbero mai potuto commettere (perché la magia non esiste!).

Le regole del gioco

La prima prova documentale sull’utilizzo della tortura medievale risale al 1228, dunque a ottocento anni dalla caduta dell’Impero romano d’occidente. I giudici e gli inquisitori del tardo Medioevo però non erano mica stupidi. Sapevano bene che la tortura era un meccanismo inaffidabile e che, se ci si spingeva oltre un certo limite, non aveva più alcun valore. Per questo dal XIII secolo in poi vennero enunciati una serie di regolamenti e norme per disciplinare l’utilizzo di questo macabro strumento, al fine di renderlo il più obiettivo ed efficiente possibile.

Innanzitutto, nella stragrande maggioranza dei casi, la tortura era ammessa solo laddove vi era una presunta colpevolezza dell’imputato. Ciò significa che erano necessari almeno due testimoni oculari che confermassero le accuse. Se non vi erano testimonianze valide e neppure delle prove indiziarie che accertassero i fatti del processo allora non era possibile essere sottoposti a tortura. Tuttavia, come vedremo più avanti, le cose cambiarono col tempo e, a seconda dei luoghi, sfuggirono letteralmente di mano.

L’accusato che avrebbe dovuto subire l’interrogatorio sotto tortura doveva essere avvertito in anticipo. Questo era infatti un modo per spronarlo a confessare ancor prima di ricorrere ai ferri e ottenere così una rapida risoluzione del processo.

Noi, giudice e assessori, avvertiti delle colpe nonché in considerazione dei meriti nel processo da noi fatto contro di te (strega), dopo aver esaminato diligentemente ogni cosa, troviamo che tu sei piuttosto varia nelle tue confessioni, come per esempio quando dici di avere proferito le minacce ma non con l’intenzione di nuocere. Eppure ci sono diversi indizi, sufficienti per esporti agli interrogatori e ai tormenti. Quindi, per avere la verità dalla tua stessa bocca e anche perché tu non offenda le orecchie dei giudici, con sentenza interlocutoria dichiariamo e giudichiamo che nel tale giorno alla tale ora tu debba essere sottoposta a interrogatorio e tormenti.

Malleus Maleficarum, Questione XIV “Sul modo di emettere sull’imputata una sentenza d’interrogatorio sotto tortura e in che modo debba essere interrogata il primo giorno; inoltre se si possa prometterle che avrà salva la vita”

Se l’accusato si professava innocente e pronto ad andare fino in fondo non restava altro che recarsi nel dungeon per una bella sessione di stretching. Vediamo come!

I ferri del mestiere

L’imputato non doveva morire e su questo concordavano più o meno tutti, anche le autorità laiche più sanguinarie delle cittadine più sperdute della Selva Nera. Secondo i precetti della Chiesa la tortura era praticata in un’unica giornata e non poteva essere ripetuta in alcun modo: il supplizio era irripetibile. Inoltre non potevano essere torturate né le donne incinte, né i bambini. Ma quali erano gli strumenti più utilizzati? Come si torturava un accusato di stregoneria?

Scommetto che state già pregustando immagini di sarcofagi spinosi, cinture chiodate, pere meccaniche anali e altre robacce simili. Mi dispiace deludervi, ma niente di tutto ciò è mai apparso nei documenti storici. Per la maggior parte si tratta di falsi inventati nel Novecento o al massimo nell’Ottocento, in un contesto di fascinazione medievale legata ai più svariati miti macabri e oscuri. E’ proprio da quelle manie vittoriane che derivano le credenze popolari che ancora oggi sono radicate nella nostra mente.

I metodi reali e documentati più utilizzati dal Medioevo all’Età Moderna per indurre a confessare un accusato comportavano lo stiramento o la compressione degli arti. Il sistema che ritroviamo più spesso nelle fonti è quello della corda “strappata”.

“Tortura di un prigioniero mediante la «strappata». In genere questa procedura veniva usata quando altri strumenti di tortura, ad esempio le viti per schiacciare le dita, non avevano estorto alcuna confessione. Il supplizio poteva essere aumentato strattonando la corda o appendendo dei pesi alle caviglie della vittima, come quelli riprodotti qui in primo piano (da Constitutio Criminalis Theresiana, 1769).”

Si legavano le mani dell’imputato dietro la schiena, lo si sollevava da terra e poi lo si faceva cadere a terra con violenza. I pesi da appendere alla corda permettevano di regolare il grado di supplizio, da un peso minimo per un grado moderato di dolore a un peso più gravoso, per gli stomaci forti. Inutile dire che era molto doloroso. Nel peggiore delle ipotesi questo tipo di tortura poteva causare uno slegamento o la fuoriuscita delle articolazioni delle braccia.

Nel 1595 a Rovigo l’Inquisizione istituì un processo per stregoneria accusando cinque donne2. Vennero arrestate e incarcerate nel campanile della chiesa di S. Stefano dove “In ditta luocho puzolente (…) piangono, et si lamentano, et di note mandano ululati di compassione3, e sottoposte ripetutamente al supplizio della corda (o strappata).

Considerate che nei processi istituiti dall’Inquisizione, e dunque strettamente regolati da precetti e norme che in alcuni casi erano volti a garantire i diritti degli accusati, la tortura era spesso eseguita alla presenza del podestà o di un’autorità analoga e dall’avvocato, se ve n’era uno4.

Altri strumenti che venivano impiegati di frequente nelle camere di tortura prevedevano la compressione degli arti o delle dita, come delle semplici ganasce da stringere con delle viti. Anche in questo caso era possibile regolare il livello di dolore e interrompere immediatamente la tortura nel caso la vittima fosse disposta a confessare.

Non si verificavano quasi mai menomazioni permanenti in fase di tortura. Anche perché nel caso dei processi istituiti da parte della Chiesa si aveva tutto l’interesse di dimostrare ai propri fedeli la misericordia del giudizio divino.

La convalida della confessione

Se da un lato si torturava proprio per ottenere una confessione, paradossalmente una confessione ottenuta sotto tortura non bastava a condannare l’imputato. Il motivo ricade ancora una volta in quella sorta di “garantismo” a cui giudici, inquisitori, e soprattutto la Chiesa, miravano per rendere più efficiente questo strumento giudiziario. Bisognava essere sicuri che a parlare non fosse il dolore, ma la verità.

Dunque per essere ritenuta valida la confessione doveva essere ripetuta spontaneamente al di fuori della camera di tortura entro ventiquattro ore. In questo modo l’imputato poteva riflettere a mente lucida e dare una parvenza di attendibilità scientifica all’intero processo.

Questo insieme di regole è il motivo principale per il quale in Italia, e nei paesi cattolici sotto il controllo diretto della Chiesa, ci sono state meno condanne a morte per magia e stregoneria. Il dominio inquisitorio era capillare e le regole venivano applicate con precisione e severità.

E la sedia arroventata della strega? Le tenaglie per strappare le unghie? L’ingurgitare acqua fino a scoppiare? Anche queste sono falsità? Be’, a differenza dei ridicoli congegni che vediamo nei musei, purtroppo questi orribili metodi di tortura sono realmente esistiti. Non li ho trattati finora perché vanno ben al di là della sfera giudiziaria inquisitoria medievale e riguardano alcuni degli episodi più bui della storia: quello che definiamo oggi la caccia alle streghe.

Stando alle fonti che ci sono pervenute (e come abbiamo visto nell’articolo I processi di stregoneria e magia in Europa) gli episodi più spaventosi si manifestarono lontano dal controllo dell’Inquisizione e ben oltre la fine del Medioevo. Dove la Chiesa non riusciva ad arrivare entravano in gioco i tribunali secolari delle piccole realtà locali che, senza alcuna regola, dettero sfogo alle più sfrenate fantasie.

Ignorare le regole del gioco

Tutto quello che abbiamo visto finora riguarda la prassi che erano soliti osservare gli inquisitori fino al tardo Medioevo. Tuttavia nella storia europea si sono verificati vari episodi che hanno scosso la comunità cristiana, primo fra tutti lo scisma protestante, e che hanno influito molto sul modo di condurre i processi per stregoneria e magia. A partire dalla fine del Medioevo e l’inizio del Rinascimento cominciò a diffondersi perfino una letteratura sempre più distante dai dettami originari, che ribaltava le concezioni garantiste e autorizzava pratiche del tutto arbitrarie.

Nel manuale per inquisitori di Nicholas Eymeric, scritto nel 1376, il divieto della irripetibilità della tortura venne ignorato. La stessa cosa avvenne con la pubblicazione del Malleus Maleficarum, circa cento anni dopo. Si consentiva una continuazione del supplizio per strappare la confessione andando contro a una delle regole più importanti stabilite originariamente dalla Chiesa. Ma non è l’unico caso in cui si scelse deliberatamente di infrangere le regole.

Nel 1631 in una città tedesca, durante una caccia alle streghe particolarmente violenta, il boia sottopose a tortura una donna incinta e dichiarò quanto segue:

“Io non ti torturerò per uno, due, tre, nemmeno otto giorni, e nemmeno poche settimane, ma per sei mesi o un anno, per tutta la tua vita, finché non confesserai: e se non confesserai, ti torturerò a morte, e dopo sarai bruciata.”

tratto da “Storia del diavolo e dell’idea del male” – Carus P.

Sempre in Germania, a Ringingen, l’accusata di stregoneria Anna Spulerin perse la vista e l’udito a seguito della tortura. E le strapparono pure gli arti. In Scozia uno stregone di nome Fian sospettato di tradimento subì il supplizio dello “stivale” e si ritrovò con “le gambe schiacciate e fracassate, le ossa e la carne così sfracellate, che i sangue e il midollo sprizzavano fuori in gran quantità5.

Si trattava di metodi di tortura non previsti dalla Chiesa, ordinate da giudici fin troppo zelanti (e di sicuro sadici) che si diffusero dal XVI secolo in poi. Michelangelo aveva già dipinto la cappella sistina, Galileo fondato le basi del metodo scientifico, e poi Copernico, Keplero, Cartesio… Mentre la mente umana progrediva e si evolveva in qualche angolo d’Europa le forme più orribili di supplizio venivano impiegate nei casi di processi alle streghe.

Oltre all’irripetibilità del supplizio e alla moderazione venne ignorata un’altra regola importante stabilita in passato: quella dell’obiettività dell’interrogatorio. Le domande in fase di processo venivano poste in maniera completamente arbitraria e faziosa, una manipolazione mentale che spingeva la vittima a dire cose che normalmente non avrebbe mai detto, specialmente quando veniva posta dinnanzi a un senso unico.

Prendete questa domanda, ad esempio: “Come ti recavi al sabba col diavolo?” In questo caso il presupposto è chiaro: che l’imputato vi si recava e, quindi, era già in qualche modo ritenuto colpevole.

Tortura medievale o moderna?

L’argomento della tortura come metodo interrogatorio nei processi inquisitori genera una grande quantità di varianti ed eccezioni. Me ne rendo conto perché arrivato a questo punto con tutto il materiale che ho raccolto per scrivere questo articolo potrei andare avanti mesi.

Quando gli argomenti sono così vasti è importante sempre stabilire innanzitutto il contesto geografico e il periodo storico prima di lanciarsi a testa bassa nel mezzo della mischia. In questo caso abbiamo visto come la tortura muti il proprio aspetto e significato a seconda della società, partendo da uno strumento giudiziario che la Chiesa ha reintrodotto nel XIII secolo per strappare una confessione agli eretici trasformandosi poi in crudele condanna per stregoneria nel XV e XVI secolo.

Non che la Chiesa fosse moralmente giusta nell’applicazione di una simile metodologia, intendiamoci. Secondo i valori odierni tutto questo è profondamente sbagliato in ogni caso. Il mio intento non è quello di giustificare, ma di far notare come l’impiego più abietto di queste pratiche considerate “medievali” sono invece il frutto delle menti illuminate di uomini tecnologicamente alla soglia dell’Età industriale, come nel famoso caso del processo alle streghe di Salem.

Insomma, l’argomento non si esaurisce qui. Abbiamo già citato il Malleus Maleficarum in svariati articoli e forse è giunto il momento di sfogliarlo da cima a fondo. Io l’ho già fatto in passato per scrivere una delle mie storie e vi assicuro che ci sarà da divertirsi.

Indossate la tonaca nera col cappuccio e accendete le fiaccole, perché nel prossimo articolo scenderemo nel dungeon col manuale da eccellentissimo inquisitore sottobraccio…

  1. La caccia alle streghe in Europa – B Levack
  2. Archivio vescovile di Rovigo, Cause criminali – Clementia Baccha, Zuana Pavinella, Costanza Fratirolla, Angela Pranza, Camilla Inclinà, 1595
  3. S. Malavasi, l’Archivio del Sant’Ufficio di Rovigo
  4. Andrea Del CoL – Organizzazione, composizione e giurisdizione dei tribunali dell’Inquisizione romana nella repubblica di Venezia (1500-1550)
  5. Newes from Scotland – declaring the damnable life and death of Dr. Fian, a notable sorcerer
Lorenzo Manara
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