Dunkirk, il film sulla sconfitta vittoriosa
La storia dei 400.000 soldati inglesi bloccati sulle coste della Manica
Nella primavera del 1940, sulle coste di Dunkerque, in Francia, gli alleati anglo-francesi si ritrovarono stretti in una morsa: da una parte il mare, dall’altra le truppe tedesche della Wehrmacht. La Germania era in procinto di portare a casa una vittoria grandiosa pochi mesi dopo lo scoppio della guerra, e sembrava che non ci fosse proprio nulla da fare per i 400.000 soldati che attendevano di essere evacuati fino in patria, nelle isole britanniche. Questa è la premessa dell’episodio storico che il regista Christopher Nolan ha deciso di affrontare nel suo ultimo film: Dunkirk.
Fin dai primi minuti, la pellicola ci mostra immagini che parlano da sole. Sembrerà una banalità da dire, e invece non lo è. A parte un paio di righe introduttive, Nolan comincia subito col narrarci la fuga di un giovane soldato fra le vie di una cittadina portuale deserta. Il nemico è vicino, ma non si vede. Si odono i sibili dei proiettili e le terrificanti sirene degli Stuka, i bombardieri tedeschi che si gettavano in picchiata per sganciare le bombe. La sensazione claustrofobica è tangibile, così come il pericolo che aleggia sulle spiagge vuote.
Ho fatto riferimento alle immagini che parlano da sole perché il grande cinema è fatto di questo. Poco prima del bombardamento non ci sono grida. Non ci sono personaggi che avvertono i propri commilitoni e il pubblico di quello che sta per accadere. Ci sono solo teste rivolte al cielo e sguardi terrorizzati. In Dunkirk le immagini parlano, e lo fanno anche i suoni. La sirena degli Stuka, ad esempio. Una sirena pressante, presente non soltanto durante gli attacchi, ma anche nel normale svolgimento della trama, durante i momenti di tregua e come sottofondo dei dialoghi. Un suono che si traduce in ansia, il momento in cui tutto salterà per aria e la vita verrà travolta dalle esplosioni.
In Dunkirk il tempo è un altro elemento cardine dell’intera vicenda, potremmo definirlo quasi un protagonista; il tempo che scorre e che non perdona nessuno, i giorni che mancano all’arrivo dei cacciatorpediniere, le ore necessarie ad attraversare la manica e perfino i minuti di volo rimasti a uno Spitfire senza carburante. Tutti questi momenti sono scanditi da un suono incessante, che ci accompagna quasi fino alla fine: il ticchettio di un orologio.
Non aspettatevi i combattimenti ai quali ci ha abituati Steven Spielberg con Salvate il soldato Ryan. E non aspettatevi neppure dei cattivissimi nazisti che si lanciano in scene di ordinaria malvagità. In Dunkirk non si spara, e neppure si vede mai in faccia un tedesco. E’ un film sull’attesa, fatto di sguardi, segnali, immagini e suoni. Un bel film, senza dubbio. Se volete andare al cinema, avete il mio benestare. Non cercate però l’accuratezza storica, di quella non ce n’è bisogno.
PS: Dunkirk è la traduzione in inglese del nome della località francese chiamata Dunkerque.
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