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30 Dicembre 2023

Una festa di bucanieri

festa di bucanieri

Come festeggiavano e facevano baldoria i bucanieri del mar dei Caraibi?

In un’isola del mar dei Caraibi, sul finire del XVII secolo, nel cuore della foresta, si tenne un cochon boucan, ovvero un banchetto a base di maiale affumicato sulla brace. A parteciparvi erano coloro che intendevano far baldoria tutto il giorno, fino a notte fonda, su concessione di un missionario francese proprietario di quelle terre: padre Labat, il quale ci ha trasmesso questo spaccato di avventurosa quanto succulenta vita quotidiana, dandoci modo di scoprire qualcosa di interessante su un termine che tutti noi conosciamo, ma di cui ne ignoriamo la provenienza. E ora racconterò, tramite le stesse parole del missionario, i dettagli della festa.

“Così la sera prima avevo fatto uccidere e pulire un maiale e avevo anche fatto sgombrare un posto nel bosco a circa 1.500 passi da casa nostra, sulla riva del fiume. Lì ho fatto costruire una grande capanna fatta di pali leggeri, ricoperti di foglie per ripararsi dalla pioggia. All’alba mandai alla capanna il maiale e le altre cose che avevo preparato e, la più importante di tutte, il vino a raffreddare nel fiume. Quando tutti gli invitati furono arrivati ci incamminammo verso il boucan e arrivammo lì verso le 9 del mattino. La prima cosa da fare in queste occasioni è che tutti si mettano al lavoro. I più pigri dovevano preparare due spiedini di legno ciascuno. A questo scopo tagliando dei bastoncini spessi quanto un dito, che poi venivano scortecciati e levigati. Il boucan è la griglia sulla quale deve essere cotto il maiale intero. Per realizzare il boucan, quattro bastoni biforcuti, lunghi circa quattro piedi, vengono conficcati nel terreno per formare una struttura oblunga lunga circa quattro piedi e larga tre. Nelle forcelle di questi pali vengono posizionate delle traverse di legno. Su questi si dispone la griglia, anch’essa fatta di legnetti, e tutto questo congegno è ben legato insieme con liane [viti tropicali]. Su questo letto il maiale viene adagiato sul dorso, con la pancia ben aperta e tenuto in posizione con dei bastoni per evitare che si chiuda quando si accende il fuoco. Mentre tutti si davano da fare per fare queste cose, gli schiavi diedero fuoco a un grosso mucchio di legna che avevano tagliato il giorno prima. Quando la legna fu ridotta in carbone gli schiavi la misero sotto il maiale, senza utilizzare alcuno strumento metallico, come pale, o pinze, o piatti, scodelle, cucchiai o forchette. Anche le tovaglie sono vietate perché troppo in disaccordo con la semplicità boucan. Ho dimenticato di dire che la pancia del maiale deve essere riempita con succo di lime, abbondante sale e pimento tritato. Infatti, sebbene in America la carne di maiale sia ottima e più tenera che in qualsiasi altro paese, queste aggiunte sono necessarie per renderla davvero succulenta.”

Intervengo nel mezzo del racconto perché il pimento è una spezia, chiamata anche pepe della Giamaica, che abbiamo già conosciuto in un precedente episodio di Leggende Affilate, ovvero l’incredibile storia di Alexander Selkirk, il vero Robinson Crusoe, rimasto per anni su un’isola deserta; il quale usava gli alberi di pimento per costruire capanne. Consiglio assolutamente di recuperare l’episodio, per restare in tema isole sperdute e avventure piratesche. Ma torniamo al resoconto.

“Mentre il maiale cuoceva, chi lo desiderava faceva colazione. Era loro permesso anche bere un bicchierino (un coup) di vino, a condizione che lo bevessero senza acqua, poiché coloro che partecipavano ai boucan non versavano mai acqua nel loro vino. È lecito mangiare a colazione le pietanze portate da casa, ma una volta assaggiato il maiale è contro la legge mangiare qualsiasi altra cosa. Dopo la colazione ognuno faceva la sua parte di lavoro. Alcuni andavano a cacciare, altri raccoglievano balisier, foglie di cachibou e felci per realizzare tovaglie e tovaglioli. Alcuni si prendevano cura del maiale per vederlo cuocere lentamente e che il sugo penetrasse nella carne. Questa operazione si effettua pungendo il maiale con la punta di uno spiedino, facendo però attenzione a non infilare lo spiedino nella pelle e facendo così cadere il sugo nel fuoco. Quando il boucan veniva giudicato sufficientemente cotto, i cacciatori venivano richiamati sparando un paio di colpi in aria, uno dopo l’altro. Questo è normale, perché nella loro società gli orologi non sono consueti. All’arrivo dei cacciatori la selvaggina veniva spennata e gettata nella pancia del maiale, oppure veniva posta accanto al fuoco ad arrostire. I cacciatori che non portavano nulla dovevano tornare indietro e sparare a qualcosa altrimenti avrebbero pagato “pegno” in base alla loro posizione gerarchica all’interno della comunità. Se erano membri di una certa anzianità, venivano puniti sul posto dovendo bere tanti “shots”, uno dopo l’altro, quanti erano gli uccelli che il cacciatore più abile aveva portato. L’unica giustificazione ammissibile era dimostrare d’esser stati sfortunati, e non disattenti o poco capaci: condizione che avrebbe permesso ai cacciatori inadempienti di scegliere il liquore da bere, perché la punizione era comunque valida. Nel caso dei novizi, così vengono chiamati coloro che assistono per la prima volta a un boucan, la punizione sarebbe dipesa dal maestro del boucan. Era suo dovere imporre una pena con discrezione e saggezza proporzionata all’abilità dei peccatori. Dopo la benedicite [ovvero “Il canto della creazione” tratto dal Cantico di Daniele, cantato la mattina della domenica e nelle feste, perché in fondo, anche in queste occasioni, erano tutti cristiani] ci siamo seduti a una tavola così solida che nient’altro che un terremoto avrebbe potuto scuoterla, perché la nostra tavola era la terra stessa ricoperta di felci e foglie. Ognuno posò accanto a sé i suoi due spiedi, il coltello, la sua coppa per bere e una foglia di cachibou. Questa foglia di cachibou veniva tagliata in un quadrato, i cui quattro angoli erano piegati e legati tra loro con piccole liane in modo da formare una ciotola. È in questa ciotola che si mette il sugo, reso più dolce o piccante a seconda dei gusti. Avevo fornito tovaglioli e pane, anche se questo è veramente contrario alle regole, perché i partecipanti del boucan non conoscono il significato dei tovaglioli e usano solo platani cotti al forno per il pane [per intenderci, il platano è un frutto comune nelle regioni tropicali, simile alla banana]. Il maestro del boucan, in quanto capo della festa e padre di famiglia, taglia la prima porzione per tutta la compagnia. Armato di una grossa forchetta nella mano sinistra e di un grosso coltello nella destra, si avvicina al maiale, che giace sul suo tranquillo giaciglio accanto a un piccolo fuoco. Taglia grosse fette di maiale senza rovinarne la pelle, e le mette su foglie di balisier che i servi portano agli ospiti. Al centro della tavola si trovano un grande recipienti pieno di sugo e un altro pieno di succo di lime, pepe, sale e pimento, e da questi ogni ospite mescola la sua salsa secondo il suo gusto. Non credo sia necessario informare il lettore che una delle cose essenziali in un boucan è bere frequentemente. La legge lo obbliga, la salsa invita a farlo, e pochi sbagliano in questo senso. Ma poiché l’uomo è fragile e spesso fallirebbe se non ci fosse nessuno che gli ricordasse il suo dovere e lo correggesse, il maestro del boucan deve vegliare sulla sua festa. Se trova qualcuno inattivo o negligente deve subito richiamare l’attenzione di tutti sul fatto. Il delinquente deve poi fare penitenza bevendo una grande coppa: punizione non da poco poiché questa coppa è sempre tenuta a disposizione, e strapiena di vino.”

Si conclude così il resoconto di padre Labat riguardo il cochon boucan, nel cuore della foresta di un’isola caraibica. E ti starai chiedendo, in questo momento, perché ho raccontato una cosa simile. Cosa c’è di affilato in questa storia. Ebbene, i protagonisti stessi di questa epica grigliata, in cui era obbligatorio bere in abbondanza e chiunque si fosse rifiutato sarebbe stato obbligato a bere comunque; ecco, loro sono dei personaggi che tutti noi conosciamo e che devono il loro nome proprio al loro modo di far grigliate. Mi riferisco ai bucanieri: un termine che deriva dal francese, boucan, trasmesso, tra gli altri, proprio da padre Labat, in questo frammento di cronaca, e che deriva a sua volta da un termine dei nativi americani che stava a indicare la griglia per affumicare il maiale.

I bucanieri erano coloro che cacciavano e arrostivano, che bevevano e facevano baldoria nelle sperdute isole dei Caraibi e del sud America: attività comuni a quelle dei pirati che, da un certo punto in poi, furono chiamati anche così: bucanieri; proprio come i commensali di quella favolosa grigliata a cui partecipò il nostro missionario francese, regalandoci un bel resoconto di festa, oltre a qualche suggerimento di cucina valido tutt’oggi. Niente vieta di replicare le condizioni di questa grigliata, una bella giornata di primavera, con tanto di regole da bucaniere: chi viene pizzicato con le labbra asciutte e il bicchiere pieno, sarà obbligato a bere dalla coppa della penitenza.

Se questa storia ti ha appassionato, condividila con le avvinazzate e goduriose persone della tua cerchia piratesca, anche per ricordar loro quanto tempo è trascorso dall’ultima grigliata, e mi raccomando seguimi, così non perderai la prossima Leggenda Affilata.

Lorenzo Manara
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