Il bombardamento in picchiata (dive bombing)
La tecnica di bombardamento in picchiata che richiedeva il “tuffo” dell’aereo: il dive bombing in uso durante la Seconda Guerra Mondiale
Un tempo andavo in piscina. Ci andavo tre volte a settimana e ogni volta accadeva una cosa strana. Arrivava il momento di uscire dall’acqua e io, dopo una lunga e faticosa sessione di vasche su e giù, accaldato e stanco, mi sollevavo sopra il bordo senza usare la scaletta. Lo facevo perché ero un ganzo, e usare la scaletta era decisamente da sfigati. Perciò mi tiravo su con le braccia e lo facevo il più velocemente possibile. Poi mi alzavo in piedi, sempre con l’agilità di un giovane ganzo e, immancabilmente, sperimentavo la cosiddetta visione nera.
In poche parole, succedeva questo: al termine dell’allenamento il mio corpo non riusciva a sostenere il cambio repentino di pressione. Dopo essere stato immerso in posizione orizzontale per quaranta minuti, tornare in posizione verticale in maniera troppo veloce non era un bel modo di trattare il mio organismo. Il cervello veniva privato per qualche istante del giusto apporto di ossigeno, e io provavo un senso di svenimento. Durava poco, riuscivo a stare in piedi, ma non era mai piacevole. Perché vi racconto tutto questo? Per farvi capire che forse non sarei sopravvissuto a un bombardamento in picchiata (ne parlo anche sul mio canale YouTube, andate a vedere il video!).
Per fare il militare ci vuole un fisico bestiale. Per fare il pilota di aerei da combattimento ci vuole un fisico perfetto. E per fare il pilota di aerei da bombardamento in picchiata ci vuole un gran coraggio. Perché la tecnica di cui sto per parlarvi in questo articolo può sembrare completamente folle, ma è stata realmente impiegata per tutta la Seconda Guerra Mondiale fino alla Guerra di Corea. Ma prima, facciamo un passo indietro.
Avete presente il classico bombardamento aereo? I bombardieri sorvolano un certo obiettivo, viene ordinato loro di sganciare, le bombe cadono e i bombardieri continuano il proprio volo. Potrebbe sembrare un metodo terribilmente efficiente per far danni al proprio avversario, e in effetti lo era, ma durante il secondo conflitto mondiale il sistema di puntamento non era poi così preciso. I calcoli da effettuare per poter colpire qualcosa con una bomba sono complicati e dipendono dalla velocità, dalla quota, dalla pressione atmosferica, dall’accelerazione gravitazionale e così via. All’epoca non c’erano grandi tecnologie per calcolare tutto questo. Ma allora come si poteva sperare di centrare in pieno un singolo carro armato nemico con una sola bomba? Semplice, lo si faceva in picchiata.
Il bombardamento in picchiata è una tecnica dalla concezione elementare quanto folle. Visto che era difficile colpire un bersaglio sganciando la bomba da una traiettoria di volo orizzontale, si pensò che gettandosi in picchiata verso l’obiettivo sarebbe stato più facile dirigere la bomba nel punto desiderato. In pratica: l’aereo non doveva fare altro che puntare fisicamente verso il carro armato nemico e poi sganciare. La bomba avrebbe proseguito il suo volo dritta verso il bersaglio mentre il pilota doveva effettuare una brusca manovra di richiamo all’ultimo secondo. Un po’ come gli aerei acrobatici che risalgono in cielo prima di schiantarsi.
Potete non crederci, ma questa roba funzionava davvero. Il bombardamento in picchiata era una tecnica che consentiva l’esecuzione di missioni molto difficili con un grado di precisione elevato. Si colpivano bersagli singoli come palazzi, ponti e perfino mezzi in movimento, come i carri armati. C’era solo un problema che poteva vanificare tutto questo, ed è legato alla strana storia della piscina che vi ho raccontato poco fa. Avete presente il problema dell’alzarsi dalla vasca troppo velocemente? Ecco, quello che provavano i piloti dei bombardieri in picchiata era molto simile. Ma moltiplicato per dieci.
Quando l’areo risaliva in cabrata dopo aver sganciato la bomba doveva farlo velocemente per non schiantarsi. Questa accelerazione improvvisa provocava un calo repentino della pressione, svuotando i cervelli dei piloti del prezioso ossigeno. Si poteva verificare uno stordimento, l’effetto della visione nera (ovvero il buio totale davanti agli occhi) oppure un vero e proprio svenimento. E se accadeva, per il pilota c’era ben poco da fare. In Spagna un’intera formazione di Junkers Ju 87 si schiantò al suolo a causa di un errore di calcolo. Avevano effettuato la cabrata troppo in ritardo1.
Col passare del tempo e l’avanzamento tecnologico vennero studiati dei meccanismi di richiamo automatico, come quello presente nel Ju 87, che consentiva all’aereo di uscire dalla picchiata anche senza l’intervento del pilota. Poi vennero inventate le tute anti-G, indumenti indossati dagli aviatori e perfino dagli astronauti per limitare gli effetti dell’accelerazione. Infine, vennero migliorati i sistemi di puntamento e, dalla metà degli anni cinquanta in poi, non fu più necessario tuffarsi in picchiata per colpire un obiettivo. Attualmente lo si può fare dall’alto oppure dalla sala comandi, comodamente seduti a una scrivania.
Insomma, niente più voli acrobatici per i piloti di bombardieri. Se volete provare l’ebbrezza dello svenimento e soffrite un po’ di pressione bassa però potete sempre venire con me in piscina. Oppure continuare a leggere i miei articoli fantastici, come quello che ho scritto su Mad Jack, il soldato che uccideva nazisti con spada, arco e frecce.
Ciao!
- “Junkers Ju 87 Stuka Ju 88” Di Mantelli, Brown, Kittel, Graf, pag. 39 ↩
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