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29 Marzo 2023

5 Racconti horror medievali

racconti horror medievali

Gli episodi più inquietanti delle fonti storiche medievali, tra fantasmi, demoni e non-morti: 5 autentici racconti horror

Il folclore e le storie fantastiche contemporanee non sarebbero le stesse senza il contributo degli autori antichi e medievali, i quali con le loro opere ci hanno tramandato veri e propri racconti horror, come li definiremmo oggi. Autori spesso guidati da tutt’altri intenti rispetto a quelli esclusivamente letterari, intenti spesso religiosi. Perché il confine tra religione e superstizione è sempre stato labile, e molti di quegli elementi che oggi condiscono film e serie-tv su Netflix per puro intrattenimento, un tempo, talvolta, erano ritenuti parte della vita quotidiana.

Ecco perché le grandi menti pensanti, soprattutto uomini di Chiesa, in tutto l’Occidente medievale si sono prodigati nello scrivere moltissimo riguardo il soprannaturale, talvolta dibattendo sulla sua esistenza, altre volte accertandone i prodigi, legati ovviamente alla sfera d’influenza del Maligno, per quanto riguarda la religione cristiana. Quel che interessa noi semplici appassionati di storie, non è tanto il dibattito teologico in sé, non è tanto stabilire in quanti ci credessero e quanti no, ma è il racconto avventuroso messo in piedi da questi antichi autori: che tra fantasmi, demoni e non-morti, hanno dato vita a un mondo ultraterreno da cui attingiamo ancora oggi per scrivere storie, me compreso, come faccio sempre con i miei libri.

Per questo, oggi voglio narrare 5 racconti horror medievali autentici, scovati nelle opere che dal X secolo al XIV secolo sono comparse un po’ in tutto l’Occidente, provenienti da svariati paesi, dalla Germania alla Francia e passando pure per l’Italia, ricordando che non tutte queste storie sono nate originariamente come racconti horror nel senso letterale del termine. Anzi, alcuni sono veri e propri resoconti di cronaca, quindi di fatti realmente accaduti, secondo coloro che li hanno descritti. E per questo ancora più interessanti.

Nella cronica di Tietmaro, vescovo di Merseburgo (975-1018), si racconta di un prete della città di Walsleben, nella Sassonia medievale, che all’alba si recò in chiesa per cantare l’ora liturgica come faceva ogni giorno. Vicino alla chiesa sorgeva il cimitero: una tradizione architettonica, quella di affiancare il camposanto al luogo di culto, di cui abbiamo già conosciuto un esempio in un’altra Leggenda Affilata ambientata proprio in Sassonia, dal titolo “la danza mortale”, che consiglio assolutamente di recuperare. 

Giunto davanti al cimitero, il prete trovò una grande schiera di persone che portavano offerte a uno sconosciuto sacerdote sulla soglia della chiesa stessa. Il prete, dinnanzi a quella strana celebrazione svolta alle prime luci dell’alba, si fece il segno della croce, poiché aveva già intuito che c’era qualcosa che non andava. Quindi si avvicinò alla fila di persone delle quali non riconosceva nessuno, cosa ancora più strana, visto che lui era il prete e sapeva perfettamente quali fossero i membri della sua comunità. Finché, una donna non lo chiamò, chiedendogli cosa volesse. Il prete rispose che stava per celebrare l’ora liturgica, come sempre, e fu a quel punto che si ricordò di lei con grande spavento, poiché era morta da poco.

La donna disse al prete che per quel mattino l’ora liturgica l’avevano già celebrata loro, i morti. E che lo stesso prete li avrebbe raggiunti presto. Terminata la visione d’Oltretomba, infatti, il prete raccontò tutto ai suoi vicini e morì.

Tietmaro, che ricordiamolo fu vescovo di Merseburgo, spiega d’aver raccontato tutto questo “affinché nessun fedele in Cristo possa dubitare della futura risurrezione dei morti”, aggiungendo “Ho scritto queste cose avvenute nei nostri tempi più recenti affinché gli increduli apprendano che le parole dei profeti sono vere”. E lo fa anche citando i testi biblici.

“Ma di nuovo vivranno i tuoi morti,
risorgeranno i loro cadaveri.
Si sveglieranno ed esulteranno
quelli che giacciono nella polvere,
perché la tua rugiada è rugiada luminosa,
la terra darà alla luce le ombre.”

Isaia 26:19

“Non vi meravigliate di questo; perché l’ora viene in cui tutti quelli che sono nelle tombe udranno la sua voce e ne verranno fuori; quelli che hanno operato bene, in risurrezione di vita; quelli che hanno operato male, in risurrezione di giudizio.”

Giovanni 5:28-29

Frammenti di testi sacri da cui ho attinto a piene mani per la scrittura de “La Stirpe delle Ossa” e del nuovo romanzo che sto ultimando, incentrato ancora di più sulla magia nera medievale, ovvero la negromanzia.

Il resoconto di Tietmaro, però, non finisce qui. Questo autore sassone aggiunge la sua personale esperienza riguardo l’accaduto raccontando quel che avvistò proprio lui, coi suoi occhi, nei suoi possedimenti di Rottmersleben.

Un giorno di dicembre una grande luce scaturì dalla chiesa al primo canto del gallo. La luce colpì il cimitero e diede inizio a uno scatenarsi di rumori forti, simili a grugniti. Il giorno dopo Tietmaro chiese agli abitanti se fosse mai accaduta una cosa del genere, e alcune delle persone più anziane della comunità gli spiegarono che molto tempo prima era già successo: un presagio rivelatosi nefasto, naturalmente, poiché qualcuno era morto subito dopo. Tietmaro racconta di aver udito una seconda volta dei rumori d’Oltretomba, quello stesso anno, e più precisamente di notte, quando si trovava nella sua stanza, quando i morti nel cimitero cominciarono a parlare.

Il giorno dopo morì sua nipote Liudgard: prova, secondo l’autore incontrovertibile, che i segni ricevuti dal cielo erano autentici. Tietmaro, oltre a raccontarci di processioni di non-morti e di chiacchiere al cimitero, ha gettato le basi per un altro grande elemento ricorrente nei racconti horror, ovvero quello del rumore bestiale, nella fattispecie del grugnito: un verso animalesco che anticipa la venuta del Maligno e che ritroviamo in svariate altre opere occidentali comprese quelle di un grande autore, altro uomo di chiesa, nonché abate cistercense germanico del Sacro Romano Impero: Cesario di Heisterbach.

Siamo nei primi decenni del XIII secolo in un’opera teologica intitolata “Dialogo sui Miracoli” raccolta di exempla dottrinali, ovvero esempi “romanzati” molto simili a racconti horror, la cui utilità era quella di spiegare nel modo più semplice possibile i dettami religiosi al gregge del Signore Iddio. E quale modo migliore per farlo, se non tramite una raccolta di storie peraltro piuttosto avvincenti?

Una delle più brevi e spietate ha come protagonista un padre senza nome, il quale durante un impeto di collera disse a suo figlio di andare al diavolo. E subito, non appena pronunciate queste parole, comparve il diavolo: afferrò il figliolo e lo portò via, per sempre. Fine. Tale exempla s’intitola proprio “Anche di un ragazzo che il diavolo afferrò quando suo padre gli disse d’andarsene al diavolo”.

Un racconto la cui morale sembrerebbe proprio quella di usare con cautela le parole, specialmente in riferimento alle entità diaboliche, sulla falsa riga del comandamento “Non nominare il nome di Dio invano”, il quale si riferisce a qualsiasi entità del Cristianesimo, come ancora oggi ricorda un detto popolare “scherza coi fanti e lascia stare i santi”. Insomma, le parole sono importanti, anche in ambito spirituale.

L’obiezione che si potrebbe sollevare riguarda l’infausto destino del bambino che viene punito per una colpa che non ha commesso. Lo stesso autore dell’opera spiega che Iddio ha permesso una simile condanna a “titolo di esempio”, per educare gli uomini a non pronunciare discorsi stolti. Inoltre, al termine del racconto, si approfondisce il tema dell’esistenza delle creature demoniache, ponendo l’attenzione sul fatto che qualcuno avrebbe potuto bollare questo exempla come una storiella insulsa, irrealistica.

Perché nel Medioevo, come già emerso più volte in molte altre cronache e resoconti, non tutti credevano al soprannaturale. Non tutti credevano ai prodigi, religiosi o magici che fossero, compresa l’esistenza dei demoni che ti rapivano per portarti all’Inferno se ti comportavi male.

“‑ Quelli che dubitano dell’esistenza dei demoni aspettino di vedere degli indemoniati, poiché in essi si manifestano chiaramente i segni della sua presenza, nel modo in cui il diavolo parla attraverso le loro bocche e si infuria crudelmente nei loro corpi.
– Ma questo potrebbe non essere sempre genuino, a volte è mera finzione.
– Si parla spesso di demoniaci nei vangeli, e nelle Malattie, come nelle Vite o nelle sofferenze dei santi. Non nego infatti che alcuni abbiano finto di essere posseduti per il bene del guadagno mondano, ma in molti casi non c’è pretesa, come sarà mostrato dal seguente esempio.”

Anche di un ragazzo che il diavolo si afferrò quando suo padre gli disse: “Va dal diavolo”. CAPITOLO XII.

Infatti, per dimostrare l’esistenza del Diavolo, l’autore ci spiega che basta guardare gli indemoniati, ovvero coloro che sono posseduti dal Maligno, specificando allo stesso tempo che bisogna distinguere tra coloro che fanno finta di essere posseduti per puro guadagno e coloro che invece lo sono davvero. Insomma, i truffatori non hanno epoca, e tutti questi discorsi che appaiono così moderni venivano affrontati già nel XII-XIII secolo. Non solo nella Germania del Sacro Romano Impero, ma in tutto l’Occidente. Un autore che si è concentrato molto su questi aspetti, specialmente sulla truffa, è proprio Boccaccio col suo Decamerone, opera piena di elementi soprannaturali conditi di comicità e al tempo stesso tragedia. 

Nella novella di Nastagio degli Onesti, il protagonista passeggia per una pineta, ovvero una selva addomesticata, lontana dalla selva oscura da sempre accostata alle ambientazioni medievali più cupe. Nastagio è turbato dai propri pensieri. Egli ama la figlia di un ricco signore la quale purtroppo non lo ricambia. Perché lui non è abbastanza nobile per lei. Nastagio ci sta male, parecchio. Ha appena dilapidato una fortuna per tentare d’impressionarla e non è servito a niente. Ha pensato perfino al suicidio. Ma ciò che accade nella pineta scaccerà per sempre quei pensieri dalla sua mente, perché è una scena che non si dimentica.

Una giovane donna corre trafelata fra gli alberi, inseguita da due mastini e da un cavaliere. Viene raggiunta dai morsi dei cani proprio davanti a Nastagio e il cavaliere smonta di sella per catturarla. La tiene ferma sul terreno, le pianta il pugnale in petto per strapparle il cuore e poi lo getta in pasto ai suoi mastini.

Nastagio rimane pietrificato davanti a quello che potrebbe essere definito un episodio di caccia selvaggia. Ma non fa in tempo a riprendersi che il corpo della giovane si ricompone lì, per terra, acceso da nuova vita. I mastini scattano a rincorrerla, la raggiungono di nuovo e il cavaliere compie l’orrendo omicidio una seconda volta: una punizione eterna che sembra uscire direttamente dalle malebolge infernali.

Nastagio si dispiace nel vedere la giovane soffrire così. Vorrebbe aiutarla. Il cavaliere però lo avverte di non avvicinarsi, poiché i due stanno scontando una pena per contrappasso che non può essere interrotta. Il cavaliere infatti è dannato per suicidio, giunto a tale atto estremo dopo essere stato respinto dalla giovane per anni. La colpa della giovane invece è quella di aver agito con crudeltà, gioendo della morte del pretendente rifiutato. La scena si ripete ogni venerdì, per tanti anni quanti erano stati i mesi di quel corteggiamento maledetto.

Nastagio fugge via, punto nel vivo da quella storia che lo riguarda così da vicino. Decide di chiamare a raccolta i parenti e di organizzare un banchetto nel bosco, il venerdì successivo, invitando anche la famiglia della ragazza di cui è perdutamente innamorato. Non bada a spese per quel pranzo sontuoso e, sotto le fronde dei pini, ancora una volta, prende vita la caccia selvaggia. Questa volta però davanti a tutti.

Il cavaliere insegue la giovane, la sbudella in mezzo ai tavoli addobbati a festa e getta il cuore in pasto ai mastini. E mentre il corpo di lei si ricompone per dare inizio a una nuova caccia, il cavaliere intima i presenti di non intervenire, spiegando la storia del contrappasso e del rifiuto d’amore. Poi l’inseguimento ricomincia da capo.

Gli invitati sono sconvolti, ma più di tutti è sconvolta la ragazza di cui è innamorato Nastagio. Ella ripensa a tutte le volte che lo ha respinto crudelmente e al destino che la attende se non la smette di rifiutare le avances del suo pretendente. E in questa cornice macabra e del tutto spontanea la ragazza s’innamora di Nastagio. Ma non solo. Le altre ragazze presenti al banchetto sanguinario ripensano ai vari pretendenti che hanno rifiutato fino a quel momento e decidono di diventare più accondiscendenti per evitare il castigo divino. Una vera pacchia per i giovanotti della zona.

La novella di Nastagio degli Onesti contenuta nel Decamerone affronta l’argomento del cavaliere fantasma, condannato a una caccia eterna nella Selva oscura. Il tema corre sul filo dell’ironia drammatica, tuttavia vi è un altro racconto dello stesso periodo che fa leva sulla sola ironia beffarda. Si tratta di un fabliaux, una breve storia in versi tipica della Francia medievale (Le chevalier qui recouvra l’amour de sa dame).

L’ultimo di questi cinque racconti horror inizia con un cavaliere che vuol far l’amore con una donzella. Così, di botto. La donzella è maritata a un altro cavaliere, ma non è questo il problema. Considerata la frequenza con cui si tradivano i legami famigliari, proprio come oggi, il vincolo del matrimonio costituiva un ostacolo facilmente aggirabile. Il vero problema del cavaliere era di non aver mai provato il suo amore in battaglia, vestito di ferro, con la spada in pugno.

Per dimostrare di essere un degno amante organizzò quindi un torneo. Chiamò tutti i cavalieri che conosceva e per tutto il giorno si presero a mazzate. Il nostro eroe si ritrovò perfino a combattere contro l’ignaro marito della donzella, sconfiggendolo alla giostra.

La donzella aveva ottenuto quello che voleva: l’amante era uscito vittorioso e dunque meritava il suo amore. Gli diede appuntamento quella sera stessa, in una camera vuota del palazzo, per sfogare gli istinti in un accoppiamento extra-coniugale come nei migliori cinepanettoni natalizi. Inutile dire che il cavaliere era al settimo cielo. Finalmente avrebbe potuto sfoderare la spada (l’altra) e unirsi all’amata che da troppo tempo desiderava ardentemente.

Al calar della sera, il cavaliere raggiunse la camera e si mise ad aspettarla, sdraiato sul letto, stremato dopo la lunga giornata trascorsa a combattere. La donzella era un po’ in ritardo e lui era davvero stanco, troppo: chiuse gli occhi per un istante, ma il sonno prese il sopravvento. Si addormentò.

La donzella quando entrò in camera e lo trovò russare andò su tutte le furie. A quanto pare non gli importava niente di lei visto che non riusciva nemmeno a restar sveglio ad aspettarla. Quindi se ne tornò dal marito e mandò una serva a cacciar via il dormiglione. Svegliato dalla serva il cavaliere cadde nella disperazione più nera: aveva rovinato tutto. Era riuscito a mandare a monte ogni cosa. Dopo tutti quegli sforzi, però, non aveva intenzione di mollare. Doveva escogitare qualcosa.

Indossò l’armatura del torneo, sguainò la spada, quella di ferro, e si precipitò nella camera della donzella che giaceva assieme al marito, nel letto. I due si rizzarono a sedere terrorizzati e il nostro eroe annunciò con voce grave di essere un cavaliere fantasma, morto in torneo, che aveva estremo bisogno del perdono di lei per riposare in pace. La donzella riconobbe la sua voce e rifiutò: non intendeva stare al gioco di quel buffone. Il marito invece se la faceva sotto. Vuoi per l’ora tarda, vuoi per lo spavento, ci credeva eccome alla storia del fantasma. E si arrabbiò molto. Perché quella incosciente di sua moglie negava il perdono a un cavaliere venuto dall’Oltretomba? Il dannato avrebbe potuto tormentarli per sempre, come il cavaliere nero di Nastagio degli Onesti. Il marito pregò la donzella di perdonare il dannato redivivo e lei finì per acconsentire. Fu così che il cavaliere ritrovò l’amore della sua dama. L’ultimo dei racconti horror di oggi si conclude così. Non sapremo mai se alla fine i due hanno ficcato per davvero, ma sono propenso per il sì.

Questo era l’ultimo dei racconti horror medievali di oggi. Oltre a immergerci in temi avventurosi e soprannaturali, come sempre abbiamo involontariamente scardinato molti dei preconcetti sul Medioevo. Poiché abbiamo imparato dalle parole dell’abate di Heisterbach che non tutti credevano all’esistenza dei demoni, nonostante lui ci credesse fermamente. Abbiamo visto come nella ricca italia trecentesca narrata dal Boccaccio alcuni nobili potevano passeggiare nelle pinete, ovvero selve addomesticate, mantenute dall’uomo, dove addirittura fare pic-nic. Infine, il falbieux francese ci narra di una tresca amorosa svolta in quei secoli bui spesso ritenuti bigotti, dove si crede che le persone venissero bruciate per una caviglia scoperta, anche se si tratta di preconcetti più vicini all’epoca moderna e al XIX secolo in particolare, circa cinque secoli dopo.

Insomma, la realtà storica come al solito è sempre più sfaccettata di quel che ci si immagina. Se vuoi immergerti in un’ambientazione italiana trecentesca, puoi leggere il mio ultimo romanzo, La Stirpe delle Ossa, dove in verità non ci sono belle pinete in cui fare banchetti, ma lugubri paludi squassate da guerra e superstizione. E mi raccomando, seguimi, così non perderai l’occasione di vivere le prossime Leggende Affilate.

Lorenzo Manara
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