Una caccia alle streghe nella Scozia del 1590
La caccia alle streghe durante il processo di North Berwick, nel 1590, in Scozia: tra sabba, baci sulle chiappe e torture indicibili
Nell’anno 1590, nella città scozzese di Trenent, abitava una serva di nome Gillis Duncan. Lavorava presso la casa del balivo, David Seaton, un’autorità locale, e negli ultimi tempi cominciò ad attirare su di sé l’attenzione per via del suo strano comportamento. Dopo il tramonto, la serva lasciava la casa del padrone per assentarsi tutta la notte e, in seguito, si scoprì che lo faceva per aiutare coloro che erano turbati o aggrediti da svariati tipi di malattie o infermità. In breve tempo le furono attribuite guarigioni miracolose, ma queste improvvise capacità destarono qualche sospetto, soprattutto nel suo padrone, che cominciò a chiedersi se tali prodigi fossero condotti in maniera lecita. Insomma, se si trattasse di stregoneria.
Il balivo, con l’aiuto di qualche suo conoscente, interrogò la ragazza. Lo fece in completa autonomia, senza affidarsi ad altri organi competenti, sfociando nella tortura vera e propria: dapprima tramite il pilliwinks, ovvero uno strumento simile a una morsa che, tramite un meccanismo molto semplice, permetteva di stringere piccole barre di ferro sulle dita delle mani, per schiacciarle. Poi legò una corda attorno alla testa della donna, stringendola con forza. Infine, cominciò la ricerca dello “stigma diaboli”, ovvero il punto del corpo in cui il diavolo aveva posto il suo marchio, là dove l’accusata non sentiva alcun dolore. Dopo una minuziosa e dilaniante ricerca, lo trovarono sulla gola: la donna, stremata, confessò d’essere una strega incitata dal diavolo a compiere malefici notturni. Una confessione che avrebbe potuto concludere la questione, ma che non lo fece. Anzi, la spirale di odio e dolore era appena cominciata.
La serva, durante la prigionia, fece il nome di altre persone che secondo lei erano streghe, contribuendo alla nascita di una grande caccia passata alla storia come “processo alle streghe di North Berwick”, che in solo due anni coinvolse decine di imputati e ancor più testimoni, il tutto narrato in un’opera pubblicata a Londra nel 15911, opera da cui ho tratto il resoconto di quegli eventi così assurdi, e spietati.
Eventi che poterono prendere piede grazie al clima infuocato che si respirava in Europa alla fine del XVI secolo, tra tensioni sociali e politiche, devastanti guerre di religione scaturite da riforme e controriforme. Senza contare la grande caccia che si era tenuta in Danimarca, poco tempo prima, i cui risvolti avevano colpito proprio il sovrano scozzese, Giacomo VI, divenuto bersaglio di un complotto diabolico: un complotto per farlo fuori. Ma facciamo un passo indietro.
La serva Giillis Duncan, tra i vari nomi, aveva fatto quello di Agnis Sampson, il membro più anziano di una comunità composta da duecento streghe che usavano riunirsi la notte di Ognissanti (Allhollon), volando fino al “kerke di North Barrick in Lowthian” per bere vino, danzare e cantare:
“Commer goe ye before, commer goe ye,
Gif ye will not goe before, commer let me.”
Insomma, una descrizione di sabba in piena regola, con tanto di richiamo al moderno Halloween. La vecchia strega Agnis Sampson fu tratta prigioniera per essere ascoltata dal re in persona, ma negò tutto. Perciò fu torturata. Come la serva, anche lei confessò dopo una lunga sevizia e la terribile ricerca dello “stigma diaboli” che, stando al resoconto processuale, si trovava nelle zone più nascoste del corpo, generalmente tra peli o capelli, dove il diavolo leccato la pelle per siglare il patto. Ecco perché talvolta le accusate e gli accusati di stregoneria venivano rasati, ed ecco perché ad Agnis lo stigma diaboli fu trovato nei pressi dell’inguine.
La vecchia Agnis confessò tutto quanto: il volo sul mare, le duecento streghe, il vino e i canti; mise pure in piedi una dimostrazione con la serva Gillis Duncan, per ballare quella danza diabolica al cospetto del re (il quale “si dilettò molto nel presenziare simili esami.”). Ma non solo. Agnis aggiunse altri dettagli, spiegando che il diavolo si presentava durante il sabba per richiedere la loro sottomissione, e che tutte le streghe si avvicinavano a turno per baciargli il fondoschiena. Il diavolo aveva bisogno di loro per combattere il suo più acerrimo nemico, guarda caso, proprio il re di Scozia.
A questo punto, nel resoconto si dice che il re si fece scettico. Difficile credere che fosse proprio lui il peggior nemico del diavolo, tra tutti i sovrani che c’erano in giro. E poi la questione del volo notturno, e del bacio sulle chiappe… insomma, il dubbio che fosse tutto inventato era ben presente. Ma la vecchia strega si avvicinò per dimostrargli che era tutto vero con una prova incontrovertibile: raccontò al re le esatte parole che lui e la regina si erano scambiati durante la prima notte di nozze, qualcosa che nessuno poteva sapere. E confessò pure d’averlo provato ad ammazzare, più volte, dietro consiglio dello stesso Diavolo.
“Confessò di aver preso un rospo nero, e di averlo appeso per tre giorni, e d’aver raccolto il veleno, mentre cadeva, in una conchiglia, e d’aver mantenuto lo stesso veleno ben coperto, finché non fosse riuscita a ottenere un pezzetto di pannosporco che era appartenuto al re, camicia, fazzoletto, tovagliolo o qualsiasi altra cosa (…) Perché se avesse ottenuto un pezzo di stoffa che il re aveva indossato e sporcato, lo avrebbe stregato a morte e lo avrebbe sottoposto a dolori pungenti, come se fosse finito sdraiato su spine acuminate e punte di aghi.”
Questo è uno di quei casi, che di frequente compaiono nei resoconti processuali di caccia alle streghe, in cui l’accusato, che magari in principio aveva negato tutto, comincia a confessare i crimini più abietti, abbondando di fatti e descrizioni in maniera esagerata. La vecchia Agnis, infatti, si disse colpevole anche d’aver fatto naufragare una nave del re che recava preziosi per lui e la regina, causando una tempesta tramite un rituale cui parteciparono le solite duecento streghe, e che prevedeva il battesimo di un gatto legato a pezzetti di cadavere riesumati dal cimitero e, infine, gettato in mare: il sortilegio aveva innalzato una tale tempesta da affondare un’imbarcazione che era per davvero affondata, tempo prima.
Tutto quello che emerge da una simile testimonianza, ovviamente, è da intendere come il frutto distorto di vari fattori culturali che, tra le altre cose, non rispecchiava il pensiero medio di un abitante del periodo. Perché le confessioni estorte sotto tortura sono la somma del pensiero dei giudici, delle frammentate rimanenze di folclore pagano mischiate col cristianesimo, diverse di paese in paese, e le superstizioni del singolo individuo. Insomma, quando la strega di turno confessa d’aver aderito a una diabolica cospirazione per sovvertire l’ordine naturale, riunendosi in sabba col diavolo, sta chiaramente esponendo un pensiero che non le appartiene, guidata dall’andamento dell’interrogatorio.
Di suo, magari, potrebbe aggiungere qualche dettaglio tipico del folklore del suo paese, come ad esempio la maledizione di una mucca che non fa più latte e cose di questo genere. Il risultato è un vero e proprio processo creativo, all’origine di un gran numero di resoconti che oggi ci appaiono omogenei, e che potremmo scambiare per l’insieme delle credenze dell’epoca, ma che sono in verità posticci. Le persone, mediamente, non pensavano così. Alcuni, come abbiamo visto in altri episodi di Leggende Affilate, nemmeno ci credevano alla stregoneria. Non a caso, il manuale più celebre riguardo la caccia alle streghe, il Malleus Maleficarum, si apre proprio con questa domanda: “esiste la stregoneria?”, dando seguito a una lunga e dettagliata risposta, che non sarebbe stata necessaria se tutti credevano alle streghe, no?
Ho citato poco fa il fatto che a quei sabba non partecipassero solo donne, ma anche uomini. Può sembrare atipico, oggigiorno, per come siamo abituati grazie a brutti romanzi e filmacci, ma le streghe non erano solo di sesso femminile. Alcuni accusati di stregoneria erano maschi, e in alcuni contesti e paesi persino in percentuale uguale o maggiore delle femmine. In questo specifico resoconto scozzese il termine “Witch” che noi traduciamo in “strega”, era infatti ambigenere, utilizzato per entrambi i sessi2; una particolarità che accomuna molti altri resoconti simili.
Uno dei più importanti personaggi che emerge da questa cronaca processuale è proprio un maschio, un tale dottor Fian, alias John Cunningham, maestro di scuola a Saltpans, nonché unico uomo accusato d’aver partecipato ai sabba. Dopo che fu fatto il suo nome dalla serva Gillis, Fian fu imprigionato e torturato in maniera un po’ diversa dalle altre accusate. Forse persino peggio. Dapprima gli strinsero la testa con una corda, poi lo sottoposero a svariate sofferenze, compresa la tirata d’unghie e la crudele tortura degli stivali (o stivaletto, “torment of the bootes”).
“Le sue unghie su tutte le dita furono lacerate e strappate con uno strumento chiamato in scozzese Turkas, che in Inghilterra chiamiamo “un paio di tenaglie”, e sotto ogni unghia furono infilati due aghi, fino alla base. Nonostante questo tormento, il dottore non ritrasse mai nulla, né confessò. Allora fu ricondotto al tormento degli stivali, nei quali stette lungo tempo, e sopportò in essi tanti colpi, che le sue gambe furono schiacciate e percosse l’una contro l’altra, e le ossa e la carne così contuse, che il sangue e il midollo sgorgarono in grande abbondanza, per cui quelle gambe furono rese inservibili per sempre. E nonostante tutte queste dolorose pene e crudeli tormenti, Fian non voleva confessare nulla, tanto profondamente era entrato il diavolo nel suo cuore…”
La tortura degli stivali consisteva nel far sedere l’imputato e racchiudergli le gambe in una stretta guaina di ferro o legno, che le conteneva entrambe come un grande stivalone. Poi venivano inseriti dei puntelli di legno tra la pelle e la guaina, a martellate, uno dopo l’altro, finché le gambe non finivano schiacciate. Esistono alcune varianti dello stivale, a seconda del contesto geografico, ma in questo caso la tortura si svolse più o meno così.
Al termine di questa terribile caccia alle streghe dell’anno 1591, coloro che erano ritenuti gravemente colpevoli furono condannati a morte. La vecchia Agnis finì strangolata e poi bruciata. Stessa cosa accadde al maestro di scuola, Fian. Gillis Duncan, la serva, invece si salvò. Poiché con la sua confessione aveva permesso la cattura di moltissimi adepti del diavolo. Ma possiamo solo immaginare come visse il resto della sua miserabile vita, col peso di quei nomi estorti sotto tortura sulla coscienza.
Mentre l’Europa si avviava alla cosiddetta Epoca dei Lumi, in qualche angolo buio d’Occidente prendevano forma i supplizi più violenti. Michelangelo aveva già dipinto la cappella sistina, Galileo aveva fondato le basi del metodo scientifico, e poi Copernico, Keplero, Cartesio… Siamo ben lontani da quel Medioevo che si immaginano tutti quando pensiamo alla caccia alle streghe. Ma al peggio non c’è mai fine, e tali episodi non si esaurirono di certo nel XVI secolo. La tortura, in particolare, è in uso ancora oggi in certi paesi, sintomo che il cupo medioevo immaginario, da qualche parte, esiste davvero.
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- Newes from Scotland, declaring the damnable life and death of Doctor Fian a notable sorcerer, who was burned at Edenbrough in Ianuary last. 1591, James Carmichael ↩
- “After this her confession, she was committed to prison, wheee she continued for a season, where immediatly she accused these persons following to be notorious witches, and caused them foorthwith to be apprehended one after an other, vidz. Agnis Sampson the eldest Witch of them al, dwelling in Haddington, Agnes Tompson of Edenbrough, Doctor Fian, alias John Cunningham, maister of the Schoole at Saltpans” ↩
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