Il guerriero elfo (razze fantasy realistiche)
Come apparirebbero le razze fantasy di Tolkien in un medioevo europeo realistico? Quali sono le armi e le armature migliori per un guerriero elfo?
L’intero universo del fantasy moderno non può fare a meno di scontrarsi con gli archetipi scolpiti nella pietra dal professor J. R. R. Tolkien. E’ grazie a lui se esiste un intero genere narrativo che perdura da quasi un secolo e ancora oggi continua ad affascinarci.
Il worldbuilding, o costruzione di un’ambientazione per dirla in italiano, è quel processo che gli autori di narrativa, romanzi, racconti, ma anche videogiochi o giochi di ruolo, devono affrontare se vogliono dar vita a storie di genere fantastico. Troppo spesso ci si limita a prendere gli elementi ricorrenti del genere e riutilizzarli così come sono sotto forma di cliché, senza nessun approfondimento, senza neppure sfogliare un libro di storia per documentarsi.
In molte occasioni l’autore della saga fantasy occidentale più famosa al mondo ha spiegato quali siano le correlazioni fra Il Signore degli Anelli e la storia antica. Il termine stesso Middle Earth, Terra di Mezzo, appare nel testo di un poema scritto in Old English (anglosassone) del 800 dopo Cristo.
Hail Earendel, brightest of angels,
Christ I – frammento di poema tratto dal Codex Exoniensis (800 ca.)
Sent to men over Middle-Earth…
I più attenti di voi avranno notato anche un altro nome presente in questo frammento di poema anglosassone, ovvero Earendel: termine usato per indicare un astro luminoso, tipicamente il pianeta Venere; e termine che lo stesso Tolkien riprende sotto forma di Eärendil. Ricordate la scena del terzo film di Peter Jackson con Frodo e il ragno gigante? Ecco, la fiala luminosa che impugna lo hobbit viene chiamata “luce di Eärendil“, che sarebbe la stella del vespro, la più luminosa delle stelle1.
Insomma, questo è solo un piccolo esempio della mole di ricerca e rielaborazione che si nasconde dietro Il signore degli anelli. Vi pare che Tolkien non abbia fatto i compiti a casa prima di gettarsi a scrivere il capolavoro che tutti conosciamo? Direi di no. E allora perché dopo anni che pubblico articoli su ‘sta roba continuo a leggere stupidaggini sul fatto che la storia non c’entri niente con la fantasia? O, addirittura, che il fantasy non deve essere realistico?
Visto che scrivere è la mia passione, oggi voglio approfondire le razze fantasy più celebri della narrativa per dar loro una sfumatura realistica, trattandoli come se fossero esistiti davvero. E voglio cominciare proprio dagli elfi. Come ci apparirebbero collocati in un medioevo europeo? Come sfruttare al meglio le loro caratteristiche e i loro tratti razziali nel campo della guerra? Insomma, avrete già capito dove andiamo a parare: si parla di armi, armature e ammazzamenti, gente. Si parla dell’eccellentissimo guerriero elfo.
- Il guerriero elfo nel fantasy di Tolkien
- La mentalità di un elfo
- Gli eserciti degli elfi
- Una guerra santa
- L’equipaggiamento
Il guerriero elfo nel fantasy di Tolkien
Gli elfi della Terra di Mezzo sono creature immortali, bellissime, amanti dell’arte, della conoscenza e anche della guerra, ovviamente. Spesso si dice che la guerra sia un’arte, no? Grazie a una vita plurisecolare il guerriero elfo sviluppa delle abilità che difficilmente un essere umano può eguagliare.
Il tempo è il fattore chiave: un elfo è capace di far tante belle cose perché ha avuto la possibilità di fare tanta pratica. Ma non tutto è oro quel che luccica. Gli elfi condividono con le altre razze, e soprattutto con gli uomini, un difetto fatale: la sofferenza.
Gli elfi soffrono il dolore fisico e anche quello morale. Non si tratta di divinità invincibili, ma creature che sanguinano e, se ferite abbastanza gravemente, muoiono. Questa breve descrizione costituisce l’archetipo dell’elfo fantasy nell’universo del signore degli anelli, condiviso anche da giochi di ruolo come Dungeons and Dragons e comunemente accettato da tutti.
Prendiamo per buona questa base e cominciamo a collocarla in un’ambientazione medievale realistica. Che tipo di guerrieri sarebbero gli elfi in una Terra di Mezzo europea fantasy? Verrebbe da pensare prima di tutto a delle truppe specializzate, soldati addestratissimi ed equipaggiati con il meglio della tecnologia disponibile: un cliché visto e rivisto, purtroppo.
Analizziamo l’elemento centrale che distingue gli elfi da tutte le altre razze e proviamo a dedurre le implicazioni più interessanti. Proviamo a immergerci nella mente di una creatura immortale.
La mentalità di un elfo
Prima di parlare di archi da guerra e armature di piastre dobbiamo indagare la mentalità degli elfi. Perché è facile appioppare longbow e spade ricurve, così, senza pensare, finiremmo col tirar fuori l’ennesima banalità precotta. Noi vogliamo fare qualcosa di più, vogliamo immergerci nella testa di una creatura inventata e tratteggiare i suoi comportamenti. E’ così che cerco di progettare una storia ogni volta che mi piazzo davanti al foglio bianco di word.
Abbiamo detto che gli elfi sono potenzialmente immortali, che finché se ne stanno a casa loro, al sicuro, possono vivere in eterno. Questo deve necessariamente incidere sul loro modo di combattere. Pensiamoci un attimo: la concezione della vita nella società elfica assume un significato completamente diverso da quello che normalmente abbiamo noi esseri umani. Un nodo così centrale da riflettersi in ogni cosa, dalle armi, ai vestiti e perfino al modo di nutrirsi. Come affrontereste la vita se sapeste di essere immortali?
Alcuni potrebbero rinchiudersi in sé stessi, completamente presi da una forma di apatia invalidante. Se la vita è infinita che senso avrebbe impegnarsi in una qualsiasi attività? Dopo aver vissuto per secoli ogni cosa potrebbe perdere di significato. Il tempo scivola via e le azioni finiscono inevitabilmente per essere dimenticate. Studiando la storia la prima impressione che potrebbe afferrarci la mente è che i fatti si ripetono ciclicamente. Gli esseri viventi ripetono gli stessi errori, continuamente, all’infinito… tanto vale allora non agire affatto, no?
Questa mentalità da ignavi potrebbe interessare la fetta più ampia della società elfica, quella antica, che finisce per divenire schiava della propria conoscenza al punto da smettere di agire e, di fatto, conoscere. Creature più simili agli ent tolkeniani, alberi senzienti così antichi che con il passare del tempo si addormentano per non risvegliarsi mai più. Dopotutto abbiamo detto che gli elfi soffrono al pari degli umani. E noi sappiamo benissimo quanto siamo bravi a farci seghe mentali dalla mattina alla sera. Immaginate di doverlo fare per l’eternità… c’è da uscirne pazzi, come minimo.
“Sembrava vi fosse dietro le pupille un enorme pozzo, pieno di secoli di ricordi e di lunghe, lente e costanti meditazioni; ma in superficie sfavillava il presente, come sole scintillante sulle foglie esterne di un immenso albero, o sulle creste delle onde di un immenso lago. Non so, ma era come se qualcosa che cresceva nella terra quasi in letargo, o consapevole soltanto della propria presenza tra la punta delle radici e quella delle foglie, tra la profonda terra ed il cielo, si fosse improvvisamente destato e ci stesse considerando con la stessa lenta attenzione che aveva prestato ai propri problemi interiori per anni ed anni…”
Il signore degli anelli, Le due torri – J.R.R. Tolkien
Questo potrebbe essere un modo interessante di inserire il concetto di eternità in un’ambientazione: più si è vecchi, più ci si allontana dalla realtà per abbracciare la follia. Elfi antichi, dunque, completamente inerti e più simili alle piante, che lentamente dimenticano ogni cosa, perfino di nutrirsi, fino a lasciarsi morire nella solitudine e nell’indifferenza. Bello, eh?
Le correnti di pensiero però devono essere più di una, devono prendere altre direzioni. Proprio come accade nella realtà. Altrimenti l’ambientazione diventa piatta. Alcuni elfi potrebbero rigettare questo stile di vita da vegetali e dimostrare una forte attrazione per la morte stessa. Cosa c’è di più indimenticabile dell’unico evento in grado di scuotere un’esistenza immortale basata sull’apatia? Le passioni vanno e vengono, così come gli interessi e perfino gli amori, ma la morte resta e lo fa per sempre. L’unica cosa eterna ad esserlo per davvero.
Ed ecco che ci ritroviamo con una società spaccata in due, fra l’antica parte conservatrice e tradizionalista, che si crogiola nella nullafacenza, e la nuova avanzata sovversiva composta da elfi che non tollerano più la noia secolare e che direzionano tutta la loro frustrazione verso la guerra: combattere e morire in azione potrebbe essere l’unico modo per emergere da una realtà sonnolenta, intorpidita.
Gli eserciti degli elfi
Come tradurre le inclinazioni che abbiamo tratteggiato finora nel campo della guerra? Se dovessi scrivere un romanzo fantasy ovviamente indagherei ancora più a fondo l’aspetto mentale prima di avventurarmi in battaglia. Dopotutto ci siamo limitati a buttar giù idee semplici, basate sugli ent tolkeniani, e quindi neppure tanto innovative. Per un articolo come questo però direi che può bastare così. Vogliamo concentrarci più che altro sulla sfera del combattimento, quindi prendiamo per buona l’introduzione e andiamo avanti.
Data una società così frammentata scarterei subito il modello di organizzazione militare industrializzato simile all’esercito romano della media Repubblica (e che invece calzerebbe alla perfezione per la società di un’altra razza fantasy: quella dei nani, che vedremo nel prossimo articolo). Insomma, non riesco a immaginarmi uno stato elfico che si assume l’onere di equipaggiare e rifornire le truppe, come tra l’altro vediamo fare in gran parte dei fantasy e negli stessi film del Signore degli anelli.
L’idea di un esercito di elfi tutti uguali con le armature lamellari dorate, gli scudi, il mantello, lance, spade e archi prodotti in serie non si addice affatto a creature afflitte da un peso così gravoso come quello dell’immortalità. Coloro che vanno in guerra sono individui unici e come tali vogliono distinguersi. In virtù della loro esistenza plurisecolare sono stati in grado di far soldi, chi più chi meno e, cosa fondamentale, sono tutti volontari.
Niente coscrizione obbligatoria, niente arruolamento e addestramento di cittadinanza: il principio della società elfica è quello dell’individualismo e della libertà personale. Ogni elfo deve poter decidere da sé quando morire e se farlo. La motivazione principale infatti è spirituale. Il guerriero elfo combatte e muore perché è ciò che ha scelto di fare ed è ciò che vuole fare. Niente motivi politici o economici. Non hanno bisogno di espandersi o far soldi perché possiedono già tutto ciò di cui hanno bisogno: l’eternità. Cominciate a capire che tipo di apparato militare si sta delineando?
Se dovessi pensare a quali eserciti della storia medievale siano scesi in campo spinti da una volontà prettamente spirituale, non posso fare a meno di pensare al fenomeno delle Crociate. Deus vult! gridava Pietro l’Eremita per arruolare pezzenti d’ogni parte d’Italia e condurli in Terra Santa. E, come vedremo fra poco, calza alla perfezione.
Una guerra santa
Grazie alla motivazione mistico-religiosa, il guerriero elfo imbraccerebbe le armi per andare a combattere i mortali (i nani infedeli? Oppure gli orchi?) e ottenere così la remissione di tutti i peccati. Cosa c’è di meglio di una morte gloriosa? Facile: una morte gloriosa seguita da un’eternità paradisiaca senza più sofferenze.
Ecco che prendono forma gli eserciti degli elfi: mucchi di pazzi catatonici con qualche manciata di guerrieri esperti, ciascuno guidato da un giovane signore feudale, principe, re o perfino un re santo, come lo era Luigi IX dei Franchi. La frammentazione di valori sociali si riflette anche nella politica e nella linea gerarchica militare, ed è per questa ragione che avremo una moltitudine di signori elfi che vogliono comandare. Insomma, una situazione caotica dove ognuno fa un po’ quel che gli pare… esattamente come nelle crociate!
L’analogia con la storia ci permette di caratterizzare il nostro mondo fantasy con delle sfaccettature che difficilmente avremmo immaginato. Gli elfi molto antichi potrebbero risvegliarsi grazie all’azione propagandistica dei signori della guerra, formando orde di elfi poveri e rimbambiti che non hanno fatto altro che vegetare per gran parte della loro esistenza e che sanno a malapena combattere, armati alla buona come lo erano i pellegrini medioevali, proprio come nella Crociata dei poveri.
E’ così che ci apparirebbe il guerriero elfo comune, quello che riempie i ranghi di tutti gli eserciti. Ma, come abbiamo detto, la società è spaccata in due. In mezzo agli antichi rimbambiti si fanno strada i nuovi invasati, gli elfi che non ne possono più di trascinarsi stancamente in una vuota eternità e bramano la guerra.
Costoro possono organizzarsi in truppe meglio equipaggiate, paragonabili agli stipendiarii medievali, ovvero i soldati di professione. E non solo. Fonderanno ordini elitari che fanno della spiritualità lo scopo di un’intera esistenza, ciascuno con una visione del mondo leggermente diversa dall’altro. Esattamente come gli ordini monastico-cavallereschi crociati: dai potenti Templari fino ad arrivare agli ordini minori, come i cavalieri lebbrosi di San Lazzaro.
A margine della moltitudine di elfi poveri e delle disciplinate schiere di guerrieri di professione scenderebbero in campo gli ordini cavallereschi: organizzazioni ricche, che forniscono armi, armature e cavalli ai propri membri e che giustificano la presenza di guerrieri scintillanti nell’ambientazione. Proprio come nei film di Peter Jackson, così siamo tutti contenti. Si tratterebbe però di una minima parte della società, questo è importante tenerlo a mente: pochi guerrieri impegnati nei conflitti più aspri delle zone di confine. Oppure al sicuro in patria, a occuparsi di spostare masse di denaro da un punto all’altro del mondo…
L’equipaggiamento
Finalmente siamo arrivati a definire l’equipaggiamento. Partiamo col guerriero elfo di base: un antico essere rimasto a marcire per troppi anni senza far niente. Anche se in passato era un grande guerriero (o addirittura un signore feudale?) adesso è solo equiparabile al più comune villico medievale che, convinto dal prete della propria parrocchia, molla buoi e aratro per incamminarsi verso la *inserire destinazione fantasy-sacra a piacere*.
Il guerriero elfo di base vestirà dunque una semplice camicia di stoffa lunga sormontata da una tunica imbottita stretta in vita da una cintura. Porterà un lungo mantello di lana sulle spalle, una cuffia o cappuccio imbottito, di stoffa o cuoio bollito e, se le cose gli vanno particolarmente bene, un secondo strato d’imbottitura a proteggere il corpo. Questo è quanto possiamo desumere da un generico villano europeo del XII secolo2. Non c’è da meravigliarsi se la Crociata dei poveri non sia mai giunta a Gerusalemme.
Le armi che porterà con sé il nostro guerriero elfo standard sono quelle facilmente reperibili nella vita di tutti i giorni. Un coltello, di sicuro, e magari un bastone. Altre armi potevano derivare dagli attrezzi agricoli usati nei campi e, a seconda dei casi, uno scudo e una lancia. Anche l’arco e le frecce erano armi abbastanza comuni, e magari vogliamo tenerle per mantenere una traccia di archetipo tolkeniano. In ogni caso tutto dipende dal territorio di provenienza e dai dettagli più specifici che vogliamo inserire.
Ma bando alle ciance e passiamo ora al guerriero elfo vero e proprio, membro di una casta di giovani votati alla guerra. Come combatterebbe verosimilmente una creatura immortale specializzata? Allora per prima cosa direi di prendere per buono l’impiego dell’arco, elemento ormai insito nella definizione stessa di elfo e che, tutto sommato, si giustifica abbastanza bene con la sua mentalità.
Un elfo consacrato alla battaglia cerca una morte che lo liberi dal peso dell’eternità, ma non è mica pazzo (a differenza dei suoi genitori). Sarà lui stesso a scegliere quando morire perché padrone della propria esistenza. Quindi il modo migliore per raggiungere lo scopo è quello di impugnare arco e frecce tenendosi a distanza, nell’attesa di una gloriosa carica a spada sguainata. E va bene, ma di quale tipologia d’arco stiamo parlando?
L’arco del guerriero elfo deve essere necessariamente potente, in grado di contrastare le difese corazzate dei nemici (soprattutto dei nani). Per misurare questo fattore prendiamo in considerazione i moderni test di penetrazione delle armi sulle armature3. Per rompere gli anelli di una buona maglia di ferro rivettata, oltrepassare l’imbottitura sottostante e provocare una ferita grave è necessario un arco di circa 150 libbre di potenza. Il che significa che lo sforzo di tensione della corda equivale a 150 libbre di peso (ovvero 70kg). Tanta roba!
Uno sforzo del genere, intenso e continuativo, può risultare dannoso sul lungo periodo, soprattutto per le articolazioni e le ossa. Dal ritrovamento degli scheletri di alcuni arcieri inglesi che praticavano il tiro con il longbow (uno degli archi più potenti dell’epoca) gli archeologi hanno potuto dedurre quanto fosse logorante per gli arti, specialmente quello preposto alla trazione della corda4. Questo ci regala un bell’elemento di congiunzione con le armate di antichi elfi apatici che hanno scordato come si combatte: oltre a non saper più fare niente è probabile che dopo decenni di tiro con l’arco (secoli?) abbiano completamente consumato le articolazioni del braccio destro! Immortali, sì, ma non invulnerabili… ricordate?
I giovani arcieri elfi che scelgono la via della guerra, a differenza dei loro simili antichi e rimbambiti, sono di conseguenza creature forti, addestrate a tendere archi che molte persone normali probabilmente non riuscirebbero a piegare neppure una volta. E questo si scontra con un altro grande cliché della narrativa, quello che immagina il tiro con l’arco come una disciplina semplice, che chiunque può praticare e che, soprattutto, consente di ottenere risultati tali da perforare le piastre d’acciaio delle armature.
Gli archi da 150 libbre non erano affatto comuni sui campi di battaglia medievali. Anche perché, come abbiamo già detto, le armi non erano tutte uguali e non venivano prodotte in serie come pistole uscite dalla fabbrica Beretta. Ogni arciere aveva il proprio arco, tarato sulla forza di tensione perfetta per lui. A tal proposito voglio riportare un aneddoto storico che vi aiuterà a comprendere meglio di cosa stiamo parlando.
Durante la Terza Crociata, in un episodio che vide coinvolti i due personaggi più famosi dell’epoca, Riccardo Cuor di Leone e Saladino, le armate cristiane si trovavano in marcia verso Arsuf. Un cronista arabo racconta così la tranquilla passeggiata sotto le frecce avvenuta il 31 agosto 1191.
“Scagliarono una moltitudine di frecce contro di loro per infastidirli e costringerli a ingaggiare battaglia, ma non ebbero successo. I guerrieri franchi esercitavano un meraviglioso autocontrollo e se ne andarono senza alcuna fretta…”
Dalla biografia di Saladino, di IBN SHADDĀD, XII secolo5
Questa è la dimostrazione di quanto siano inefficaci frecce scagliate da archi poco potenti (magari con la punta sbagliata?) quando il nemico è coperto di ferro. Molti crociati infatti portavano una spessa giubba imbottita sopra l’armatura ad anelli rivettati: un livello di protezione che garantiva una difesa impenetrabile per le armate del Saladino. Lo stesso cronista racconta che le aste delle frecce si erano conficcate in gran numero nelle giubbe del nemico e, ciononostante, quegli uomini continuavano a marciare al passo, illesi6.
Attenzione però. Adesso che abbiamo compreso quanto fossero resistenti le maglie di ferro non dobbiamo fare l’errore opposto: pensare che l’arciere non uccidesse mai nessuno. Si tratterebbe di una deduzione del tutto sbagliata. Ricordiamoci che nel Medioevo non tutti indossavano armature di ferro, che le armature di ferro non sempre proteggevano il 100% del corpo, e che il morale degli uomini poteva scendere fin sotto i piedi se esposti a una pioggia di frecce. E poi i cavalli, le diverse tipologie di frecce, la condizione del campo… insomma, cerchiamo di usare il cervello e non saltare alle conclusioni.
Un altro episodio simile avvenne in quello definito dagli storici come il primo contatto fra crociati e saraceni in campo aperto, nella battaglia di Dorylaeum7. Tuttavia l’esito fu completamente diverso.
“Gli squadroni turchi attaccarono immediatamente la nostra armata, tirandoci addosso un’ampia nuvola di frecce che piombò dal cielo come grandine. I nostri soldati dovettero guardare i loro cavalli cadere senza poter far niente per proteggerli. Tentarono di lanciarsi alla carica contro il nemico, ma i turchi si ritirarono immediatamente. Non essendo riusciti a ingaggiare il nemico, i nostri furono costretti a tornare indietro. A quel punto però i turchi ricominciarono con un’altra pioggia di frecce…”
Cronaca di William of Tyre, giugno 1097
In conclusione, il tipo di arco che mi sentirei di consigliare per il guerriero elfo è quello composito, in legno e corno, di cui abbiamo vari esempi archeologici che arrivano a 150 libbre e perfino oltre. Come riferimento voglio citare gli esemplari turco/ottomani conservati presso il Topkapi, Palace collection: nel museo ve ne sono ben 39, tutti diversi fra loro. La cosa interessante è che almeno dieci di essi superano le 150 libbre, fra i quali spicca un bestione da 240 libbre (più di 100kg!)8. Volendo ottenere un buon livello di realismo, possiamo far sì che i nostri guerrieri elfi restino attorno alle 150 libbre di media, con minimi di 100 e massimi di 200, a seconda dei casi. Non c’è bisogno di esagerare, suvvia. Che poi, non saprei nemmeno dire se quell’arco da 240 libbre fosse effettivamente usato in guerra.
Il modello turco-ottomano di cui stiamo parlando non supera i 110 centimetri di lunghezza, perciò se dovessimo descriverlo durante una partita a Dungeons and Dragons lo chiameremmo arco corto. Vi starete chiedendo perché non ho scelto il classico longbow inglese alto fino al mento alla Robin Hood. Semplice, perché voglio che i nostri elfi siano arcieri a cavallo.
Proprio come gli arcieri a cavallo tanto famosi per aver fatto penare i crociati in Terra Santa (quando avevano archi adeguati), gli elfi devono essere maestri di cavalleria e tattica di tiro in sella, in grado di dominare il campo di battaglia e sfiancare il nemico con le loro schermaglie. Sto continuando a nominare i turchi per via dell’arco preso in esame qua sopra, ma sono esistite moltissime altre cavallerie simili, perfino entro i confini europei, come ad esempio gli ungari.
“Gli arcieri ungari (…) erano tanta gente e sì disordinata, che distruggeano amici e nimici, e per gl’Italiani erano chiamati barbanicchi9.”
Giovanni Villani – Nuova Cronica (1348) Libro decimo
Nel Trecento i guerrieri ungari divennero famosi in Italia per via della loro presenza fra le molte compagnie mercenarie che presero d’assalto il Bel Paese. Ultimamente li ho studiati a fondo per via del romanzo che sto scrivendo, ambientato in un’Italia fantastica strapiena di citazioni storiche, perciò sono abbastanza sicuro che possano fornire uno spunto perfetto per il nostro guerriero elfo.
I nativi dell’Ungheria erano europei in tutto e per tutto, vestivano alla moda occidentale e combattevano con spade dritte e archi compositi10. Fra loro però vi erano molti guerrieri ausiliari provenienti dall’Asia Minore, tra cui i tartari e gli stessi turchi. Ecco quindi che si delinea un modello di armata che si avvicina molto al nostro esercito elfico: un miscuglio di etnie addobbate coi più svariati indumenti, dalle tuniche occidentali ai kaftani lunghi fino alle caviglie, dalle cuffie e gli elmi di ferro ai cappelli a punta damascati.
Molti elfi saranno quindi protetti da uno o due farsetti imbottiti, indossati uno sopra l’altro come racconta il Villani nella sua cronaca. Altri ancora, se possono permetterselo, porteranno la maglia di ferro con le maniche lunghe fino ai gomiti. Gli scudi saranno quelli rotondi di fattura mediorientale e gli elmi di ferro a bacinetto migliori avranno il camaglio, un cappuccio in maglia di ferro che protegge testa e spalle.
Cavalieri, signori elfi e i membri degli ordini più importanti indosseranno armature laminari simili a quelle della trilogia de Il signore degli anelli di Peter Jackson. Si tratta di protezioni articolate usate in Medio Oriente e in Asia, costituite da lamine di metallo sovrapposte una sull’altra. Secondo alcuni storici si tratta di protezioni più flessibili, facili da indossare e trasportare delle armature di piastre occidentali11, anche se non amo molto questi paragoni. Anche i cavalli possono indossare armature. Da una semplice coperta imbottita a una a dir poco costosissima armatura di ferro ad anelli rivettati che scende fino alle zampe. Roba per gran signori.
Per concludere abbiamo tenuto in serbo l’oggetto forse più importante della panoplia del guerriero elfo, arma da sempre associata alla cavalleria nel senso lato del termine e ai più alti valori morali di cui può essere degno un uomo, ehm, un elfo: la spada. Che sarà, per forza di cose, una fantastica scimitarra!
Scimitarra turca-ottomana oppure ungara andrà benissimo, perché è proprio il tipo di spada ideale da portarsi a cavallo, con lama marcatamente curva ad un solo filo e impugnatura a una mano. Se preferiamo, possiamo dotare il nostro guerriero elfo di una spada a una mano di gusto occidentale, dritta, alla maniera dei franchi. Non ce lo vieta nessuno, anzi, conferisce l’effetto d’individualismo sfrenato che caratterizza la società di questi particolari elfi.
Una raccomandazione importante riguarda le spade a due mani: scordatevele. Niente spadoni, zweihander o nodachi, soprattutto se volete appiccicarli dietro la schiena. Siamo arrivati fino a qui sani e salvi, senza cliché, e vorrei cercare di mantenere alto l’onore.
Insomma, alla fine siamo riusciti a tenerci molto vicini all’archetipo dell’elfo alla Dungeons and Dragons, vero? A prima vista parrebbe quasi che non sia ambiato niente. La differenza però è enorme e sta nel percorso di documentazione che abbiamo fatto per arrivare fin qui: tutto ha un senso, adesso, e questo personaggio fantastico non è più una figurina bidimensionale priva di accuratezza.
E’ stata lunga, devo ammetterlo, fino a oggi l’articolo più lungo e che ha richiesto il più ampio lavoro di documentazione che mi sia mai capitato di fare qui, sul sito. Ma sono davvero soddisfatto. Anche se non è finita qui. So già che continuerò a tornarci sopra ogni tanto, per sistemare frasi, aggiungere fonti e aneddoti. Perché sono un masochista, fondamentalmente.
Signori e signore, se non volete rischiare di perdervi contenuti come questo e vi piacerebbe leggere le mie storie, quelle vere, date una spulciata al sito e iscrivetevi alla newsletter. Noi ci rivedremo al prossimo articolo, che sicuramente verterà sul nemico numero uno del guerriero elfo: Il guerriero nano.
- Lettera 297 a Mr Rang, agosto 1967, The Letters of J.R.R. Tolkien ↩
- An eleventh-century Anglo-Saxon illustrated miscellany : British Library ↩
- Test di Penetrazione da “Baionette Librarie” https://www.steamfantasy.it/blog/2008/02/23/le-armature-test-di-penetrazione-e-conclusioni/ ↩
- Raising the Dead: the Skeleton Crew of Henry VIII’s Great Ship the Mary Rose, Strickland & Hardy 2005 ↩
- Nome completo: IBN SHADDĀD, Bahā’ ad-dīn Abū ‘l-Maḥāsin Yūsuf ibn Rāfi ↩
- C. OMAN, A History of the Art of War in the Middle Ages ↩
- Cavalry: History of Mounted Warfare, John Ellis ↩
- Ottoman bows: A. Karpowicz, “Ottoman bows — an assessment of draw weight, performance and tactical use,” ↩
- Il termine Barnanicchi indicava i “soldati di Giovanni Babanich o Baba-niz” citati nel Juliani canonici (anno 1310, 19 maggio), termine poi esteso in senso generico ai mercenari dell’est, venuti a combattere in Italia e, più precisamente, in Toscana. ↩
- Chronica de gestis Hungarorum, 1360, pag 119 del Kepes Kronika ↩
- Samurai, Warfare and the State in Early Medieval Japan, Karl F. Friday ↩
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