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2 Marzo 2023

La necromanzia: divinazione ed evocazione dei morti

necromanzia o negromanzia

Articolo del podcast Storia della Magia, episodio 3: Necromanzia o Negromanzia? Storia della forma magica di divinazione divenuta “magia nera”.

L’Aldilà è sempre stato un luogo pieno di “vita”. Conosciamo tutti quelle leggende della mitologia greca che narrano di eroi scesi nell’Oltretomba per una ragione o per l’altra. Ecco, esiste una vera e propria etichetta letteraria per descrivere questo schema narrativo ricorrente ed è catabasi, dal greco, “andar giù“. Ulisse, Eracle, Teseo, Orfeo… più tardi anche il fondatore della città eterna, Enea, Dante Alighieri e molti altri personaggi di molte altre opere: tutti accomunati dalla voglia di farsi una bella scampagnata in mezzo alle anime perdute e alle ossa secche. A margine di questo chiassoso viavai di eroi e poeti però si muovevano dei personaggi decisamente più occulti, oggi ritenuti oscuri, potenti e malvagi. Mi riferisco a coloro che operavano seguendo l’arte magica più macabra di tutte: quella della necromanzia.

Nella seconda metà del II secolo, il padre fondatore della geografia e dell’astrologia Claudio Tolomeo scrisse il trattato sul quale basiamo ancora oggi oroscopi, segni zodiacali e ascendenti: il Tetrabiblos. Nell’ultimo libro di quest’opera, in mezzo a un mucchio di complicati calcoli astrologici per definire i momenti propizi fra le più svariate congiunzioni astrali e planetarie, compare il termine che ci interessa.

Cito dal testo: “Se il settore zodiacale che indica l’attività è occupato dalla Luna che si allontana dalla congiunzione col Sole (…) in Sagittario e Pesci (avremo) necromanti ed evocatori di demoni…”

Evocatori di demoni, necromanti… molto meglio dell’oroscopo in tv. Attenzion, però, a quel “demoni” tradotto in lingua italiana. Nella cultura della Grecia antica il demone era completamente diverso da quello che ci figuriamo noi su base cristiana. Per Socrate il daimon era una guida divina, una sorta di coscienza spirituale, per Platone si trattava di un intermediario fra l’uomo e la divinità. Niente coda, ali di pipistrello, zoccoli e corna caprine.

Il Necromante contenuto nel Tetrabiblos è una delle prime attestazioni del termine di cui siamo a conoscenza. Il termine Necromante deriva da necros, (morto) e manteia, (divinazione): ovvero la divinazione dei morti. 

Esistevano varie tipologie di divinazione nel mondo antico, molte delle quali legate agli elementi. L’autore romano Varrone distingue i quattro tipi principali: aria (aeromanzia), acqua (idromanzia), terra (geomanzia), fuoco (piromanzia).

Tramite la lettura di elementi sacrificali, avvolti dalle fiamme nel caso della piromanzia o immersi nell’acqua nel caso dell’idromanzia, i sacerdoti e le sacerdotesse delle religioni greco-romane erano in grado di predire gli eventi futuri. Esattamente come avveniva nel caso della necromanzia, il cui elemento di sacrificio divinatorio era proprio il cadavere.

Il fatto che il termine necromante compaia per la prima volta nel Tetrabiblos però non significa che il concetto sia nato con esso. Vi è un termine più antico, che è Nekya, il cui significato si avvicina a quello di “interrogazione dei morti”, e un altro ancora più antico, risalente alle opere di Eschilo del V secolo Avanti Cristo: la psicagogia.

Gli psicagogoi erano gli evocatori di ombre, o spiriti dei defunti, spesso tradotti semplicemente come “evocatori” in italiano. La Psicagogia è l’arte di dar pace ai morti che, paradossalmente, devono prima essere evocati per essere riappacificati. Una delle forme necromantiche da considerarsi all’origine della magia nera.

Un episodio analogo alla necromanzia greco-romana proviene dallo stesso racconto biblico, e più precisamente in un testo religioso scritto all’incirca nel V secolo avanti Cristo, condiviso sia dalla religione cristiana che da quella ebraica. Si tratta del libro di Ezechiele, in cui il profeta ci racconta della sua visione, ritrovatosi improvvisamente in una valle piena di ossa secche: ossa appartenute al popolo d’Israele, e secondo alcune interpretazioni divenute secche per il loro allontanamento da Dio.

Cito dal testo: “La mano dell’Eterno fu sopra me, mi portò fuori nello Spirito dell’Eterno e mi depose in mezzo a una valle che era piena di ossa. Quindi mi fece passare vicino ad esse, tutt’intorno; ed ecco, erano in grandissima quantità sulla superficie della valle; ed ecco, erano molto secche.”

Una valle piena di ossa secche, immobili, ovviamente. Ma la potenza divina è infinita e al pronunciarsi della Sua voce le ossa cominciarono a ricomporsi sotto lo sguardo terrorizzato di Ezechiele, andando a formare una moltitudine di corpi senza vita: una scena che sembra provenire dal film “l’armata delle tenebre” di Sam Raimi.

Questo episodio, passato alla storia come “Visione della valle delle ossa secche”, in realtà è una testimonianza della misericordia divina, in grado di resuscitare interi eserciti non solo come scheletri vuoti, ma veri e propri esseri umani coperti di muscoli, carne, pelle e vita.

La necromanzia, però, non è da confondersi con la negromanzia, un termine diffuso a partire dal Medioevo per indicare un concetto generico di magia nera: che invece di derivare dal greco “necros” deriva dal latino “nigrum”, che significa, appunto, nero, oscuro.

In film, romanzi, videogiochi e giochi di ruolo si utilizzano indistintamente i due termini necromante e negromante, senza sapere che l’uno e l’altro rispecchiano epoche diverse. Nel mio romanzo, ad esempio, La Stirpe delle Ossa, è più adatto il termine negromanzia, visto che l’ambientazione è un medioevo italiano trecentesco, dove il latino fa da radice etimologica.

L’aspetto oscuro di una tale pratica magica, però, era già presente nell’Età Antica, come abbiamo visto con la strega di Tessaglia, Erichto. La quale arriva a minacciare gli dèi del sottosuolo, per compiere un rituale a cui neppure il defunto vuole partecipare. Poiché gli spiriti, come descritto nell’opera di Lucano, sono terrorizzati al pensiero di tornare nelle proprie membra ferite, nelle viscere e negli altri organi squarciati, rinunciando al vero vantaggio della morte: ovvero, il fatto di non poter più morire.

Per ottenere una profezia attraverso la bocca del defunto, Erichto è costretta a promettergli una grande ricompensa: renderlo immune agli incantesimi tessalici per sempre. Dopo la divinazione, infatti, la necromante arderà il corpo con un rituale magico, facendo sì che formule, scongiuri, invocazioni o filtri non spezzino mai più il suo sonno.

La necromanzia, al pari delle altre divinazioni, necessita quindi di un sacrificio, elemento presente in molti riti magici antichi, alcuni dei quali appartenenti a culture che mai assoceremmo a simili pratiche, spesso attribuite a popoli barbarici, spietati, lontani dai modelli di civiltà che hanno fondato la nostra cultura.

Tuttavia, è proprio attraverso la storia della civiltà antica più idealizzata, che proviene una pratica d’immolazione dai toni estremamente sanguinosi, vicini alle pratiche di magia nera medievale. Agli albori della Res Publica, gli eroi di Roma, potevano infatti ricorrere a una forma di devozione tra le più alte, in grado di elevare l’uomo al cospetto degli dèi.

Di sacrifici nella Roma Antica, ne parlerò nel prossimo episodio. Ascolta il podcast Storia della Magia, se vuoi scoprire le vere origini della magia a partire dalle fonti storiche.

Lorenzo Manara
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