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8 Marzo 2023

La carica dei morti di Osowiec

carica dei morti

Quando i russi sfigurati da un bombardamento chimico lanciarono un ultimo disperato attacco: la carica dei morti di Osowiec del 1915

“Non avevamo maschere antigas, quindi fummo colti da terribili ustioni. Ci mancò il respiro, il sangue cominciò a fuoriuscire dai polmoni. La pelle delle mani e del viso era piena di vesciche. Ci coprimmo il volto con stracci e bende, ma non serviva a niente. L’artiglieria iniziò a battere il campo nemico, bombardando oltre la nuvola di cloro verde. Quindi l’ufficiale Svechnikov, tremando per la terribile tosse, disse: “Amici miei, non morite così, come scarafaggi prussiani. Fate che il ricordo di voi, sia per sempre.”

Aleksey Lepeshkin, sull’episodio della carica dei morti di Osowiec

Nel corso della Grande Guerra, tra il 1914 e il 1918, sul cosiddetto Fronte orientale si disputava uno scontro fra imperi: quello tedesco del kaiser Guglielmo II e quello russo dello zar Nicola II. Uno scontro lontano da quel Fronte occidentale, dove si moriva in trincea per la conquista di pochi metri di terra fangosa cosparsa di sangue e cadaveri. A oriente le cose erano diverse. Le grandi foreste della Lituania non erano adatte a una statica guerra di posizione, così come le vaste pianure della Polonia, dell’Ucraina e della Russia, oltre agli acquitrini, le paludi e le steppe: territori così vasti e difficili da non poter essere saturati di uomini, e per questo oggetto di grandi manovre, come le operazioni militari che i tedeschi, a partire dal 1914, condussero verso est.

La fortezza di Osowiec era uno degli obiettivi da neutralizzare per rompere gli sterminati confini russi. Tale fortezza si trovava in mezzo ai due imperi: luogo strategico per via della vicinanza con i fiumi e le linee di comunicazione e rifornimento. Per questo i tedeschi dettero fondo a tutta la loro potenza per riuscire nell’intento di spezzare questa roccaforte russa: i battaglioni di fanteria dell’VIII armata tedesca lanciarono una massiccia offensiva, spingendosi a portata di cannone per dare inizio al bombardamento.

Dal settembre del 1914 al luglio del 1915, la fortezza di Osowiec fu tempestata da centinaia di migliaia di colpi d’artiglieria pesante e milioni d’artiglieria leggera. Un vero inferno che decimò i difensori e distrusse parti del complesso fortificato, rendendo quei luoghi una distesa di macerie tra le trincee. Tuttavia, nonostante un così duro bombardamento, l’Impero russo poteva sempre contare sul suo vero punto di forza: l’enorme, e quasi infinito, numero di uomini da poter schierare, massacro dopo massacro. Oltre che l’indomito coraggio, sempre glorificato nelle fonti propagandistiche.

Di fronte a una tale barriera all’apparenza insormontabile, all’inizio di luglio del 1915 il feldmaresciallo tedesco von Hindenburg, colui che di lì a qualche anno sarebbe divenuto presidente del Reich, decise di guidare un assalto senza precedenti, concentrato esclusivamente su quella fortezza1. 14 battaglioni di fanteria e 30 cannoni d’artiglieria, per un totale di quasi 8000 uomini. Una forza d’assalto formata per un unico obiettivo: Osowiec e i suoi difensori. I quali, però, non arrivavano a un migliaio di uomini. La fortezza russa era infatti difesa da una manciata di compagnie del 226° reggimento di fanteria Zemlyansky coadiuvate da poche altre compagnie di miliziani. Una situazione di estremo svantaggio che, assieme alla scarsità di equipaggiamenti, si rivelò fatale.

Perché per essere sicuro di strappare dalle mani dei russi quell’importante fortezza, il feldmaresciallo von Hindenburg si affidò alla guerra chimica, ovvero a un terribile bombardamento di gas: sapeva che i russi di Osowiec erano privi di sufficienti dotazioni di maschere antigas, mentre le sue 30 batterie d’artiglieria potevano contare su una disponibilità di diverse migliaia di bombole di cloro. Dopo aver atteso il vento favorevole per non finire colpiti dal loro stesso micidiale attacco, i tedeschi diedero inizio al bombardamento.

“Circa alle 4 del mattino i tedeschi emisero una nuvola di gas asfissiante e dopo averne atteso gli effetti lanciarono un feroce attacco, principalmente contro i settori 1, 2 e 4 della posizione di Sosnia. Allo stesso tempo, il nemico aprì il fuoco sul forte di Zarechny, sulla posizione di Zarechnaya e sulla strada che conduceva da quest’ultima alla posizione di Sosnia. A causa dell’intossicazione di massa di quasi tutti i difensori dei settori 1, 2 e 4, questi settori, nonostante tutte le misure prese, furono occupati dal nemico.”

Diario dell’unità Zemlyansky del 226° reggimento di fanteria

Alle 4 del mattino del 6 agosto 1915, i tedeschi bombardarono la fortezza di Osowiec con le armi chimiche, nello specifico il cloro e, secondo alcuni, il bromo. Il cloro è un gas di colore verde-giallastro, molto velenoso, che se respirato ad alte concentrazioni provoca vere e proprie ustioni. I polmoni bruciano, causando il soffocamento e la morte per lesioni interne. 

In 5-10 minuti, le prime postazioni difensive della fortezza furono avvolte da una nebbia venefica ampia 3km, che in poco tempo, trasportata dal vento, raggiunse gli 8km di ampiezza e più di 20km di profondità. Tutto ciò che era vivo nella zona della morte, si appassì.

“le foglie sugli alberi diventarono gialle, si arricciarono e caddero, l’erba divenne nera e uno strato di cloro di colore verde intenso si depositò su tutti gli oggetti in rame, parti di pistole, cartucce, ecc…”2.

Del 226° reggimento di fanteria Zemlyansky, tre compagnie furono sterminate: la 9ª, la 10ª e la 11ª. Il gas, nel punto in cui era alla sua massima concentrazione, non lasciava scampo. Della 1ª compagnia sopravvissero 60 uomini con due mitragliatrici. Della 12ª compagnia, invece, rimasero 40 uomini con una sola mitragliatrice. In tutto, compresi gli ausiliari miliziani, tra le macerie di Osowiec avvolte dalla nebbia verde-giallastra rimasero solo 100 soldati.

Il feldmaresciallo von Hindenburg, venuto a sapere dell’efficacia dell’attacco chimico, ordinò quindi l’assalto finale. Non appena il gas si dissipò nell’aria, i 14 battaglioni tedeschi, con le maschere antigas indosso, si mossero per occupare le postazioni russe che credevano sguarnite. Ma quel che videro una volta raggiunto l’obiettivo li lasciò sgomenti. Una visione che ricalcava le leggende antiche e medievali, quando le armate spettrali camminavano sulla terra. Perché i russi, nonostante tutto, erano in marcia, riemersi direttamente dall’Inferno.

I pochi sopravvissuti al micidiale gas, erano infatti usciti dalle postazioni, fucili in pugno e baionette innestate, per lanciare un’ultima disperata carica. 100 uomini avvelenati, coperti di piaghe e ustioni, con le vesti zuppe del loro stesso sangue, pronti a immolarsi in uno scontro frontale alla baionetta. Una gloriosa carica dei morti, come fu definita tempo dopo, dai rimandi letterari che ricordano la devotio romana di Publio Decio Mure, il sacrificio di Orlando dei Franchi, del bardo Aneirin dei Britanni e quello di Tagliaferro dei Normanni. 100 uomini che andavano incontro alla morte, e alla vendetta.

Come descrisse tempo dopo un testimone dell’accaduto, al quotidiano Russkoye Slovo:

“Non saprei descrivere la rabbia con cui i nostri soldati hanno marciato contro gli avvelenatori tedeschi. Nessun fuoco di sbarramento, di fucile o di mitragliatrice, poteva fermare l’assalto di soldati infuriati. Esausti, avvelenati, caricavano al solo scopo di schiacciare i tedeschi. Non c’erano passi indietro, e nessuno aveva fretta. Non c’erano eroi isolati, ma le compagnie attaccavano come una sola persona, animata da un solo obiettivo, un pensiero: morire vendicandosi di meschini avvelenatori.”

La 13ª compagnia guidata dal sottotenente Kotlinsky, che aveva perso la metà degli uomini per via dell’attacco coi gas, si spinse fuori dalle trincee della fortezza di Osowiec. I tedeschi spararono contro di loro, ma non riuscirono a fermarli. Tra i rantoli e i colpi di tosse, i morti redivivi giunsero a portata di baionetta, affondando il ferro nelle membra dei maledetti avvelenatori, i quali non riuscirono a fare altro che darsi alla fuga.

“Le batterie di artiglieria di guarnigione, nonostante le perdite significative dovute all’intossicazione, iniziarono a sparare e presto il fuoco di nove batterie pesanti e due leggere rallentò l’avanzata del 18° reggimento Landwehr e interruppe la riserva principale (il 75° reggimento Landwehr). Il direttore del 2° dipartimento della difesa ha inviato l’8a, la 13a e la 14a compagnia del 226 ° reggimento di fanteria Zemlyansky dalla posizione di Zarechnaya per un contrattacco. La 13a e l’8a compagnia, avendo perso fino al 50% a causa dell’intossicazione, si schierarono da entrambi i lati della ferrovia e lanciarono un attacco; la 13a compagnia, dopo aver incontrato parti del 18° reggimento Landwehr, caricò con la baionetta, gridando “Evviva”. Questo attacco di “uomini morti” colpì così tanto i tedeschi, che non accettarono la battaglia, ma si precipitarono indietro e molti tedeschi morirono a causa dei colpi di artiglieria della guarnigione nell’intrico di filo della seconda linea di trincea. Il fuoco dell’artiglieria di guarnigione, concentrato sulla prima linea di trincea (il cortile di Leonov), fu così fitto che i tedeschi non accettarono la battaglia e si ritirarono precipitosamente.

Khmelkov, Sergey Alexandrovich, The struggle for Osovets, Military Publishing, 1939

“Avendo ricevuto dal Capo del 3° Battaglione, Capitano Potapov, un rapporto in merito (si intende presa in carico della 1ª linea difensiva), secondo il quale i tedeschi, occupate le trincee, continuano ad avvicinarsi al torre e sono vicini alla riserva. Il Comandante di Reggimento ordinò immediatamente all’8a, 13a e 14a compagnia di marciare fuori dal forte verso la posizione di Sosnia e lanciare il contrattacco, allontanare i tedeschi dalle nostre trincee, inoltre la 13a compagnia fu inviata lungo la ferrovia al 1° settore, l’8a compagnia al 2° settore, la 14° azienda al 3° e 4° settore della posizione Sosnia. Dopo che la 13a compagnia, guidata dal sottotenente Kotlinsky, lasciò la torre, fu dispersa da fitti colpi di arma da fuoco e avanzò lungo la ferrovia verso le truppe tedesche in avvicinamento. Quando a circa 400 passi dal nemico, la compagnia, guidata dal sottotenente Kotlinsky, si precipitò in avanti e spostò i nemici dalla loro posizione con un attacco alla baionetta, facendoli scappare… Senza sosta la 13a compagnia continuò a inseguire i nemici e l’uso delle baionette li ha spostati dalle trincee del 1 ° e 2 ° settore delle posizioni di Sosnia. Abbiamo rioccupato quest’ultimo e restituito l’arma antiassalto e le mitragliatrici. Al termine di questo audace attacco il sottotenente Kotlinsky fu ferito a morte e passò il comando della 13a compagnia al sottotenente della 2a compagnia di combattimento del genio Osovets Strezheminsky, che portò a una conclusione trionfante l’impresa del sottotenente Kotlinsky.”

Diario dell’unità Zemlyansky del 226° reggimento di fanteria

Il sottotenente Kotlinsky guidò la 13ª compagnia fino alla trincea nemica, cacciando i tedeschi e recuperando armi e mitragliatrici per stabilire nuovamente il pieno controllo della fortezza. La carica dei morti aveva colto impreparato il nemico, che tra lo sgomento e la sorpresa preferì ritirarsi, piuttosto che ingaggiare battaglia all’arma bianca con quei dannati fuoriusciti dall’Oltretomba.

La ritirata si trasformò presto in una rotta disastrosa, poiché l’artiglieria russa scampata all’attacco coi gas cominciò a bombardare la prima linea tedesca. I 14 battaglioni del feldmaresciallo von Hindenburg furono massacrati durante la fuga attraverso la terra di nessuno, tra le voragini e il filo spinato.

Alle 11 di mattina tutto era concluso. Osowiec aveva resistito.

“In totale la 13a compagnia catturò 25 soldati, munizioni, pistole e attrezzature. La 13a compagnia ha inflitto pesanti perdite di morti e feriti al nemico. Intanto la 14a compagnia al comando del maresciallo Tidebel, inviata a riguadagnare posizione sul fianco sinistro della postazione di Sosnia, giunta al 3° settore, rimasto nelle nostre mani, diviso in due parti. La prima metà insieme alla metà della 12a compagnia sotto il comando generale del sottotenente Gaglokov percorse la trincea di comunicazione verso la 4a sezione (villaggio di Sosni) e dopo un’ostinata battaglia i tedeschi furono spostati da questo punto della posizione di Sosnia con un attacco alla baionetta. E abbiamo catturato 15 soldati, molte munizioni, pistole e cavo telefonico da campo. Così, alle 8 abbiamo ripreso il controllo delle posizioni avanzate della torre.”

Diario dell’unità Zemlyansky del 226° reggimento di fanteria

Tra le centinaia di perdite russe, si attesta la morte di 7 ufficiali, tra cui vi era anche il sottotenente Kotlinsky, ucciso al termine della sua impresa eroica alla testa della 13ª compagnia. Il 26 settembre 1916 fu insignito post mortem dell’Ordine di San Giorgio.

La carica dei morti è un macabro episodio della Prima Guerra Mondiale tornato alla ribalta recentemente grazie alle drammatiche testimonianze di parte russa, che potrebbero essere considerate alla stregua di propaganda vista la scarsità di testimonianze della controparte tedesca. Una scarsità, a dire il vero, che potrebbe essere giustificata proprio dall’orribile uso delle armi chimiche, che di certo non invogliano a parlare di un massacro così spietato, specialmente da parte di coloro che ne hanno fatto uso.

Un episodio, quello della carica dei morti, di scarsa rilevanza strategica, poiché dopo aver resistito così faticosamente, i russi decisero comunque di abbandonare quella fortezza, poche settimane dopo. Resta soltanto il racconto di un’eroica tragedia, che ancora una volta testimonia gli orrori della guerra, dove il coraggio e il valore si scontrano con la crudeltà più abietta, spesso, senza alcuna possibilità di sopravvivenza.

Se questa storia ti ha appassionato, seguimi: così non perderai l’occasione di vivere le prossime Leggende Affilate.

  1. Diario dell’unità Zemlyansky del 226° reggimento di fanteria, Archivio militare statale russo
  2. European researcher. 2011. № 12 (15). «Dead Men Attack» (Osovets, 1915): Archive Sources Approach
Lorenzo Manara
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