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3 Ottobre 2023

Esorcismo nel medioevo: 3 assurdi casi di possessione demoniaca

esorcismo nel medioevo

3 autentiche storie di possessione demoniaca e di esorcismo medievale riprese dalle antiche cronache

Fin da quando negli anni ‘70 fu ritrovata in uno sperduto sito archeologico la statuina del demone Pazuzu, e le bambine americane hanno iniziato a giocare con pericolosi strumenti da medium nella loro cameretta, il mondo si è appassionato alle paurose storie che riguardano l’eterna lotta tra il Diavolo e l’esorcista. Infatti, quello di Pazuzu e della bambina che scende a patti coi demoni è l’incipit del film “L’Esorcista”, ripreso da un romanzo: capostipite di un filone narrativo ancora oggi florido, basti pensare al recente ed ennesimo sequel dell’Esorcista, che come tutti gli altri, ovviamente (sennò non starei qui a parlarne) deriva dal folclore antico e medievale.

Per questo, oggi voglio raccontare 3 casi di possessione demoniaca ripresi dalle antiche cronache, a cominciare dal “De septem donis Spiritus Sancti” (Sui sette doni dello Spirito Santo) o più conosciuto come “Tractatus de diversis materiis praedicabilibus” (Trattato su vari materiali di predicazione), scritto nella seconda metà del Duecento da Étienne de Bourbon (Stefano di Borbone), un inquisitore domenicano francese interessato alla superstizione e all’eresia.

Stefano ci racconta che in Bretagna una certa donna aveva perso due figli dopo che ciascuno di loro aveva compiuto un anno. La causa di queste morti infantili, a detta degli abitanti del luogo, era dovuta al Diavolo, che si divertiva a prendere le sembianze di donne che cavalcavano lupi e, col permesso di Dio, selezionava le famiglie la cui fede religiosa non era adeguata, trucidandone la prole. Tali donne sterminatrici di bambini, adepte del Diavolo, che cavalcavano lupi, vengono definite nel testo in latino guarda un po’, col nome di striges. Ed ecco che salta fuori una connessione con le streghe del folclore greco-romano divenute parte della religione cristiana con una nuova sfumatura concettuale: non più orride streghe perché sì, ma adepte del Maligno, e quindi possedute dal Diavolo.

Questo è uno degli innumerevoli tentativi da parte degli uomini di Chiesa di mantenere le antiche superstizioni popolari riadattandole per aderire meglio alla dottrina. Perché sarebbe stato pressoché impossibile sradicare il vasto insieme di miti e leggende che da secoli facevano parte della cultura occidentale. Dunque, l’unico modo per imporre la nuova religione monoteistica era quello di inglobare il paganesimo pezzetto dopo pezzetto, assorbendo, rielaborando, in un processo costante e pervasivo di rieducazione. I santi presero il posto delle divinità, le reliquie sostituirono i primitivi feticci, e pure le feste tradizionali cambiarono veste: il tutto mantenendo quasi inalterata la percezione mistica del popolo, che aveva bisogno di quegli elementi di fede, e che poté ritrovarli anche nella nuova religione, ottenendo così una rivoluzione spirituale più graduale, meglio digeribile e, in effetti, molto efficace.

Una lenta rivoluzione che si è protratta a lungo, in maniera disomogenea nel territorio, e che ha permesso la coesistenza di fede e magia nella vita quotidiana delle persone, chi più, chi meno. Proprio come avviene ne “La Stirpe delle Ossa” e nel mio ultimo romanzo di prossima uscita “La Canzone dei Morti”, dove in un’Italia trecentesca dilaniata da guerre ed epidemie, si fanno largo spaventose superstizioni che diventano reali, come lo erano nel Medioevo e nell’Età Antica, per tutti coloro che ci credevano, stando alle cronache.

In ogni caso, quella donna bretone che aveva già perso due figli, non volle arrendersi al Diavolo. Poiché dopo aver partorito il terzo figlio, decise di armarsi contro le striges cavalca-lupi e difendere la vita del pargoletto. Armarsi con quello di cui disponeva in casa, ovvero il coperchio di ferro di una pentola. Sembrerebbe che il piano della donna fosse quello di lasciare la pentola sul fuoco, ogni notte, chiusa dal coperchio, per arroventare bene il metallo, e attendere così l’arrivo della strix per schiantarle in faccia proprio il coperchio. Cosa che avvenne.

Una notte la porta chiusa dell’abitazione fu spalancata dall’arrivo di una vecchia a cavallo di un lupo, che la donna riconobbe come sua vicina, ovvero una delle vecchie di quel posto. Non appena questa strega cavalca-lupi si avvicinò al bambino, la donna prese il coperchio, immagino con un panno o qualcosa di simile, e glielo menò in faccia. La vecchia si ustionò in viso e fuggì con un grido. A quel punto, il giorno dopo, avvertiti i funzionari locali, la donna sporse denuncia e accusò la vicina d’aver assassinato i suoi due figli e aver tentato di fare lo stesso con il terzo.

A seguito dell’accusa, le guardie raggiunsero la casa della suddetta vecchia, e vedendo che nessuno apriva la porta, la sfondarono per trovarsi dinnanzi al volto sfigurato dalla bruciatura di quella che a tutti gli effetti doveva essere la strix. La voce si sparse per quelle terre, e giunse sul posto persino il vescovo, vero protagonista di questo episodio, poiché esperto inquisitore ed esorcista. Durante l’interrogatorio, infatti, la vecchia si ostinava a negare il suo coinvolgimento negli infanticidi, e il vescovo mise in piedi un esorcismo per indurla a confessare.

Per prima cosa scongiurò il demone di rivelare sé stesso. E dopo che ebbe pronunciate le parole di rito, che non vengono riportate nel testo, si trovò effettivamente dinnanzi a un demone. Qui il passaggio si fa un po’ oscuro, e non si capisce se il demone sia comparso dal nulla o se si sia tolto di dosso la pelle bruciata della vecchia, come una sorta di abito, per mostrarsi in maniera molto scenografica. In ogni caso, il vescovo gli comandò di rivelare la natura dei fatti, e il demone spiegò che aveva agito per conto d’Iddio, come specificato all’inizio del racconto, e che di conseguenza la donna se lo meritava poiché era stata di “poca fede”.

Finisce così, questo exempla dottrinale, che ci dovrebbe insegnare ad avere fede, essere dei buoni cristiani, perché sennò passano le striges cavalca-lupi possedute dal Diavolo che ci ammazzano tutti: fine.

“Allo stesso modo [il diavolo] si diverte, per mezzo delle striges, quando si trasforma nelle sembianze di una donna che cavalca un lupo e, con il permesso di Dio e la richiesta dell’infedeltà dei genitori, uccide i bambini piccoli nel corpo. A tal proposito, ho sentito dire che nella Piccola Britannia Armoricana una certa donna aveva perso due figli, dopo che ciascuno di loro aveva compiuto il primo anno. Le donne gli dissero che le striges lo fanno bevendo il loro sangue. E quando lei credette loro, disse loro che, dopo aver messo al mondo il terzo figlio, avrebbe vegliato tutta la notte per tutto l’anno, tenendo vicino al bambino un coperchio di ferro con cui avrebbe coperto la pentola sul fuoco, in modo che quando fosse arrivata la striges, le avrebbe impresso il volto col ferro caldo, affinché lo si sapesse al mattino. Mentre ciò faceva, verso mezzanotte, vide entrare dalla porta chiusa una vecchia che gli era vicina, cavalcando un lupo, che si avvicinò alla culla del bambino; e la donna, fingendo di dormire, prese [il ferro] e glielo sbatté in faccia, la quale [vecchia] si ritirò con un gran grido. Già al mattino, dopo aver convocato i vicini e gli ufficiali giudiziari del paese, sporse loro denuncia. Ed essi, giunti alla porta della vecchia, e trovandola chiusa, e non trovando nessuno che la aprisse, la ruppero, e rapirono la detta vecchia, che aveva una guancia bruciata. Il ferro applicato sulla ferita provava che l’accusa del delitto corrispondeva alla verità. Ma la vecchia negò tutto ciò che era stato detto, dicendo che non era a conoscenza del crimine che le era stato imposto. Il vescovo, udito ciò, e conoscendo la coscienza di detta donna, scongiurò il demone che era stato l’agente di questo atto, di rivelare se stesso e l’atto. Quindi il demone, trasformandosi in uno stato simile al vecchio, rimosse urgentemente la pelle bruciata dal viso del vecchio davanti a tutti e se la mise addosso, e rivelò a tutti con parole e azioni la sua frode e il motivo.”

Étienne de Bourbon, ed. de la Marche, in Anecdotes historiques, 321–22

In un’altra occasione, l’autore francese Stefano di Borbone ci racconta di una donna sterile che credeva d’essere stata colpita da tale condizione per una causa divina. Quindi, come da perfetta tradizione dei film di paura, si rivolse ai demoni per fare un patto col Diavolo e ottenere la capacità di procreare. Accadde che la donna riuscì nel suo intento, si ritrovò in dolce attesa e partorì un bel bambino. Lo portò a battesimare, ma il sacerdote, che era un esorcista, si accorse che c’era qualcosa che non andava.

Il sacerdote vide l’impronta del Maligno, su quel bambino. Quindi compì il rito di esorcismo ed esortò il Diavolo a uscire. Fu a quel punto che dal corpicino del bimbo, fuoriuscì un enorme serpente. Una scena trash al punto giusto, perfetta per un film di paura. Stefano di Borbone ci sa fare come narratore, e lo dimostra tramite questo secondo, breve quanto intenso, exempla. Darei qualsiasi cosa per vedere la reazione di un lettore del XIII secolo che si ritrova un testo simile sotto gli occhi. Anche se, sono pronto a credere, che un abitante medio del periodo fosse meno propenso a indignarsi, rispetto a un moderno abitante del nostro tempo, vista la facilità con cui ci scandalizziamo oggigiorno, per qualsiasi cretinata.

“Ho anche sentito dire che una donna, giunta a una causa divina che respingeva la sterilità, e avendo giurato sui demoni che le procuravano, concepì e partorì. E mentre il bambino veniva portato al battesimo, dopo essersi detto esorcizzato dal sacerdote, dal corpo del bambino uscì un enorme serpente.”

Étienne de Bourbon, ed. de la Marche, in Anecdotes historiques, 321–22

Per concludere con la terza storia d’esorcismo torniamo in Italia grazie alla penna di una nostra vecchia conoscenza, frate Salimbene, che nella sua cronaca non manca di menzionare altri frati suoi colleghi, specializzati “nell’inquisitio”, come tale Filippo “buono ed onest’uomo, e lettore di teologia. Questi fu un tempo inquisitore degli eretici, molti ne imprigionò e molti ne estirpò e cacciò”. Oppure tale Benintendi, nativo di Imola, frate minore e sacerdote a Ravenna protagonista di vari e avventurosi esempi d’esorcismo.

Benintendi era un gradito confessore, che ogni notte faceva trecento genuflessioni per penitenza e digiunava sempre; a detta di Salimbene digiunava ogni giorno “per tutto il tempo della vita sua”. Un digiuno, ovviamente, non completo, limitato presumibilmente al classico “pane e acqua” e cose simili. Insomma, Benintendi era un frate devoto, ben considerato da tutti. Per questo, un giorno gli condussero una donna che, a detta della gente, era stata invasa dal Diavolo. Il frate scongiurò l’empio demone e quest’ultimo “se ne volò via confuso e deluso con grida di pianto e di dolore”. La donna fu quindi liberata per sempre, grazie a un esorcismo rapido ed efficace. 

Anche Salimbene, come il francese di Borbone, condivide l’idea che il Diavolo agisca e invada l’umanità col permesso di Dio. Infatti, per spiegare come mai i demoni si divertano a irrompere nell’animo umano, il frate cita san Francesco, il quale avrebbe detto, secondo lui, che “I diavoli sono i gastaldi del nostro Signore, destinati a tenere gli uomini in guardia da sé stessi”. Il gastaldo era colui che si occupava della sicurezza e del mantenimento del castello, alle dipendenze del signore: un mestiere preso come esempio per spiegare questo argomento dottrinale, coerente con le caratteristiche di un Dio che deve essere onnipotente e onnisciente, che sa tutto, vede tutto, e che quindi necessariamente deve conoscere le malefatte del Diavolo, e permettere che avvengano; perché se l’opera del Diavolo dovesse essere in realtà un’azione sfuggita al controllo divino, allora tale dio non potrebbe essere onnipotente e onnisciente, per definizione. Ma mettiamo da parte i garbugli teologici medievali, con i quali si divertivano moltissimo, per proseguire con il vero ultimo episodio di esorcismo che voglio raccontare oggi, vista l’eccessiva brevità dell’episodio di Benintendi, che possiamo considerarlo un extra.

Stavolta l’esperto d’esorcismo è tale fra Guglielmo, sacerdote della diocesi di Parma, nativo del monte Bardone, dove sorgeva il castello di Berceto. Guglielmo si trovò a visitare la moglie del fabbroferraio, una donna che si diceva fosse ossessionata dal Diavolo. Il frate, come da prassi, per prima cosa scongiurò il Diavolo che la invadeva e gli comandò di uscire da quel corpo. Ma stavolta il Diavolo rispose per le rime:

“Uscirò sì da lei, ma io ti ordirò tale una tela, per la quale tu non potrai più molestarmi, né costringermi ad uscire da’ miei abitacoli. Perché sappi già sin d’ora che io farò che tu sia ucciso tra breve, e che tu altri ucciderai.”

Insomma, il Diavolo per vendicarsi dell’esorcista, lo minacciò maledicendolo con una profezia nefasta: terminato il rito di liberazione, Guglielmo non avrebbe mai più potuto scacciarlo dai suoi “abitacoli”, ovvero i corpi posseduti, in cui andava ad abitare, perché sarebbe stato ammazzato a breve, in una lotta. E accadde esattamente così. Pochi mesi dopo, a Parma, fra Guglielmo si scontrò con un certo Arduino di Chiavari, in un cortile, tanto violentemente che morirono entrambi. Salimbene riporta che questa storia gli fu narrata da un testimone oculare, un altro frate, che vide i due scontrarsi e ammazzarsi l’un con l’altro.

La donna che era stata liberata dal Diavolo, dopo quella brutta esperienza di esorcismo, entrò in convento, e pure il marito, quel fabbroferraio; pure lui prese i voti, entrando a far parte dell’ordine dei Minori. Però la sua fu una conversione presa a malincuore, come dice l’autore, facendogli prendere una scelta di vita non sua. Il fabbroferraio, infatti, divenuto frate aveva sempre l’animo rivolto al passato, ovvero ripensava a quella moglie perduta dopo la possessione demoniaca, che ora faceva la monaca. Perciò finì per uscire dal convento e riprendere a vivere nel secolo, ovvero in maniera laica, presumibilmente afflitto da un’esistenza miserabile.

Una conclusione triste, che ci racconta però di un mondo estremamente vivo e dinamico, quello medievale. Dove le scelte di vita vengono ritrattate, in continuazione, proprio come oggi e forse ancor di più; perché quel marito che ha sciolto il vincolo matrimoniale per farsi frate, ha poi sciolto i voti per tornarsene di nuovo come prima. Scelte che, naturalmente, non piacciono a Dio, e nemmeno all’autore che ha scritto la cronaca, ma piacciono a me che vivo di storie come queste, in cui addirittura ci ritroviamo dinnanzi a una sorta di vittoria del Diavolo, che ha fatto fuori il suo esorcista e rovinato un’intera famiglia. Non potevo chiedere di meglio per concludere questo episodio.

Se queste assurde storie di paura ed esorcismo medievale ti hanno appassionato, seguimi e condividi la puntata con i tuoi amici più devoti e fedeli, così mi aiuterai a diffondere queste Leggende Affilate, anche per sensibilizzare la società riguardo la piaga delle striges cavalca-lupi. Se non l’hai ancora fatto immergiti nei guazzi sudici narrati ne “La Stirpe delle Ossa”, perché a breve uscirà il mio secondo romanzo, sempre autoconclusivo e godibile anche da solo, dal titolo “La Canzone dei Morti”. Due libri diversi, ma ambientati negli stessi luoghi, e che vanno a comporre un mosaico più ampio, d’avventure in sella al destriero, tra guerre, misteri e maledizioni medievali.

“Visse un sant’uomo, frate Minore, nativo d’Imola, di nome Benintendi, sublimato all’Ordine del sacerdozio. Egli aveva abitato meco più anni nel convento di Ravenna; era gradito confessore, ogni notte faceva trecento genuflessioni, e digiunò ogni giorno tutto il tempo di vita sua. Una volta fu condotta a questo frate una donna invasa dal diavolo….. Ad uno scongiuro il diavolo se ne volò via confuso e deluso con grida di pianto e di dolore, e la donna, ringraziandone Iddio, ne fu completamente liberata….. quindi il beato Francesco, quando il suo compagno fu una notte bastonato dai demonii alla Corte di un Cardinale, si narra che gli dicesse: I diavoli sono i gastaldi del nostro Signore, destinati a tenere gli uomini in guardia di sè stessi. Anzi io penso ch’egli abbia permesso a suoi gastaldi di irrompere sopra di noi, perchè questa nostra dimora nella Corte de’ magnati, non fa buon esempio al popolo. Nella diocesi di Parma, sul monte Bardone, vi è un castello, che si chiama Berceto, trenta miglia distante da Parma. Era di quel paese un certo chierico, di nome Guglielmo, che dimorava a Parma. E quando una volta la moglie di un tal Ghidini fabbroferraio, che era figlia di un certo Pieco abitante nel Borgo delle asse, fu ossessa dal diavolo, quel chierico andò a lei, e cominciò a scongiurare il diavolo, comandandogli di uscire da quella donna: e il demonio rispose: Uscirò sì da lei, ma io ti ordirò tale una tela, per la quale tu non potrai più molestarmi, nè costringermi ad uscire da’ miei abitacoli. Perchè sappi già sin d’ora che io farò che tu sia ucciso tra breve, e che tu altri ucciderai. E l’evento avverò la minaccia. Pochi mesi dopo, in Parma stessa, ebbe egli ad altercare in un cortile con un Arduino di Chiavari, e si accapigliarono; ma un forte urtò contro un altro forte, ed ambedue soccombettero. Il fatto me l’ha raccontato chi era presente, e vide quando l’un l’altro si uccisero; e quale dalle labbra di lui la ho udita, tale fedelmente ve la trascrivo. E fu frate Giacomino de’ Tortelli, che vide e me lo narrò, che ora è frate Minore; e la donna che prima era ossessa dal demonio, ne fu pienamente libera, ed è in Parma nel monastero dell’Ordine di S. Chiara. Il Ghidini suo marito entrò nell’Ordine de’ frati Minori; e, convertitosi a mal in cuore, e datosi a vita non sua, rivolse l’animo al passato, e uscì dal convento durante il noviziato, e vive nel secolo, acciocchè chi è ingiusto sielo ancora più: e chi è contaminato contaminisi vieppiù ecc. Apocalissi 22.°. Del resto Arduino di Chiavari era uomo di lettere, bello, robusto, battagliero, e aveva fatto quello stesso giorno suoi bagagli per partire all’indomani da Parma, e ritornare alla terra nativa. La terra, d’ond’era nativo, si chiama Chiavari, in riva al mare, nella diocesi di Genova, presso Lavagna, dove abitavano i frati Minori.”

Salimbene de Adam, Cronaca
Lorenzo Manara
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