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17 Dicembre 2023

Strozzati dal Diavolo

strozzati dal diavolo

Tre storie di punizioni divine medievali raccontate dal frate Salimbene de Adam nel XIII secolo: strozzati dal diavolo

Un frate medievale dell’ordine francescano, Salimbene de Adam, che già abbiamo conosciuto più volte nei precedenti episodi di Leggende Affilate per i suoi pettegolezzi (e soprattutto le sue divertenti storie di sangue e prodigi), spesso, nella sua cronaca, racconta di punizioni divine piombate addosso ai peccatori impenitenti (quelli che più se lo meritavano). Per questo ho deciso di riunire 3 storie di punizioni mortali che il frate ha ritenuto opera del signore degli Inferi in persona: il Diavolo. Il quale ha strozzato con le sue mani questi poveri peccatori, letteralmente.

La prima vittima del Diavolo fu un certo bresciano che, nonostante fosse benestante, simulava d’essere povero. E andava a giro mendicando, talvolta suonando e cantando per raccattare elemosine. Costui si era messo in testa che a breve sarebbe venuta una desolante carestia, perciò come una sorta di barbone pazzo dei giorni nostri, mendicava e faceva proseliti, ammonendo i passanti. Forse ci troviamo di fronte alla descrizione di un uomo con problemi mentali, che tutti scambiavano per peccatore. In ogni caso, una sera, si ammalò gravemente. Costui era chiuso in casa sua, con la porta sprangata dall’interno, come faceva tutte le sere, e come facevano tutti, del resto, e si fa tutt’oggi. Questo però gli impedì di fuggire dalla propria abitazione quando, nel corso della brutta nottata, comparve pure lui: il Diavolo. Una comparsa ovviamente funesta, poiché il signore degli Inferi era giunto lì per strozzarlo. E così fece.

Il giorno dopo, i vicini si accorsero che c’era qualcosa di strano in quell’abitazione silenziosa e sbarrata. Perciò si radunò lì davanti una folla di uomini, donne e ragazzi, perché tutti conoscevano il finto mendicante, e non vedevano l’ora di scoprire cosa stesse tramando. Sfondarono la porta “e lo videro giacente morto in terra”. Vicino a lui trovarono farina in sacchi già fetida, dentro una cassa, e due altre casse di tozzi di pane biscottato, ovvero pane cotto due volte (bis-cotto) per conservarlo meglio come si faceva anche in guerra e nei viaggi per nave. Insomma, aveva fatto provviste per l’apocalisse. Ma non solo. Scoprirono che il finto mendicante possedeva due case in due diverse parrocchie. Quindi, come ci racconta il frate, si verificò un detto medievale che ci viene presentato in questa stessa cronaca e validissimo ancora oggi: “Ciò che non riceve il Cristo, lo piglia il fisco.”

Le due parrocchie si impossessarono delle case, mentre la gente, infuriata, per esser stata presa in giro, infierì sul cadavere in una maniera atroce, come descritto nella stessa cronaca:

“Perciò i ragazzi lo spogliarono nudo questo infelicissimo, e gli legarono i piedi con vincigli attorcigliati, e così nudo lo trascinarono per tutta la città, per le strade e per le piazze, a scherno e ludibrio di tutti. E, quel che è singolare, sì fu che non furono sobillati da nessuno a farlo, e che nessuno li rimproverò, come d’aver fatta una mala cosa.”

Ma non è finita qui. Lo legarono al carretto di un bifolco che andava fuori città e poi lo gettarono giù da un ponte, sulla ghiaia del Crostolo, un corso d’acqua di quelle parti, il cui nome suona come quelli che m’invento io, ad esempio il Crispone vicino Malarocca, nel romanzo “La Stirpe delle Ossa”. Quindi non lo gettarono in acqua, ma sulla dura riva. Poi scesero giù, tutti quanti, presero a sassate il cadavere gridandogli: “scendano con te nell’inferno la tua fame e la tua avarizia insieme colla tua miseria, e vi stiano in eterno e più oltre.” Cattivissimi.

La seconda vittima degli artigli del Diavolo fu un vescovo di Faenza, che il frate autore della cronaca aveva conosciuto di persona e descrive come “vecchio e invecchiato nella malignità”. Questo vescovo aveva le mani in pasta in numerosi affari, ed era altresì odiato dalla parte avversa, in un contesto di fazioni politiche che si odiavano e finivano spesso a combattersi e ad ammazzarsi. Fu probabilmente per questo che il vescovo, una notte, lasciò questo mondo, soffocato da un emissario del Diavolo, ovvero un assassino che si prese il suo tesoro e il suo posto sulla cattedra. Il diabolico ammazza-vescovi era infatti un avversario di fazione, che a sua volta, poco dopo, divenne bersaglio politico. Costui si ritirò in una località campagnola, rinchiudendosi ogni notte nel campanile della chiesa, per nascondersi, tremando per la sua pelle. Ma, come abbiamo imparato da queste storie, non si scappa dal castigo divino, quindi morì pure lui dopo pochi giorni.

La terza storia ha come protagonista un frate dell’ordine dei frati Predicatori, poi entrato a far parte dell’Ordine dei Canonici di S. Frediano di Lucca, poi diventato canonico della chiesa di Ferrara. Una carriera frenetica, così come lo era la sua vita sentimentale, poiché accadeva spesso che al mattino presto, quando i frati andavano a cercarlo per un qualsiasi motivo, lo trovavano a letto con una nobildonna decaduta, sua amante, povera di soldi, ma ricca di amore, da donare al suo amato chierico.

Una situazione comunissima nei resoconti e nelle cronache storiche, quella che vede preti, chierici, vescovi e tutti i vari membri della Chiesa impegnati in relazioni amorose; alcuni addirittura con figli. Accadeva di frequente, ma non doveva accadere. I voti non si infrangono. E dunque, una mattina, i frati invece di trovarlo nel letto con l’amante, lo trovarono solo, pallido e deceduto. L’autore non ha dubbi, fu strozzato dal Diavolo, come tutti gli altri, per colpa dei suoi peccati.

Come se non bastasse, visto che tutti sapevano dei suoi misfatti, il corpo fu trattato in maniera poco cristiana, quasi come oggetto di vendetta: trascinato in un letamaio e seppellito lì, accanto ai porci. Madonna che cattiveria.

“Nel millesimo sussegnato morì in Reggio un certo Bresciano, che prima insegnava a leggere ai ragazzi il salterio, e simulava di esser povero, e andava mendicando, e talvolta suonando e cantando per avere più larga limosina. A costui il diavolo aveva messo in testa, che doveva sopravvenire una desolante carestia; e perciò biscottava i pezzi di pane, che accattava, e li riponeva in serbo, per provvedere in tempo un rimedio a quella fame, che, com’è detto, il diavolo gli aveva inchiodato in capo che dovesse arrivare. Ma come fu detto di quel ricco del Vangelo….. così accadde a questo infelice. Perocchè una sera malò più gravemente del solito, ed, essendo solo in casa, aveva chiusa con diligenza la porta con una sbarra, e quella notte fu strozzato dal diavolo, e malamente e disonestamente trattato. L’indomani non facendosi vedere, gli uomini del vicinato, le donne, i ragazzi in folla adunati atterrarono a forza la porta, e lo videro giacente morto in terra, e vi trovarono farina in sacchi già fetida dentro una cassa, e due altre casse di tozzi di pane biscottato; e si constatò che aveva in Reggio due case, in due diverse parrocchie, di cui andò in possesso il Comune di Reggio; e così si verificò quello che volgarmente si dice: Ciò che non riceve Cristo, lo piglia il fisco. Perciò i ragazzi lo spogliarono nudo questo infelicissimo, e gli legarono i piedi con vincigli attorcigliati, e così nudo lo trascinarono per tutta la città, per le strade e per le piazze, scherno e ludibrio di tutti. E, quel che è singolare, si fu che non furono sobillati da nessuno a farlo, e che nessuno li rimproverò, come d’aver fatta una mala cosa. Ed essendo arrivati all’ospedale di Sant’Antonio stanchi di tedio e di fatica, vollero legare quello sconciato cadavere alla coda del carro di un bifolco, che per caso conduceva il carro co’ buoi per quella via; ma il contadino facendo opposizione, ecco che subito i ragazzi gli si scagliarono addosso, e lo percossero gravemente. E allora il bifolco lasciò fare ai ragazzi quella ribalderia. Uscirono pertanto di città per la porta di S. Stefano, e lo gettarono giù dal ponte nella ghiaia del Crostolo, fiume o torrente che sia; e scendendo giù nell’alveo attorno al cadavere, gli gettarono addosso una gran caterva di pietre, sclamando ad alte grida: Scendano con te nell’inferno la tua fame e la tua avarizia insieme colla tua miseria, e vi stiano in eterno e più oltre.”

“Io poi ho conosciuto quel tal Vescovo….. ed era vecchio e invecchiato nella malignità, e dopo pochi giorni una notte fu soffocato da uno de’ suoi, che ne portò via tutto il tesoro; anzi assistetti alle di lui esequie (Egli fu Vescovo di Faenza, al quale succedette un giovine dell’Ordine de’ frati Minori, che era a studio in Padova, e che venuto a Faenza ottenne subito la consacrazione, e fece sontuoso trattamento tanto ai religiosi che ai secolari suoi concittadini. Egli era nativo di Faenza, ed imbandì mense per tutti quelli che volessero andarvi, poichè aveva il tesoro del suo predecessore in casa de’ suoi fratelli, ed era del partito degli Alberghetti, e fu fatto Vescovo per violenza, simonia, denaro e minacce. Le quali cose furono la cagione del decadimento di Faenza, stante che il partito contrario, cioè quello de’ figli di Alcarisio e loro seguaci provocati per questo fatto ad odio e ad invidia, chiamò i Forlivesi, ed espulsero dalla città i loro avversarii. Ed il Vescovo si ritirò a Bagnacavallo, e per timore degli stormi notturni stava chiuso di notte nel campanile di quella chiesa plebana, tremando per la sua pelle; ma sopravvisse pochi giorni e fu nominato un altro Vescovo).

Ho conosciuto anche un certo canonico, che fu strangolato dal diavolo e seppellito in un letamaio accanto ai porci. Quando i frati Minori andavano per qualche motivo a cercarlo di mattino per tempissimo, lo trovavano più volte a letto con una nobil donna sua amante. (Era costui Giovanni del Bondeno Ferrarese, che stette dieci anni nell’Ordine de’ frati Predicatori, e poi apostatò ed entrò nell’Ordine de’ Canonici di S. Frediano di Lucca, e si fermò alcuni anni con loro; poi, uscitone, fu fatto Canonico della chiesa matrice di Ferrara. Quando poi nella chiesa di S. Alessio, ove teneva con sè, come amante, una nobil donna, ma povera, di Padova, espulsa da Ezzelino, fu trovato nel suo letto soffocato dal diavolo senza confessione e senza viatico. La chiesa di S. Alessio era nella parocchia, in cui aveva in antico i suoi palazzi Guglielmo di Marchesella).”

Lorenzo Manara
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