Santi contro draghi
L’epico scontro tra il sacro cavaliere medievale e il mostro per eccellenza: santi contro draghi nelle antiche storie all’origine del mito
Quando immaginiamo un drago, non possiamo fare a meno di affiancarlo, per associazione, alla figura del cavaliere medievale, pronto a scagliarsi al galoppo contro la mostruosa creatura, scudo in pugno e lancia in resta. Un’associazione frutto di tradizioni secolari, scritte, ma anche pittoriche, oggigiorno confluite nel genere fantasy da “Il Signore degli Anelli” a “Dungeons and Dragons”. L’eroe che incarna questa lotta tra uomo e mostro, parte della tradizione letteraria dell’intero Occidente, è indiscutibilmente san Giorgio.
San Giorgio, martire ucciso in Palestina agli inizi del IV secolo e di cui, in verità, non abbiamo molte altre notizie storiche. Divenne ammazzadraghi qualche centinaio di anni dopo la sua morte, stando alle raffigurazioni che lo rappresentano nell’atto di uccidere il mostro; e bisogna attendere addirittura l’XI secolo per trovare le prime trascizioni della sua leggenda. Leggenda che conosciamo tutti, e che suona abbastanza banale, proprio in virtù della sua antica popolarità.
Ne “La Legenda Aurea”, una raccolta delle avventurose vite dei santi composta a metà del XIII secolo da Jacopo da Varazze, si racconta che il sacro eroe giunse in Cirenaica, una delle storiche regioni della Libia, in un regno dilaniato dalla malvagità di un drago. Gli abitanti erano costretti a versare un tributo di 2 pecore al giorno per non finire uccisi dal mortale fiato del mostro, tuttavia le pecore cominciarono a scarseggiare e gli abitanti si trovarono a tirare a sorte tra i giovani per sacrificarli al posto delle pecore. Quando fu sorteggiata la figlia del re, la principessa, passò di lì proprio Giorgio, che giurò di salvarla: si fece il segno della croce per proteggersi, si lanciò al galoppo e trafisse il drago con la sua lancia. L’intero regno, quindi, si convertì al Cristianesimo.
Una storia medievale che ha qualche affinità con un’altra storia, ben più antica, parte delle tradizioni mitologiche greche: quella di Perseo, l’eroe probabilmente meglio equipaggiato di tutti, che il mito vuole dotato dell’elmo dell’invisibilità di Ade, dei sandali alati regalati da Ermes, lo scudo a specchio di Atena, e poi un falcetto magico taglientissimo, una sacca magica; e numerose altre meraviglie conquistate sul campo, come la testa di Medusa, che ogni tanto tirava fuori dalla saccoccia per pietrificare qualcuno, e il favoloso destriero alato Pegaso, fuoriuscito dallo stesso collo di Medusa, nell’istante in cui Perseo aveva vibrato il colpo.
Così attrezzato, Perseo volò in groppa a Pegaso per salvare la bella Andromeda, figlia di Cefeo e Cassiopea, sovrani d’Etiopia. La principessa stava incatenata a uno scoglio, in mezzo al mare, sul punto d’essere divorata da un terrificante mostro scatenato da Poseidone, per la solita faccenda di tributi e sacrifici. Perseo ammazzò il mostro a dorso di destriero alato e liberò Andromeda. Un mostro marino che gli autori medievali presero d’ispirazione per la scrittura delle storie dei santi ammazzadraghi, con tanto di salvataggio della principessa, come nel caso di san Giorgio. Ma ci sono moltissime altre storie simili, alcune che provengono addirittura dall’Egitto.
Horus, la divinità con la testa di falco, tra le sue innumerevoli rappresentazioni vanta anche quella di cavaliere nell’atto di trafiggere un coccodrillo, simbolo di Seth, dio che nel contesto della tarda antichità poteva rispecchiare l’idea del male, oltre a quella del drago vero e proprio. Perché non è raro che il coccodrillo venga scelto come animale realmente esistente nel mondo naturale per rappresentare il drago. Nella cosiddetta “Bibbia dei Settanta”, ovvero una versione dell’Antico Testamento scritta in greco e, secondo la storia, tradotta direttamente dall’ebraico da 72 saggi nel III secolo avanti Cristo, lo stesso termine designa rispettivamente il coccodrillo, il leviatano, il serpente e il drago1.
Quattro creature spesso unite tra loro dalla simbologia cristiana, e che ancora oggi forniscono uno spunto, quantomeno estetico, per la rappresentazione del drago. Quattro creature per materializzare il Male in quanto tale, a partire proprio dal serpente.
Serpente tentatore, che ingannò Eva e diede inizio alla cacciata dal paradiso terrestre. Forse l’animale ritenuto più malvagio di tutto il Cristianesimo, visto il ruolo da protagonista che gli fu concesso nel libro della Genesi. L’equivalenza del termine greco “serpente” con quello di “drago” ha permesso a quest’ultimo di ereditare tutte queste caratteristiche simboliche. Serpente e drago possono essere letti quindi come sinonimi del Diavolo, come spesso confermato dallo stesso racconto biblico:
“Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme con i suoi angeli, ma non prevalsero e non ci fu più posto per essi in cielo. Il grande drago, il serpente antico, colui che chiamiamo il diavolo e satana e che seduce tutta la terra, fu precipitato sulla terra e con lui furono precipitati anche i suoi angeli.”
Apocalisse di Giovanni (12:7)
Nell’Apocalisse di Giovanni, Michele è l’arcangelo che guida la milizia celeste contro il Diavolo, che fu serafino, e i suoi angeli ribelli e apostati (secondo la tradizione, un terzo del totale). Una guerra divina che portò alla sconfitta del diavolo, ovvero del “grande drago, il serpente antico”, tramandando una descrizione che influenzò fortemente tutte le storie successive, riguardo draghi e cavalieri.
Sempre in questo brano dell’Apocalisse, il drago è descritto come enorme, “rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi; la sua coda trascinava giù un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra.”
Dopo il coccodrillo e il serpente, vi è un’altra creatura all’origine dei draghi moderni, che è il Leviatano. Com’è fatto il Leviatano? Be’, la risposta è facile, anche stavolta le fattezze sono quelle di un serpente. O serpente guizzante e tortuoso, come lo definisce il profeta Isaia.
“In quel giorno il Signore punirà con la spada dura, grande e forte, il Leviatano serpente guizzante, il Leviatano serpente tortuoso e ucciderà il drago che sta nel mare.”
Isaia (27:1)
Draghi e serpenti vengono citati molte altre volte nella Bibbia, ma anche al di fuori di essa. L’autore romano, Cassiodoro, ci regala una descrizione di drago che starebbe benissimo all’interno del manuale dei mostri di Dungeons and Dragons:
“Il drago ha un corpo assai grande, allungato come un serpente, solcato da squame; infiammato da calore naturale, come rimedio alla sua temperatura abita dentro caverne nell’acqua. Non striscia per terra, ma quando vuole muoversi si dice che voli.”
Descrizione poi confermata più tardi da Isidoro di Siviglia:
“Il drago è il più grande di tutti i serpenti e di tutti gli animali della terra (…) uscito fuori dalle caverne, si libra nell’aria, e l’aria si agita per colpa sua. Ha la cresta, bocca piccola e gola stretta, attraverso cui esala il respiro e tira fuori la lingua. La sua forza non sta nei denti, ma nella coda, e nuoce più con i colpi che con le fauci.”
Oltre al san Giorgio medievale e al san Michele biblico, però, ci sono altri sacri eroi votati all’ammazzar draghi. Tra cui quello che in principio era forse il più celebre di tutti, talvolta raffigurato proprio assieme a san Giorgio, ovvero san Teodoro: uno dei santi “militari”, soldati dell’esercito romano convertiti al cristianesimo e martirizzati. Secondo la versione della leggenda più diffusa, san Teodoro sconfisse un drago per salvare una principessa sorteggiata per il sacrificio (esattamente come nella storia di san Giorgio, che a sua volta era ripresa dal mito di Perseo), con alcune differenze, tra le quali l’aspetto del drago stesso: in questo caso con sette teste. Una raffigurazione ispirata, quindi, all’Apocalisse di Giovanni.
San Teodoro era così celebre da divenire patrono di Venezia, e infatti di lui rimane una scultura in piazzetta san Marco, su una delle due colonne, di fianco all’attuale patrono rappresentato come il leone alato evangelico. San Teodoro (il Todaro, per i veneziani), in cima alla sua colonna, è raffigurato nell’atto di uccidere un drago che assomiglia molto a un coccodrillo: l’ennesima conferma di quanto questo animale, assieme al serpente, ha spesso impersonato il ruolo di mostro malvagio.
Ma non c’erano solo sacri eroi maschili. Talvolta pure le sante si cimentavano nella difficile impresa d’ammazzar draghi. Una di queste è Margherita di Antiochia, che nel III secolo squartò un drago dopo esser stata inghiottita: forse l’uccisione più spettacolare delle agiografie.
Margherita, secondo la testimonianza di Teotimo, nacque ad Antiochia, figlia di un sacerdote pagano durante le persecuzioni dell’imperatore Diocleziano. Per questo, dopo la sua conversione, fu cacciata di casa e finì incarcerata. Nella cella le venne in visita il Diavolo, comparso sotto forma di drago, e la inghiottì. Margherita, però, che aveva consacrato la sua verginità a Dio, e portava sempre con sé la croce, usò lo stesso simbolo sacro per squarciare il ventre del mostro diabolico e uscirne indenne. Per questo motivo è anche considerata protettrice delle partorienti.
La leggenda presenta molte versioni: alcune sostengono che la pancia del drago si squarciò dopo che la santa si fece il segno della croce, senza servirsene materialmente, grazie quindi a un prodigio. In ogni caso, santa Margherita vince il trofeo per l’impresa pulp visivamente più cinematografica di tutte. Rubando la scena persino all’ammazzadraghi per antonomasia, mito tra i miti delle storie antiche: Sigurd, l’eroe norreno.
Sigurd si scontrò con Fafnir, che noi chiamiamo drago per semplificazione, anche se in realtà, nella saga medievale dei Volsungar, Fafnir viene rappresentato come un nano trasformatosi poi in Lindorm: un essere mostruoso gigantesco, avido e malvagio. E come viene descritto questo Lindorm? Be’, naturalmente come un orribile serpentone privo di zampe e persino privo di ali, quindi che non è capace di volare. Secondo l’Edda Poetica, inoltre, Fafnir espira veleno al posto delle fiamme.
Si tratta perciò di una creatura fantastica che risente delle influenze antiche di matrice biblica, assumendo la forma del serpente tentatore, simbolo del Male assoluto. E che noi, oggi, non abbiamo alcun problema a chiamarlo “drago”, proprio per la sua vicinanza alle antiche storie originarie, che trattano di battaglie tra angeli ed enormi draghi rossi.
Un’estetica che il padre del fantasy contemporaneo, Tolkien, aveva ben presente, visti i suoi disegni su Smaug, il drago de Lo Hobbit, rappresentato dalla stessa penna dell’autore con un corpo molto lungo e sottile, serpentiforme.
“Un drago enorme color oro rosso lì giaceva profondamente addormentato, e dalle sue fauci e dalle froge provenivano un rumore sordo e sbuffi di fumo, perché, nel sonno, basse erano le fiamme. Sotto di lui, sotto tutte le membra e la grossa coda avvolta in spire, e intorno a lui, da ogni parte sul pavimento invisibile, giacevano mucchi innumerevoli di cose preziose, oro lavorato e non lavorato, gemme e gioielli, e argento macchiato di rosso nella luce vermiglia. Le ali raccolte come un incommensurabile pipistrello, Smaug giaceva girato parzialmente su un fianco, e lo hobbit poteva così vederne la parte inferiore del corpo, e il lungo, pallido ventre incrostato di gemme e di frammenti d’oro per il suo lungo giacere su quel letto sontuoso.”
Lo Hobbit, J.R.R. Tolkien, Capitolo: “Notizie dall’interno”
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- Animali simbolici: alle origini del bestiario cristiano, Maria Pia Ciccarese, pp.380-389 ↩
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