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2 Marzo 2023

Pozioni magiche tra dèi, streghe e mitologia

pozioni magiche

Articolo del podcast Storia della Magia, episodio 6: le pozioni magiche nella mitologia antica

Incantare liquidi per dar vita a pozioni magiche è una prassi che appartiene alla cultura fantastica letteraria ormai da millenni. Nell’Odissea di Omero la specialista dell’arte del pharmakon, ovvero il rimedio che al tempo stesso può essere veleno, come lo sono le piante medicinali, le droghe e le pozioni magiche stesse, è Circe, la dea esperta di filtri, rituali e metamorfosi. Che dopo aver somministrato all’equipaggio di Ulisse il suo intruglio avvelenato, tramuta tutti in bestie. Tutti tranne Ulisse.

L’eroe viene aiutato da Ermes, godendo gli effetti di un altro farmaco, stavolta benefico, la pianta moli, dalla radice nera, e il fiore bianco, simile al latte, che solo gli dèi riuscivano a strappare dalla terra senza fatica.

Cito dal testo: «Ecco, va’ nelle case di Circe con questo benefico farmaco, che il giorno mortale può allontanare dal tuo capo. Ti svelerò tutte le astuzie funeste di Circe. Farà per te una bevanda, getterà nel cibo veleni, ma neppure così ti potrà stregare: lo impedirà il benefico farmaco che ti darò, e ti svelerò ogni cosa» (…) «Mi porse il farmaco, dalla terra strappandolo e me ne mostrò la natura. Nero era nella radice e il fiore simile al latte. Gli dei lo chiamano moli e per gli uomini mortali è duro strapparlo: gli dei però possono tutto.»

Per trovare la figura della pharmakis vera e propria, la preparatrice di pozioni magiche, bisogna però aspettare il IV secolo a.C. con il poeta Teocrito. In una sua opera veniamo a conoscenza di una donna di nome Simeta che, tradita dall’amante Delfi, decide assieme alla sua schiava, di compiere un oscuro rituale magico. Lo scopo? Vendicarsi di Delfi, ovviamente.

“Ma ora con sacrifici voglio avvincerlo. Luna,
rifulgi bellamente: a te, o dea, volgerò il mio sommesso canto,
e a Ecate sotterranea, che atterrisce anche i cani,
quando avanza fra le tombe dei morti e il nero sangue.
Salve, tremenda Ecate; fino alla fine siimi compagna
nel preparare questi filtri, degni dei filtri di Circe,
o di Medea o della bionda Perimeda.”

Simeta nella preparazione del suo filtro si rivolge a Ecate, la dea che dal V secolo a.C. assume il dominio delle ombre, dei fantasmi notturni e del nuovo concetto di magia che andava diffondendosi. Con la rivoluzione iniziata da Erodoto, gli scultori cominciano a raffigurare Ecate nella sua triplice forma per rispecchiare le influenze terrestri, lunari e ctonie (ovvero del mondo sotterraneo): tre corpi e tre teste, appartenenti a ognuno dei tre mondi.

La maga Perimeda invece è sconosciuta. Qualcuno la associa ad Agamede, personaggio dell’Iliade che conosceva “quanti farmachi l’ampia terra alimenta“, e quindi un altro modello di strega esistita prima ancora del termine stesso.

Secondo alcuni autori Ecate fu madre di Medea e della stessa Circe, le quali vengono citate da Simeta per la buona riuscita del filtro magico.

Il rituale di preparazione della pozione magica si apre con un Jinx Torquilla, o torcicollo, uccellino dalla lingua lunghissima in grado di muovere rapidamente la testolina per trovare un partner durante la stagione degli amori. Il torcicollo veniva legato con le ali e le zampe ai raggi di una ruota, per farla ruotare in direzione dell’amato, al fine di attirarlo.

Vengono poi bruciati sul fuoco farina d’orzo e alloro al pronunciare della formula “Io spargo le ossa di Delfi”. L’alloro era una pianta sacra, che Plinio il Vecchio consiglia di non bruciare mai, assolutamente, per non incorrere nell’ira degli dèi. Ed è per questo che Simeta lo fa, andando contro ai precetti religiosi. Poiché il suo è un rito crudele, compiuto per vendetta. 

Ad Artemide viene offerto l’adamante, il metallo più duro, di cui solo gli dei ne sono in possesso, metallo poi ripreso nelle tradizioni fantasy contemporanee da Dungeons and Dragons in poi. I metalli sono elementi apotropaici come testimoniato proprio da questo rituale, talvolta utilizzati anche per il loro suono, che scaccia via il male e le forze infernali.

Non manca la presenza di oggetti personali della vittima, come la frangia del mantello di Delfi, da sfilacciare e gettare nel fuoco, assieme a un impasto di generiche “erbe magiche” da preparare bisbigliando la formula ormai divenuta cantilena “impasto le ossa di Delfi”. Ci troviamo di fronte a quello che è a tutti gli effetti il procedimento per la creazione di pozioni magiche come lo s’intende ancora oggi, associato a maghi e, soprattutto, alle streghe.

Infatti basta viaggiare più avanti nel tempo, a pochi anni dalla nascita di Cristo, per trovare un’altra dettagliata testimonianza di rito legato alle pozioni magiche che reca però una differenza sostanziale rispetto al precedente: poiché la vittima sacrificale, stavolta, non è più un uccellino, ma un infante.

La maga Canidia, che ricade perfettamente nell’archetipo della strega, deve sacrificare un bambino per creare un filtro d’amore, una delle pozioni magiche più frequenti della storia letteraria. L’opera di cui è protagonista Canidia si apre con la supplica del bambino stesso, che capisce d’essere caduto fra gli artigli di una donna malvagia. Ma Canidia non si fa intenerire nell’ascoltare quella richiesta disperata che pure “l’empio cuore dei traci” avrebbe accolto.

Assieme alle sue colleghe streghe Sagana, Veia e Folia, rappresentate con i capelli irti di serpi come le Erinni della tradizione mitologica, personificazioni femminili della vendetta, oppure le gorgoni, di cui è celebre Medusa, le quattro donne imbastiscono il rituale. Proprio come nel brano sulle Incantatrici di Teocrito, la preparazione delle pozioni magiche si apre con un fuoco che arde e gli ingredienti che uno a uno vengono gettati tra le fiamme: cipressi funebri, caprifichi divelti dai sepolcri, uova di rospo viscido sporche di sangue, penne di civetta, erbe che vengono da Iolco (ovvero la Tessaglia, patria delle temibili streghe dell’antichità) e infine ossa strappate ai denti di una cagna.

Le streghe si dividono i compiti, ciascuna che si occupa di svolgere una specifica azione magica. Sagana sparge per il pavimento le acque dell’Averno, il lago nei pressi di Cuma, colonia greca italiana vicino all’odierna Napoli che si pensava celasse l’ingresso per l’Oltretomba. Veia invece scava nel terreno a colpi di zappa, dove sarà seppellito il fanciullo.

“Con solo il capo che affiora, come chi nuota
fuori dell’acqua ha solo il mento,
perché davanti ai cibi sempre nuovi e freschi
abbia a morire lentamente:
col midollo estratto e il fegato inaridito
si farà cosí un filtro d’amore,
quando le sue pupille sbarrate sul cibo
vietato si saranno spente.”

Il crudele rituale di magia nera prevede che il fanciullo muoia di fame, seppellito nel terreno, dinnanzi al cibo che le streghe gli mostrano; solo così il fegato inaridito e il midollo del fanciullo potranno essere usati per il filtro d’amore, materializzando quella fame mortale che ha caratterizzato i suoi ultimi istanti di vita.

Prima di morire il fanciullo decide di lanciar loro una maledizione, giurando che una volta passato a miglior vita tornerà a perseguitarle nella notte, come un demone, rubandone il sonno.

“I filtri non possono mutare il destino
degli uomini, giusto o ingiusto che sia.
Vi maledirò; e questa maledizione
nessun sacrificio potrà espiarla.
Quando, messo a morte, sarò spirato, innanzi
vi comparirò nella notte come un demone,
larva che con gli artigli vi ghermirà il volto,
perché questo possono i morti,
e pesando sui vostri cuori inquieti,
nel terrore vi ruberò il sonno.
Nei villaggi da ogni parte la folla
vi lapiderà, streghe maledette,
e avvoltoi e lupi sull’Esquilino
dilanieranno le vostre membra insepolte:
questo dovranno vedere i miei genitori,
che, ahimè, mi sopravviveranno’.”

“Nei villaggi da ogni parte la folla vi lapiderà, streghe maledette“. Con questa frase profetica, Orazio conclude l’epode più oscura della sua produzione, immaginando un futuro dove le streghe saranno oggetto di una caccia sistematica, così come vorrebbero farci credere alcune opere d’intrattenimento e, purtroppo, di presunta divulgazione. Per alcuni storici il riferimento apparso in questo brano del I secolo a.C. lascia trasparire che qualcosa di simile sia avvenuto durante la restaurazione augustea, ma mancano fonti e testimonianze che lo confermino.

In ogni caso, l’originale latino recita “vos turba vicàtim hinc et hinc saxis petens contundet obscaenas anus”, che alcuni esperti traducono come “Per le vie peste a sassi dal popolo, vecchie oscene, sarete a furor”; non introducendo il termine “strega” nella traduzione, ancora troppo prematuro per l’epoca.

Di caccia alle streghe, però, ne parlerò nel prossimo episodio. Ascolta il podcast Storia della Magia, se vuoi scoprire le vere origini della magia a partire dalle fonti storiche.

Lorenzo Manara
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