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12 Maggio 2023

Malefiche effigi: sortilegi di magia nera

effigi e sortilegi

Articolo del podcast Storia della Magia, episodio 14: Malefiche effigi, sortilegi, statuine d’argento e cera

Nell’ottobre dell’anno 1319 un prete di nome Bartolomeo Cagnolati fu comandato di presentarsi a colloquio col signore di Milano, Matteo Visconti, alla presenza di un giudice e di un medico. Il motivo di tale incontro era l’affidamento di un incarico di natura soprannaturale, poiché Bartolomeo era un rinomato negromante, nonché esperto di magia nera.

Gli fu mostrata la statuina d’argento di un uomo ignudo, sulla cui fronte erano state incise le parole “Iacobus, Papa Johannes” e sul petto il simbolo del pianeta Saturno, oltre al nome Amaymon, che in ambito esoterico identifica un’entità malvagia. Tale statuina rappresentava il papa, Giovanni XXII: un oggetto sacrilego fondamentale per compiere un rito che, secondo la tradizione negromantica, avrebbe ammazzato il papa.

Quel che sappiamo riguardo questo strano tentativo di omicidio magico è dovuto alle inchieste processuali relative alle accuse di sortilegio contro Matteo Visconti e i famigliari, e alle deposizioni dello stesso prete negromante, Bartolomeo, davanti alla commissione avignonese indetta da papa Giovanni XXII. Una faccenda che, a dir la verità, non colse impreparato il pontefice, poiché gli era già accaduta una cosa simile, pochi anni prima, per mano di un vescovo.

Hugues Geraud, vescovo francese che nel 1316 ordì l’assassinio di papa Giovanni XXII tramite un incantesimo mortale con le stesse modalità intentate da Matteo Visconti, qualche anno più tardi. Una statuina, nel suo caso di cera, da trafiggere con una lama per far soffrire la vittima nella stessa parte del corpo coinvolta. Una tipologia magica oggigiorno attribuita più che altro alla tradizione esoterica africana, e al vudù, ma in realtà già presente in Occidente fin dall’Antichità. Si tratta, infatti, di una stregoneria di cui parlava anche Ovidio quando descriveva i poteri di Medea:

“Plasma effigi di cera e nel povero cuore conficca aghi sottili e tante altre stregonerie che sarebbe meglio non sapere.”

Ovidio, Eroidi 6 Ipsipile a Giasone

Una stregoneria a cui molti credevano fermamente, compresi gli stessi uomini di Chiesa, compreso il papa.

Un ebreo di Tolosa aveva realizzato l’immagine di cera per conto del vescovo, un venerdì notte, battezzandola con l’acqua e il santo crisma, e leggendo la liturgia dal suo libro scritto in latino, greco ed ebraico. Il vescovo ripeteva ad alta voce le parole dell’ebreo mentre gli venivano sussurrate nell’orecchio. Dopodiché poteva iniziare il rito di negromanzia vero e proprio.

L’incantesimo consisteva nel pugnalare una sola volta l’effige e attendere che si verificasse l’effetto sulla vittima. Se tale effetto non si fosse verificato entro una settimana, il rito doveva essere ripetuto dopo la luna nuova, pugnalando di nuovo il lunedì, il mercoledì e il venerdì. Il vescovo affondò la lama prima alla gamba, poi allo stomaco. Il suo complice, invece, pugnalò l’effige ai fianchi. Per tre volte effettuarono il rito utilizzando dei lunghi stiletti dalla punta d’argento acuminata. 

La formula recitata era il salmo 108 (o 109), il cosiddetto salmo di Davide, “delle venti imprecazioni” o, tanto per citare un nome ancora più evocativo, la preghiera della morte, utilizzato spesso nei riti di magia nera per via dei suoi versetti drammatici. Tuttavia, l’incantesimo mortale non ebbe alcun effetto. Il papa venne a conoscenza del complotto magico e il vescovo Geraud fu condotto in piazza ad Avignone, il penultimo giorno del mese di agosto, per essere condannato a morte. Bernardo Gui, uno degli inquisitori più celebri della storia medievale, descrisse così la sua morte:

“E così alla fine fu degradato e consegnato al tribunale secolare, il cui giudizio fu pubblicato, e in qualche parte del suo corpo scorticato e umiliato e bruciato…”

Una conclusione che non scoraggiò Matteo Visconti dal tentare la via del diabolico sortilegio, pochi anni più tardi, contro lo stesso papa. Tuttavia il negromante Bartolomeo Cagnolati, chiamato a colloquio dinnanzi a quella statuina d’argento, cercò di defilarsi con una scusa. Disse di non possedere l’elemento fondamentale per le suffumigazioni magiche necessarie allo svolgimento dell’incantesimo, cioè l’estratto di un’erba velenosa detta “mapello”. Una scusa che manifestava la sua preoccupazione di finire come quel vescovo Geraud, bruciato in piazza. Il signore di Milano ci rimase male e lo cacciò dal palazzo, lasciandogli intendere che se avesse raccontato a qualcuno del loro incontro, e del complotto, sarebbe finita molto male per lui.

Il negromante Bartolomeo, però, nonostante la seria minaccia, volle comunque avvertire il papa. Si rivolse ai principali nemici dei Visconti, i Della Torre, e tramite loro fece giungere voce ad Avignone che il papa era in serio pericolo: qualcuno stava tentando di assassinarlo tramite negromanzia. Nel frattempo, però, Bartolomeo fu convocato di nuovo da Matteo Visconti. Il signore di Milano voleva dare inizio al rituale, a tutti i costi.

Bartolomeo fu comandato di suffumigare quella statuina d’argento con l’aiuto di un altro negromante, il veronese Pietro Nani, il quale era stato presumibilmente coinvolto per trovare gli ingredienti che Bartolomeo aveva detto di non possedere. Ma anche stavolta Bartolomeo si rifiutò di partecipare al magico complotto, dando la colpa alla sua salute cagionevole. Matteo Visconti, allora, procedette senza di lui, mettendo in atto il rito secondo la pratica negromantica.

Ed è a questo punto che Bartolomeo si recò ad Avignone, per comparire dinnanzi a una commissione d’inchiesta indetta dal papa e raccontare ogni cosa. Scelta che si rivelò molto pericolosa. Perché al suo ritorno in Italia, il negromante fu catturato dagli armati dei Visconti, incarcerato e torturato. I signori di Milano avevano scoperto tutto.

Dopo 42 giorni di orrenda prigionia Bartolomeo fu chiamato a colloquio dal figlio di Matteo Visconti, Galeazzo, per discutere del rituale. Il negromante era accusato di averli traditi, e così facendo di aver fatto fallire il rituale. Ma Bartolomeo negò tutto, spiegando che il motivo del fallimento era imputato agli errori del rituale stesso, male eseguito. Quindi, per l’ennesima volta gli fu chiesto di compiere il rito, da far bene come lo sapeva fare lui, e Bartolomeo stavolta accettò.

Nei resoconti viene fatto un altro nome di esperto negromante, qualcuno che i Visconti avrebbero chiamato a Piacenza per eseguire il maleficio: tale “magistrum Dante Aleguiro de Florencia”. Esatto, proprio lui: Dante Alighieri.

Non è certo che il Sommo poeta abbia risposto per davvero alla chiamata dei Visconti per imbastire un rito magico contro papa Giovanni XXII. Ma non deve stupire la presenza del suo nome all’interno di questi oscuri resoconti. Poiché Dante Alighieri era un profondo conoscitore dell’astrologia, nonché vicino alle corti ghibelline del nord Italia dopo la cacciata da Firenze. Una sorpresa appassionante, questa sua menzione nelle vicende magiche tra statuine d’argento e rituali, ma di cui purtroppo non sappiamo nient’altro.

Il prete negromante Bartolomeo si procurò il necessario per compiere il rito, compreso l’estratto velenoso di mapello. Si fece consegnare la statuina d’argento raffigurante Giovanni XXII e, sul finire del luglio 1320, non appena ne ebbe la possibilità, si dileguò. Fuggì dall’Italia, diretto ad Avignone, e si presentò per la seconda volta alla commissione d’inchiesta del papa, confermando tutto quel che aveva testimoniato la prima volta, e portando persino delle prove: la statuina d’argento e alcune lettere di Galeazzo Visconti che citavano il rito magico.

Da quel momento trascorse svariati anni ad Avignone, esiliato da Milano per il suo tradimento, senza sapere che probabilmente grazie al suo contributo, il papa avrebbe emanato in quegli stessi anni la “Super illius specula”, una bolla che getterà le basi dottrinali per quella che sarà chiamata “Caccia alle streghe” svariati decenni, se non secoli, più tardi.

Dal testo della bolla:

“Stringono un patto con la morte e con l’Inferno, fanno sacrifici ai diavoli, li adorano, fabbricano e fanno fabbricare immagini, anelli o specchi o ampolle e qualsiasi altra cosa per legare magicamente a sé i diavoli, e ad essi chiedono responsi. O quanto dolore! Un tale morbo pestifero si diffonde per il mondo, contagia sempre più gravemente il gregge di Cristo.”

La fabbricazione di immagini citata nel testo fa proprio riferimento alle effigi, le statuine di cera o d’argento che lo stesso papa si era trovato per le mani, costruite a sua immagine e somiglianza per assassinarlo. Ma si riferisce anche a svariate forme di fabbricazioni per sortilegi, quali anelli, ampolle e specchi: tutti oggetti usati per compiere rituali di magia nera. Nel testo non si nomina esplicitamente il termine “stregoneria”, ma solo alcune delle sue applicazioni pratiche, quelle che erano conosciute negli anni ‘20 del 1300. La vera innovazione di tale bolla, però, è insita nel provvedimento stesso, rivolto a coloro che sarebbero stati condannati per simili esecrabili misfatti.

“Stabiliamo con fermezza che, oltre le pene surriferite, contro quei tali che, ammoniti nelle predette cose o in qualche parte di esse, non si siano corretti entro otto giorni da contarsi a partire dall’ammonizione predetta, si procederà attraverso i competenti giudici ad infliggere quelle pene, tutte e singole, oltre la confisca dei beni, che per legge meritano gli eretici.”

Per la prima volta nella storia la pratica del sortilegio, del maleficio, insomma la magia nera che più tardi sarebbe stata chiamata “stregoneria”, fu considerata alle stregua dell’eresia. Perché fino ad allora, per tutto il Medioevo, non si era mai dato granché peso alle cosiddette superstizioni del popolo. I grandi teologi e pensatori hanno da sempre dibattuto sulla questione magica, generalmente ritenendola lontana dai dettami cristiani, ma senza mai considerarla un vero pericolo. Anzi, la tendenza era quella di non crederci affatto. Al contrario di come invece la pensava papa Giovanni XXII, più di tutti colpito nel profondo da questi sortilegi, aprendo uno spiraglio di rivoluzione.

Con la “Super illius specula”, alla cui stesura parteciparono svariati teologi e pensatori, la pratica magica del maleficio diventa un’eresia vera e propria per due ragioni principali: la prima, che il negromante affidandosi al potere soprannaturale delle fabbricazioni, come nel caso delle statuine, attribuisce prodigi agli oggetti, il che non è contemplato dalla dottrina, anzi, è condannato in quanto idolatria, l’adorazione degli idoli. La seconda ragione consiste nella riverenza nei confronti del diavolo, concludendo un patto con lui per ottenere un servizio in cambio di formule, cerimonie, preghiere e addirittura riti sacramentali, come quello di battesimare le statuine di cera, presente anche nel rito del vescovo francese Geraud.

L’ultimo aspetto trattato dalla bolla riguarda la proibizione ad avere, tenere o studiare manoscritti contenenti le suddette pratiche magiche.

“Chiunque possiederà uno degli scritti o volumetti condannati nello spazio di otto giorni da contarsi dalla notifica di questa nostra costituzione, si ritenga obbligato a distruggerli e a bruciarli totalmente, e in ogni loro parte; in caso contrario, sentenziamo che siano scomunicati immediatamente, per poi procedere, contro quanti disprezzano la presente, ad altre pene più gravi, quando se ne abbia la prova.”

Con papa Giovanni XXII, che fu bersaglio di numerosi sortilegi negromantici, la Chiesa adotta quindi una netta posizione: coloro che credono di realizzare opere magiche mediante riti, sacri o profani, sono da considerarsi eretici, quindi perseguibili da pratica inquisitoriale. Perché sta tutto lì il discorso: essere o meno processabili. Se prima era necessario affiancare l’accusa di stregoneria a qualche reato più grave per istituire un processo, come l’adorazione del Diavolo, il furto o l’omicidio, dalla pubblicazione della “Super illius specula” non fu più necessario… al livello teorico. Sottolineo “teorico” perché in realtà, l’equiparazione della magia all’eresia fu recepita al livello collettivo molto più tardi, secoli più tardi.

La bolla infatti fu una prima avvisaglia di quello che sarebbe avvenuto dopo, dal Quattrocento in poi, e soprattutto ben oltre il Medioevo, con il conosciutissimo e quasi sempre male interpretato fenomeno della caccia alle streghe.

Ma della caccia alle streghe, ne parlerò nel prossimo episodio. Mi raccomando, seguimi se vuoi scoprire le vere origini della magia a partire dalle fonti storiche.

Lorenzo Manara
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