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2 Marzo 2023

I druidi: gli alti sacerdoti degli antichi Celti

la magia dei druidi

Articolo del podcast Storia della Magia, episodio 5: la magia dei druidi nella società celtica

I druidi, gli alti sacerdoti di una religione misterica tra le più sconosciute. Da sempre vengono considerati ai vertici della società celtica, custodi di un’antica sapienza basata sulla magia naturale. Cosa sappiamo veramente di loro? Quali tracce hanno lasciato nella storia?

Alcuni storici hanno rilevato nelle necropoli della Gallia pre-romana caratteristiche assimilabili ai sacrifici rituali, da sempre associati alle funzioni religiose dei druidi. Qualcun altro invece individua tracce druidiche riguardo le stelle e il loro movimento tra alcuni reperti, come nel caso del calendario di Coligny. Tuttavia sono solo ipotesi. Perché ad oggi non esistono fonti archeologiche sull’argomento. Le poche cose che sappiamo sui druidi le dobbiamo alle cronache del tempo, greche e romane. Poiché i celti non ci hanno tramandato niente di scritto.

Tra i primi a nominare i druidi vi è Posidonio di Apamea, che nel I secolo a.C. analizza la società gallica identificando tre categorie di uomini particolarmente rispettati: i bardi, i vati e i druidi. I bardi sono considerati compositori d’inni e poesie. I vati ricoprono cariche religiose, attendono alle cerimonie sacre e si occupano dello studio della natura. I druidi invece sono i più giusti fra gli uomini. Assolvono la funzione di giudici nelle controversie private e pubbliche, si occupano di guerra e partecipano perfino agli scontri; predicano l’immortalità dell’anima e dell’universo e profetizzano “che verrà un tempo in cui su tutto il resto prevaleranno il fuoco e l’acqua.”

Al termine di questa breve descrizione però viene menzionato un altro aspetto del mestiere druidico, qualcosa che fin dalla prima apparizione nelle fonti ha scatenato la fantasia dei cronisti, impegnati nel corso dei secoli a inserire dettagli sempre più macabri e sanguinosi sulla vicenda. Mi riferisco ovviamente alla celebrazione dei sacrifici rituali.

Lo scopo di queste pratiche che i romani consideravano incivili (ma che in passato avevano praticato pure loro, come nel caso della devotio) era quello divinatorio. Secondo le fonti greco-romane, i druidi riuscivano a predire il futuro osservando la vittima contorcersi sul terreno dopo averla pugnalata alla schiena. Oppure impilavano le vittime in una colossale gabbia di vimini a forma di gigante e davano loro fuoco.

Dopo Posidonio molti altri autori si cimentano nella descrizione dei misteriosi sacerdoti celtici. E tutti più o meno sembrano concordare sugli stessi punti. Anzi, spesso si limitano a citare l’autore venuto prima di loro lasciandoci con un orribile dubbio: si tratta di conferme che attestano la veridicità degli avvenimenti, oppure davano tutti per vere informazioni senza prima verificare? Non possiamo saperlo. Tuttavia la cosa appare ben evidente all’interno di una delle fonti letterarie più celebri, nata dalla penna di un vero e proprio gigante della storia: Giulio Cesare.

Cesare, che è stato in Gallia ed è probabile che i druidi li abbia visti davvero, ce ne parla descrivendone il ruolo giuridico pubblico e privato, oltra confermare le loro conoscenze riguardo l’immortalità dell’anima, la filosofia naturale, la grandezza della Terra e il movimento degli astri.

Cesare reputa che il druidismo fosse originario della Britannia, da dove fu esportato in Gallia. I druidi del continente, infatti, effettuavano viaggi in Britannia per approfondire le loro conoscenze: una sorta di pellegrinaggio. I loro studi, poi, proseguivano per vent’anni.

Ad un certo punto della storia, però, verso la fine del I secolo, dei druidi si persero le già flebili tracce. Qualcuno afferma che i più giusti fra gli uomini proseguissero i loro insegnamenti e la trasmissione orale delle conoscenze segrete per vie clandestine, contro il volere di Roma, ma sono teorie che alcuni storici smentiscono. Per il semplice fatto che l’esercizio di controllo nelle province dell’Impero era estremamente limitato. Nonostante l’emanazione di leggi contro la religione druidica come quella dell’Imperatore Claudio, non erano disponibili abbastanza truppe per svolgere ruoli di polizia locale in tutta la Gallia e perseguitare gli irriducibili druidi.

Plinio il vecchio (25-79 d.C.) nella sua opera enciclopedica in trentasette voluminosi libri è il primo a tirar fuori qualcosa di nuovo. Ci fa sapere che la magia della Britannia celtica era molto potente e che quei druidi superavano in grandezza perfino i magi persiani. Ma non solo. E’ forse grazie al suo contributo che la figura del druido assume i tratti caratteristici che ancora oggi fanno parte dell’immaginario collettivo;

Cito dal testo: “Druidi –cosi si chiamano i maghi di quei paesi- non considerano niente più sacro del vischio e dell’albero su cui esso cresce, purché si tratti di un rovere. Scelgono come sacri i boschi di rovere. In realtà essi ritengono tutto ciò che nasce sulle piante di rovere come inviato dal cielo, un segno che l‘albero è stato scelto dalla divinità stessa. Il vischio di rovere è molto raro a trovarsi e quando viene scoperto lo si raccoglie con grande devozione[…] Dopo aver apprestato il rituale del sacrificio e il banchetto ai piedi dell’albero, fanno avvicinare due tori bianchi. Il sacerdote, vestito di bianco, sale sull’albero, taglia il vischio con un falcetto d’oro e lo raccoglie in un panno bianco. Poi immolano le vittime, pregando il dio perché renda il suo dono propizio a coloro ai quali lo ha destinato.”

Da questo momento in poi l’archetipo del druido nelle sue vesti bianche, col falcetto dorato, intento a strappare rami di vischio dalla quercia nel bosco sacro assume i tratti che tutti noi conosciamo. E nel testo di Plinio il Vecchio si fa perfino menzione del banchetto ai piedi dell’albero, proprio come il finale delle storie ideate di Asterix e Obelix. Mancano solo il cinghiale arrosto e il bardo imbavagliato.

Prima di scomparire dalle cronache del tempo e divenire personaggi leggendari, farciti di aggiunte e rimaneggiamenti romantici, i druidi ci regalano un’ultima teatrale apparizione durante la conquista romana del Galles, nel 60 d.C., nel corso della battaglia dell’isola di Anglesey.

I romani erano approdati in Britannia già con Cesare, nel 55 a.C. per una missione che servì a preparare il terreno per un’invasione vera e propria, circa un secolo dopo. La Britannia era un’isola popolata dai celti (chiamati britanni dai romani), che abitavano quelle lande sperdute fin dall’Età del Ferro. Una moltitudine di tribù spesso in guerra fra loro accomunate da una sola cosa: la religione. Erano infatti i druidi, membri della casta sacerdotale riconosciuta più o meno in tutte le isole britanniche, ad avere il controllo religioso e, di conseguenza, politico delle popolazioni celtiche. Se c’era qualcuno in grado di riunirli erano proprio loro. E questo i romani lo sapevano bene.

Nel 60 d.C. le legioni di Roma raggiunsero la sponda della sottile striscia di mare che separa l’isola di Anglesey dal resto del Galles, con lo sguardo rivolto all’angolo più remoto dei domini celtici. L’obiettivo era quello di avanzare fino al bosco sacro che cresceva rigoglioso nell’isola santuario e distruggere ogni cosa. Tolti di mezzo i druidi, l’intera Britannia sarebbe caduta sotto il dominio di Roma.

Le legioni che sbarcarono nell’isola sacra dei celti quel giorno erano dunque il migliore esempio della superiorità bellica romana. Fanterie addestrate e bene equipaggiate coadiuvate dalla cavalleria ausiliaria tra le più temute del tempo, quella dei Batavi: i difensori non avevano alcuna possibilità di resistere a una simile potenza. Laddove la spada britannica non poteva arrivare però, poteva farlo la magia. Ed è proprio quello che misero in campo i druidi per resistere: l’ultimo rituale prima della fine.

I druidi si disposero attorno a un gruppo di donne in abito nero, come le Furie (personificazioni femminili della vendetta), e cominciarono a maledire i romani nella loro lingua sconosciuta, con le mani sollevate alla luce delle fiaccole: uno spettacolo da raggelare il sangue. Qualunque guerriero avrebbe vacillato a una simile vista, specialmente quando si tratta dei temibili celti discendenti di quel Brenno che centinaia di anni prima osò saccheggiare la città eterna. Tuttavia, come ci ricorda Tacito, quelli non erano guerrieri comuni. Erano legionari. E la disciplina di cui si facevano maestri poteva battere qualsiasi superstizione.

Le legioni travolsero i druidi con una tale forza da riportare una vittoria schiacciante. E una volta padroni dell’isola distrussero ogni cosa, riducendo l’intero bosco sacro in fiamme. Da lì in poi la storia dei druidi si fa sempre più sottile fino a scomparire per sempre, sommersa dalla mole di speculazioni e fantasie new age.

Se proprio dobbiamo tirare le somme di questo breve viaggio nella religione druidica, mi verrebbe da pensare che il druido meglio rappresentato del genere fantastico (e che più si avvicina al modello di Plinio il Vecchio) sia proprio quello di Asterix e Obelix: ovvero Panoramix. Il quale è celebre per il paiolo di pozione magica, un elemento folcloristico antichissimo, da sempre associato a maghi e streghe.

Ma di pozioni magiche, filtri d’amore ed elisir di lunga vita, ne parlerò nel prossimo episodio. Ascolta il podcast Storia della Magia, se vuoi scoprire le vere origini della magia a partire dalle fonti storiche.

Lorenzo Manara
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