I vampiri di Augustin Calmet
Storie di vampiri tra XVII e XVIII secolo raccolte da Augustin Calmet, abate benedettino nonché storiografo dei non-morti
Nel Settecento francese un ecclesiastico benedettino di nome Augustin Calmet divenne celebre per la sua opera: “Dissertazioni sopra le apparizioni de’ spiriti, e sopra i vampiri, o i redivivi d’Ungheria, di Moravia e di Silesia”1: due corpulenti volumi che trattano avvenimenti soprannaturali dell’Europa moderna, tra spaventose resurrezioni ed episodi macabri legati ai morti redivivi, mettendo assieme delle vere e proprie storie dell’orrore all’origine di un grande mito ancora oggi conosciutissimo: il vampiro.
Con la sua opera, l’ultima redatta prima di morire, Augustin Calmet fu tra i responsabili della diffusione letteraria di questa creatura, un tempo conosciuta solo nelle tradizioni dell’est Europa, poi divenuta celebre in tutto il mondo. Voltaire nel suo dizionario filosofico inserì la voce “Vampiri” citando proprio il benedettino francese e i suoi studi.
“Tra il 1730 e il 1735, non si sentì parlare che di vampiri: gli si fece la posta, gli si strappò il cuore e vennero bruciati: somigliavano agli antichi martiri; più li si bruciava, e più se ne trovavano. Alla fine, Calmet divenne il loro storiografo, e trattò i vampiri come aveva trattato l’antico e il nuovo Testamento, riferendo fedelmente tutto quello che era stato detto prima di lui. A mio parere, una cosa assai curiosa sono i verbali redatti in buona forma a proposito di tutti i morti che erano usciti dalle proprie tombe per andare a succhiare i bambini e le bambine dei dintorni…”
Dizionario filosofico, Voltaire
Nonostante il sarcasmo da perfetto illuminista, neppure Voltaire resistette al fascino dell’orrore avventuroso, riportando nel suo dizionario uno degli episodi più appassionanti trasmessi dal benedettino francese: ovvero la caccia a un famoso vampiro ungherese.
CAPITOLO XIV – LIBRO II
Ecco una lettera che è stata scritta ad uno dei miei amici, per essere comunicata a me; tratta dei fantasmi dell’Ungheria; a lo scrittore la pensa in modo molto diverso dal Gleaner in materia di vampiri.
“In risposta alle domande dell’abate don Calmet, riguardanti i vampiri, il sottoscritto ha l’onore di assicurargli che nulla è più vero o più certo di quanto avrà senza dubbio letto al riguardo negli atti o nelle attestazioni che sono state rese pubbliche , e stampate in tutte le Gazzette d’Europa. Ma fra tutte queste pubbliche attestazioni apparse, l’abate deve fissare la sua attenzione come fatto vero e notorio su quello della delegazione di Belgrado, ordinata da Sua Maestà Carlo VI, gloriosa memoria, e giustiziato da Sua Altezza Serenissima il defunto Duca Carlo Alessandro di Wirtemberg, allora viceré o governatore del regno di Servia; ma non posso al momento citare l’anno o il giorno, per mancanza di documenti che ora non ho con me.
“Quel principe mandò da Belgrado una delegazione, composta per metà da ufficiali militari e per metà da civili, con il revisore generale del regno, per recarsi in un villaggio dove un famoso vampiro, deceduto da diversi anni, stava facendo grande scompiglio tra i suoi parenti; infatti si noti bene che è solo nella loro famiglia e tra i propri parenti che questi succhiasangue si divertono a distruggere la nostra specie. Questa delegazione era composta da persone ben note per la loro moralità e anche per le loro informazioni, di carattere irreprensibile, e lì vi erano anche alcuni uomini dotti tra i due ordini; furono messi al giuramento, e accompagnati da un luogotenente dei granatieri del reggimento del principe Alessandro di Wirtemberg, e da ventiquattro granatieri del detto reggimento.”
Nella sua opera, infatti, Augustin Calmet riporta il contenuto di una lettera che aveva ricevuto e attestava, secondo il suo autore, l’esistenza inequivocabile dei vampiri. Poiché qualche tempo prima, in una data non precisata, una delegazione proveniente da Belgrado composta da ufficiali civili e militari, uomini dotti, studiosi, oltre a 24 granatieri del reggimento del duca Alessandro del Württemberg, si recò in un villaggio dove un “famoso vampiro, deceduto da diversi anni, stava creando scompiglio tra i suoi parenti ancora in vita”. Insomma, costoro erano quelli che oggigiorno chiameremmo cacciatori di vampiri.
Nella lettera si fa riferimento ai parenti del vampiro, poiché in questa specifica tradizione folcloristica si credeva che tali creature succhiassero il sangue solo ai membri della loro famiglia. E infatti, quando i cacciatori della delegazione giunsero nel villaggio, scoprirono che il vampiro aveva già ammazzato tre suoi nipoti e uno dei suoi fratelli. Oltre ad aver cominciato con la sua quinta vittima, la bellissima e giovane figlia di sua nipote, la quale era già stata morsa due volte. Non c’era tempo da perdere, dunque, i cacciatori dovevano eliminare la minaccia alla svelta, prima che anche questa giovane divenisse vittima del mostro.
“Tutti quelli che erano rispettabilissimi, e lo stesso Duca, che era allora a Belgrado, si unì a questa deputazione, per essere testimoni oculari della verace prova che si doveva fare. Quando arrivarono sul posto, scoprirono che nel giro di quindici giorni il vampiro, zio di cinque persone, nipoti e nipoti, aveva già eliminato tre di loro e uno dei suoi fratelli. Aveva cominciato con la sua quinta vittima, la bellissima e giovane figlia di sua nipote, e l’aveva già succhiata due volte, quando le operazioni successive posero fine a questa triste tragedia.
Hanno riparato con i commissari delegati in un villaggio non lontano da Belgrado, e quello pubblicamente, al calar della notte, e sono andati alla tomba del vampiro. Il signore non poteva dirmi l’ora in cui quelli che erano morti erano stati succhiati, né i particolari dell’argomento. Le persone a cui era stato succhiato il sangue si trovarono in uno stato pietoso di languore, debolezza e assiduità, tanto violento è il tormento. Era stato sepolto tre anni, e videro sulla sua tomba una luce simile a quella di una lampada, ma non così luminosa.”
Perché coloro che erano morsi dal vampiro cadevano in uno stato pietoso di languore e debolezza, finché gli attacchi della creatura malvagia, anche a distanza di giorni, non li ammazzavano definitivamente. Per questo, la delegazione cittadina, comprensiva di studiosi e granatieri dell’esercito, si recò alla tomba del vampiro, di notte, sepolto laggiù da almeno tre anni, trovandovi un bagliore simile a una lampada: un bagliore soprannaturale.
Aprirono la tomba, e al suo interno vi giaceva un uomo integro, apparentemente sano, con tutti i capelli, i peli del corpo, le unghie, i denti, gli occhi spalancati come lo sono quelli dei viventi e un’altra particolarità: il cuore palpitante.
“Hanno aperto la tomba e vi hanno trovato un uomo integro e apparentemente sano come ognuno di noi che era presente; i suoi capelli e i peli sul suo corpo, le unghie, i denti e gli occhi saldamente aperti come sono ora in noi stessi che esistiamo, e il suo cuore palpitante.
Poi procedettero a tirarlo fuori dalla sua tomba, il corpo in verità non essendo flessibile, ma non mancando né di carne né di ossa. Poi gli trafissero il cuore con una specie di lancia di ferro rotonda, appuntita; ne uscì un liquido biancastro e fluido materia mista a sangue, ma il sangue prevaleva più della materia, e il tutto senza alcun cattivo odore, dopodiché gli tagliarono la testa con un’accetta, come si usa in Inghilterra nelle esecuzioni capitali, ne uscì anche materia e sangue come quanto ho appena descritto, ma più abbondantemente in proporzione a quanto era sgorgato dal cuore. E dopo tutto questo lo gettarono di nuovo nella sua tomba, con calce viva per consumarlo prontamente; e da allora in poi sua nipote, che era stata morsa per due volte, crebbe. Nel punto in cui queste persone vengono succhiate una macchia molto blu è formata; la parte da cui viene prelevato il sangue non è determinata, a volte è in un luogo e a volte in un altro. È un fatto notorio, attestato dai documenti più autentici, e tramandato o eseguito al cospetto di più di 1.300 persone, tutte degno di fede.”
Lo tirarono quindi fuori dalla tomba e gli trafissero il cuore con una lancia di ferro. Ne uscì un liquido biancastro di materia mista a sangue, privo di cattivo odore. Poi gli tagliarono la testa con un’accetta, come si usava fare in Inghilterra nelle esecuzioni capitali. Ne uscì liquido biancastro misto a sangue in misura maggiore rispetto al cuore. E dopo tutte queste operazioni, rigettarono il corpo nella tomba riempiendola di calce viva.
Successivamente, la figlia della nipote del cosiddetto vampiro, quella giovane vittima che era stata morsa ben due volte, si riprese. Nel punto in cui erano affondati i denti si formò una macchia blu; un punto non specificato del corpo poiché non era determinante ai fini del racconto, diversamente da quanto accade nella letteratura. Perché infatti nel folclore di questi paesi del centro-est europeo non si menziona quasi mai il morso al collo con conseguente risucchio di sangue. I vampiri della tradizione ammazzavano i viventi in svariati modi, spesso per soffocamento.
Questo è uno dei pochi resoconti che mette in mostra un vampiro molto simile a come lo conosciamo noi oggi, che riemerge dalla tomba per succhiare il sangue e farlo, tra le altre cose, poco alla volta, proprio come il Dracula di Bram Stocker che si nutre azzannando sempre la stessa vittima, guarda caso una giovane, e pure bellissima.
La lettera si conclude confermando la veridicità del fatto di cui sarebbero testimoni, oltre alla delegazione di studiosi e granatieri mandati dall’autorità, più di 1300 persone, numero specifico che presumibilmente sta a rappresentare gli abitanti di quei luoghi, che erano ben abituati a simili episodi.
Infatti, questo è solo uno dei resoconti di cronaca a tema vampiri che Augustin Calmet riporta nella sua opera.
CAPITOLO VII. I REVENANT O VAMPIRI DELLA MORAVIA. Mi è stato detto dal defunto Monsieur de Vassimont, consigliere della Camera dei Conti di Bar, che essendo stato inviato in Moravia da Sua Altezza Reale Leopoldo, primo Duca di Lorena, per gli affari del Principe Carlo suo fratello, vescovo di Olmutz e Osnaburgh, fu informato da pubblico rapporto che era abbastanza comune in quel paese vedere uomini che erano morti da tempo, presentarsi in gruppo e sedersi a tavola con persone di loro conoscenza senza dire nulla; ma quel cenno a uno del gruppo, lo avrebbe ucciso infallibilmente alcuni giorni dopo. Questo fatto è stato confermato da diverse persone, e tra gli altri da un vecchio curato, che ha detto di averne visto più di un esempio. I vescovi e i sacerdoti del paese consultarono Roma su un fatto così straordinario; ma non ricevettero risposta, perché, a quanto pare, tutte quelle cose erano considerate come semplici visioni, o fantasie popolari.
Furono riesumati un gran numero di cadaveri, di quelli che si pensava tornassero in vita, per bruciarli o distruggerli in altro modo. Così si sono liberati dall’insistenza di questi spettri, che ora si vedono molto meno frequentemente di prima. Così disse quel buon prete. Queste apparizioni hanno dato origine a un’opera piccola, intitolata Magia Posthuma, stampata a Olmutz, nel 1706, composta da Charles Ferdinand de Schertz, dedicata al principe Carlo di Lorena, vescovo di Olmutz e Osnaburgh.”
In Moravia, nell’attuale Repubblica Ceca, era abbastanza comune che gli uomini morti da tempo ritornassero in vita per andarsi a sedere a tavola con persone di loro conoscenza. Lo facevano senza dir nulla, apparentemente innocui. Il che mi ricorda molto quel vecchio film “Week-end con il morto”, dove i protagonisti si trovavano a cenare col defunto. Ma, a differenza del film, i risvolti nei resoconti storici non sono affatto divertenti. Poiché a un minimo cenno di quel cadavere risorto per desinare, uno sventurato commensale sarebbe morto entro qualche giorno. Un fatto accaduto più volte, e confermato persino dagli uomini di chiesa di quei luoghi, anche di elevata gerarchia ecclesiastica, come sacerdoti e vescovi. I quali, per risolvere la questione, consultarono i dotti di Roma senza però ricevere risposta. La santa sede, ricevuta quella strana richiesta dalla Moldavia, bollò gli avvenimenti come “semplici visioni o fantasie popolari”. Dunque, gli abitanti dovettero risolvere le cose a modo loro.
Furono riesumati un gran numero di cadaveri, di quelli che si pensava tornassero in vita, per bruciarli o distruggerli in altro modo, e così gli abitanti si liberarono di quei non-morti alla maniera degli ammazza-vampiri di stampo letterario. Tali avvenimenti diedero origine a un’opera intitolata Magia Posthuma, del 1706, scritta proprio in seguito agli eventi soprannaturali che sconvolsero il paese, da cui l’abate francese Calmet riprende una storia in particolare, quella di una donna morta e seppellita in un villaggio rurale che, naturalmente, quattro giorni dopo tornò in vita.
“Racconta l’autore, che in un certo villaggio, una donna appena morta, che aveva preso tutti i suoi sacramenti, fu seppellita nel modo consueto nel cimitero. Quattro giorni dopo la sua morte, gli abitanti di questo villaggio udirono un gran rumore e uno straordinario tumulto, e videro uno spettro, che appariva ora sotto forma di cane, ora sotto forma di uomo, non a una sola persona, ma a molti, e causava loro un grande dolore, afferrando loro la gola e comprimendo i loro stomaci, in modo da soffocarli. I suoi attacchi lasciavano lividi su quasi tutto il corpo, e riduceva a un’estrema debolezza, tanto che le vittime diventavano pallide, magre e assottigliate. Lo spettro ha attaccato anche gli animali, e alcune mucche sono state trovate debilitate e in fin di vita. A volte legava insieme gli animali per la coda. Questi animali hanno dato una prova sufficiente del dolore che hanno sofferto con il loro muggito. I cavalli sembravano sopraffatti dalla stanchezza, sudavano copiosamente, principalmente sul dorso; erano riscaldati, senza fiato, ricoperti di schiuma, come dopo un lungo e aspro viaggio.”
Gli abitanti furono testimoni di un gran rumore e uno straordinario tumulto, al seguito del quale videro uno spettro apparso dapprima sotto forma di cane, poi sotto forma umana. Uno spettro malvagio e vendicativo, che assaliva gli sventurati alla gola e stritolava lo stomaco per indurre il soffocamento. Tali attacchi lasciavano lividi in tutto il corpo, indebolendo le vittime tanto da farle diventare pallide, magre. Il ritornante, presumibilmente la stessa donna morta quattro giorni prima, attaccava persino gli animali. Alcune mucche furono trovate in fin di vita. E al mattino, i cavalli apparivano stremati, senza motivo, sopraffatti dalla stanchezza, e con la schiuma alla bocca come dopo un lungo viaggio.
“Queste calamità durarono diversi mesi. L’autore che ho citato esamina la cosa da giurista, e ragiona molto in fatto e in diritto. Si chiede, se, supponendo che questi tumulti, questi rumori e vessazioni, provengano da quella persona sospettata di averli causati, la possano bruciare, come si fa con gli altri fantasmi che fanno del male ai vivi. Racconta diversi esempi di apparizioni simili e dei mali che ne seguirono; come di un pastore del villaggio di Blow, vicino alla città di Kadam, in Boemia, che apparve per qualche tempo e chiamò alcune persone, che non mancavano mai di morire entro otto giorni dopo. I contadini di Blow riesumarono il corpo di questo pastore e lo fissarono nel terreno trafiggendolo con un palo. Quest’uomo quando era in quello stato li derideva per il tormento che gli facevano subire, e diceva loro che erano stati gentili a concedergli un bastone con cui difendersi dai cani.”
In un altro villaggio dell’odierna Repubblica Ceca, in Boemia, vi fu un’apparizione simile ma ben più orrida. Un pastore, dopo esser morto, tornò in vita per rifarsela con alcuni suoi conoscenti, uccidendoli tutti. I contadini riesumarono il corpo per impedirgli di uccidere ancora e lo trafissero con un palo conficcato nel terreno, ma scoprirono che tale misura non servì a niente, poiché in quello stato il cadavere cominciò a deriderli, sfottendoli per avergli donato un “bastone con cui difendersi dai cani”.
“La stessa notte si alzò di nuovo, e con la sua presenza allarmò diverse persone, e strangolò più persone di quanto avesse fatto fino a quel momento. Dopodiché lo consegnarono nelle mani del boia, che lo mise su un carro per portarlo fuori del villaggio e lì bruciarlo. Questo cadavere ululava come un pazzo e muoveva i piedi e le mani come se fosse vivo. E quando lo trafissero di nuovo con dei paletti, emise grida molto alte e da lui sgorgò una grande quantità di sangue vermiglio brillante. Alla fine fu consumato e questa esecuzione pose fine all’apparizione e agli orrori di questo spettro. Lo stesso episodio si è ripetuto in altri luoghi, dove sono stati visti fantasmi simili; e quando sono stati tirati fuori dal terreno sono apparsi rossi, con le loro membra morbide e flessibili, senza vermi o marciume; ma non senza grande fetore. L’autore cita diversi altri scrittori, che attestano ciò che si dice riguardo questi spettri, che appaiono ancora, dice, molto spesso nelle montagne della Slesia e della Moravia. Si vedono di notte e di giorno; le cose che una volta appartenevano a loro si vedono muoversi e cambiare posto senza essere toccate da nessuno. L’unico rimedio a queste apparizioni è tagliare le teste e bruciare i corpi di coloro che tornano a infestare le loro vecchie dimore. Ad ogni modo non vi procedono senza una forma di diritto giudiziario. Chiamano e ascoltano i testimoni; esaminano gli argomenti; Studiano i corpi riesumati, per vedere se riescono a trovare segni che li portano a congetturare che siano colpevoli delle molestie ai vivi, come la mobilità e l’agilità degli arti, la fluidità del sangue e la carne che rimane incorrotta. Se vengono trovati tutti questi segni, questi corpi vengono consegnati al carnefice, che li brucia. A volte capita che gli spettri appaiano di nuovo per tre o quattro giorni dopo l’esecuzione. A volte la sepoltura dei corpi di persone sospette è differita di sei o sette settimane. Se non si decompongono e le loro membra rimangono morbide e flessibili come quando erano vive, allora le bruciano. Si afferma per certo che le vesti di queste persone si muovono senza che alcuno vivente le tocchi; e in breve tempo, continua il nostro autore, fu visto a Olmutz uno spettro che lanciava pietre e dava grande fastidio agli abitanti.”
La stessa notte il pastore si alzò di nuovo dalla tomba per strangolare molti altri innocenti. A quel punto i contadini lo consegnarono nelle mani del boia, il quale portò il cadavere fuori dal villaggio e lo bruciò. Mentre ardeva, il cadavere ululava come un pazzo e “muoveva piedi e mani come se fosse vivo”. Una volta carbonizzato fu trafitto da paletti che fecero sgorgare una grande quantità di sangue vermiglio brillante. Tale esecuzione pose fine alla minaccia sovrannaturale per sempre.
Quelli dell’abate Augustin Calmet sono resoconti che hanno ispirato le moderne storie di vampiri, a cominciare da Dracula. Cronache, che nonostante appartengano a fatti avvenuti a cavallo tra XVII e XVIII secolo, appaiono molto simili a quelle d’epoca medievale, di cui ormai abbiamo conosciuto molti esempi, a cominciare dai “racconti horror del monaco di Byland”, episodio di Leggende Affilate ambientato tre secoli prima, che consiglio assolutamente di recuperare.
Proprio come nel Medioevo, il miglior modo per liberarsi dei redivivi, o vampiri, come li chiama Calmet, è quello di darci un bel taglio, dritto sul collo, magari piantando qualche paletto nelle membra defunte, e nel cuore: tutti elementi onnipresenti quando si parla di simili storie. Comprese le caratteristiche estetiche dello stesso vampiro: ovvero un cadavere ben conservato, privo di vermi e putredine, dalle membra flessibili e dagli arti agili, e che solo talvolta emana fetore di morto. Parrebbe per lo più assente la bellezza sensuale di questi non-morti, una caratteristica al contrario sempre presente nella deriva dark romance di un certo tipo di narrativa. I vampiri originari, aderenti al folclore, non sono sexy nemmeno un po’.
Se questa storia ti ha appassionato, seguimi, così non perderai occasione di vivere le prossime Leggende Affilate.
- The phantom world, or, The philosophy of spirits, apparitions, &c. by Calmet, Augustin, 1746 ↩
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