Close

1 Febbraio 2022

Guglielmo il Maresciallo: un campione medievale

guglielmo il maresciallo torneo

La vita di Guglielmo il Maresciallo: formidabile cavaliere di tornei, crociato, avversario di Riccardo Cuor di Leone e reggente d’Inghilterra

Se c’è una vita che vale la pena di raccontare è proprio quella di Guglielmo il Maresciallo, William the Marshall, vissuto nella seconda metà del XII secolo, così celebre che le sue avventure vennero messe nere su bianco per mano del suo scudiero in un’affascinante biografia1. Guglielmo nacque come quarto figlio di un signorotto inglese e non poteva aspirare a niente di meglio che una vita errante, poiché lontanissimo dalla primogenitura e da tutti i benefici che ne derivavano (potete approfondire il tema nell’articolo “Il cavaliere errante“). Una condizione più dura e pericolosa di quanto potremmo immaginare, perché fin dalla tenera età lo rese una pedina sacrificabile per la sopravvivenza della sua stirpe.

Durante la guerra civile inglese avvenuta nella metà del XII secolo, il castello di Guglielmo venne assediato da re Stefano in quello che sembrava uno scontro senza speranza di vittoria per i difensori. Le provviste erano infatti poche e presto si giunse a patteggiare. Re Stefano chiedeva la resa completa entro un giorno e il signore del castello consegnò un ostaggio a garanzia della sua parola: si trattava del famigliare meno importante, ovvero l’ultimo dei suoi figli.

Guglielmo il Maresciallo aveva cinque o sei anni quando si trovò prigioniero del re, fuori dalle mura del castello di famiglia. La sua vita era vincolata alla parola del padre, il quale, con una mossa spietata, la infranse senza pensarci troppo su: sfruttò la tregua per raccogliere nuovi soldati, approvvigionamenti e si preparò a difendere il castello a oltranza.

Re Stefano, meravigliato dal comportamento del rivale, mandò subito un messaggero intimando la resa immediata: se i cancelli del castello non si fossero aperti all’istante, il piccolo Guglielmo sarebbe stato impiccato. Ma la risposta del padre fu emblematica: “Ho ancora il martello e l’incudine con cui forgiare figli più numerosi e migliori!

Abbandonato e sacrificato dallo stesso padre, Guglielmo venne scortato fino a un albero per l’impiccagione. Ma, data la sua tenera età, re Stefano non ce la fece a impiccarlo. Qualcuno dei suoi gli propose di lanciarlo col trabucco fin sulle mura, ma ormai era fatta: Guglielmo aveva intenerito il sovrano, che lo tenne prigioniero per qualche mese senza colpo ferire.

La guerra civile si concluse con la pace e la riconciliazione. Guglielmo il Maresciallo però non rimase a lungo nel castello di famiglia, anzi, venne subito spedito in Normandia, nella Francia del nord, allora legata allo stesso tempo alla corona inglese e a quella francese per complicate motivazioni dinastiche. Si trattava di un territorio di confine pieno di eventi e occasioni guerresche, dove il piccolo Guglielmo cominciò la carriera militare seguendo il classico iter che tutti studiamo a scuola: dapprima paggio presso il castello di un parente2, poi scudiero con l’obiettivo di ricevere spada, elmo, speroni e divenire cavaliere.

Il nuovo signore di Guglielmo era un potente barone, con un grande castello sulla bassa Senna, al comando di novantaquattro cavalieri3. Il numero di cavalieri che seguivano il suo stendardo rappresenta la potenza militare e l’influenza politica del personaggio, ben lontano dai signorotti sparsi per tutta Europa che potevano contare su un seguito armato ben inferiore. Nel mio romanzo di prossima uscita, ad esempio, “La Stirpe delle Ossa”, il decadente signore di Malarocca si accompagna con soli tre cavalieri, a riprova delle umili condizioni del suo feudo.

All’età di tredici anni, Guglielmo il Maresciallo divenne un “valet” o, come diremmo noi, uno scudiero, pronto a imparare il mestiere delle armi. L’addestramento prevedeva il continuo ripetersi di esercizi di abilità e resistenza, fra i quali l’interessante gioco di destrezza che era necessario per montare in sella, ovvero di saltare in groppa armati con la maglia di ferro senza toccare la staffa, impresa che richiedeva addestramento lungo e rigoroso4, che richiama molto da vicino l’addestramento di un altro grande cavaliere, Jean le Maigre II, vissuto circa due secoli più tardi ma che condivideva un simile sistema d’allenamento (per approfondire, l’articolo “Quanto pesa una armatura medievale?“).

L’uso efficace delle armi di un cavaliere (lancia, spada e scudo) era fondamentale per chiunque volesse intraprendere la professione, senza tralasciare gli altri aspetti non meno importanti, come prendersi cura dell’attrezzatura. Uno scudiero trascorreva lunghe ore ad accudire i cavalli (non suoi)5 e pulire, lucidare armi e armature. Princìpi che Guglielmo il Maresciallo padroneggiò alla perfezione, poiché lo dimostrò ampiamente in battaglia e, soprattutto, nel gioco della guerra.

“Il suo corpo era così ben formato che se fosse stato modellato da uno scultore non sarebbe stato così bello. Aveva bei piedi e belle mani, ma tutti questi erano dettagli minori nell’insieme del suo corpo. Se qualcuno lo guardava attentamente, lui sembrava così ben fatto che, se si giudica onestamente, si sarebbe costretti a dire che aveva il corpo più in forma del mondo. Aveva i capelli castani. E somigliava a un uomo di rango abbastanza alto da essere imperatore di Roma. Aveva gambe lunghe e una buona statura al pari di un gentiluomo. Chi l’ha modellato era un maestro.”

Il biografo non ci è andato leggero con i complimenti nel descrivere le fattezze del giovane Guglielmo, nel fiore dell’età, pronto ad affettare il mondo a colpi di spada come un “imperatore di Roma“. All’età di 21 anni si presentò l’occasione di ricevere gli speroni e provare il suo valore, giusto la sera prima del battesimo del fuoco.

Nell’estate del 1167, la cittadina normanna di Neufchatel-en- Bray (allora chiamata Drincourt) venne assalita dal nemico francese. I difensori, fra cui figurava l’impaziente Guglielmo, si trovavano a difendere l’unico ponte che permetteva l’accesso sul fiume, nell’attesa d’ingaggiar battaglia: cosa che avvenne non appena gli avversari si mostrarono in sella ai loro destrieri, pronti allo scontro.

I due schieramenti si fronteggiarono in una carica al galoppo. Il nostro eroe ruppe la propria lancia contro lo scudo di un avversario e prontamente estrasse la spada per proseguire la lotta nel mezzo della mischia. I francesi però disponevano anche di un gran numero di fanti, il cui scopo era quello di afferrare i cavalieri e buttarli giù di sella.

Guglielmo venne afferrato e buttato in terra. Gli ammazzarono il cavallo e cominciarono a trascinarlo via per farlo prigioniero, cosa molto frequente nel corso delle guerre feudali, quando l’assassinio non ricompensava bene quanto un bel riscatto. Guglielmo però non era un cavaliere come gli altri. Perché riuscì a liberarsi dalla stretta e riprese a combattere, nel mezzo del nemico, per crearsi una via di fuga. Gli abitanti della città, che da lontano assistevano allo scontro e avevano visto quei coraggiosi cavalieri battersi per loro, si armarono in gran numero e si unirono alla battaglia. I francesi vennero sconfitti e la vittoria fu decisiva.

Le azioni del giovane cavaliere non erano passate inosservate. Tutti avevano visto com’era riuscito a liberarsi e a vendere cara la pelle senza badar troppo a prigionieri, riscatti e bottini di guerra. Per questo, la sera, durante il banchetto, i signori e i baroni normanni gli chiesero di donar loro qualcosa, come “una groppa o un collare da cavallo.” Guglielmo rispose di non aver mai avuto niente di tutto ciò. Anzi, gli era pure morto il destriero. E loro gli dissero: “Di che parli? Solo oggi ne avresti guadagnati quaranta o sessanta“. Rimarcando il fatto che col suo valore aveva contribuito alla vittoria, ma soprattutto, suggerendogli di farsi più furbo, perché la guerra non si ripaga da sola.

Infatti, dopo lo scontro, Guglielmo non aveva più un cavallo da guerra e, nonostante ne avesse avuto il diritto, non aveva rivendicato parte del bottino al termine della battaglia. Aspetto molto più importante di quanto possa sembrare, poiché i cavalli da guerra erano indispensabili e, di conseguenza, costosi. Possedeva un palafreno, ovvero un cavallo da trasporto e da viaggio, ma non era in grado di sostenerlo in armi, né di reggere alla pressione di una battaglia. Senza contare che di lì a poco stava per aver luogo un grande evento che raccoglieva cavalieri da ogni angolo di Normandia e pure oltre: un torneo.

Guglielmo era disperato, non poteva partecipare. Ma il suo signore, che l’aveva preso in simpatia e ricordava bene le sue prodezze a Drincourt, gli donò un nuovo cavallo da guerra. E il nostro eroe fu pronto a scrivere una pagina formidabile della storia medievale.

Nel giorno stabilito una folla di cavalieri di ogni grado e lignaggio si riunì al cospetto di re William di Scozia. Si trattava di un’importantissima manifestazione guerresca atta a simulare uno scontro d’armi. Il torneo, infatti, si svolgeva su un campo all’aperto, dove si sarebbero scontrati due schieramenti in una mischia che riproduceva in maniera abbastanza fedele la guerra vera e propria. La regola? Chi vince si prende tutto.

Dopo che i cavalieri si erano armati nei rifugi ai confini del campo, le due parti avanzarono l’una verso l’altra in ranghi serrati e ordinati. E non appena le lance s’infransero in mille pezzi dando inizio alla mischia, Guglielmo non perse tempo a mettere in atto ciò che aveva imparato dal suo battesimo del fuoco. Attaccò Filippo de Valognes un cavaliere della casa di re William e, dopo averlo sconfitto, s’impossessò subito del suo cavallo aggiudicandosi il primo bottino della giornata.

Portò il prigioniero a bordo campo per “convalidare” la cattura e tornò immediatamente a combattere. Scelse il suo nuovo avversario, lo sfidò a duello e vinse ancora una volta. Al termine dell’evento Guglielmo aveva battuto tre cavalieri, ciascuno dei quali fu costretto a cedere l’intero equipaggiamento: cavalli da guerra, armi e armature, ronzini per i suoi servi e cavalli da trasporto per il suo bagaglio. La strada per il successo era appena cominciata.

Non appena si sparse la voce di un nuovo torneo, Guglielmo montò in sella e si recò al luogo dell’evento, in tempo per l’inizio visto che i due schieramenti si erano già sistemati ai lati opposti del campo. Smontò dal palafreno, vestì la sua armatura e condusse al galoppo il destriero da guerra, pronto a combattere ancora una volta.

Alla prima carica Guglielmo maneggiò così bene la lancia da colpire in pieno un cavaliere, sbalzandolo di sella. Si fermò per reclamare la cattura, ma prima che potesse farlo venne circondato da cinque cavalieri che tentavano di difendere il loro compagno. Guglielmo mise mano alla spada e menò fendenti vigorosi nella più completa inferiorità numerica. Riuscì a restare in sella e respingere i suoi nemici, ma un colpo lo raggiunse sull’elmo, rigirandoglielo in modo che non potesse più respirare attraverso i fori. Fu costretto quindi a ritirarsi a bordo campo e ripararlo. Una vola sistemato tornò a combattere e si batté così bene da vincere il premio del torneo, uno splendido cavallo da guerra “di Lombardia“.

Torneo dopo torneo, il prestigio di Guglielmo il Maresciallo accrebbe assieme alla sua fama e le sue ricchezze. I tornei cui partecipava acquisivano importanza per il solo fatto che vi partecipasse, proprio come accade con le competizioni sportive contemporanee. Le sue capacità militari e le tecniche di guerra gli permettevano d’esser sempre fra i migliori, soprattutto in ambito della lotta. Egli era infatti in grado catturare l’avversario “prendendolo su a braccia” e portarlo via ben vivo “dopo averlo fatto ondeggiare sul collo del cavallo”6.

Esemplare in tale senso fu l’impresa compiuta durante il torneo disputato nel 1180 tra Maintenon e Nogent le Roi: Guglielmo il Maresciallo si precipitò nel folto della mischia e, individuato Renaut di Nevers (che aveva un conto da regolare con re Enrico d’Inghilterra), prese il suo cavallo per il freno, abbracciò l’avversario, lo trasse di sella facendolo destramente passare al di sopra del collo della cavalcatura e lo portò di peso davanti al re che, non lontano di là, assisteva allo spettacolo7“.

Tale destrezza gli consentì perfino di vincere e disarcionare nientemeno che Riccardo Cuor di Leone, durante una delle varie guerre dinastiche fra i membri della famiglia dei Plantageneti. Lo schieramento di Guglielmo si stava ritirando dopo una pesante sconfitta e veniva inseguito dallo stesso Riccardo, così ansioso di annientarli che aveva trascurato d’indossare la maglia di ferro, conducendo la caccia senz’altra armatura che l’elmo. Guglielmo voltò il cavallo e tornò indietro per coprire la ritirata del suo esercito. Alla sola vista del cavaliere più celebre del suo tempo, Riccardo (poi soprannominato Cuor di Leone, nonché unico in grado di sconfiggere il Saladino, poichi anni più tardi) gridò: “Per le gambe di Dio, Maresciallo, non uccidermi. Non sarebbe giusto perché sono disarmato“. E Guglielmo rispose: “No, non lo farò io. Sarà il diavolo a farlo” e detto questo gli uccise il cavallo, per sottolineare che quel giorno avrebbe potuto porre fine alla sua vita, ma aveva deciso di non farlo.

Per quanto queste informazioni vadano prese con le pinze, poiché appartenenti a una biografia celebrativa, redatta da quel che era stato lo scudiero di Guglielmo il Maresciallo, non possiamo che rimanere affascinati dalla bellezza del racconto e, soprattutto, dai dettagli di contorno delle vicende: vere e proprie chicche che ci permettono di capire come si svolgevano determinati aspetti della vita cavalleresca, spesso relegati a cliché e stereotipi cinematografici.

Senza contare che le sue avventure non finiscono di certo qui, visto che partecipò alle crociate, divenne maestro di sovrani, reggente d’Inghilterra e lasciò pure la sua firma sulla Magna Carta…

Se vi è piaciuta questa storia restate nei paraggi, perché ce ne sono molte altre da raccontare, compresa quella contenuta nel mio romanzo di prossima uscita: “La Stirpe delle Ossa”. Iscrivetevi alla newsletter!

  1. Histoire de Guillaume le Mareschal, John of Earley
  2. John Marshal decise di mandare William da suo cugino, William, signore di Tancarville e ciambellano ereditario di Normandia
  3. Red Book of the Exchequer, p. 629
  4. The History of William Marshall, Sidney Painter
  5. Raimondo Lullo nel suo Livre de l’ordre de chevalerie (1274 – 1276) raccomanda ai cavalieri di far apprendere ai figli a montare a cavallo sin dalla giovinezza e che durante l’apprendistato venga loro insegnato anche a prendersi cura dell’animale, Raimondo Lullo, Libro dell’Ordine della Cavalleria.
  6. Georges Duby, Guglielmo il Maresciallo. L’avventura del cavaliere
  7. A. A. Settia, “Prendelli a braccia e abattergli de’ cavagli” Fascicolo 2 / N.5 (2021) – Storia Militare Medievale
Lorenzo Manara
Latest posts by Lorenzo Manara (see all)