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17 Agosto 2022

Arco da guerra VS armatura medievale

arco da guerra dei barbanicchi ungari

Le prestazioni dell’arco da guerra medievale contro la corazza di ferro, la cotta di maglia o l’armatura di piastre completa: la risposta nelle fonti

Un cliché narrativo che appare di frequente in romanzi, film e videogiochi, riguarda il tiro con l’arco da guerra. Una disciplina che, stando a quel che si vede sul grande schermo, sembrerebbe semplice e praticabile da chiunque: principesse improvvisate, popolani dopo un rapido training prima della battaglia, gracili ragazzini, e tutte quelle creature fantasy considerate più deboli delle altre in corpo a corpo.

Per rimarcare il fatto che l’arco da guerra non richieda chissà quale sforzo fisico, in alcune edizioni di Dungeons and Dragons, e nei vari giochi di ruolo che lo emulano ancora oggi, al fine di padroneggiare questa arte viene indicata come caratteristica fondamentale la “destrezza”, mentre la “forza” serve invece per impugnare armi bianche. Peccato, però, che non ci sia niente di più sbagliato.

L’arco da guerra è infatti uno strumento che richiede molta forza e addestramento per essere usato con efficacia. Specialmente se il nemico indossa un’armatura che, a seconda della tipologia, avrebbe potuto rendere il portatore quasi invulnerabile alle frecce. Ed ecco che arriviamo subito al nocciolo della questione: se l’arco da guerra non sviluppa abbastanza forza, allora non ferirà il bersaglio. Sembra un concetto di una banalità sconcertante ma, a giudicare dalle scene che i narratori pasticcioni ci propinano, non lo è affatto.

Nelle serie-tv più famose e recenti, come Games of Thrones e The Witcher, sembrerebbe che le corazze indossate dai personaggi siano fatte di gommapiuma invece che di ferro. Perché vengono trapassate con facilità in punta di spada e perfino dalle frecce. Cosa del tutto fuori dal mondo.

Per rompere gli anelli di una buona maglia di ferro (la famosa cotta di maglia medievale), penetrare l’imbottitura della veste sottostante e provocare una ferita è necessario un arco di circa 150 libbre di potenza1 2. Il che significa che lo sforzo di tensione della corda equivale a sollevare 150 libbre di peso (ovvero 70kg!).

Ed è proprio così che si misura la potenza di un arco: con l’equivalente del peso trattenuto dall’arciere nella fase di massima tensione della corda. Adesso che abbiamo dei valori di riferimento (anche se approssimativi), possiamo renderci conto di quanto sforzo sia necessario per utilizzare certe armi contro dei nemici corazzati. 70kg sono infatti un peso spropositato per chiunque non sia addestrato (ma lo sarebbero pure 40-50kg).

Preciso subito che archi da guerra tanto potenti non s’incontravano spesso sul campo di battaglia, sebbene fossero impiegati dalle truppe d’elité (europee e non). E’ il caso degli arcieri inglesi e dei loro longbow, che arrivavano anche a 180 libbre3, oppure degli arcieri turchi e ottomani, di cui sono sopravvissuti alcuni esemplari di archi che superano le 180 libbre4.

Gli uomini che componevano le fila di queste unità specializzate si addestravano una vita intera per raggiungere simili capacità fisiche e tecniche. Lo dimostrano le fonti storiche come i decreti reali inglesi, ad esempio quello di Edoardo III, che nel 1363 ricordò agli abitanti del suo regno di praticare costantemente il tiro con l’arco e partecipare ai tornei di arcieria in modo da trarre “grandi onore e profitti, e non poco vantaggio per le nostre imprese di guerra…5.

L’arco da guerra è dunque uno strumento complesso da padroneggiare, che richiede molta preparazione fisica nel caso in cui si voglia ferire avversari protetti da armature di ferro: obiettivo che diventa sempre più difficile da ottenere (diventando praticamente impossibile) nel caso in cui i nemici indossino spesse piastre di ferro.

Arrivati a questo punto qualcuno potrebbe pensare che arco e frecce siano allora inutili, ma non è assolutamente così. Perché la stragrande maggioranza dei soldati medievali non indossava armature complete a piastre di ferro. Dunque, non era necessario che gli arcieri fossero obbligatoriamente degli energumeni muscolosi come quelli che tiravano col longbow (e che poi soffrivano danni alle articolazioni e alle ossa per via dello sforzo logorante, come osservato grazie al ritrovamento dei loro scheletri6). E nemmeno era necessario sfondare maglie di ferro ad anelli, visto che non tutti le portavano e che, spesso, non proteggevano il 100% della superficie corporea. Alle volte, infatti, bastava che una singola freccia scagliata da un comune arco da guerra si piantasse in un punto debole dell’armatura per provocare una ferita mortale. Cosa che avveniva spesso, data la mole di aneddoti che le fonti storiche ci hanno regalato nel corso dei secoli.

Una delle morti più significative in cui mi sono imbattuto nelle fasi di documentazione per i miei romanzi proviene dal racconto delle crociate. I saraceni avevano ormai riconquistato tutti i territori in mano cristiana, città dopo città, fortezza dopo fortezza, fino a raggiungere l’unica rimasta: San Giovanni d’Acri.

1291, i crociati dei regni d’Oltremare si trovavano sulle possenti mura di Acri, fianco a fianco con i cavalieri degli ordini, riuniti per la grandiosa resistenza. I templari ovviamente erano lì con loro, guidati dal maestro che combatté e morì per difendere quel pezzo di terra.

“Una freccia venne scagliata in direzione del maestro del Tempio nel momento in cui aveva la mano sinistra alzata, e lo colpì sotto l’ascella. La punta di ferro gli entrò a un palmo di mano dentro il corpo, nel punto in cui le placche della corazza non erano attaccate, perché quella non era una corazza sicura, ma una corazza leggera per armarsi facilmente e alla svelta.”

Cronaca del Templare di Tiro, 262. (498)

Alcune traduzioni usano il termine “giavellotto”, ma non credo sia appropriato, perché i fratelli dell’ordine si accorsero solo in un secondo momento di quel che era appena successo: “E allora vedemmo la freccia conficcata nel suo corpo“. Se fosse stato un giavellotto l’avrebbero visto subito, non mi pare sia un’arma così minuta da passare inosservata (per approfondire, leggi l’articolo: “E così muore il maestro dei templari”).

Un altro aspetto da tenere in considerazione sulla potenza dell’arco da guerra riguarda i cavalli. I cavalli sono bestie grandi e poderose, ma abbastanza fragili. Basta poco per azzopparli (e perdere per sempre la possibilità di cavalcarli in battaglia), senza contare che non tutti i cavalieri avevano la possibilità di rivestire il proprio destriero con una bardatura di ferro. La maggior parte delle cavalcature era, infatti, priva di protezioni in ferro, dotata al massimo di una “coperta” imbottita che archi meno potenti potevano trapassare.

“Gli squadroni turchi attaccarono immediatamente la nostra armata, tirandoci addosso un’ampia nuvola di frecce che piombò dal cielo come grandine. I nostri soldati dovettero guardare i loro cavalli cadere senza poter far niente per proteggerli. Tentarono di lanciarsi alla carica contro il nemico, ma i turchi si ritirarono immediatamente. Non essendo riusciti a ingaggiare il nemico, i nostri furono costretti a tornare indietro. A quel punto però i turchi ricominciarono con un’altra pioggia di frecce…”

Cronaca di William of Tyre, battaglia di Dorylaeum, giugno 1097

Il fattore psicologico è un altro aspetto da tenere in considerazione, come emerge dal brano qua sopra: sopportare una pioggia di frecce, sebbene protetti dall’armatura, non è affatto piacevole. Anche se, in molti casi, l’esperienza e l’addestramento possono incrementare la sopportazione dei soldati fino a livelli incredibili (come più volte dimostrato anche da eventi storici “recenti”, ad esempio le guerre napoleoniche).

Nella Terza Crociata, durante la marcia verso Arsuf, le armate di Riccardo Cuor di Leone furono attaccate da Saladino. Quella volta, però, la salva di frecce non ottenne l’effetto sperato. Un cronista arabo ci racconta la passeggiata sotto la tempesta di dardi avvenuta il 31 agosto 1191.

“Scagliarono una moltitudine di frecce contro di loro per infastidirli e costringerli a ingaggiare battaglia, ma non ebbero successo. I guerrieri franchi esercitavano un meraviglioso autocontrollo e se ne andarono senza alcuna fretta…”

Biografia di Saladino, di IBN SHADDAD

Questo perché i cavalieri di Riccardo Cuor di Leone indossavano delle sopravvesti sotto cui portavano maglie di ferro ad anelli ribattuti che, come emerso dai test di penetrazione, necessitano di archi molto potenti per essere sfondate. Evidentemente, in quel frangente, gli arcieri del Saladino non disponevano di tali armi, oppure ne avevano poche e, magari, con le punte di freccia sbagliate (altro importante elemento da considerare).

In un altro scontro vicino ad Ascalona (1191), lo stesso cronista descrive che Saladino aveva inviato “Gli schermagliatori in avanti e le frecce su entrambi i lati caddero come pioggia. L’esercito nemico era già in formazione con la fanteria disposta come un muro, indossando solidi corsetti di ferro, e buone maglie di ferro a lunghezza intera, in modo che le frecce cadessero su di loro senza alcun effetto“. Ibn Shaddad vide “vari individui tra i franchi con dieci frecce conficcate sulla schiena, che premevano lasciandoli del tutto indifferenti”. In pratica le frecce saracene si erano conficcate in gran numero nelle giubbe dei cristiani e, ciononostante, quegli uomini restavano in piedi, illesi7.

Lo storico Kamal al-Din racconta un aneddoto sulla battaglia nei pressi di Balat nel 1119 (Battaglia dell’Ager Sanguinis, ovvero del “campo di sangue”), in cui le forze crociate guidate da Ruggero di Salerno furono attaccate da forze soverchianti in una trappola ben congeniata per poi finire annientate. Dopo il combattimento, “i contadini bruciarono i morti franchi, e in un cadavere carbonizzato furono trovate più di quaranta frecce8. Gli episodi in cui i franchi ben armati vengono descritti come puntaspilli ambulanti sono, dunque, molti.

Tutti questi aneddoti ci aiutano a comprendere meglio l’impiego e l’efficacia dell’arco da guerra che, a differenza di quel che vediamo nei film brutti, è un’arma molto complessa, che non la si può affidare al membro più gracile del “party” di Dungeons and Dragons.

Nel mio ultimo romanzo, La Stirpe delle Ossa, ci sono molte scene riguardo frecce e armature. In alcuni frangenti, le frecce scagliate da archi potenti riescono a sfondare la maglia di ferro dei personaggi, raggiungendo l’imbottitura sottostante e provocando ferite, anche gravi. Ho cercato di riprodurre il più realisticamente possibile quello che poteva succedere in battaglia, rispettando i fatti narrati nelle cronache antiche e medievali. Iscrivetevi alla newsletter e restate nei paraggi perché l’uscita del romanzo è ormai vicina e presto verrà annunciata in un risuonar di trombe, tamburi e timballi da guerra.

  1. Riferimento preso dai test di penetrazione “Baionette Librarie”, consiglio la lettura di questo articolo per approfondimenti dei test condotti in maniera scientifica.
  2. Per chi volesse approfondire le dimostrazioni pratiche, consiglio la lettura di questo articolo, dove sono presenti addirittura le formule matematiche che permettono una piena comprensione della “scienza” che c’è dietro arco e frecce.
  3. Strickland & Hardy, The grat warbow: from Hastings to the Mary Rose, 2005, p.17
  4. Nel Topkapi, a Istanbul, sono conservati 30 esemplari di arco composito turco-ottomano, tutti diversi. Uno di essi raggiunge le 240 libbre, che equivalgono più o meno a 100kg (una potenza analoga a quella di molte balestre, anche se le balestre più forti, con arco in ferro, surclassano di gran lunga le possibilità degli archi). Mostri di potenza più unici che rari, il cui effettivo uso in battaglia è tutto da dimostrare.
  5. “That every man in the same country, if he be able-bodied, shall, upon holidays, make use, in his games, of bow and arrows… and so learn and practise archery.” Decreto di Edoardo III, 1363
  6. Raising the dead: the skeleton crew of Henry VIII’s great ship the Mary Rose, Strickland & Hardy, 2005
  7. C. Oman, A History of the Art of War in the Middle Ages
  8. F. Gabrieli, Arab Historians of the Crusades
Lorenzo Manara
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