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19 Ottobre 2023

Wimund il vescovo pirata

Wimund vescovo pirata

La fantastica storia medievale di Wimund, il vescovo pirata che terrorizzò i mari del nord

La storia umana è piena di eroi, uomini e donne che si sono ritagliati un frammento di memoria collettiva grazie alle loro imprese, sia buone che cattive. Purtroppo, però, quelli che noi conosciamo, i protagonisti più famosi dei resoconti storici, sono sempre gli stessi. Nel mio piccolo, cerco di portare narrazioni, non dico inedite, ma poco conosciute di sicuro, per raccontare le vite di quei personaggi antichi, medievali e moderni che a malapena hanno una pagina Wikipedia. Quest’oggi è il turno del leggendario Wimund, il vescovo pirata.

Per via della sua esistenza avventurosa, Wimund il vescovo pirata si è ritagliato un breve capitolo nell’opera di un autore inglese del XII secolo, William of Newburgh1 . Siamo quindi in pieno medioevo, all’interno di una cronaca da cui abbiamo tratto molti episodi di Leggende Affilate, soprattutto grazie ai meravigliosi racconti di non-morti e fantasmi contenuti al suo interno. Stavolta, però, quest’opera ci regala un’avventura per mare, tra arrembaggi, saccheggi, duelli e menomazioni. Quando si pensa ai pirati, la prima ambientazione di riferimento è il mar dei Caraibi di inizio XVIII secolo, ma la pirateria è sempre esistita, anche nel Medioevo. E adesso ci tufferemo nelle acque tinte di rosso sangue per scoprirne qualcosa di più.

Wimund nacque in Inghilterra, di umili e oscure origini. Ricevette un’educazione monastica in un’abbazia, imparando a leggere e a scrivere, ma il suo temperamento ardente lo spinse presto a scalare i vertici della gerarchia religiosa (e militare). Assieme ad alcuni suoi fratelli fu mandato nell’isola di Man, nel mar d’Irlanda. Si trattava di una piccola missione per stabilire il primo vescovato cristiano su quella terra dominata dall’influenza scandinava, che faceva capo a un regno vero e proprio: il Regno delle Isole. Tale regno comprendeva l’isola di Man, le isole Ebridi, l’arcipelago del Firth of Clyde e, nel periodo di massima espansione, pure le Orcadi e le Shetland: frammenti di terre emerse in mezzo all’Oceano Atlantico e al Mare del Nord, percorse nell’Alto Medioevo dai cosiddetti vichinghi, e rivendicate nel tempo dalle più svariate autorità, come i sovrani di Norvegia, di Scozia, d’Inghilterra e Irlanda.

Come accadeva spesso, i “barbari nativi”, definiti così da William of Newburgh, si trovarono a dover partecipare all’organizzazione ecclesiastica cristiana, che imponeva loro di adeguarsi, di far nominare, appunto, un vescovo nella loro comunità; autorità importantissima che non poteva mancare neppure su un’isola così lontana da Roma. Solo che i modelli di riferimento, di quei barbari del nord, non tenevano molto in considerazione la conoscenza dottrinale, l’erudizione, o chissà quale altra caratteristica comune tra i chierici. Perciò le attenzioni di tutti si posarono proprio su Wimund, quel giovane monaco salpato dall’Inghilterra, eloquente, carismatico, ma soprattutto forte, alto, atletico. E’ così che viene descritto nel testo. Ed è per questo che fu scelto, così giovane, per fare il vescovo. Da coloro che noi chiamiamo vichinghi, non ci si aspetterebbe niente di diverso, no?

Trovatosi al potere, Wimund s’inebriò di successo, cominciando a reclamare sempre di più, ben oltre la sua cattedra episcopale. Il temperamento focoso e l’appoggio dei nativi delle isole, che amavano e ricercavano qualità ferree nei loro capi, compresi quelli spirituali, gli consentirono di avanzare pretese regali. Wimund uscì allo scoperto rivelando quel che le sue umili e oscure origini avevano nascosto da una vita intera: egli affermò d’essere figlio del “Mormaer Moray”, termine gaelico per indicare il re del Moray, una provincia dell’odierna Scozia, all’epoca indipendente, che tra gli altri aveva avuto come sovrano un tale Macbeth. Quello storicamente accurato, e non quello tragico drammaturgico di Shakespeare.

Una pretesa su cui non sappiamo molto per poter verificare. Poiché era un’epoca tumultuosa, povera di fonti e ricca di stravolgimenti, soprattutto lassù, nei mari del nord. L’autore della cronaca è certo che Wimund si fosse inventato tutto, ma alcuni storici, oggigiorno, sono propensi a credere a un simile retaggio. In ogni caso, il nuovo vescovo delle isole accusò i sovrani di Scozia d’averlo privato della sua eredità, affermando che aveva intenzione “non solo di far valere i suoi diritti, ma anche di vendicare i suoi torti.”

Cominciò così a fare proseliti, a raccogliere seguaci, a incitare il popolo e farsi prestare giuramento per dare inizio a una folle corsa verso le isole vicine. L’autore lo paragona a Nimrod, personaggio biblico considerato un eroe: grande cacciatore di bestie e di uomini. E come fece Nimrod agli albori della civiltà umana, Wimund “discese nelle province della Scozia, devastando tutto ciò che aveva davanti con rapine e massacri”. Compì svariate incursioni, salpando con le navi da guerra per approdare e saccheggiare, su modello dei pirati norreni, ovvero coloro che noi identifichiamo con l’etichetta “vichinghi” di cui egli diceva d’essere erede.

“Ogni giorno veniva raggiunto da schiere di seguaci e, come un potente comandante, infiammò i loro desideri, dimenticando che il suo ufficio episcopale gli richiedeva di essere, come Pietro, un pescatore di uomini”. E non un assassino.

Da vescovo a pirata il passo fu breve, così come viaggiarono velocemente le voci sul suo conto. Finché le autorità non decisero di porre un freno alle ambizioni del presunto erede del Macbeth e chissà quali altre figure leggendarie. Fu dichiarata guerra al pirata, tuttavia, ogni volta che l’esercito reale muoveva contro di lui, il vescovo pirata Wimund prendeva il largo con le navi, oppure si ritirava nei boschi, lontano, per poi spuntar fuori tempo dopo e ricominciare con le razzie, “divenendo oggetto di terrore per lo stesso re”.

Ma, come tutti gli eroi (anche se Wimund è da considerarsi un antieroe), ad un certo punto della storia compare il degno antagonista, in questo caso incarnato nei paramenti sacri di un altro vescovo. Esatto, per fermare il vescovo pirata fu necessario l’intervento di un altro vescovo: “uomo di singolare semplicità” come lo descrive l’autore, senza riportare il suo nome, e che riuscì a reprimere “per qualche tempo l’audacia” di Wimund.

Il vescovo pirata si scontrò con quest’altro vescovo, anch’egli come vedremo d’indole guerriera, presumibilmente durante una delle varie razzie, e gli chiese il pagamento di un tributo dietro minaccia di sterminio (come era la prassi in occasioni del genere). Se non fosse che questo vescovo minacciato da Wimund, si rifiutò di pagare, rispondendo: “Sia fatta la volontà di Dio; ma dal mio esempio nessun vescovo diventerà mai tributario di un altro”. E detto ciò, sollevò gli abitanti della sua comunità, devotissimi cristiani, e li incitò alla guerra, conducendoli egli stesso in battaglia campale contro Wimund e i suoi vichinghi: vescovo pirata contro vescovo guerriero: uno scontro epocale.

I due vescovi avanzavano in testa alle rispettive schiere, con coraggio e furia, prossimi a incontrarsi per primi come usava fare nel mondo antico e medievale, quando sovrani e condottieri caricavano senza timore di morire, prima delle grandi carneficine moderne, tra armi da fuoco, artiglierie e generali appostati lontano dalla mischia, che osservano il tutto al riparo, col cannocchiale.

Secondo l’autore, il primo sangue della battaglia fu opera dello stesso vescovo guerriero, l’altro, quello che decise di ergersi contro i pirati; che sguainata l’ascia, la lanciò con tanto vigore da colpire in pieno proprio Wimund, rovesciandolo al suolo. Gli animi della sua schiera si infiammarono tanto, alla vista dell’eroico gesto, che il popolo s’avventò sui pirati tanto furiosamente da ricacciarli in mare, e con loro Wimund fu costretto a fuggire, ferito nel corpo e nell’onore.

Il vescovo pirata riuscì a riprendersi, tempo dopo, restando ben nascosto, e raccontando a tutti d’esser stato fermato non tanto da quell’indomito vescovo, ma da Dio che aveva guidato l’ascia: l’unico sfidante che avrebbe mai potuto vincerlo.

Una spocchia che non lo abbandonò mai, e che gli impedì di riconoscere quando ritirarsi. Recuperate le forze, ricominciò a devastare e saccheggiare, esattamente come prima. A quel punto, considerato che non si riusciva a fermarlo con la forza, il re decise d’ingraziarselo. Gli concesse un feudo, con annesso lo stesso monastero in cui Wimund era cresciuto ed era stato educato, e così il vescovo pirata si calmò. Tuttavia il suo governo non fu dei più lieti, poiché il popolo non poteva sopportarlo, probabilmente per via delle sue politiche crudeli, che egli riservò anche ai monaci, suoi ex-fratelli. Ed è per questo che un giorno, mentre viaggiava per le sue terre, cadde in un trappola ordita dagli abitanti e dai nobili del luogo. Fu catturato, legato, imprigionato e condannato a una terribile vendetta. “Poiché entrambi gli occhi erano malvagi, gli furono tolti; e, provvedendo contro ogni futuro eccesso, lo fecero eunuco per amore del regno di Scozia, non per quello del Cielo.”

Wimund fu accecato ed evirato. Dopodiché fu condotto a Byland, dove aveva sede il monastero in cui un autore sconosciuto scrisse 13 misteriosi racconti di non-morti, nascondendoli tra le pagine di altri libri. Una storia bellissima che ho già narrato in un episodio di Leggende Affilate e che consiglio di recuperare, anche perché sono stati una grande ispirazione per i miei romanzi, sia La Stirpe delle Ossa che, soprattutto, La Canzone dei Morti.

Wimund rimase lì, trascorrendo tranquillamente il resto della sua vita, ma covava un gran rancore, dentro di sé. Un giorno disse che se avesse avuto anche solo l’occhio di un passero (per tornare a vedere), i suoi nemici avrebbero smesso di rallegrarsi per ciò che gli avevano fatto.

Se la storia di Wimund ti ha appassionato, seguimi. Alla prossima.

Costui nacque in Inghilterra, di umili origini, e dopo aver acquisito i primi elementi di letteratura, non avendo di che mantenersi a scuola, si impegnò, avendo una certa conoscenza dell’arte dello scrivere, per il mantenimento dell’ufficio di scriba ad alcuni monaci. Successivamente ricevette la tonsura a Furness e professò la vita monastica; quando ebbe ottenuto l’accesso a un numero sufficiente di libri, con adeguato tempo libero e assistito con tre requisiti ammirevoli – un temperamento ardente, una memoria ritentiva ed un’eloquenza competente – avanzò così rapidamente che si formarono le più alte aspettative su di lui. Dopo un po’, inviato con i suoi fratelli sull’Isola di Man, piacque così tanto ai barbari nativi con la dolcezza del suo discorso e l’apertura del suo volto, essendo anche di corpo alto e atletico, che gli chiesero di diventare il loro vescovo, e ottenne il loro desiderio.

Ora si gonfiò di successo e iniziò a concepire grandi progetti. Non contento della dignità del suo ufficio episcopale, previde poi nella sua mente come avrebbe potuto compiere cose grandi e meravigliose; poiché possedeva una bocca altera e un cuore orgoglioso. Alla fine, radunata una banda di uomini bisognosi e disperati, e non temendo il giudizio della verità, finse di essere il figlio del conte di Moray e di essere stato privato dell’eredità dei suoi padri dal re di Scozia. Affermava che era sua intenzione non solo far valere i suoi diritti, ma vendicare i suoi torti, che voleva che fossero partecipi sia dei suoi pericoli che delle sue fortune; e sebbene la faccenda potesse comportare qualche fatica e pericolo, tuttavia vi erano annessi molta gloria e grande vantaggio. Incitato tutto il popolo, e prestatogli giuramento, cominciò la sua folle corsa per le isole vicine; e divenne, come Nimrod, un potente cacciatore davanti al Signore, dimenticando che il suo ufficio episcopale gli richiedeva di essere, con Pietro, un pescatore di uomini. Ogni giorno veniva raggiunto da schiere di aderenti, tra i quali spiccava soprattutto per la testa e le spalle; e, come un potente comandante, infiammò i loro desideri. Poi discese nelle province della Scozia, devastando tutto ciò che aveva davanti con rapine e massacri; ma ogni volta che l’esercito reale veniva inviato contro di lui, eludeva ogni preparazione bellica, sia ritirandosi in foreste lontane, sia prendendo il mare; e quando le truppe si furono ritirate, uscì di nuovo dai suoi nascondigli per devastare le province.

Ma mentre riusciva in ogni cosa ed era divenuto oggetto di terrore anche per il re, un certo vescovo, uomo di singolare semplicità, represse per qualche tempo la sua audacia. Quando questo vescovo fu minacciato di sterminio per guerra, se non gli avesse pagato il tributo, rispose: “Sia fatta la volontà di Dio; ma dal mio esempio nessun vescovo diventerà mai tributario di un altro”. Dopo di che, incoraggiando il suo popolo, superiore solo nella fede, perché sotto altri aspetti era molto inferiore, lo incontrò mentre avanzava furiosamente e, sferrando lui stesso il primo colpo nella battaglia, per animare il suo gruppo, lanciò un piccolo l’ascia e, con l’aiuto di Dio, abbatté a terra il suo nemico, mentre marciava in avanguardia. Contento di questo avvenimento, il popolo si scagliò disperatamente contro i predoni e, uccidendone un gran numero, costrinse vergognosamente il loro feroce capo alla fuga.

Lo stesso Wimund usò in seguito, con molta allegria, per riferire con vanto ai suoi amici, che Dio solo era capace di vincerlo mediante la fede di un semplice vescovo. Questa circostanza l’ho appresa da uno che era stato uno dei suoi soldati, ed era fuggito con quelli che erano fuggiti. Recuperando le sue forze, tuttavia, devastò le isole e le province della Scozia, come aveva fatto prima. Il re fu quindi costretto a calmare il saccheggiatore, adottando il saggio consiglio di agire con uno stratagemma contro un nemico orgoglioso e astuto; poiché questo era un caso in cui la forza non serviva a nulla. Pertanto, cedendogli una certa provincia, insieme al monastero di Furness, sospese per un po’ le sue incursioni; ma mentre egli procedeva fiero attraverso la sua provincia soggetta, circondato dal suo esercito, come un re, e in una certa misura severo contro lo stesso monastero dove era stato monaco, alcuni del popolo, che non potevano sopportare né il suo potere né la sua insolenza, con il consenso dei nobili, gli tese un tranello. Avendo avuto un’occasione favorevole, mentre stava seguendo lentamente, e quasi da solo, un grande gruppo che aveva inviato per procurarsi intrattenimento, lo presero e lo legarono, e poiché entrambi gli occhi erano malvagi, lo privarono di entrambi; e, provvedendo contro ogni futuro eccesso, lo fecero eunuco per amore del regno di Scozia, non per quello del Cielo. Successivamente venne da noi a Byland e rimase lì tranquillamente per molti anni fino alla sua morte. Ma si dice che anche lì abbia detto che se avesse avuto solo l’occhio di un passero i suoi nemici non avrebbero avuto molte occasioni di rallegrarsi per ciò che gli avevano fatto.

Del vescovo Wimund, la sua vita non degna di un vescovo e come fu privato della vista. Historia rerum anglicarum, Libro I, Capitolo 24
  1. Del vescovo Wimund, la sua vita non degna di un vescovo e come fu privato della vista. Historia rerum anglicarum, Libro I, Capitolo 24
Lorenzo Manara
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