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9 Giugno 2023

I papiri magici: la magia d’Egitto

papiri magici

Articolo del podcast Storia della Magia, episodio 20: I papiri magici greci e d’Egitto, la magia della tarda antichità

Negli anni venti dell’Ottocento, un antiquario greco di nome Giovanni Anastasi entrò in possesso di un ampio numero di papiri, acquisendoli da alcuni abitanti di Saqqara e Tebe. Testi appartenenti all’Egitto greco-romano, scritti prevalentemente dal II al V secolo d.C., allora considerate semplici curiosità da museo. Ma l’antiquario Anastasi ci aveva visto giusto: qualche decennio più tardi, infatti, gli studiosi si sarebbero accorti di quei reperti dando loro un nome poi passato alla storia: “i papiri magici”. Un nome evocativo, ma che testimonia la loro importanza, in quanto contenenti una varietà di incantesimi, formule, inni e rituali: veri e propri trattati di magia antica.

Col tempo furono rinvenuti molti altri papiri simili, e non solo: manufatti, simboli, iscrizioni su pietre preziose, ostraka, ciotole di argilla, e anche su tavolette d’oro, argento, piombo, stagno e così via: un insieme di opere che costituiscono una miniera di informazioni sul pensiero e sulla pratica della magia d’epoca imperiale, cosa piuttosto rara poiché nel corso del tempo, una simile “letteratura” è stata condannata e distrutta. Un esempio di soppressione delle antiche opere magiche lo abbiamo incontrato in un precedente episodio di Storia della Magia, nella Super Illius Specula emanata da papa Giovanni XXII dove si comanda la totale distruzione di qualsiasi manoscritto contenente malefici e sortilegi legati a statuine, specchi, ampolle e così via.

Episodi di cancellazione della conoscenza che si sono susseguiti in maniera costante nella storia, a cominciare dall’Antichità stessa. In un libro del Nuovo Testamento scritto nel I secolo dopo Cristo, intitolato gli “Atti degli Apostoli”, si narra di un rogo di libri magici avvenuto a Efeso:

“Molti di quelli che avevano abbracciato la fede venivano a confessare in pubblico le loro pratiche magiche, e un numero considerevole di persone che avevano esercitato le arti magiche portavano i propri libri e li bruciavano alla vista di tutti. Ne fu calcolato il valore complessivo e trovarono che era di cinquantamila dracme d’argento. Così la parola del Signore cresceva e si rafforzava.”

(Atti 19:18)

I primi secoli dell’era cristiana videro molti roghi di libri. Per questo la maggior parte dei testi sono andati perduti, privandoci di una delle fonti più importanti della vita quotidiana di un tempo. Perché la distinzione tra sacro e profano avviene spesso a posteriori, in special modo da parte degli uomini sapienti: la realtà del popolo, delle tradizioni e delle credenze, il più delle volte è diversa rispetto alla dottrina considerata “legittima”.

Alcuni storici hanno associato i papiri magici a una figura leggendaria, il principe Khaemwaset, vissuto nel XIII secolo avanti Cristo. Nel Papiro demotico n. 30.646 conservato al Museo del Cairo, si narra infatti la sua storia, menzionando importanti scritti magici creati dagli stessi dèi:

“Il principe Khaemwaset, figlio del re Ramses II e sommo sacerdote di Ptah a Menfi, era uno scriba e un mago molto colto che trascorreva il suo tempo a studiare monumenti e libri antichi. Uno di questi, un libro di magia scritto dal dio Thoth in persona era custodito nella tomba di un principe di nome Naneferkaptah (Na-nefer-ka-ptah), che visse in un lontano passato, sepolto da qualche parte nella vasta necropoli di Menfi. Il principe Khaemwaset, accompagnato da suo fratello adottivo Liaros, trovò la tomba di Naneferkaptah ed entrò. Vide il libro magico, che irradiava una forte luce, e cercò di impadronirsene. Ma lo spirito di Naneferkaptah levò per difendere il suo caro possesso…” 

Le Storie dei Sommi Sacerdoti di Memphis, pubblicate da Francis Llewelyn Griffith

I reperti classificati come “papiri magici” rappresentano una raccolta di testi di diversa origine e natura, trascritti da antichi maghi dal primo periodo ellenistico fino alla tarda antichità. Reperti provenienti dall’Egitto greco-romano che riflettono le molte religioni e culture dell’epoca, scritti in greco, demotico o copto. L’influenza della religione egizia è sempre presente, ma è contaminata dai concetti religiosi di diverse realtà, come quella greca e quella ebraica. Ma cosa contengono questi papiri? Quali sono gli incantesimi di questo vero e proprio tesoro magico?

Alcuni frammenti riportano metodi di fabbricazione di amuleti contro le malattie, formule incantatorie, e soprattutto defixiones, ovvero le maledizioni ben presenti nell’Antica Roma. I brani più lunghi contengono ricette e istruzioni per il compimento d’incanti di ogni specie: guarigione ed esorcismo, formule contro la collera, per conquistare il cuore di una donna, e moltissimi incantesimi volti a utilizzi pratici, da impiegare nella quotidianità.

Incantesimi per provocare sogni, per accoppiare donne e uomini, uccidere nemici, aprire porte sbarrate e liberare da altri incantesimi. E poi magie per bloccare gli attacchi dei demoni e degli animali selvatici, per spezzare i denti dei serpenti, addormentare i cani, ma anche di far apparire acqua, vino, pane, olio, aceto e tutto ciò che si desidera mangiare. È persino possibile far apparire demoni vestiti da servitori e, quando si vuole organizzare un banchetto, “delle sale con tetti d’oro e pareti di marmo”.

Poi vi sono incantesimi per uccidere serpenti, scorpioni, per liberarsi dalla prigionia, per attraversare il Nilo a dorso di coccodrillo, per convocare Helios e altri dèi, per fare innamorare qualcuno o separare una coppia, per avere delle visioni, guarire dalla febbre, dai testicoli gonfi, dalla puntura di scorpione e da quella serpente.

Insomma, di tutto e di più. Ma il modo migliore per entrare nelle atmosfere magiche dell’Egitto greco-romano è quello di scoprire nel dettaglio alcuni di questi incantesimi, quelli che credo siano i più interessanti. Cercherò di riassumere nel modo più comprensibile possibile questi brani antichi senza snaturare troppo il testo originale, visto che molti passaggi sono davvero criptici.

Comincerò da un incanto molto utile, ovvero: “l’incantesimo per evocare un daimon.”

“Un daimon giungerà come assistente che ti rivelerà tutto chiaramente e sarà il tuo compagno e mangerà e dormirà con te.
Procedimento: prendi due delle tue unghie e tutti i capelli della tua testa, prendi un falco e sacrificalo nel latte di una vacca nera mescolato con il miele attico. E una volta che l’hai sacrificato, avvolgilo con un pezzo di stoffa non tinto e metti accanto ad esso le tue unghie insieme ai tuoi capelli; prendi un pezzo di papiro, e scrivi nella mirra quanto segue…”

Questo rito molto laborioso prevedeva l’uccisione di un falco con la successiva immersione dell’animale nel latte e nel miele, forse dando seguito a una mummificazione, per poi scrivere su un papiro una lunga formula. Dopo aver predisposto tutto questo, ed essersi rasato a zero, il mago avrebbe dovuto bere quello stesso latte, prima dell’alba, per poi pronunciare la seguente formula al cospetto del falco posto come statua in un santuario di legno di ginepro1:

“Vieni da me, buon agricoltore, buon daimon. Vieni a me, Orione, tu che giaci nel nord, che fai rotolare le correnti del Nilo per mescolarle con il mare, trasformandole con la vita come fa il seme dell’uomo nel rapporto sessuale, tu che hai fondato il mondo su un basamento indistruttibile, che sei giovane al mattino e vecchio la sera, che viaggi attraverso la sfera sotterranea e ti alzi, sputando fuoco.”

Questa formula non è altro che la descrizione del viaggio del sole, con alcuni riferimenti a Ra che emerge dai mari del caos primordiale per creare gli dèi mediante il suo seme. Il rito si conclude con una raccomandazione sulla purezza del mago, che deve astenersi per 7 giorni dall’avere rapporti con una donna, oltre a mantenere estrema segretezza: la magia non è per tutti, ma solo per pochi iniziati.

Al termine di tutto questo, un daimon, ovvero un’entità della sfera soprannaturale (da non confondersi col demone di stampo cristiano), sarebbe giunto per assistere il mago: forza lavoro al prezzo di una rasatura e una scorpacciata di latte al gusto rapace.

Ma c’è un altro incantesimo che mi ha colpito per la sua modernità, nel senso che si tratta di un desiderio che più o meno tutti nella vita hanno espresso almeno una volta, più e più volte ripreso nelle saghe fantasy contemporanee: mi riferisco al dono dell’invisibilità.

“Incantesimo di invisibilità.
Procedimento: prendi il grasso o l’occhio di un gufo e una palla di sterco arrotolata da uno scarafaggio e l’olio di un’oliva acerba e macina tutto insieme, usa il composto per spalmarti il corpo e dì a Helios: “Ti scongiuro con il tuo grande nome (segue nome lunghissimo e impronunciabile) Rendimi invisibile, signore Helios, in presenza di qualsiasi uomo fino al tramonto.”

Se Harry Potter avesse dovuto recuperare simili ingredienti per diventare invisibile, avrei apprezzato molto di più i suoi romanzi. In ogni caso, la pallina di sterco di uno scarabeo è un richiamo al dio Ra, spesso rappresentato come l’insetto. Helios, invece, dio dell’astro solare, appartiene alla religione greca, testimoniando la commistione tra religioni di cui parlavo prima, negli incantesimi di questi papiri magici.

Dopo l’invisibilità, c’è solo un’altra grande richiesta che tutti, e dico tutti, farebbero nel caso in cui entrassero in possesso di un papiro magico (o del genio della lampada): diventare ricchi. Cito dal testo (e avverto che sarà molto lungo):

“Amuleto per acquisire affari e per chiamare clienti in un laboratorio o in una casa o dovunque tu lo metta. Avendolo, diventerai ricco, avrai successo. Perché Hermes lo fece per Iside l’errante. L’amuleto è meraviglioso e si chiama “la piccola mendicante”.
Procedimento: prendi della cera d’api non riscaldata, che si chiama colla d’api, e modella un uomo con la mano destra in posizione di mendicante e con la sinistra che regge una borsa e un bastone. Lascia che ci sia attorno al bastone un serpente attorcigliato, e lascia che sia vestito con una cintura e stia in piedi su una sfera che ha un serpente attorcigliato, come Iside. Mettilo in piedi e poggialo su un unico blocco di ginepro scavato, e disponi un aspide a ricoprire la sommità, come un capitello. Modellalo durante la luna nuova e consacralo in uno stato d’animo celebrativo, e leggi ad alta voce l’incantesimo sulle sue membra, dopo averlo diviso in tre parti ripetendo l’incantesimo quattro volte per ogni membro. Per ogni membro scrivi su strisce di papiro ricavate da un rotolo sacerdotale, con inchiostro di cinàbro, succo di assenzio e mirra. Quando lo avrai collocato in alto nel luogo che hai scelto, sacrifica un montone selvatico dalla fronte bianca e offrilo intero e arrostisci le parti interne sopra il legno di salice e così mangialo.

Questo è l’incantesimo per il rito: “Ti accolgo come il pastore che ha il suo accampamento verso sud, ti accolgo come la vedova e l’orfano. Perciò, fammi il favore, lavora per i miei affari, portami argento, oro, vestiti e molto denaro per il mio bene”.

Da notare come questo lungo e complicatissimo incantesimo, che richiede doti scultoree e persino una certa recitazione da parte del mago, non faccia apparire magicamente montagne d’oro, bensì permette di creare una statuina incantata per acquisire nuovi clienti. Un modo molto diverso di pensare la magia rispetto al nostro: più lento e meno appariscente. Nel testo non mancano riferimenti alla religione egizia: il vagabondaggio di Iside, ad esempio, alla ricerca del corpo di Osiride, nella formula indicata come “la vedova”, mentre “l’orfano” è Horus, il figlio della coppia divina.

Tra i papiri magici non mancano, ovviamente, le maledizioni, come il terrificante incantesimo per far addormentare qualcuno per un determinato periodo… oppure per sempre.

“Incantesimo per scagliare il “mal sonno”.
Procedimento: prendi una testa d’asino; ungi il tuo piede destro con ocra gialla di Siria, il tuo piede sinistro con argilla, anche la pianta dei tuoi piedi; metti la tua mano destra davanti e la tua mano sinistra dietro, la testa è tra di loro; ungi una delle tue mani con sangue d’asino, e i due angoli della bocca, e recita questi scritti davanti al sole, all’alba e alla sera, per quattro giorni: segue formula lunghissima e complicata che avrebbe fatto dormire magicamente il bersaglio dell’incantesimo.

Se invece si vuole far dormire per sempre il bersaglio dell’incantesimo, allora bisogna recitare la formula per sette giorni, legandosi un filo di fibra di palma intorno alla mano, alla testa e al fallo. Sempre davanti al sole, all’alba e alla sera. E sperando che non ti veda nessuno.

Implicitamente, con questo imbarazzante dettaglio del membro maschile da infiocchettare con un filo di fibra di palma, vengono escluse dal rito le donne. Un dettaglio che, in realtà, non mi pare sia così diffuso nei papiri magici. Può darsi, però, che il mago fosse esclusivamente maschio per consuetudine popolare, e che quindi non ci fosse bisogno di specificarlo come requisito, in ogni incantesimo. Si tratta di una di quelle conoscenze che, purtroppo, facciamo fatica a comprendere perché sono sopravvissuti troppi pochi testi magici.

L’interlocutore di questo terrificante incantesimo del “mal sonno” è il dio Seth “Tifone”, ovvero l’unione del dio egizio con la spaventosa entità greca. Seth, infatti, in principio non era considerato un dio negativo, ma lo divenne dopo, attraverso una sorta di demonizzazione che lo associò a Tifone, il gigantesco daimon così forte da affrontare, da solo, gli dèi dell’Olimpo (e secondo alcune versioni del mito di metterli persino in serie difficoltà). La formula dell’incantesimo recita così:

“Invoco tu che sei nel vuoto, tu che sei terribile, invisibile, onnipotente, un dio degli dèi, tu che causi distruzione e desolazione, tu che odi una casa stabile, tu che sei stato cacciato dall’Egitto e hai vagato in terra straniera, tu che distruggi tutto e non sei sconfitto. Ti invoco, Seth Tifone; Comando i tuoi poteri profetici perché invoco il tuo nome autorevole che non puoi rifiutarti di ascoltare (segue nome impronunciabile)”.

Visto che siamo ormai entrati nel “vivo” della questione magica, non posso non citare un incantesimo da sempre associato alla magia dell’Antico Egitto, o almeno a quell’esoterismo di stampo narrativo e soprattutto cinematografico, di cui abbiamo un glorioso esempio nel film “La Mummia” del 1999, con un giovane Brendan Fraser: l’incantesimo di resurrezione. Che, neanche a farlo apposta, è presente tra i papiri magici.

Più precisamente, l’incantesimo di resurrezione è contenuto nel cosiddetto “ottavo libro di Mosé2, uno dei pochi tomi di magia (o grimori, per usare un termine moderno) sopravvissuti ai roghi di libri, e risalente al IV secolo, scritto in greco antico su papiro. Un libro che contiene svariati incantesimi, ma che richiede il superamento di un rito di iniziazione prima di poter procedere: segno dell’importanza di un simile testo, e della sua pericolosità.

“Resurrezione di un corpo morto: “Ti scongiuro, spirito che viene nell’aria, entra, ispira, potenzia, resuscita con il potere dell’eterno dio, questo corpo; e lascia che cammini in questo luogo, poiché io sono colui che agisce con il potere di Thoth, il santo dio”.”

Purtroppo, non si fa riferimento ad alcuna maledizione della mummia. E l’ottavo libro di Mosè non è sigillato da un ingegnoso sistema meccanico come si vede nel film. Però questo reperto testimonia la commistione tra la religione ebraica e quella egizia nella tarda antichità, a cominciare dal nome stesso. E non è l’unico. Vi sono alcuni papiri magici basati sulle tradizioni cristiane, uno dei quali si concentra sull’esorcismo degli indiavolati. 

“Rito eccellente per scacciare i demoni: Formula da pronunciare sopra la sua testa: Metti dei rami di ulivo davanti a lui, e mettiti dietro di lui e dì: “Ave, Dio di Abramo; ave, Dio di Isacco; ave, Dio di Giacobbe; Gesù Cristo, lo Spirito Santo, il Figlio del Padre, che è al di sopra dei Sette, che è dentro i Sette. Possa la tua potenza uscire da lui, (nome dell’indiavolato), finché non scaccerai questo demone impuro, Satana, che è in lui. Ti scongiuro, demone, chiunque tu sia, per questo dio. Vieni fuori, demone, chiunque tu sia, e stai lontano da lui, (nome dell’indiavolato), ora, ora; subito, subito. Vieni fuori, daimon, poiché ti lego con indistruttibili catene adamantine, e ti consegno al caos nero in perdizione.”

Dopo aver recitato la formula, l’esorcista avrebbe dovuto frustare l’indiavolato con un ramo d’ulivo, gesto conclusivo dell’intero rito, in grado di scacciare il demonio. Infine, non per importanza, sarebbe stato necessario legare un filatterio al collo dell’indiavolato con su scritta una lunga e complicata formula: un oggetto incantato che lo avrebbe protetto da eventuali “ricadute”.

Questi sono solo alcuni dei moltissimi incanti tramandati tramite i papiri magici: un insieme frammentato ma densissimo di informazioni, molte delle quali ricche di simbologie culturali e religiose, mescolate assieme. Ho appena sfiorato l’argomento, ma si potrebbe dedicare tranquillamente una vita intera allo studio di questi reperti fondamentali per la comprensione di un passato occulto, quasi perduto.

Se questi incantesimi ti hanno sorpreso, appassionato, mi raccomando, seguimi e condividi le tue impressioni, anche semplicemente parlandone con i tuoi amici, così mi aiuterai a diffondere un podcast così particolare, che ha necessitato mesi di lavoro (per non dire anni, contando la raccolta dei documenti).

E ricorda che le storie che narro non finiscono qui, ma proseguono e si ampliano nel mio podcast settimanale “Leggende Affilate” e nei miei romanzi. Tra l’altro sto ultimando la scrittura del secondo volume, di prossima pubblicazione, di cui presto svelerò qualche dettaglio. Se nel frattempo vuoi leggere La Stirpe delle Ossa, adesso è un buon momento perché è stato appena ristampato. La prima tiratura, infatti, è esaurita: un traguardo che mi rende orgoglioso, e di cui, a proposito, voglio ringraziare tutti coloro che l’hanno già letto. Grazie di cuore.

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  1. “E prendi il latte con il miele e bevilo prima che sorga il sole, e comparirà qualcosa di divino nel tuo cuore. E prendi il falco e mettilo come una statua in un santuario di legno di ginepro. E dopo aver pregato nel santuario stesso, fai un’offerta di cibi non animali e tieni a portata di mano del vino vecchio. E prima di sdraiarti, parla direttamente all’uccello pronunciando l’incantesimo prescritto”
  2. PGM XIII. 1-343
Lorenzo Manara
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