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21 Marzo 2023

Mercadera: una guerriera medievale

La storia di Mercadera, donna guerriera aragonese che armata di spada, lancia e scudo, sconfisse un cavaliere nella cronaca di Ramon Muntaner

Questa è la storia di Mercadera, una donna guerriera aragonese che sconfisse un cavaliere armata di spada, lancia e scudo. Mercadera, soprannominata così perché possedeva un negozio e quindi traducibile in italiano come mercantessa. Difficile risalire al suo vero nome, soprattutto alla sua data di nascita. In verità non sappiamo quasi niente su di lei, se non lo straordinario episodio che la vide coinvolta, nell’anno 1285, durante la crociata aragonese. Un episodio eroico, ricolmo di coraggio e rivalsa femminile.

La casata reale d’Aragona era sotto attacco. I suoi nemici, i francesi angioini della casata d’Angiò, guidati spiritualmente (e in qualche modo politicamente) nientemeno che dal papa, avevano lanciato l’offensiva. Una guerra combattuta su più fronti, dalla penisola iberica alla Sicilia, perché i due contendenti si scontravano proprio per il possesso di quell’isola italiana, da poco scoppiata in rivolta nella cosiddetta guerra del Vespro.

Il regno di Sicilia, infatti, che a quel tempo non comprendeva la sola isola omonima, ma praticamente tutto il sud Italia peninsulare, era passato dal dominio degli svevi di Germania, a quello dei francesi d’Angiò. Un passaggio di consegne che non fu digerito dal popolo siciliano, il quale si levò in armi per cacciare i francesi visti come usurpatori, e riportare sul trono il legittimo e buon sovrano. Il quale fu identificato nella figura di Pietro III, appartenente alla casa spagnola d’Aragona, perché aveva sposato Costanza, la figlia dell’ultimo re svevo regnante sulla Sicilia. Insomma, furono spulciati gli alberi genealogici per trovare il giusto candidato, visto che i primogeniti della stirpe sveva erano stati sterminati.

Gli aragonesi, assieme ai catalani e ad altri armati provenienti dall’odierna Spagna invasero la Sicilia prendendone possesso. E i francesi d’Angiò si ritirarono nel restante sud Italia, ovvero metà di quello che fino ad allora era un unico regno: una situazione che non piacque affatto al papa, il quale per tenere sotto controllo l’Italia, aveva piazzato i suoi fedelissimi angioini, storicamente vicini a lui in ogni occasione, proprio in Sicilia. Dunque, il pontefice dichiarò usurpatore quel Pietro III, salito al trono per volere del popolo, e bandì una crociata contro di lui, guidata, ovviamente, dai suoi francesi angioini. Ed ecco che scoppiò la guerra. Una guerra combattuta per mare e per terra, sulle isole e sulla terraferma, a cominciare dai confini spagnoli e da una città ai piedi dei Pirenei, nell’attuale Catalogna. La città di Peralada, dove abitava Mercadera, la donna guerriera.

CXXIII Come il re di Francia marciò a Peralada con tutte le sue forze e la assediò; e dell’abilità nelle gesta d’armi dell’Infante En Alfonso.
“E quando tutti ebbero passato il passo e furono radunati in San Quirico, l’esercito si mosse in schieramento, nell’ordine in cui tutti avrebbero dovuto combattere; e marciarono in buon ordine, in armatura, e vennero dritti a Peralada, e piantarono tende da Garriguella a Garriga, e da Garriga a Valguarnera e da Valguarnera a Puyamilot. E così si trovavano in tutta quella bella pianura al di là di Peralada e, certo, l’esercito del re di Francia non si poteva mai vedere così bene come lo si vedeva dalla città di Peralada. Non c’era una tenda che non potesse essere vista dalle mura. Il signore re d’Aragona, vedendoli tutti così, alzò gli occhi al cielo e disse: «Signore e vero Dio, che cos’è questo che vedo davanti a me? Non immaginavo che, in tutto il mondo, così tante persone potessero radunarsi in un giorno”. E così, parimente, vide entrare nella baia di Rosas tutte le navi, in numero infinito, e parlò così: “Signore e vero Dio, ti piaccia non abbandonarmi; piuttosto sii tuo aiuto con me e con i miei seguaci”. E come si meravigliò il signore re d’Aragona, così fecero tutti quelli che videro questo; lo stesso re di Francia e quelli che erano con lui erano pieni di meraviglia, perché non si erano mai visti così riuniti, perché in quella pianura non c’è un albero, ma tutto è campo e seminativo. Peralada è tale che, da una parte, al centro della città, c’è la pianura dei seminativi, e dall’altra parte i ruscelli che passano vicino all’huerta che è importante. E non era meraviglioso se c’era una grande assemblea di popolo, perché c’erano più di ventimila cavalli armati al soldo del re di Francia e della Chiesa, e più di duemila uomini a piedi. D’altronde erano venuti uomini a cavallo e a piedi, a causa delle indulgenze, perché c’erano le indulgenze del castigo e della colpa, quindi, per questo motivo, c’erano innumerevoli uomini.”

Cronaca Catalana, Ramon Muntaner

L’armata francese si radunò proprio davanti alla città di Peralada: più di ventimila cavalli armati, stando alla cronaca di Ramon Muntaner, e duemila uomini a piedi. Un’armata tanto grande da riempire la vasta pianura fuori dalle mura di pietra: una pianura dove non c’era un solo albero, ma occupata da campi e seminativi, per questo più che adatta a un’adunata di tali proporzioni. Sebbene le stime del cronista, come dei cronisti in genere, siano da prendere con le pinze, un tale dispiegamento di forze era possibile nell’ambito delle crociate del XIV secolo, spesso proclamate dai pontefici contro gli stessi cristiani per motivi prettamente politici, e non più religiosi, come era avvenuto nei due secoli precedenti con le crociate di Terra Santa. Fanti e cavalieri francesi partirono per la guerra contro gli aragonesi non solo per lo stipendio e il bottino, ma anche per la piena indulgenza dei loro peccati.

Dalle mura della città di Peralada, dunque, gli abitanti poterono scorgere con orrore quell’esercito accampato a perdita d’occhio. Il sovrano stesso, Pietro III, dinnanzi al nemico in armi disse: “Signore Iddio, che cos’è questo che vedo davanti a me? Non immaginavo che, in tutto il mondo, così tante persone potessero radunarsi in un giorno.” E quando dalle stesse mura vide la flotta francese giungere sulla costa catalana aggiunse: “Signore Iddio, non abbandonarmi; aiuta me e i miei seguaci.”

“Dopo che tutti ebbero posto all’assedio e piantate le loro tende, e la flotta ebbe preso la città di Rosas, misero le loro vettovaglie nelle case. E il signore re d’Aragona disse all’Infante En Alfonso di prendere cinquecento cavalieri e una compagnia di fanti e di assalire l’esercito. E l’Infante En Alfonso ebbe la più grande gioia del mondo e chiamò il conte di Pallars e il conte di Urgel e il visconte Cardona e En Guillermo de Anglesola e il visconte Rocaberti e disse loro di prepararsi, perché voleva attaccare l’esercito all’alba; e tutti ne ebbero una grande gioia. E il signore re chiamò a casa il conte di Ampuria (che era venuto da lui appena seppe che i francesi erano passati al passo) e gli altri ricchi, e disse loro: «Baroni, armiamoci anche noi e i nostri cavalli e stare alle barriere, così che, se questi altri hanno bisogno di aiuto, possiamo darglielo”. «Signore», dissero il conte e gli altri, «tu dici bene». Al mattino, all’alba, il Lord Infante En Alfonso con la cavalleria che era stata ordinata uscì da Peralada e attaccò l’esercito in un angolo, non appena fu giorno. E nell’esercito stavano sempre di guardia mille cavalli armati. E non appena avessero attaccato, avresti visto crollare le tende e gli uomini a piedi, ben duemila che erano usciti con loro, uccidere persone, rompere casse e dare fuoco alle capanne. Cosa devo dirti? Le grida erano forti, e vennero i mille cavalieri armati della guardia e allora avresti potuto vedere fatti d’armi tali che, in meno di un’ora, quelli del Lord Infante avevano ucciso più di seicento uomini d’arme dei mille d’arme la guardia. E nessuno sarebbe sfuggito, se non fosse stato per il conte di Foix e il conte di Astarach e il siniscalco di Mirepoix e En Jordan la Illa e En Roger de Comminge, e tutta la cavalleria della Linguadoca che ha osservato questo e si è avvicinata molto ben armato e in ordine di battaglia. E non pensare che siano venuti come fanno i nostri cavalieri, che vengono alla chiamata, senza che l’uno aspettasse l’altro; piuttosto questi sono venuti di buon passo; come cavalieri fiduciosi ed esperti in battaglia, si avvicinarono allo stendardo del Signore Infante. E il signore Infante, pieno di marziale ardore, volle assalire, gettarsi su di loro; ma il conte di Pallars non acconsentì a questo. Cosa devo dirti? Non gli avrebbero impedito di assalire se il conte di Pallars non fosse venuto, gli avesse preso le briglie e non gli avesse detto: «Ah, Signore, che vuoi fare? non indurci per nessun motivo in una trappola». E cortesemente lo fece voltare e raccolsero tutta la loro compagnia. E intanto il Lord Re era uscito da Peralada col conte di Ampurias e col resto della cavalleria per ricevere il Lord Infante. Cosa devo dirti? Ritornarono in buon ordine entro le difese di Peralada, e l’ultimo che entrò con il suo stendardo fu En Dalmau de Rocaberti che era Signore di Peralada e, insieme a lui, era En Ramon Folch, visconte Cardona, con il suo stendardo; poiché insieme comandavano la retroguardia, e per la misericordia di Dio entrarono molto gioiosamente, sani e salvi, in Peralada senza aver perso più di tre cavalieri e una quindicina di uomini e avevano ucciso più di ottocento cavalieri e innumerevoli uomini a piedi.”

Dopo che l’armata francese ebbe piantato le tende e tirato su l’accampamento per dare inizio all’assedio, il sovrano d’Aragona ordinò a suo figlio Alfonso di compiere una sortita fuori dalle mura di Peralada, per ingaggiare battaglia con gli assedianti e dar loro fastidio nel corso dei preparativi. Il figlio del re con cinquecento cavalieri al seguito e una compagnia di fanti marciò contro il nemico, all’alba, incontrando subito la guardia armata francese che si occupava di difendere l’accampamento, ovvero 1000 cavalieri montati e pronti a menar di spada. Lo scontro fu violento, e tutti poterono ammirare le gesta di quegli uomini dall’alto delle mura della città, come accadeva nella guerra dell’antica Troia quando gli eroi s’ammazzavano ai piedi dei bastioni.

Il figlio del re d’Aragona con i suoi cinquecento cavalieri massacrò i francesi, uccidendo secondo la cronaca più di seicento cavalieri francesi, oltre a innumerevoli fanti, e perdendo solo una manciata d’uomini. Cifre che il cronista Muntaner spara senza ritegno in tutto il testo, nel corso delle gloriose avventure cui lui stesso partecipò in qualità di uomo d’armi in una famosa compagnia di ventura, ma che lasciano perplessi sulla loro veridicità. Come avviene spessissimo durante la lettura di questi antichi resoconti di battaglia, di cui non ci si può mai fidare al cento per cento.

“Erano così attivi che avresti potuto vedere combattimenti corpo a corpo di cavalieri e di uomini a piedi ogni giorno; in modo che tutti si meravigliassero. E questo è durato cinque giorni. Nessun uomo è caduto durante l’uscita da Peralada attraverso la huerta, ma qualsiasi francese o altro uomo dell’esercito del re di Francia che attraversò la huerta lo ha fatto per la sua stessa rovina, e non ne è più uscito se non morto o prigioniero. Perché l’huerta di Peralada è la più forte che ci sia al mondo; nessun uomo può entrarvi senza smarrire la strada, se gli abitanti di Peralada desiderano che la perda. Nessuno può conoscere il percorso tranne coloro che sono della città, nati e cresciuti. E devo raccontarti una cosa meravigliosa, che è certa come quella che ognuno vede con i propri occhi.”

L’impresa di Alfonso, figlio del sovrano aragonese, non fu l’unica. Ogni giorno i cavalieri dell’una e dell’altra parte s’incontravano per schermaglie e duelli nella “huerta”, ovvero la terra coltivata che si trovava subito fuori dalle mura. Là dove comincia la storia di Mercadera, la donna guerriera di Peralada.

CXXIV Come una donna di Peralada vestita di abito maschile e armata di lancia e di spada cinta al fianco e lo scudo al braccio, catturò un bel cavaliere francese in armatura.
“C’era una donna a Peralada che conoscevo e vidi che si chiamava Na Mercadera, perché teneva un negozio. Ed era una donna molto intelligente, grande e alta. E un giorno, mentre l’esercito dei francesi era davanti a Peralada, uscì dalla città e andò in un suo giardino a raccogliere cavoli. E indossò una veste da uomo, prese una lancia, cinse una spada e portò uno scudo al braccio, e andò nel giardino. E quando fu là udì dei campanelli e si meravigliò e subito smise di raccogliere cavoli e andò da dove veniva il suono, per vedere che cosa fosse. E guardò e vide, nella fossa che c’era tra il suo giardino e l’altro, un cavaliere francese a cavallo, armato di campanelli sul poitral, e andava di qua e di là non sapendo come uscire. E lei, quando lo vide, fece subito un passo avanti e gli sferrò la lancia e lo colpì così forte sulla coscia attraverso le sottane che gli passò attraverso la coscia e la sella e punse il cavallo. E appena fatto ciò, e il cavallo si sentì ferito, s’inclinò e si impennava, sì che il cavaliere sarebbe caduto, se non fosse stato incatenato alla sella.”

Mercadera, che il cronista dice d’aver conosciuto di persona, era una donna forte, alta, che possedeva un negozio in città e un orto fuori dalle mura, nella huerta, come era comune fra i cittadini di Peralada e di molte altre città occidentali. Non era una nobildonna, ma poteva contare su discrete risorse economiche, anche perché la sua storia comincia il giorno in cui decise di uscire dalle mura per recarsi al suo orto e raccogliere cavoli, nonostante l’assedio e i nemici che scorrazzavano ovunque, e farlo in armi: lancia in pugno, scudo in braccio e spada legata alla cintura. Addobbata come un soldato, come un uomo.

Non sappiamo come e perché, se si fosse fatta prestare le armi da un famigliare o se invece erano proprio sue. In ogni caso, armata fino ai denti, si recò all’orto per recuperare da mangiare, visto che, ricordiamolo, si trattava di una situazione d’assedio e probabilmente il cibo cominciava a scarseggiare. Una volta giunta nel suo appezzamento di terra per raccogliere cavoli, udì un suono di campanelli. Seguendolo, trovò un cavaliere francese che era finito col destriero in un fosso che separava gli orti, probabilmente adacquato, tutto indaffarato a tentare di uscire: quindi un nemico, vestito di ferro, così come lo era il destriero, protetto dalla piastra pettorale che risuonava perché ornata di campanelli. Mercadera non perse tempo. Impugnata la lancia gli andò addosso e lo trafisse alla coscia, così forte che la punta acuminata trapassò la gamba del cavaliere fino a ferire lo stesso destriero.

Il cavaliere francese, colto alla sprovvista, e già in difficoltà per essere finito nel fosso, si trovò ferito, in sella al destriero irrequieto e in balia di quella feroce donna guerriera che, a quel punto, senza indugio snudò anche la spada.

“Prese la sua spada e mirò a un’altra apertura e ferì il cavallo alla testa che rimase stordito. Cosa devo dirti? Afferrò il cavallo per le redini e gridò: “Cavaliere, sei un uomo morto se non ti arrendi”. E il cavaliere si credette morto, gettò a terra il bordon che portava e si arrese a lei, e lei prese il bordon, e poi tirò fuori la lancia che gli conficcava nella coscia e così lo condusse a Peralada. Di ciò furono molto gioiosi e contentissimi il Signore Re e il Signore Infante, e le fecero raccontare molte volte come l’avesse catturato. Cosa devo dirti? Il cavaliere e le sue armi erano sue, e il cavaliere pagò un riscatto di duecento fiorini d’oro che ricevette. E così puoi vedere se l’ira di Dio era sui francesi o meno.”

Mercadera colpì il destriero sul muso tanto da stordirlo, poi afferrò le redini e gridò: “Cavaliere, sei un uomo morto se non ti arrendi”. E il cavaliere si arrese. L’eroina lo scortò prigioniero fino a Peralada, in città, tra lo stupore generale, tanto che la storia giunse alle orecchie del sovrano d’Aragona, il quale volle incontrarla per farsi raccontare ogni cosa, più volte. E come da tradizione cavalleresca, concesse alla donna guerriera di tenersi le armi e l’armatura del cavaliere catturato, poiché suo prigioniero, e di godere di un riscatto di duecento fiorini d’oro, mandato dai famigliari del cavaliere per riaverlo indietro.

Non sappiamo cosa avvenne dopo questo straordinario avvenimento. Mercadera era entrata in possesso di una bella somma e, sicuramente, di sufficiente notorietà da permetterle una probabile scalata sociale. Tuttavia questo breve episodio narrato nella cronaca catalana del XIV secolo si conclude così, con un finale aperto, e una promessa d’avventura, che solo le leggende possono colmare. Leggende che narrano di una donna non proprio aderente agli ideali cavallereschi, a dir la verità, ma più una guerriera appartenente al mondo reale, capace di cogliere le opportunità e far bottino: insomma, una sanguinaria degna delle compagnie di masnada che imperversavano in Occidente nel corso del Medioevo e pure oltre.

Se questa storia ti ha appassionato mi raccomando, seguimi, così non perderai l’occasione di vivere le prossime Leggende Affilate.

Lorenzo Manara
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