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7 Aprile 2024

L’eroico re lebbroso: Baldovino IV

re lebbroso Baldovino iv

Baldovino IV e la sua lotta contro un nemico peggiore del Saladino: la lebbra. L’incredibile storia del re lebbroso

Dopo due notti di febbre alta, stamattina mi sono svegliato pieno di bolle in faccia, immonde e disgustose. Si tratta di un bel regalo dall’asilo, di quelli che i bambini piccoli riportano con gioia ai genitori lieti d’accogliere periodicamente qualche nuovo tormento altamente contagioso. Date le mie condizioni, in principio, ho pensato di annullare il settimanale appuntamento con le Leggende Affilate, tuttavia mi è subito venuto in mente il ricordo di un grande re del passato, che non si arrese dinnanzi a qualcosa di ben peggiore di qualche bolla. Costui era Baldovino IV, meglio conosciuto per il soprannome infamante di “re lebbroso”. La sua enorme forza di volontà gli permise di combattere la malattia stessa, oltre al nemico numero uno della storia delle guerre crociate: Saladino. Nonostante le terribili piaghe, il re lebbroso montò in sella, armato di ferro, e guidò egli stesso i guerrieri di Cristo, verso un trionfo leggendario.

Non si sa quando, né come contrasse la lebbra. Ma ad accorgersene fu il suo tutore, Guglielmo di Tiro, arcivescovo della città, nonché autore della stessa cronaca da cui è tratta la biografia del re1. Baldovino gli era stato affidato fin da piccolissimo, e l’arcivescovo notò che quando i figli degli altri nobili giocavano assieme a lui, e facevano spesso la lotta, capitava che qualcuno si mettesse a piangere e urlare, in continuazione, in realtà, come fanno sempre i bambini. Baldovino no. Lui, nonostante i graffi insanguinati, e i segni dei denti degli altri bambini (perché i bambini possono essere particolarmente violenti), non urlava né si lamentava mai. In principio, l’arcivescovo pensava che si trattasse della virtù della pazienza, molto forte in lui, per via del sangue reale. Ma col passare del tempo, e il moltiplicarsi di episodi simili, si resero conto tutti quanti che il bambino era insensibile su gran parte del corpo, tanto che non sentiva dolore. Finché sulla sua stessa pelle non comparvero i segni inequivocabili di quel morbo di cui nessuno sapeva dare spiegazione, e che flagellava le carni, con piaghe, tumefazioni e ogni genere di tormento.

Baldovino crebbe così, peggiorando nel suo stato di salute, ma accrescendo nell’intelletto, diventando acculturato, bravo con i cavalli e, naturalmente, con la guerra. Quando compì 13 anni, suo padre, il re, morì. Ed ecco che ancora giovanissimo, Baldovino fu incoronato col nome di Baldovino IV, re di Gerusalemme, la Città Santa che a quel tempo era ancora in mano cristiana, parte del Regno Crociato. Ma che rischiava d’essere perduta proprio durante il suo regno, poiché il nemico più temibile di tutti si faceva avanti, sultano d’Egitto, nonché condottiero musulmano tra i più abili del medioevo: Saladino.

Il sultano radunò un grande esercito e invase il Regno Crociato, in quel momento indebolito dalla separazione dei vari conti e baroni e signori d’Oltremare, ciascuno con i propri domini da difendere, incursioni da portare a termine e problemi di ogni genere. La Terra Santa Cristiana, infatti, nonostante avesse un re, era divisa nella realtà dei fatti da un gran numero di autorità, politiche e religiose, compresi gli ordini monastici cavallereschi, ospitalieri e templari in primis. Insomma, di certo l’ambiente più difficile da porre sotto un dominio unitario, coeso. Complice il fatto che si trattava di un regno formatosi a malapena cento anni prima, con la forza della conquista, lontano miglia e miglia dalla terra d’origine di tutti quei condottieri che stavano lì, nella polvere, con la spada in una mano e la croce nell’altra.

Ed è per questo che ad andare incontro al Saladino fu lo stesso re lebbroso, al comando di un piccolo esercito, ovvero coloro che era riuscito a radunare nel giro di qualche giorno. La disparità tra le due forze era tale, che Saladino decise di spargere la sua armata per tutta la Terra Santa, per saccheggiare, razziare e assediare più città contemporaneamente. Ciascuna parte del suo esercito, anche se divisa dal resto, era comunque una minaccia soverchiante per qualsiasi armata cristiana. Infatti, quando Baldovino IV coi suoi arrivò in vista della parte di armata comandata dal Saladino stesso, rimase esterrefatto. Per non andare incontro a un massacro in campo aperto si ritirò ad Ascalona, una città ben fortificata lungo la costa, importante scalo commerciale che, tra le altre cose, diede anche il nome al nostro scalogno, che all’epoca delle crociate veniva chiamata cipolla d’Ascalona. 

Saladino, visto che il re cristiano non gli aveva concesso battaglia campale, cominciò ad agire come se avesse già vinto. I saraceni devastarono il paese in lungo e in largo, bruciando città e sobborghi, saccheggiando tutto ciò che incontravano. Lo fecero con una tale furia, che il re lebbroso fu costretto a uscire dalla città, perché se fosse rimasto ancora chiuso dietro le mura di Ascalona, a mangiare cipolle, l’intero regno sarebbe presto caduto, e di fatto lo era quasi, perché era stato interamente occupato. 

Baldovino IV, afflitto dalle piaghe e dalla debolezza della lebbra, montò in sella e si diresse coi suoi pochi uomini verso la costa, per incontrarsi con alcuni fratelli del Tempio, rinforzando un pochino le file dei suoi cavalieri. Seguendo le tracce che aveva lasciato Saladino al suo passaggio, lo raggiunse nella pianura dove si era accampato. Una vasta distesa coperta d’una moltitudine di fuochi, che stavano a indicare la grandezza dell’esercito nemico. Guglielmo di Tiro, scrive che Saladino disponeva di 26.000 cavalieri, dei quali 1000 erano temibili mamelucchi, ovvero giovani in principio schiavi, nati da concubine, acquistati o catturati, e poi diligentemente istruiti alla guerra presso le corti degli emiri e del sultano stesso. I capi saraceni li sceglievano apposta tra gli schiavi per addestrarli fin da bambini all’obbedienza e alla disciplina, forgiando così delle unità inarrestabili. Gli stessi uomini che, un centinaio di anni più tardi avrebbero posto fine all’epopea delle crociate, come ho già narrato in un episodio di Leggende Affilate: “La caduta di San Giovanni d’Acri”.

Sempre stando all’autore della cronaca, Baldovino IV dinnanzi a un tale poderoso esercito poteva schierare solo 375 cavalieri, contando gli 80 templari giunti in suo aiuto, e qualche migliaio di fanti. E basta. Nonostante questo, alle 8 del mattino li schierò tutti, in linea, all’ombra della vera croce: la reliquia che il vescovo di Betlemme portava con le sue stesse mani, in battaglia. E dopo aver stabilito chi avrebbe caricato per primo (perché nelle consuetudini di guerra di epoca crociata, la prima carica era la più onorevole, e si litigava spesso per ottenerla, anche se di solito veniva compiuta dai templari), i cristiani si lanciarono all’attacco. Il coraggio del re lebbroso, unito alla sua ferrea volontà e alla totale assenza d’indugio (compreso un pizzico di fortuna), gli permise di cogliere l’esercito di Saladino in un momento favorevole. Perché era sì, un grandioso esercito, ma come tale aveva bisogno dei suoi tempi. Ed ecco che incontro al re lebbroso, in principio, Saladino poté schierare solo una piccola parte degli uomini di cui disponeva, nella totalità. Le forze, quindi, nel primo assalto di parte cristiana, erano abbastanza equilibrate.

E la carica di Baldovino IV, con i templari e i cavalieri crociati, sbaragliò il nemico, e lo stesso Saladino si ritrovò in pericolo, nel mezzo della mischia. Riuscì a salvarsi solo grazie alla sua fedelissima guardia di 1000 mamelucchi, che per permettergli di ritirarsi dalla battaglia, si sacrificarono, dando la vita, tutti quanti. A quel punto, l’intero esercito saraceno, seppure ancora grande, fu travolto dal caos. Il sultano stava scappando, il campo era cosparso di morti, e molti avevano cominciato a fuggire. Per questo, verso il tramonto, l’armata intera si disperse, abbandonando le armi per terra, e nei fiumi, inseguita da quei pochi crociati che quel giorno fecero un enorme bottino, armi e armature di ferro, destrieri preziosi, file e file di prigionieri, e montagne di cadaveri. Si racconta, infatti, che dell’armata di Saladino, riuscì a sopravvivere praticamente solo lui, visto che tutti gli altri furono dispersi, o scannati.

Questa fu una delle vittorie più gloriose della storia delle crociate, poiché portata a termine nonostante l’enorme svantaggio e, soprattutto, nonostante la terribile battaglia che il condottiero cristiano, Baldovino IV, combatteva personalmente, contro un nemico ancora peggiore del Saladino e di qualsiasi altro saraceno avesse mai messo piede sulla Terra Santa: la lebbra. Questa è la dimostrazione di ciò che è in grado di compiere l’uomo, anche quando tutto sembra perduto. Un messaggio importante, che può risollevare una brutta giornata e trasformarla in un momento di gloria imperitura, proprio come mi è capitato a me, oggi, quando ho quasi rischiato di non registrare questo episodio. Se ti senti sconfitto dalla vita, ripensa al re lebbroso, quel giorno, in sella al suo destriero e tutto andrà per il meglio.

Ah, e poi seguimi, metti mi piace, condividi, parlane con i tuoi amici sanguinari, insomma, onora questo episodio e la storia che reca con sé, per diffondere il verbo affilato e aiutarmi nella mia missione. Alla prossima.

  1. Storia delle cose d’Oltremare, Guglielmo di Tiro, Libro XXI, Capitolo I
Lorenzo Manara
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