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20 Aprile 2021

Le avventure di Miguel de Cervantes

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Duelli, pirati, battaglie navali e pallate d’archibugio in petto: la vita avventurosa di Miguel de Cervantes, autore del Don Chisciotte

Il 7 Ottobre 1571 nei pressi del Golfo di Corinto si svolse una delle più celebri battaglie navali che la storia umana ricordi: la battaglia di Lepanto. Da un lato l’Impero Ottomano, dall’altro una coalizione che comprendeva la Spagna, lo Stato Pontificio, la Repubblica di Venezia, la Repubblica di Genova, il Ducato di Savoia e i cavalieri dell’Ordine di Malta, tutti riuniti sotto un nome glorioso: la Lega Santa.

Fra le centinaia di migliaia di uomini che presero parte allo scontro figurava un tale di nome Miguel de Cervantes Saavedra, che noi conosciamo per il suo Don Chisciotte della Mancia: scrittore di notte, sanguinario guerriero di giorno. Un po’ come faccio io, soltanto che il mio coinvolgimento nelle battaglie storiche è esclusivamente letterario-narrativo, in quanto autore di podcast e romanzi. E poi, è probabile che se partecipassi a una battaglia sarei il primo a morire: Una di quelle comparse che si vedono nei film, quelle che muoiono alla svelta, sullo sfondo, e tanti saluti. Ma non divaghiamo e cominciamo dall’inizio.

Miguel de Cervantes nasce nel 1547 nei pressi di Madrid. Dopo aver intrapreso studi letterari, si ritrova coinvolto in un duello il cui esito lo costringerà ad abbandonare la Spagna. Ed è proprio con un bel duello a colpi di spada che hanno inizio le avventure di uno degli scrittori più famosi della storia. Un evento, a dir la verità, comune tra i focosi artisti cinquecenteschi, sempre pronti a menar le mani. Gli esempi si sprecano, in Italia abbiamo avuto Benvenuto Cellini, Michelangelo… tutti estimatori di una vita vissuta tra arte e sangue, e magia nera. Benvenuto Cellini, in particolare, di cui racconto le gesta soprannaturali in un episodio del mio podcast “Storia della Magia”.

Miguel arriva in Italia e dopo un breve soggiorno a Roma si arruola tra le file spagnole, nel “Tercio” di Miguel de Moncada1. Il tercio era la tipica formazione militare spagnola, composta da picchieri e soldati equipaggiati con armi da fuoco: moschetti e archibugi. Il termine divenne celebre, soprattutto nel corso delle guerre italiane rinascimentali, per l’efficacia di una simile organizzazione bellica. Stavolta, però, la chiamata alle armi non riguardava l’ennesima guerra da combattersi nel Bel Paese. Stavolta, il nemico era l’infedele dell’Est, proprio come nelle crociate di quasi cinque secoli prima.

Una moltitudine di giovani occidentali, di ogni classe e paese, si arruolarono per contrastare la minaccia espansionistica islamica (in questo caso incarnata dall’Impero Ottomano): soldati di tutta Europa si ritrovarono a comporre le file della Lega Santa. E Miguel de Cervantes era uno di questi: uno dei 4000 soldati spagnoli imbarcati sulle navi veneziane e genovesi che componevano l’ala sinistra della flotta, in viaggio verso Lepanto.

La galea sulla quale si trovava l’autore del Don Chisciotte era la “Marchesa” di Giovanni Andrea Doria2, nave genovese spesso riportata in lingua spagnola come Marquesa, ma italiana in tutto e per tutto, come la maggior parte delle navi che componevano la flotta occidentale. Era un’imbarcazione dallo scafo lungo e sottile, mossa da una sola vela latina che durante le operazioni di guerra veniva ammainata per sfruttare la propulsione dei remi. Gran parte della flotta cristiana era composta da questo tipo di nave eccetto che per sei vistose eccezioni: gli arsenali della Serenissima infatti quel giorno decisero di schierare un’arma mai vista prima, che cambiò le sorti dell’intero scontro.

Sei “galeazze” solcarono le acque del golfo di Lepanto davanti all’intera flotta della Lega Santa: navi di dimensioni molti più grandi delle normali galee, con tre alberi invece di uno, e una dotazione di cannoni soverchiante. Alcuni storici riportano che da sole, nel corso del combattimento, riuscirono ad affondare più di settanta navi nemiche. La Marchesa di Miguel de Cervantes si trovava nell’ala sinistra dello schieramento, e conosciamo la sua esatta posizione grazie al piano d’attacco della flotta, confermato in più punti da alcune cronache3.

La Marchesa di Giovanni Andrea Doria sulla quale era imbarcato Miguel de Cervantes è schierata nel “corno” sinistro al comando di Barbarigo, molto vicina al corpo centrale dello schieramento. (Plan of the disposition of the fleets at the battle of Lepanto 7 Oct 1571, Royal Museums Greenwich)

Sappiamo che Miguel de Cervantes aveva la febbre la mattina prima della battaglia e che, nonostante il medico di bordo glielo avesse sconsigliato, volle partecipare lo stesso allo scontro4. Gli venne affidata una squadra di dodici archibugieri per far fuoco dal ponte della nave. Non sappiamo le esatte dinamiche dello scontro. Può darsi che Miguel abbia combattuto a distanza e che la sua nave non sia mai stata abbordata, ma non possiamo escludere che in determinati frangenti Miguel e i suoi dodici archibugieri abbiano dovuto metter mano alle spade. Quel che sappiamo per certo è che Miguel si beccò due palle d’archibugio in petto e una nella mano sinistra.

La battaglia durò circa quattro ore e devono essere state quattro ore d’inferno per il nostro sanguinario scrittore. In genere non vi erano molti medici a disposizione in battaglia (secondo l’organizzazione dei “Tercios”, ad esempio, alcune fonti riportano in media un dottore chirurgo ogni 2200 soldati5). E’ probabile che Miguel abbia dovuto tenere duro, in attesa di un intervento di primo soccorso, magari sdraiato da qualche parte, sanguinante e febbricitante, mentre intorno a lui tuonavano cannonate e scoppi d’archibugio.

Uno scenario apocalittico, descritto nel dettaglio da svariati autori e cronisti, tra i quali voglio citare Gerolamo Diedo, per la sua carica emotiva:

“Terribile era il suono delle trombe, delle nacchere e dei tamburi; ma ancor più forte era il rimbombo degli archibugi, il tuono dell’artiglieria e le grida degli uomini. Folte nuvole di saette e fuochi artificiati volavano per l’aria, la quale per lo gran fumo era quasi divenuta del tutto oscura (…) Sparsi nello spazio di forse otto miglia di mare galleggiavano alberi, remi, legni od altra cosa spezzata e, soprattutto, una quantità innumerabile di corpi che coloravano il mare col sangue.”

La battaglia di Lepanto descritta da Gerolamo Diedo, 1613

Già nelle prime fasi dello scontro l’ammiraglia del comandante della Lega Santa la “Real” e la rivale dell’ammiraglio ottomano, Müezzinzade Alì Pascià, si scontrarono per dar vita a un combattimento da ponte a ponte che durò per tutta la battaglia. Le altre navi si avvicinarono per dare il proprio supporto e i soldati di entrambe le parti passavano da un’imbarcazione all’altra per raggiungere i propri comandanti, dando vita a una mischia corpo a corpo in mezzo al mare, in un caos di navi affiancate. Dopo ingenti quantità di spadate, smazzolate e palle di fuoco, il comandante ottomano Ali Pasha venne ferito da un colpo d’archibugio, cadde a terra e finì decapitato da un soldato spagnolo. La battaglia di Lepanto si concluse.

Miguel de Cervantes al termine dello scontro si trovava dunque sul ponte di una galea devastata dalle cannonate, sdraiato sulle assi bagnate da sangue mischiato con la spuma del mare, in mezzo a una visione infernale di cadaveri galleggianti e aria soffocante, ricolma di fumo della polvere nera. E’ probabile che nei giorni successivi venne trasportato a Messina, dove la maggioranza dei soldati feriti finiva sotto i ferri dei chirurghi del Gran Ospitale, e che ci restò per sette mesi perdendo l’uso della mano sinistra. Ma questo non fermò la sua voglia d’avventura.

Con un compenso di 22 ducati per aver servito la corona spagnola alla battaglia di Lepanto6 e la sola mano destra a impugnare la spada, Miguel de Cervantes si arruolò nell’esercito, di nuovo. S’imbarcò sulla galea “Sol” e nel mentre si trovava a navigare presso Palamos, sulla Costa Brava, si scontrò con dei pirati algerini che abbordarono la nave e lo catturarono. Restò in prigionia per cinque anni, nel corso dei quali maturò, probabilmente, la sua vena poetica. Dopo la sua liberazione, infatti, cominciò a dedicarsi alla scrittura, finché non giunse in tarda età a pubblicare l’opera che ancora oggi viene studiata e letta in tutto l’Occidente. Sappiamo poco della vita avventurosa dell’autore del Don Chisciotte, ma forse è proprio nella sua opera che possiamo ritrovare sprazzi di quelle imprese per terra e per mare, con l’archibugio carico di polvere nera e le vele gonfiate dal vento.

“In un paese della Mancia, di cui non voglio fare il nome, viveva or non è molto uno di quei cavalieri che tengono la lancia nella rastrelliera, un vecchio scudo, un ossuto ronzino e il levriero da caccia. Tre quarti della sua rendita se ne andavano in un piatto più di vacca che di castrato, carne fredda per cena quasi ogni sera, uova e prosciutto il sabato, lenticchie il venerdì e qualche piccioncino di rinforzo alla domenica. A quello che restava davano fondo il tabarro di pettinato e i calzoni di velluto per i dì di festa, con soprascarpe dello stesso velluto, mentre negli altri giorni della settimana provvedeva al suo decoro con lana grezza della migliore.”

Don Chisciotte della Mancia, Miguel de Cervantes, traduzione di Letizia Falzone.

La vita avventurosa di Miguel de Cervantes è una miniera d’oro per un appassionato di storie come me. Il minimo che possa fare per commemorare le sue imprese è di raccontarle, assieme alle peripezie dei vari personaggi (storici e letterari) di cui mi imbatto durante le mie ricerche per scrivere romanzi. Se ti piace l’avventura, seguimi. Perché di episodi così leggendari è piena la storia.

  1. Historia del Combate Naval de Lepantoy Juicio de la Importancia y Cconsecuencias de aquel Suceso, Rosell Cayetano
  2. Domenico del Tacco and Miguel de Cervantes in the Battle of Lepanto. Reflections on some parallel events. Marijan Anton Kerzan
  3. Historia delle cose successe dal principio della guerra mossa da Selim Ottomano a Venetiani, Giovanni Pietro Contarini, 1572
  4. Vida de Miguel de Cervantes, Fernandez de Navarrete Martin
  5. Proyecto de investigación. El HospitalReal de los Militares de Mesina, Alfonso, José, Rodrigo
  6. Archivio  general de Simancas, ref. Estado, 1138,78, “Ayuda a soldados”
Lorenzo Manara
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