Close

3 Dicembre 2023

Il segreto del fuoco greco

fuoco greco

La misteriosa arma degli antichi bizantini, da sempre ritenuta un segreto perduto: il fuoco greco!

Durante l’assedio di San Giovanni d’Acri del 1291, l’ultima grande battaglia delle Crociate, fu impiegata un’arma straordinaria, da sempre circondata da un’aura di mistero e leggenda: il fuoco greco. A descrivere l’utilizzo di questa antica tecnologia fu il templare di Tiro, che nella sua cronaca racconta il drammatico episodio in cui un cavaliere si ritrovò vittima dello scroscio infuocato.

“E accadde che per il fuoco che gettavano fu colpito un povero cavaliere inglese tanto che prese fuoco la sua cotta d’armi, e non vi fu nessuno a soccorrerlo, così che ebbe bruciato il viso e poi tutto il corpo, e bruciava come fosse un calderone di pece.”

Templare di Tiro, Cronaca

Il fuoco greco è un’antica arma incendiaria di cui sappiamo molto poco. Ancora più antica del resoconto dell’assedio medievale di Acri. Le prime menzioni la vedono impiegata dai romani d’Oriente, nel corso dell’assedio di Costantinopoli del VII secolo, contro gli arabi. I difensori, sulle mura della capitale, scaricavano fiamme di sotto, contro gli attaccanti, imbracciando dei lanciafiamme.

Uno spettacolo che ci suona anacronistico. Per noi è impensabile che i bizantini, con le armature indosso, gli scudi e le lance, avessero a disposizione una tecnologia così moderna, così sproporzionata rispetto a tutto il resto, quasi fuori luogo. Eppure, le fonti a riguardo sono numerose, sia testuali che pittoriche, e gli storici oggigiorno hanno pochi dubbi sulla sua esistenza: il fuoco greco era vero quanto mortale. Ma di cosa si trattava, nello specifico?

Innanzitutto, a chiamarlo “fuoco greco” furono gli autori medievali occidentali. Perché i romani d’Oriente, (o bizantini, come abbiamo imparato a chiamarli a scuola) lo identificavano in altro modo: “fuoco liquido” o “fuoco marino”. Nomi che descrivono meglio il suo utilizzo, che in prevalenza avveniva proprio in mare. Il fuoco greco, infatti, veniva stivato sulle galee da guerra per essere gettato sui nemici, con un forte ruggito e un fumo denso; così potente da incendiare qualsiasi cosa, anche l’acqua. Per spegnerlo, si racconta che fosse necessario coprirlo con sabbia e pelli bagnate con l’aceto, altrimenti avrebbe continuato a bruciare, anche sulla superficie del mare.

A fronte di queste descrizioni, gli storici hanno ipotizzato che il fuoco liquido fosse un’arma a base di petrolio1; attualmente, questa è una delle tesi più supportate. Nell’Impero Romano d’Oriente, infatti, il petrolio era conosciuto, e lo sappiamo grazie agli elenchi di ”pozzi” da cui era possibile estrarre il “naphthas”, termine greco che stava a indicare un combustibile liquido, dagli storici ritenuto, appunto, petrolio; la maggior parte di questi pozzi era situata in un’area che copre le regioni della Crimea orientale, del Caucaso,  e nella zona costiera del mar Caspio: insomma, tutti luoghi su cui i bizantini esercitarono una certa influenza fino al XII secolo,)quando il potere di Costantinopoli cominciò a ridursi. E, guarda un po’, non appena divenne difficile estrarre combustibile liquido dai pozzi, nelle fonti non si parlò più di fuoco greco usato dai bizantini: niente petrolio, niente lanciafiamme; un’altra conferma a sostegno di questa tesi.

“Fuori dalla città di Tamatarcha ci sono molti pozzi che producono nafta. A Zichia, presso il luogo detto Pagi, che è nella regione della Papagia ed è abitato da Zichiani, ci sono nove pozzi che danno nafta, ma gli oli dei nove pozzi non sono dello stesso colore, alcuni sono rossi, altri gialli, qualche volta nerastri. A Zichia, nella località chiamata Papagi, vicino alla quale è un villaggio chiamato Sapaxi, che significa polvere, c’è una sorgente che dà nafta. C’è ancora un’altra sorgente che produce nafta, nel villaggio chiamato Chamouch. Questi luoghi distano dal mare un viaggio di un giorno senza cambiare cavallo. Nella provincia di Derzene, vicino al villaggio di Sapikion e al villaggio chiamato Episkopion, si trova una nafta molto produttiva. Nella provincia di Tziliapert, sotto il villaggio di Srechiabarax , c’è una nafta con un buon rendimento.”

De Administrando Imperio, Constantine Porphyrogenitus

“Questo fuoco è prodotto dalle seguenti arti: dal pino e da alcuni di questi alberi sempreverdi si raccoglie resina infiammabile. Questo viene strofinato con zolfo e messo in tubi di canna, e viene soffiato dagli uomini che lo usano con un respiro violento e continuo. Poi in questo modo incontra il fuoco sulla punta e prende la luce e cade come un turbine infuocato sui volti dei nemici.”

Anna Comnena, Alessiade 1148

Il fuoco greco esisteva, dunque. Il vero problema è capire come funzionasse, tecnicamente. Se dovessimo costruire adesso una simile arma, come la faremmo? Non che ci risulti difficile creare un lanciafiamme, intendiamoci: oggigiorno siamo bravissimi a bruciare e distruggere le cose, dei veri esperti della devastazione. Il problema è proprio di trovare l’esatto funzionamento storico. Finché non salta fuori un mirabile progetto antico che ci descrive il macchinario nelle sue parti, è difficile ipotizzare la sua esatta forma e tecnologia. Alcune descrizioni, però, ci aiutano in questo senso, come ad esempio un resoconto del IX secolo:

“Quando i Saraceni danno battaglia navale, [i Bizantini] fanno una fornace a prua della loro nave, sulla quale appoggiano un vaso di bronzo riempito di questi oli, e vi mettono il fuoco sotto, e uno dell’equipaggio, per mezzo di un tubo di bronzo chiamato “spruzzo” dai contadini, con cui giocano i ragazzi, soffia sul nemico.”

Sembrerebbe, quindi, che il petrolio fosse stivato in un serbatoio a prua della nave, riscaldato su un focolare, pompato e proiettato sotto pressione attraverso un tubo, in un lungo getto di fiamme, contro i nemici. Questo apparato viene definito “sifone” nelle fonti, e l’operatore dell’arma era detto il “sifonatore”. Ma, nonostante questa descrizione, siamo ancora lontani dal capirne l’esatto funzionamento. Qualcuno, però, ci ha provato.

In uno studio d’archeologia sperimentale del 2002, sotto la guida dello storico John Haldon, è stato costruito il sifone lanciafiamme bizantino mettendo assieme tutte le descrizioni presenti nelle fonti, e ovviamente rispettando le tecnologie costruttive dell’epoca. Il risultato è stato sorprendente: 15 metri di soffio infuocato misurato a una temperatura di più di 1000 gradi per svariati secondi consecutivi, prima dell’esaurimento. Un’arma davvero micidiale, che poteva cambiare le sorti di un’intera battaglia e, infatti, stando alle cronache, lo faceva.

Il petrolio, dunque, potrebbe essere la soluzione del mistero: l’ingrediente da sempre ritenuto segreto del fuoco greco. Soprattutto perché perfettamente in grado di bruciare sulla superficie dell’acqua, come vediamo tristemente anche al telegiornale quando accadono disastri ambientali, e le petroliere incagliate riversano in mare tonnellate di carburante che, se incendiato, dà origine a una tempesta infuocata in mezzo all’oceano. Quel che non sappiamo è se tale combustibile liquido venisse mischiato con ulteriori materie. Di ricette del fuoco greco, alcune antichissime, ce ne sono davvero molte, ma l’originale resta un mistero.

L’idea di incendiare i nemici con ordigni vari, però, è sopravvissuta. L’assedio di san Giovanni d’Acri sul finire del XIII secolo, infatti, ne è la prova. I mamelucchi del sultanato d’Egitto scaricarono addosso ai crociati delle vere e proprie palle di fuoco. Si trattava di pentole di terracotta ricolme di composizioni piriche, provviste di una spoletta che faceva da miccia, che una volta lanciate, si frantumavano spargendo il composto incendiario contro i nemici. Strumenti di gran lunga più semplici da produrre del lanciafiamme bizantino, che potevano essere trasportati e scagliati a mano da chiunque: ecco perché sopravvissero anche all’oblio.

I cronisti chiamavano queste bombe primordiali, appunto, “fuoco greco”: espressione con cui, ormai, si identificavano praticamente tutte le armi incendiarie. Non è sicuro, quindi, che al loro interno ci fosse lo stesso identico “fuoco marino” di Costantinopoli, impiegato V secoli prima. Anzi, probabilmente non era così. Ma il nome, così evocativo, era ormai impresso nell’immaginario collettivo, e dunque fu appioppato a tutti gli ordigni che si susseguirono, uno dopo l’altro, fino a una grande scoperta che rivoluzionò il mondo, mandando in pensione tutti questi artifici antichi: la polvere nera. E il modo di far la guerra, cambiò completamente.

Per secoli, quindi, i campi di battaglia videro una commistione di armi da romanzo fantasy, tra lanciafiamme e palle di fuoco; ovviamente non usate su larga scala e, anzi, erano piuttosto rare. Rare, ma pur sempre devastanti al livello psicologico. Non a caso, ho deciso di inserire questi artifici incendiari nel mio ultimo romanzo “La Canzone dei Morti”, dove le pentolacce ricolme di composizione pirica vengono scagliate in gran quantità contro i protagonisti.

Un momento, però, non è mica finita qui. Nel Medioevo si conoscevano bene le antiche storie e si tentò di riprodurre il sifone bizantino in maniera portatile, per utilizzarlo a mano e direzionarlo senza bisogno di montarlo sulla prua di una nave. Uno strumento da sanguinari di cui sono sopravvissuti pochi disegni, e che veniva chiamato lancia da fuoco o tromba da fuoco: nient’altro che una guaina ricolma di composizione pirica come pece, zolfo e, forse, il petrolio. In alcuni casi venivano utilizzate fascine di ramaglia di piante resinose e, dal XIV secolo in poi, la polvere nera. 

Un arnese impiegato poche volte, a dir la verità, e soprattutto in mare, durante gli scontri navali, che finì inevitabilmente per stuzzicare la fantasia degli inventori tardo-medievali e rinascimentali, i quali si sbizzarrirono nel disegnare varianti, alcune particolarmente fantasiose, come le trombe da battaglia presenti in un trattato militare di fine Cinquecento. 

lanciafiamme medievale fuoco greco

Tali lanciafiamme erano combinati con armi da fuoco per sputar fiamme e sparare pallettoni allo stesso tempo, o addirittura erano uniti a spade a due mani. Non sto scherzando, nel manuale compare una spada a due mani con lanciafiamme incorporato. Progetti, perlopiù, che non credo abbiano mai visto il campo di battaglia, un po’ come i progetti militari di Leonardo da Vinci che tutti noi conosciamo, e dei molti altri inventori che invece risultano sconosciuti, tra cui Mariano di Jacopo, detto il Taccola, la cui genialità diede ispirazione allo stesso Leonardo.

Se questa storia ti ha appassionato, seguimi!

  1. Greek fire revisited: recent and current research, JOHN HALDON
Lorenzo Manara
Latest posts by Lorenzo Manara (see all)