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2 Marzo 2023

Gilles de Rais: un signore oscuro sotto processo

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Articolo del podcast Storia della Magia, episodio 11: L’archetipo del signore oscuro tratto dalla storia di Gilles de Rais

Sul finire del Medioevo, nel 1440, l’Inquisizione processò un barone francese, capitano dell’esercito, nonché compagno d’armi di Giovanna d’Arco: uno dei protagonisti della guerra dei Cent’anni. 49 erano i capi d’imputazione, tra cui: eresia, stregoneria, idolatria, apostasia dalla fede, superstizione, divinazione, rapimento, tortura, uccisione e soppressione dei corpi di almeno 140 bambini… Stiamo parlando di Gilles de Rais: maresciallo di Francia, e assassino. 

Gilles de Rais era appassionato di occulto, magia e alchimia. Il suo coinvolgimento nelle arti oscure lo portò nel corso della vita a incontrare vari “esperti del settore”, più o meno capaci, che contribuirono alla sua rovina, soprattutto quella economica. Gilles, infatti, nonostante il potere politico, era terribilmente indebitato. Così indebitato da svendere un intero castello, assieme a numerosi altri possedimenti.

I suoi parenti si opposero strenuamente alla svendita, tanto da richiedere l’interdizione dalla gestione del patrimonio allo stesso sovrano, Carlo VII, il quale, accolse la richiesta. Gilles de Rais fu ritenuto incapace di gestire il suo patrimonio, nonostante lui fosse il capofamiglia, trattato alla stregua di un pazzo. E fu proprio a quel punto che Gilles cominciò a precipitare nel baratro, scavandosi la fossa da solo.

Al comando della sua masnada, assaltò il castello che egli stesso aveva svenduto e irruppe perfino in chiesa, durante la celebrazione della messa, prendendo in ostaggio il prete. Gilles intendeva ristabilire il suo potere baronale con un colpo di mano, ma la scelta si rivelò, invece, disastrosa. Poiché con un simile atto violento e blasfemo, consentì ai suoi nemici di rivolgersi all’inquisizione, per cominciare a scavare nella vita privata del barone alla ricerca di prove della sua malvagità, per eliminarlo una volta per tutte.

Il processo istruito contro di lui nel 1440 contiene i dettagli dei riti magici consumati nei sotterranei del suo castello, Tiffauges, luogo oscuro e tenebroso, poi divenuto elemento d’ispirazione per molte opere di narrativa, tra cui proprio il castello di Malarocca, presente nel mio romanzo “La Stirpe delle Ossa”.

Il resoconto processuale inizia dal principio, descrivendo i primi approcci alla magia nera da parte di Gilles de Rais, avvenuti con l’arrivo al castello di Tiffauges di un tale, di nome Mesnil.

Mesnil era un soldato, nello specifico un trombettiere, condannato in passato come eretico. Il che, è tutto dire. Fu il primo a proporre a Gilles de Rais di firmare un contratto di sangue col Diavolo in cambio di ricchezze per riguadagnare lo status sociale perduto. Si trattava di un patto col Diavolo vero e proprio, con la differenza sostanziale che Gilles de Rais non promise niente in cambio delle ricchezze infernali: né la vita, né la sua anima.

L’evocazione del Diavolo, ovviamente, non ebbe successo. Gilles de Rais ammise di non aver visto né sentito niente di magico, e di non aver ottenuto alcuna ricchezza. Quel tale, Mesnil, se ne andò dal castello, probabilmente con le tasche appesantite da qualche moneta d’oro guadagnata per il suo servizio, seppur fallimentare, lasciando il posto a un altro esperto di occultismo: Jean de la Riviere.

Jean non ebbe maggiore successo, però si comportò in maniera più furba. Perché dopo essere stato assoldato da Gilles, una notte si recò nel bosco, da solo, per tenere una cerimonia di evocazione privata, al termine della quale tornò trafelato al castello per raccontare dell’incontro spaventoso avvenuto col Diavolo. Gli era apparso sotto forma di leopardo, spaventandolo a morte. E sarebbe finita molto male, se Jean non si fosse portato dietro la spada, per proteggersi.

Gilles de Rais abboccò alla favola, ma non solo: gli donò una buona somma da spendere in equipaggiamento magico per una nuova evocazione, che Jean avrebbe dovuto intraprendere, una seconda volta. Ma Jean, presa la borsa d’oro, si dileguò coi soldi, e di lui non si seppe più nulla.

A questo punto della cronaca processuale, una trascrizione ufficiale, confermata dallo stesso imputato, comincia a delinearsi la figura di Gilles de Rais, secondo molti storici un credulone sprovveduto, il quale, per risollevare il proprio patrimonio, si era affidato a una serie di ciarlatani che gli facevano credere di tutto, persino di parlare col Diavolo, pur di mantenere la flebile speranza di risolvere i suoi problemi finanziari con un bel tesoro proveniente dall’Inferno. E, infatti, gli imbrogli non finiscono qui.

Il terzo impostore che si presentò al castello di Tiffauges fu un mago, il cui nome non trapela mai dalle testimonianze inquisitorie, e che mise in scena una trovata ben più plausibile di quella del suo predecessore. Per portare a termine l’inganno, il mago si avvalse di un certo Gilles de Sille, il quale agì come aiutante, o per meglio dire complice.

Il mago tracciò un cerchio sul pavimento di pietra di una remota stanza del castello e vi entrò assieme a Gilles de Rais. Gli ordinò di non farsi mai il segno della croce all’interno del cerchio, altrimenti i due sarebbero stati in grave pericolo. De Sille, nel frattempo, restava vicino alla finestra tenendo tra le braccia un’immagine della Beata Vergine. Ad un certo punto, il mago, comandò a Gilles de Rais di uscire al più presto dal cerchio e abbandonare la stanza per salvarsi. Perché stava arrivando qualcosa di terribile.

Gilles de Rais, che per tutto il tempo non aveva visto né percepito niente di pericoloso, si fidò del mago e fuggì. Poco dopo venne raggiunto dal complice de Sille, il quale, lo avvertì che il mago era stato picchiato senza pietà e preso a calci. Tornando sul luogo dell’invocazione vi trovarono, effettivamente, il mago disteso a faccia in giù, conciato così male che Gilles de Rais temette per la sua vita. Ma il mago, si riprese presto e, presumibilmente dopo un lauto pagamento, scomparve anche lui come gli altri truffatori.

E’ probabile che il mago si fosse fatto pestare dal complice, per fingere un combattimento infernale con chissà quale entità convocata dalle malebolge, al fine di scucire qualche moneta d’oro all’ingenuo Gilles de Rais.

Arrivati a questo punto, si potrebbe pensare che Gilles de Rais ne avesse abbastanza di ciarlatani, ma invece non fu così. Egli voleva guadagnare soldi con la negromanzia a tutti i costi e, dopo aver provato altri maghi (in tutto una quindicina), mandò a chiamare un vero esperto di magia nera, direttamente dall’Italia: uno spretato della Repubblica di Firenze (più precisamente di Montecatini Alto) di nome Francesco Prelati, un uomo che conquistò il cuore del signore francese con la sua preparazione, intelligenza e con il suo carisma.

Sicuramente più dotato di Mesnil, di Riviere e del finto mago combattente, Prelati rispondeva all’identikit del perfetto negromante: un ex-prete, quindi esperto conoscitore del latino, dei testi sacri e della dottrina, nonché uomo d’esperienza in fatto di evocazioni demoniache. Egli, infatti, diceva di possedere incantesimi per mezzo dei quali poteva convocare un certo diavolo chiamato Barron “tutto vestito d’azzurro, con un mantello viola, giovanissimo e bello”. In altre parole, Francesco era il possessore di un famiglio demoniaco, quindi un invocatore di grande potere.

Prelati compì la prima invocazione nel castello, da solo, senza la presenza di Gilles. Poi ne raccontò l’esito, dicendosi contento di aver tenuto il suo signore lontano dal rito. Perché se fosse stato presente avrebbe corso un grande rischio, visto che durante l’invocazione era apparso un serpente spaventoso.

Una delle notti seguenti, dopo cena, nella grande stanza inferiore del castello di Tiffauges, un gruppo di evocatori guidati da Gilles de Rais e dal prete negromante Francesco Prelati, sperimentarono le formule tratte da un libro in pelle nera, scritto su carta e pergamena a caratteri rossi, accendendo candele, tracciando segni sulle pareti di pietra e disegnando un grande cerchio sul pavimento, con una spada. Gli elementi del folclore esoterico, legati all’occultismo sono tutti presenti qui, riuniti in questo resoconto processuale del XV secolo.

Tuttavia, nessuno di questi rituali mostrò a Gilles de Rais il Diavolo, e nemmeno montagne d’oro in grado di risolvere i suoi problemi finanziari.

Per giustificare l’assenza di risultati, il negromante Prelati diede la colpa allo stesso Gilles de Rais. Il famiglio, Barron, fino a quel momento aveva deciso di ignorare le convocazioni, poiché Gilles non aveva adempiuto al suo impegno: nella fattispecie, non aveva effettuato un sacrificio di sangue, necessario a soddisfare la sete del demone.

Per ottenere il favore dell’entità infernale, Gilles avrebbe dovuto procurarsi ingredienti sacrificali adeguati: come gli arti o le membra di qualche bambino. Ed è da questo punto in poi, che il resoconto inquisitoriale assume le orrende caratteristiche che hanno forgiato la leggenda del signore oscuro della letteratura fantastica.

Senza esitare, Gilles de Rais consegnò al negromante una mano, il cuore e gli occhi di un bambino, poi firmò un contratto col proprio sangue. Alcuni storici sostengono che Gilles avesse ucciso per davvero un bambino. Altri ipotizzano che ne abbia preso uno già morto. In ogni caso, come c’era da aspettarselo, neanche dopo l’orrido sacrificio il demone si presentò a Gilles. E il negromante fiorentino, per non perdere la propria credibilità, chiese altri sacrifici, sempre di più, sempre più numerosi.

Gilles de Rais rastrellò le campagne in cerca di infanti da sacrificare per circa nove anni, arrivando a massacrare orribilmente la totalità di 140 bambini: tutti da offrire in pasto ai demoni infernali per ottenere conoscenze e ricchezze. Un gran numero di persone accorse per testimoniare che era tutto vero, che Gilles de Rais era un folle adoratore del Diavolo, e assassino. E lui stesso lo confermò, confessando ogni capo d’imputazione, ponendo fine al processo con una condanna a morte: impiccagione seguita dal rogo.

Restano molti dubbi riguardo questa storia incredibile quanto macabra che, inutile dirlo, ha contribuito a forgiare l’archetipo del Signore Oscuro: il potente signore feudale, chiuso nel suo castello maledetto, che ordisce trame demoniache nei bui sotterranei (o dungeon), tra cerchi negromantici, candele e sangue di fanciulli.

Questa, per me, è stata una delle storie più impressionanti, che ha contribuito in larga parte all’ispirazione del mio ultimo romanzo, “La Stirpe delle Ossa”, dove si narra proprio di un castello maledetto e di un mistero che lega i suoi abitanti a un destino di sangue… 

Puoi trovare La Stirpe delle Ossa in libreria e in tutti gli store online. Se ami la storia, il mistero, la magia e l’avventura, come me, non lasciartelo scappare.

Lorenzo Manara
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