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2 Marzo 2023

Gilles de Rais: un signore oscuro sotto processo

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Storia della Magia, episodio 11: L’archetipo del signore oscuro tratto dalla storia di Gilles de Rais

Sul finire del XVII secolo si diffuse una fiaba piuttosto macabra, come lo erano in realtà, nella stragrande maggioranza dei casi, le vecchie fiabe. Non so se vi è mai capitata l’occasione di leggere la versione originale delle storie cui tutti siamo abituati (Cappuccetto Rosso, Biancaneve, eccetera). Tali storie sono alquanto sanguinarie, così come lo è la storia di Barbablù1. Barbablù è un signore ricchissimo che grazie alle sue facoltà economiche riesce a sposarsi ben sei volte. Si sposa sei volte non a causa di svariati e costosi divorzi, ma perché ogni donna cui mette l’anello al dito, dopo qualche tempo, finisce per scomparire misteriosamente. L’esito si ripeterebbe pure con la settima moglie, se non fosse che quest’ultima si dimostra più furba delle altre.

La donna, appena maritata, comincia la sua nuova vita nella grande e sfarzosa casa di Barbablù. Fra le varie stanze del palazzo ve n’è una, in particolare, che non deve mai essere aperta, per nessuna ragione. Come da perfetta tradizione fiabesca, però, la moglie non resiste alla curiosità e infrange la regola. Dopo aver aperto la stanza segreta, la novella sposa si ritrova davanti i cadaveri delle ex-mogli, tutte e sei, appese al soffitto. Allora, per evitare la stessa fine, chiama in aiuto i suoi due fratelli, che irrompono in casa e combattono col mostruoso serial-killer. Dopo un breve scambio di spadate, Barbablù ha la peggio e, finalmente, muore. La donna, divenuta vedova, eredita la proprietà del palazzo e tutte le ricchezze in esso contenute per poter cominciare una nuova vita: questa volta, in tutta serenità. Fine.

Perché ho raccontato questa orribile storia della buonanotte? Perché tendenzialmente si ritiene che sia ispirata a una storia vera. Si dice infatti che il personaggio di Barbablù (senza in realtà alcuna fonte a supporto) sia ispirato a un barone francese del XV secolo, tale Gill de Rais. Costui fu uno dei protagonisti della guerra dei Cent’Anni, tra Francia e Inghilterra, capitano dell’esercito, nonché compagno d’armi di Giovanna d’Arco; e arrivò pure ad essere nominato Maresciallo di Francia. Ma la questione che lo rese famoso fu decisamente il processo cui fu sottoposto dall’inquisizione per i suoi orribili crimini, riassunti in 49 capi di imputazione, tra cui: eresia, stregoneria, idolatria, apostasia dalla fede, superstizione, divinazione, rapimento, tortura, uccisione e soppressione dei corpi di almeno 140 bambini…

Ma come andarono veramente le cose? Era davvero un pazzo omicida, adoratore del Diavolo e stupratore? E, soprattutto, per quel che interessa a noi, era davvero un mago? Buttiamoci in mezzo alle pagine di questo antico processo2, che ci sono pervenute, riga per riga, grazie a quei meticolosi inquisitori che trascrivevano tutto, ma proprio tutto, ed entriamo nelle segrete del castello di un barone passato alla storia per essere un vero e proprio signore oscuro.

Gilles de Rais era davvero appassionato di occulto, magia e alchimia. Il suo coinvolgimento nelle arti oscure lo portò nel corso della vita a incontrare vari “esperti del settore”, più o meno capaci, che contribuirono alla sua rovina, soprattutto quella economica. Gilles, infatti, nonostante il potere politico, era terribilmente indebitato. Così indebitato da svendere un intero castello, assieme a numerosi altri possedimenti.

Per sanare le finanze, Gilles de Rais diede via il castello il Saint-Étienne de Mermorte, prontamente acquistato dal duca di Bretagna. Alla svendita dei possedimenti famigliari, però, i parenti di Gilles si opposero strenuamente, tanto da richiedere la sua interdizione dalla gestione del patrimonio. Interdizione che lo stesso sovrano, Carlo VII, emanò. Gilles de Rais fu ritenuto incapace di gestire il suo patrimonio, nonostante lui fosse il capofamiglia, trattato alla stregua di un pazzo. E fu proprio a quel punto che Gilles cominciò a precipitare nel baratro, scavandosi la fossa da solo.

Il duca di Bretagna, con l’appoggio del vescovo di Nantes, fece in modo di mantenere il possesso del castello appena acquistato, nonostante colui che gliel’aveva venduto era appena stato interdetto dalla gestione del patrimonio di famiglia. E Gilles, forse pressato dai suoi stessi parenti, fece un passo falso in questa già delicatissima situazione. Al comando della sua masnada, assaltò il castello che egli stesso aveva svenduto e irruppe perfino in chiesa, durante la celebrazione della messa, prendendo in ostaggio il prete. Gilles intendeva ristabilire il suo potere baronale con un colpo di mano, ma la scelta si rivelò, invece, disastrosa. Poiché con un simile atto violento e blasfemo, consentì ai suoi nemici di rivolgersi all’inquisizione, per cominciare a scavare nella vita privata del barone alla ricerca di prove della sua malvagità, per eliminarlo una volta per tutte.

Ed ecco che nel 1440 fu istituito un processo inquisitoriale contro il barone Gilles de Rais. Un processo dettagliatissimo, stracolmo di particolari storici interessanti che noi analizzeremo dal punto di vista prettamente magico, lasciando da parte la politica e tutto il resto. Perché le carte di questo processo sono un preziosissimo documento che contiene i dettagli dei riti magici consumati nei sotterranei del castello del barone, il castello di Tiffauges, luogo oscuro e tenebroso, poi divenuto elemento d’ispirazione per molte opere di narrativa, tra cui proprio il castello di Malarocca, presente nel mio romanzo “La Stirpe delle Ossa”.

Il resoconto processuale inizia dal principio, descrivendo i primi approcci alla magia nera da parte di Gilles de Rais, avvenuti con l’arrivo al castello di Tiffauges di un tale, di nome Mesnil. Mesnil era un soldato, nello specifico un trombettiere, già condannato in passato come eretico. Il che è tutto dire. Fu il primo a proporre a Gilles de Rais di firmare un contratto di sangue col Diavolo in cambio di ricchezze per riguadagnare lo status sociale perduto. Si trattava di un patto col Diavolo vero e proprio, con la differenza sostanziale che Gilles de Rais non voleva promettere niente in cambio delle tanto desiderate ricchezze infernali. Insomma, stando al resoconto, il barone non voleva concedere l’anima al Diavolo.

In ogni caso, l’evocazione, ovviamente, non ebbe successo. Gilles de Rais ammise di non aver visto né sentito niente di magico durante il rituale perpetrato da Mesnel, e di non aver ottenuto alcuna ricchezza. Quel tale ciarlatano se ne andò dal castello, probabilmente con le tasche appesantite da qualche moneta d’oro guadagnata per il suo servizio, seppur fallimentare, lasciando il posto a un altro esperto di occultismo: Jean de la Riviere.

Jean non ebbe maggiore successo, però si comportò in maniera più furba. Perché dopo essere stato assoldato da Gilles, una notte si recò nel bosco, da solo, per tenere una cerimonia di evocazione privata, al termine della quale tornò trafelato al castello per raccontare dell’incontro spaventoso avvenuto col Diavolo. Gli era apparso sotto forma di leopardo, spaventandolo a morte. E sarebbe finita molto male, se Jean non si fosse portato dietro la spada, per proteggersi. Gilles de Rais abboccò alla favola, ma non solo: gli donò una buona somma da spendere in equipaggiamento magico per una nuova evocazione, che Jean avrebbe dovuto intraprendere, una seconda volta. Ma Jean, presa la borsa d’oro, si dileguò coi soldi, e di lui non si seppe più nulla.

A questo punto della cronaca processuale, una trascrizione ufficiale, confermata dallo stesso imputato, comincia a delinearsi la figura di Gilles de Rais, secondo molti storici un credulone sprovveduto, il quale, per risollevare il proprio patrimonio, si era affidato a una serie di ciarlatani che gli facevano credere di tutto, persino di parlare col Diavolo, pur di mantenere la flebile speranza di risolvere i suoi problemi finanziari con un bel tesoro proveniente dall’Inferno. E, infatti, gli imbrogli non finiscono qui.

Il terzo impostore che si presentò al castello di Tiffauges fu un mago, il cui nome non trapela mai dalle testimonianze inquisitorie, e che mise in scena una trovata ben più plausibile di quella del suo predecessore. Per portare a termine l’inganno, il mago si avvalse di un certo Gilles de Sille, il quale agì come aiutante, o per meglio dire complice.

Il mago tracciò un cerchio sul pavimento di pietra di una remota stanza del castello e vi entrò assieme a Gilles de Rais. Gli ordinò di non farsi mai il segno della croce all’interno del cerchio, altrimenti i due sarebbero stati in grave pericolo (proprio come abbiamo già scoperto negli scritti dell’abate di Heisterbach, nei suoi racconti di evocazioni demoniache). De Sille, nel frattempo, restava vicino alla finestra tenendo tra le braccia un’immagine della Beata Vergine. Ad un certo punto, il mago, comandò a Gilles de Rais di uscire al più presto dal cerchio e abbandonare la stanza per salvarsi. Perché stava arrivando qualcosa di terribile.

Gilles de Rais, che per tutto il tempo non aveva visto né percepito niente di pericoloso, si fidò del mago e fuggì. Poco dopo venne raggiunto dal complice de Sille, il quale, lo avvertì che il mago era stato picchiato senza pietà e preso a calci. Tornando sul luogo dell’invocazione vi trovarono, effettivamente, il mago disteso a faccia in giù, conciato così male che Gilles de Rais temette per la sua vita. Ma il mago, si riprese presto e, presumibilmente dopo un lauto pagamento, scomparve anche lui come gli altri truffatori.

E’ probabile che il mago si fosse fatto pestare dal complice, per fingere un combattimento infernale con chissà quale entità convocata dalle malebolge, al fine di scucire qualche moneta d’oro all’ingenuo Gilles de Rais.

Arrivati a questo punto, si potrebbe pensare che Gilles de Rais ne avesse abbastanza di ciarlatani, ma invece non fu così. Egli voleva guadagnare soldi con la negromanzia a tutti i costi e, dopo aver provato altri maghi (in tutto una quindicina, come segnalato nel processo), mandò a chiamare un vero esperto di magia nera, direttamente dall’Italia: uno spretato della Repubblica di Firenze (più precisamente di Montecatini Alto) di nome Francesco Prelati, un uomo che conquistò il cuore del signore francese con la sua preparazione, intelligenza e con il suo carisma.

Sicuramente più dotato di Mesnil, di Riviere e del finto mago combattente, Prelati rispondeva all’identikit del perfetto negromante: un ex-prete, quindi esperto conoscitore del latino, dei testi sacri e della dottrina, nonché uomo d’esperienza in fatto di evocazioni demoniache. Egli, infatti, diceva di possedere incantesimi per mezzo dei quali poteva convocare un certo demone chiamato Barron “tutto vestito d’azzurro, con un mantello viola, giovanissimo e bello”. In altre parole, Prelati era il possessore di un famiglio demoniaco, quindi un invocatore di grande potere.

Gilles chiese a Prelati di intercedere per suo conto col demone Barron, per chiedergli soldi e ricchezze. E Prelati acconsentì, mettendo in piedi un rituale in una stanza del castello di Tiffauges. Tuttavia, come gli altri prima di lui, il negromante italiano volle essere lasciato solo durante l’invocazione. E quando ebbe finito, disse a Gilles d’aver parlato col demone, il quale aveva evocato una gran quantità di lingotti d’oro nella stanza. Gilles, contento come una Pasqua, chiese di vederli. E Prelati l’accompagnò sulla soglia, restando davanti, ma non appena mise il capo dentro, il negromante richiuse subito la porta impedendo al barone di entrare. Poiché nella camera era apparso un serpente gigantesco e pericolosissimo.

Meno male che Prelati era lì con lui, per salvarlo dal serpente! Il barone doveva sentirsi proprio fortunato. Tuttavia, quell’oro nella stanza faceva una gran gola al signore di Rais, il quale ebbe l’idea di andare a prendere un frammento della vera croce, che lui possedeva. Ovvero una delle tante reliquie paccottiglia che il barone aveva probabilmente acquistato ad altri ciarlatani (e chissà quante ne aveva). E si precipitò nella stanza per affrontare il serpente. Dopotutto lui era comunque un gran cavaliere, il coraggio non gli mancava. Reliquia e spada in pugno piombò nella stanza e, indovinate un po’, di oro non ce n’era neppure una briciola. Piuttosto, sul pavimento, era rimasta una polvere di colore fulvo che Prelati, prontamente, disse essere tutto ciò che rimaneva dell’oro, poiché Gilles de Rais, entrando con la reliquia, aveva in qualche modo infranto l’evocazione. Insomma, era pure colpa sua. Prelati, c’è da dire, che sapeva davvero come infinocchiarlo.

Un’altra evocazione ebbe luogo una notte, dopo cena, nella grande stanza inferiore del castello di Tiffauges. Insomma, nei sotterranei, proprio come vuole la tradizione letteraria del signore oscuro. Questa volta a partecipare ci furono un mucchio di persone, il cui intento è a metà tra la passione per l’occulto e la passione per le monete sonanti, da scucire al barone. Personaggi poi finiti coinvolti nel processo, alcuni di loro pure da imputati. L’oggetto del rituale, quella sera, era un “libro di pelle nera, in parte di carta e in parte di pergamena, a titoli rossi; il quale libro conteneva invocazioni di demoni e molte altre cose relative alla medicina, all’astrologia.”

“Il libro era probabilmente un Liber Spiritum sui versi di Lemegeton (o piccola chiave di Salomone), nel qual caso si può ben credere che Gilles non ricordasse nessuno dei nomi che aveva sentito, né nessuna delle formule; poiché i nomi erano stravaganti, e le invocazioni di notevole lunghezza.”

Ritual magic, Eliza Marian Butler, Pennsylvania State University Press, 1947

Ed ecco che quella notte prese forma un rituale di magia nera per come siamo abituati a immaginarlo noi, oggi. Tramite la lettura di formule dai nomi stravaganti e invocazioni di notevole lunghezza tratte dal libro di pelle nera e pronunciate dal negromante Prelati, il gruppo di adepti si adoperò per contattare il Diavolo.

Accesero candele di cera tutto intorno e disegnarono parecchi cerchi per terra, con caratteri e segni e stemmi al loro interno. Lo fecero pure in punta di spada, come insegna l’abate di Heisterbach nella sua opera, due secoli prima. Poi, dopo aver sciupato tutto il pavimento, Gilles de Rais ordinò a tutti di andarsene: tutti tranne Prelati. Perché adesso era il momento dell’invocazione, e voleva stare da solo con lui.

Prelati, però, gli disse che prima era necessario preparare qualche altra cerimonia. E quindi ricominciarono a tracciare segni, loro due, fino ad arrivare agli angoli vicini alle pareti, praticamente riempiendo tutto il pavimento. Poi accesero dei carboni in vasi di coccio, sui quali sparsero polvere magnetica (ovvero di calamita), incenso, mirra, aloe, e fecero uscire così pure del fumo profumato. A quel punto entrarono nel cerchio, e là stavano; prima in piedi, poi seduti, poi in ginocchio. Lessero il libro, pregarono, invocarono; il tutto nello spazio di due ore circa, ma, come assicura lo stesso Gilles, quando interrogato dagli inquisitori, quella notte non apparve nulla.

Ma questo non fermò il barone. Oltre a compiere riti nelle segrete del castello, egli mise in piedi delle cerimonie notturne persino nel bosco, a cui parteciparono altri maghi ed evocatori di demoni, provenienti da ogni angolo di Francia e oltre, persino dalla Sicilia, vista la presenza di un certo Antonio da Palermo, e dal nord Italia, rappresentata da uno sconosciuto lombardo. I malvagi adoratori di demoni invocavano spiriti maligni chiamandoli coi loro nomi: Oriens, Belzebù, Satana e Belial. Costoro sono entità ricorrenti nell’esoterismo. Oriens, ad esempio, è uno dei quattro spiriti del male estremamente potenti che governano la gerarchia dei demoni, quella discendente, presente nel Lemegeton (o Clavicula Salomonis) e nel Testamento di Salomone, detto anche Re dell’Oriente. Tuttavia, a differenza della magia salomonica, quella praticata nell’oscuro castello del signore di Rais è ben più “nera”. Poiché condita da elementi che non sono presenti nei testi salomonici come, ad esempio, i sacrifici umani. E adesso entriamo nella parte più oscura del processo.

Perché, stando alle testimonianze, il barone non si limitava a disegnare per terra e accendere candeline profumate. Il barone uccideva, e lo faceva nei modi più orridi.

Il fatto è che nessuno dei rituali aveva mai successo. E si racconta che per giustificare l’assenza di risultati, il negromante Prelati diede la colpa allo stesso Gilles de Rais, per l’appunto. Costui disse che il famiglio demoniaco, Barron, fino a quel momento aveva deciso di ignorare le convocazioni, poiché Gilles non aveva adempiuto al suo impegno: nella fattispecie, non aveva mai effettuato un sacrificio di sangue, necessario a soddisfare la sete infernale.

Per ottenere il favore del Diavolo, quindi, Gilles avrebbe dovuto procurarsi ingredienti sacrificali adeguati: come gli arti o le membra di qualche bambino. Ed è da questo punto in poi, che il resoconto inquisitoriale assume le orrende caratteristiche che hanno forgiato la leggenda del signore oscuro della letteratura fantastica.

Senza esitare, Gilles de Rais consegnò al negromante una mano, il cuore e gli occhi di un bambino, poi firmò un contratto col proprio sangue. Alcuni storici sostengono che Gilles avesse ucciso per davvero un bambino. Altri ipotizzano che ne abbia preso uno già morto. In ogni caso, come c’era da aspettarselo, neanche dopo l’orrido sacrificio il demone si presentò a Gilles. E il negromante fiorentino, per non perdere la propria credibilità, chiese altri sacrifici, sempre di più, sempre più numerosi.

Gilles de Rais rastrellò le campagne in cerca di infanti da sacrificare per circa nove anni, arrivando a massacrare orribilmente la totalità di 140 bambini: tutti da offrire in pasto ai demoni infernali per ottenere conoscenze e ricchezze. E facendolo, in certi casi, in maniera davvero orribile: descrizioni presenti nel resoconto inquisitoriale che io ho letto e ho deciso di omettere per non urtare la sensibilità di nessuno e non finire censurato. Perché è roba sì, di seicento anni fa, ma davvero troppo forte, pure per noi che siamo cresciuti a pane, violenza in tv e film horror.

Un gran numero di persone accorse per testimoniare che era tutto vero, che Gilles de Rais era un folle adoratore del Diavolo, e assassino. E lui stesso lo confermò, confessando ogni capo d’imputazione, ponendo fine al processo con una condanna a morte: impiccagione seguita dal rogo.

Restano molti dubbi riguardo questa storia incredibile quanto macabra che, inutile dirlo, ha contribuito a forgiare l’archetipo del Signore Oscuro: il potente signore feudale, chiuso nel suo castello maledetto, che ordisce trame demoniache nei bui sotterranei (o dungeon), tra cerchi negromantici, candele e sangue di fanciulli.

Il giudizio degli storici, ad oggi, è contrastante. Alcuni sostengono la validità della giustizia inquisitoriale3, altri invece pongono qualche dubbio sull’attendibilità del processo4, in particolare sulla confessione rilasciata in totale rassegnazione, abbracciando ogni singolo orrido capo di imputazione: tutti, anche i più esagerati. Una piena confessione nonostante, inizialmente, Gilles de Rais avesse negato tutto.

Alcuni vedono in Gilles un personaggio sì folle, ma nella sua ingenuità: un ingenuo che ha ubbidito ai comandi di qualsiasi ciarlatano quasi ciecamente, senza provare alcuno scetticismo, nonostante questi presunti rapporti con le entità demoniache non gli portarono mai nessun guadagno, in anni e anni. Senza contare che, nonostante tutto, Gilles confermò in sede di confessione di non aver mai visto niente. Nessun demone avvolto da un mantello viola, leopardi infernali, serpenti spaventosi o montagne d’oro: nulla di nulla. Tutti gli eventi sovrannaturali presenti nelle testimonianze inquisitoriali erano frutto di racconti manipolatori degli imbroglioni che lo circondavano, e che lui ammirava incondizionatamente.

Questa, per me, è stata una delle storie più impressionanti, che ha contribuito in larga parte all’ispirazione del mio romanzo, “La Stirpe delle Ossa”, dove si narra proprio di un castello maledetto e di un mistero che lega i suoi abitanti a un destino di sangue. Se ami la storia, il mistero, la magia e l’avventura, come me, non lasciartelo scappare. Puoi trovare La Stirpe delle Ossa in libreria e in tutti gli store online.

  1. Perrault, I racconti di Mamma Oca, Histories ou contes du temps passé
  2. De Rais G. (1404-1440), Le procès inquisitorial de Gilles de Rais, maréchal de France, Bibliothèque des curieux, Paris 1921, come commentato in Ritual magic, Eliza Marian Butler, Pennsylvania State University Press, 1947
  3. fra cui Alessandro Barbero, che nell’approfondimento televisivo su Gilles de Rais, con Piero Angela, sembra non avere dubbi sulla colpevolezza del condannato
  4. Ritual magic, Eliza Marian Butler, Pennsylvania State University Press, 1947, Capitolo II, “i discepoli di Salomone“
Lorenzo Manara
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