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19 Settembre 2023

Braccati dal Diavolo: tre amici, tre frati, tre maledetti

tre amici braccati dal diavolo

La storia di tre amici braccati dal diavolo e uccisi uno alla volta, dalla cronaca medievale di Salimbene de Adam

In una cronaca medievale italiana, scritta sul finire del XIII secolo da un frate dell’ordine dei Minori, Salimbene de Adam, compare un resoconto di fatti (secondo l’autore realmente accaduti) che sfociano nel soprannaturale. Poiché l’autore ci racconta di tre amici toscani finiti sotto l’occhio malefico nientemeno che del Diavolo, il quale li condannò a morte, uno dopo l’altro, in una spietata caccia all’uomo.

I tre erano scolari a Bologna, e dopo gli studi avevano deciso di entrare insieme nell’ordine dei frati minori, seguendo le orme del beato Francesco. Prima di farlo, però, si accordarono per sistemare i loro affari, scegliendone uno, tra loro, per tornare in Toscana e predisporre ogni cosa. Dopotutto, prendere i voti dell’ordine francescano, era come “lasciare il mondo”, cito testualmente, per entrare a far parte di un mondo nuovo, abbandonandosi tutto alle spalle, letteralmente: averi, famiglia… tutto quanto, in maniera forse più intensa rispetto agli altri ordini. Una scelta che in pochi decidevano di prendere all’improvviso, come del resto aveva fatto lo stesso Francesco, la cui famiglia, però, in principio non fu affatto contenta della scelta. Il padre, infatti, secondo alcune testimonianze, lo credeva uno squilibrato.

Passato Casalecchio e giunto sulla via di Crespellano, il giovane attraversò un ponte sul fiume Reno, senza sapere che la maledizione del Diavolo si sarebbe compiuta proprio lì. Perché il diavolo stesso comparve per dargli uno spintone e farlo precipitare nel fiume, dove il giovane annegò. Il suo cadavere fu trovato tempo dopo e giudicato indegno di sepoltura, forse perché creduto un suicida.

Non vedendolo ritornare, gli altri due rimasti a Bologna s’impensierirono. Uno di loro decise di mettersi in viaggio per la medesima strada intrapresa dall’amico scomparso, e cercare così di scoprire qualcosa di più, oltre che sbrigare le commissioni prima di prendere i voti. Oltrepassato il ponte sul fiume Reno, però, questo secondo sventurato passò di fianco a una chiesetta che il diavolo aveva deciso di sfruttare per compiere l’assassinio. Il signore degl’Inferi comparve sopra al tetto, lanciò una pietra di sotto e lo colpì in testa, fracassandogli il cranio. Il giovane morì sul colpo e fu seppellito presso quella stessa chiesa.

Non vedendo ritornare alcuno dei suoi amici, il terzo giovane rimasto a Bologna decise di prendere i voti senza passar prima dalla Toscana. Non aveva idea di cosa fosse accaduto agli altri due, ma di compiere pure lui quello che all’apparenza era un viaggio di sola andata, non ne aveva alcuna intenzione. Prese, quindi, il saio dell’ordine dei Minori. Il suo nome era Pietro, e fece la sua conoscenza lo stesso autore della cronaca, il quale poté scrivere questa storia ascoltando le parole di chi l’aveva vissuta. Ma, ancora, non era finita.

Quando Pietro era un novizio, e si trovava fuori da una chiesa a chiacchierare coi villani del contado, mentre il suo superiore era dentro a confessare, sopravvenne un uomo indemoniato, che pareva crudele e terribile nei modi, e che cercava lo scontro col frate. Pietro, forte della sua fede, affrontò la sfida, mettendosi a parlare con questa persona che sembrava posseduta dal Diavolo. E gli disse:

“Io riconoscerò che veramente hai il demonio in corpo, se saprai parlar meco in latino, e se mi dirai che avvenne di tre scolari, che erano compagni.”

Prima di tutto, Pietro volle assicurarsi che a parlare per mezzo di quel villano fosse proprio il Diavolo, ed ecco che gli chiese quello che tutti ci aspetteremmo di trovare, oggi, in un film sulla scia de “L’esorcista”: ovvero, di proseguire la conversazione in latino. E’ interessante scoprire che già nel Duecento italiano fosse presente questo elemento narrativo del povero abitante illetterato che, dopo esser stato posseduto, tutto a un tratto, comincia a parlare linguaggi colti. Un aspetto folcloristico tanto presente da costituire una prova schiacciante sull’effettiva possessione: perché se il grezzo villano si fosse messo a parlare in latino, allora sarebbe stato chiaro a tutti il coinvolgimento del Diavolo.

Oltre a questo, Pietro colse l’occasione per togliersi un dubbio dalla testa, chiedendo al posseduto se sapeva cosa fosse accaduto ai suoi due compagni, senza specificare d’essere lui il terzo. Di tutta risposta, come nei film, il posseduto cominciò a parlare un sì corretto latino che frate Pietro se ne meravigliò “altissimamente”, udendo “un uomo rozzo e campagnuolo parlare così.” Ed ecco, quindi, che non vi furono più dubbi. A parlare per mezzo del rozzo campagnuolo era il Diavolo in persona.

Il Diavolo confermò di conoscere quei tre compagni, e disse d’averne ammazzati già due. Mentre il terzo gli era sfuggito. Ma lo stava cercando in lungo e in largo e presto o tardi lo avrebbe trovato, aggiungendo che lo avrebbe circuito e ridotto in una condizione tale, che chiunque ne avesse sentito parlare, avrebbe avuto “il tintinnio in ambe le orecchie.”

L’incontro con l’indemoniato si risolse così, e Pietro cominciò a cercare ulteriori notizie riguardo i suoi due vecchi compagni. Dopo varie ricerche scoprì che l’indemoniato aveva ragione. I due erano morti in maniera inspiegabile lungo la strada.

Gli anni passarono, e Pietro proseguì la sua carriera nell’ordine, divenendo uomo letterato, “peritissimo nel diritto canonico” e nella lettura della Bibbia in francese. Divenne anche molto influente politicamente, facendosi eleggere ministro dell’ordine in varie località d’Italia. Ma divenne anche un uomo pieno di sospetti, come dice l’autore della cronaca, “che insultava facilmente e copriva di vituperi le persone per poterle tenere a stecco. Esaltava chi voleva, chi voleva umiliava; uomo di più facce, astuto, malizioso, volpe scaltrita, ipocrita vile ed abbietto; uomo pestifero e maledetto, odiato terribilmente da Papa Alessandro IV; e detestato a morte.”

Ed è così che viene fuori il motivo per cui il Diavolo lo aveva maledetto, così come aveva maledetto gli altri due suoi compagni: costoro erano peccatori impenitenti in seno all’ordine e alla Chiesa. Ecco perché erano stati condannati agli Inferi prima ancora d’essere dipartiti, per mano del Demonio in persona.

Pietro commise tante turpitudini che l’autore non elenca, restando sul vago, spiegandoci che infine venne castigato dai frati, e cacciato dall’ordine. Finché non concluse malamente la sua vita, “a ragione de’ suoi meriti”, rendendo “vere anche le cose che predisse di lui il demonio…”

Insomma, se l’era meritato.

Le deplorevoli condizioni in cui versavano certi uomini di chiesa sono descritte in più punti, nella cronaca. L’autore, Salimbene, ci dice di conoscere sacerdoti che facevano “gli usurai per formare un patrimonio da lasciare ai loro spurii” ovvero i figli messi al mondo tramite concubinaggio; altri che “tengono osteria coll’insegna del collare e vendono vino”. Poi ci dà una descrizione concreta, molto visiva di alcuni di questi chierici indegni, utilissima per me che scrivo romanzi: “i messali, gli indumenti sacri, i corporali li hanno indecenti, grossolani, macchiati e nerastri; i calici di stagno, rugginosi e piccoli; il vino per la messa agresto, o acetoso; l’ostia tanto piccola che appena si vede tra le dita, né è rotonda ma quadra, e tutta sudicia d’escrementi di mosche. E, come ho visto io co’ miei occhi, molte donne hanno le legacce delle sottane e delle scarpe più decenti dei cingoli, dei manipoli, e delle stole di molti sacerdoti.”

Insomma, indecenti, peccaminosi e pure sudicioni. E ve n’erano tanti, tantissimi, di questi prelati indegni. Così tanti che attiravano persino l’attenzione del Diavolo, che aveva cura di selezionare i peggiori per andarli a prendere lui stesso.

In una certa occasione, ad esempio, l’autore racconta di un periodo trascorso in Toscana, e più precisamente a Pisa, dopo l’eclissi solare del 3 giugno 1239, osservata da lui stesso, quando un frate laico, ovvero un fratello che non è sacerdote e che svolge lavori manuali o profani all’interno dell’ordine, si gettò in un pozzo e morì.

Costui era stato un uomo “sporco” come viene definito nella cronaca, e “d’animo leggero”, inteso probabilmente come superficiale, che agiva futilmente, in maniera sconsiderata. I frati lo estrassero subito dal pozzo, ma pochi giorni dopo il corpo scomparve e non fu possibile rinvenirlo in nessuna parte del mondo. Perciò sospettarono che l’avesse portato via il Diavolo. Perché era un peccatore impenitente, suicida e, quindi, se l’era meritato.

Quello della punizione divina è un mito che va oltre il Medioevo italiano. E di storie del genere, ormai, da queste parti, ne abbiamo scoperte moltissime, ma il Diavolo sul tetto della chiesa di campagna emiliana che prende a sassate i peccatori che passano di sotto meritava assolutamente una menzione in Leggende Affilate. Di fatto, non riesco a immaginare una raffigurazione più pittoresca e sanguinaria di questa. 

Se la storia dei tre amici braccati dal Diavolo ti ha appassionato, seguimi, perché di avventure storiche come questa ce ne sono un’infinità da scoprire. Alla prossima.

“Erano a studio in Bologna tre scolari e amici Toscani, i quali avevano tra loro stabilito di entrare insieme nell’Ordine de’ frati Minori. E sperando senza dubbio di entrare nell’Ordine del beato Francesco, come avevano deliberato, convennero nella proposta di andare uno di loro in Toscana per denari, onde potersi vestire e fare le altre spese, volute dalla convenienza di chi lascia il mondo, ed entra novizzo in una Religione… Passato Casalecchio e arrivato al ponte del Reno sulla via che va a Crespellano, il diavolo gli diede uno spintone, e lo precipitò nel fiume, e ve lo sommerse e annegò; e dopo tempo ne fu trovato il cadavere nel Polesine, e non fu creduto degno di sepoltura. (Il Polesine è la terra, in cui frate Pellegrino di Bologna aveva le sue possessioni. Frate Pellegrino poi è uomo tutto dato alle cose dello spirito, e letterato, che non beve mai che acqua, e abborre dal vino; e fu due volte Ministro nell’Ordine de’ frati Minori, cioè nella provincia di Grecia e nella provincia di Genova). Ma non vedendosi ritornare il primo compagno, perchè nol poteva, essendo stato annegato dal demonio, piacque ai due rimasti a Bologna, che l’un di loro andasse in Toscana per il medesimo scopo del primo, ed anche per far ricerche dell’amico smarrito; ma arrivato al luogo sopradetto, e proceduto pochi passi avanti, il diavolo lanciò dal tetto di una piccola chiesa sul capo di questo scolare, una grossa pietra che gliene franse il cranio, e cadde subito morto, e fu quivi sepolto presso la stessa chiesa. Ma non ritornando neppure il secondo, perchè nol poteva, il terzo entrò nell’Ordine senza sapere quale caso avesse incolto i compagni. Questi è frate Pietro di Cori, dalla cui bocca ho saputo la storia che scrivo; il quale mentre era ancora nel noviziato di Bologna, fu compagno di un frate sacerdote, che andava a confessare nel Polesine. E trovandosi quel frate, che era sacerdote, occupato in chiesa a confessare, ed il novizzo fuori, a chiacchierare con quelli del contado, sopravvenne un indemoniato, che pareva crudele e terribile. A cui frate Pietro disse: Io riconoscerò che veramente hai il demonio in corpo, se saprai parlar meco in latino, e se mi dirai che avvenne di tre scolari, che erano compagni, e come ordinò ciascun di loro i fatti suoi. Allora il demonio cominciò a parlare, e parlava un sì corretto latino, che frate Pietro se ne meravigliò altissimamente, a udire un uomo rozzo e campagnuolo parlare così, e in quel modo argomentare. Ed insistendo sul fare inchiesta dei tre compagni, disse che egli stesso n’aveva uccisi due, come più sopra è detto. E ricercatolo del terzo compagno, rispose: Non so che sia avvenuto del terzo perchè fuggì e si allontanò da me; Ma potrà fuggirmi, non sfuggirmi, poichè io lo circuirò e ridurrò a tale porto, che chiunque ne abbia udito parlare ne avrà il tintinnio in ambe le orecchie. Interrogò dunque frate Pietro gli abitanti di quella terra, se il demonio avesse detto il vero del cadavere dello scolare ivi rinvenuto, ed attestarono che era vero punto per punto quanto il diavolo esponeva. Avendo poi fatto cercare accuratamente dell’altro compagno riseppe essere egualmente vero. E tanto basti. Crebbe costui nell’Ordine de’ frati Minori, diventò uomo di molta letteratura, peritissimo nel diritto canonico, buono di leggere tutta la Bibbia in lingua francese; e passando giorno sopra giorno, ed anno sopra anno accumulandosi, fu eletto Ministro nella provincia di Genova, in Sicilia, e in Toscana sette anni. Fu uomo sempre pieno di sospetti, che insultava facilmente e copriva di vituperi le persone per poterle tenere a stecco. Esaltava cui voleva, cui voleva umiliava; uomo di più facce, astuto, malizioso, volpe scaltrita, ipocrita vile ed abbietto; uomo pestifero e maledetto, odiato terribilmente da Papa Alessandro IV; e detestato a morte. Era figlio di un Sacerdote della diocesi del predetto Papa, quando questi era ancora ne’ gradi minori della gerarchia. Fu mio Ministro e Custode, quand’io era in Toscana; e, dopo che ne partii, commise tante turpitudini ed enormità, che non sono da raccontare, per cui fu dai frati condegnamente castigato. Più volte uscì dall’Ordine, e terminò malamente la sua vita, a ragione de’ suoi meriti. Quindi si mostrano vere anche le cose che predisse di lui il demonio…”

“Ricevuta adunque la lettera di frate Elia ministro Generale, partii per la Toscana, e vi abitai ott’anni; due a Lucca, due a Siena, quattro a Pisa. Nel primo anno della mia dimora a Lucca scadde da ministro Generale frate Elia, e fu creato frate Alberto da Pisa. E il sole si ecclissò, come vidi io co’ miei occhi, nel mattino dei 3 Giugno a nona 1239. Quando io abitava in Pisa era giovinetto, e mi condusse una volta a cerca del pane un certo frate laico, sporco e d’animo leggero, ed era Pisano, che poi andato ad abitare nel convento di Fiesole, non so per quale follia o disperazione si gettò nel pozzo, d’onde lo estrassero i frati; ma pochi giorni dopo, sparve, e non fu possibile rinvenirlo in nessuna parte del mondo. Perciò i frati sospettarono che se l’avesse portato via il diavolo; egli se lo saprà.”

Lorenzo Manara
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