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8 Novembre 2023

Archeologia, fossili e dinosauri nel Medioevo

archeologia e fossili nel medioevo

Storie di archeologia, ritrovamenti preistorici e fossili nelle cronache medievali

Nel XII secolo in una cava dell’Inghilterra medievale adibita all’estrazione e alla lavorazione della pietra, fu fatto un ritrovamento sconvolgente. Dopo aver spaccato la roccia con i cunei, come si faceva (e si fa tutt’ora), i manovali si meravigliarono nell’osservare che dalla cavità appena scoperchiata, fuoriuscirono quelli che sembravano essere due cani; vivi e scodinzolanti. A raccontarci di questo prodigio è William of Newburgh, cronista ormai celebre da queste parti, in Leggende Affilate, per le sue storie incredibili1. In particolare, questa (e le altre che sto per raccontare), introducono un argomento molto interessante, ovvero: come si comportavano gli abitanti medievali nei confronti dei ritrovamenti antichi, se non addirittura preistorici? Andiamolo a scoprire attraverso storie di una primordiale archeologia, tra fossili e dinosauri nel Medioevo.

I cani ritrovati vivi nella pietra, sepolti lì da chissà quanto tempo, secondo la cronaca erano simili agli harrier, ovvero una razza canina inglese tutt’oggi esistente, e molto antica, già presente nel XII secolo: un cane da caccia, simile al segugio. Tuttavia, questi due esemplari fuoriusciti dalla pietra presentavano delle caratteristiche diverse dai cani, come l’assenza di pelo, quindi erano completamente glabri, l’aspetto feroce e un odore sgradevole: una descrizione che potrebbe far pensare a svariati animali preistorici che un ignaro abitante dei secoli bui avrebbe potuto associare a una specie di cane.

Intendiamoci, però, è escluso che nel medioevo siano stati ritrovati esemplari viventi di dinosauri. Tuttavia, un’ipotesi che potremmo fare, anche se parecchio azzardata, giustificherebbe questo episodio in quanto straordinaria scoperta di fossili: i lavoratori della cava potrebbero essere incappati in due testimonianze archeologiche e, ingigantendo la questione, potrebbero essersi inventati d’averli ritrovati vivi). Un’altra spiegazione, forse la più realistica, è che quelli fossero dei cani randagi finiti in mezzo ai lavori di taglio della roccia, scambiati poi per qualcos’altro.

Il cronista conclude l’episodio raccontandoci che uno dei due cani morì quasi subito, mentre l’altro, essendo più vorace, fu accarezzato per molti giorni dal vescovo di Winchester. Quale sia la verità riguardo questo episodio, non lo possiamo sapere. Sappiamo solo che di cose del genere ne capitavano spesso. Come avvenne in un’altra cava.

“Nei nostri tempi sono accaduti altri avvenimenti meravigliosi e stupefacenti, di cui ne citerò alcuni. Chiamo cose di questa natura meravigliose, non solo per la loro rarità, ma perché ad esse è attribuito un significato latente. Spaccando una roccia vasta, con cunei, in una certa cava, apparvero due cani, ma, senza alcuno spiracolo, riempivano la cavità della roccia che li conteneva. Sembravano di quella specie che si chiama albanella, ma di aspetto feroce, odore sgradevole e senza pelo. Segnalano che uno di loro presto morì; ma che l’altro, avendo un appetito più vorace, fu accarezzato per molti giorni da Enrico, vescovo di Winchester.”

William of Newburgh, Libro I, Capitolo 28 “Di certi prodigi”

Durante gli scavi per il rinvenimento dei materiali da costruzione, che avvenivano in profondità, fu trovata una bella pietra “doppia”, ovvero composta da due pietre unite assieme da una materia molto adesiva, sconosciuta al cronista. I manovali la tirarono fuori e la portarono da colui che avrebbe saputo sicuramente cosa fare con un oggetto tanto straordinario: il vescovo, ovvero il punto di riferimento sociale e spirituale della comunità, e soprattutto colui che sapeva come comportarsi quando succedevano cose strane.

Il vescovo, che probabilmente era curioso come tutti, comandò di dividere quelle due pietre, affinché il mistero potesse dipanarsi. Così fu fatto, e nella cavità tra le due pietre comparve un rospo con una catenella d’oro al collo. Tutti furono presi dallo stupore, e anche da un po’ di paura, quindi il vescovo ordinò di richiudere quella pietra, di gettarla nella cava e di seppellirla per sempre.

Stavolta, l’animale ritrovato nella roccia (un rospo) sembrerebbe che fosse morto, e non saltellante e scodinzolante come i due cani del precedente episodio; condizione che ci permetterebbe di interpretare questo evento come un vero ritrovamento di fossili preistorici. Di creature esteticamente simili ai rospi ne sono esistite molte e gli appassionati di dinosauri saranno in grado di trovare le similitudini più adatte. D’altronde, quella catenella d’oro potrebbe essere interpretata proprio come una caratteristica della pelle dell’animale, come una corona ossea o qualcosa del genere, invece d’essere intesa letteralmente come un gioiello. Come sempre, però, sono tutte ipotesi.

La reazione dei manovali nel trovarsi dinnanzi a un rospo, e la drastica soluzione del vescovo, che lo volle seppellito per sempre, sono comportamenti comprensibili, soprattutto se letti tenendo presente il bestiario medievale, tipico delle rappresentazioni.

Rospi, rane e ranocchi erano spesso dipinti come animali diabolici, simboli di eresia, disgusto e dannazione. In un manoscritto dell’Apocalisse di Giovanni degli inizi del Trecento, dei rospi demoniaci fuoriescono dalla bocca dei falsi profeti, per rappresentare l’inganno e la malvagità. Nella novella di Simona e Pasquino contenuta nel Decameron di Boccaccio entrambi i protagonisti muoiono avvelenati per essersi “lavati i denti” con della salvia cresciuta sul dorso di un rospo. Dunque, anche il veleno, maleficio per antonomasia, era associato a questi viscidi animali. Senza contare le dieci piaghe d’Egitto: la seconda terribile punizione che Dio afflisse agli egizi, per liberare il popolo ebraico dalla schiavitù, riguarda proprio i nostri amici verdi e saltellanti: un’invasione di rane.

“Ancora si narra che in un’altra cava, mentre scavavano molto in profondità per materiali da costruzione, fu trovata una bella pietra doppia, cioè una pietra composta di due pietre, unite con una materia molto adesiva. Essendo stato mostrato, dagli operai meravigliati, al vescovo, che era vicino, fu ordinato di essere diviso, affinché il suo mistero (se c’era) potesse svilupparsi. Nella cavità è stato rinvenuto un piccolo rettile, detto rospo, con una catenella d’oro al collo. Quando gli astanti furono persi per lo stupore per un avvenimento così insolito, il vescovo ordinò che la pietra fosse richiusa, gettata nella cava e ricoperta di spazzatura per sempre.”

Il terzo episodio raccontato da William of Newburgh è ambientato nei pressi dei suoi luoghi d’infanzia, evento che lo stesso cronista aveva sentito raccontare quando era bambino. In un villaggio sulla costa orientale d’Inghilterra, dove sgorgavano varie sorgenti che dalla terraferma si buttavano poi a mare formando una rete di ruscelli, un contadino si mise in viaggio a tarda notte, per andare a trovare l’amico residente in un borgo vicino. Questo contadino era un po’ ubriaco e barcollava sulla sella del cavallo, da solo, al buio, finché non udì delle voci, tra canti e rumori di festa, provenienti da una collina lì vicino, che lo stesso cronista dice di aver visto.

Chiedendosi chi fosse a cantare e far festa a quell’ora, si avvicinò al colle e adocchiò una porta, spalancata sulle viscere del poggio, verso il sottosuolo. 

Il contadino si affacciò dentro e scorse l’interno di una casa spaziosa e illuminata, piena di uomini e donne seduti a un solenne banchetto. Uno degli inservienti, vedendolo in piedi sulla soglia, gli offrì una coppa. Il contadino, saggiamente dice il cronista, fece finta di bere: versò il misterioso liquido per terra e se la diede a gambe.

I misteriosi abitanti del sottosuolo, si accorsero che quel contadino se ne stava scappando con la coppa, e insorsero, infuriati, dando inizio a un inseguimento. Ma il contadino montò a cavallo e galoppò via, veloce, lasciandoseli alle spalle. Raggiunse il suo villaggio portandosi dietro quella straordinaria coppa: creata con un materiale sconosciuto, di colore insolito e dalla forma strana. Un manufatto così mirabile che fu offerto a re Enrico il vecchio d’Inghilterra, poi consegnato al fratello della regina, il sovrano di Scozia, e passando di mano in mano tra i regali anglosassoni.

Una storia che trae ispirazione dai tradizionali tumuli, ovvero gli antichi luoghi di sepoltura che fin dall’Età del Ferro hanno dato origine a svariati racconti sui popoli del sottosuolo, tra regni d’oltretomba e tesori sepolti inimmaginabili; e che oggi potrebbe far sorgere qualche analogia con un’opera fantasy tra le più celebri, forse la più celebre, che comincia proprio con la descrizione di un “buco nella terra” che al contrario di quanto si potrebbe pensare, non era affatto un “buco brutto, sudicio e umido, pieno di vermi e intriso di puzza, e nemmeno un buco spoglio, arido e secco, senza niente su cui sedersi né da mangiare: era un buco-hobbit, vale a dire comodo” 2.

Tornando al racconto, un’interpretazione dell’episodio vuole che il contadino ubriaco si sia imbattuto in un vero e proprio tumulo preistorico, riportando alla luce un recipiente che faceva parte di un corredo funerario di qualche tipo: villano divenuto archeologo senza volerlo, insomma, e anche provvisto di vivida immaginazione per infiocchettare bene un racconto che, altrimenti, lo avrebbe fatto passare per goffo ubriacone e niente di più.

I collegamenti con i miti e le leggende sono davvero numerosi, in questo caso, e io ne ho accennati solo un paio. Ma si potrebbe pensare anche al popolo dei nani, che vive sottoterra come narrato nella leggenda di re Herla, sovrano britannico che si ritrovò proprio a banchettare nelle viscere del sottosuolo, per tre giorni e tre notti, senza avere l’accortezza, al contrario dell’ubriacone, di scappare via subito: perché con quei popoli dell’Aldilà è sempre meglio non averci niente a che fare. Se vuoi scoprire la storia di re Herla, consiglio di recuperare l’episodio di Leggende Affilate sulla Caccia Selvaggia.

“Anche nella provincia dei Deiri, non lontano dal luogo della mia natività, accadde un fatto straordinario, che ho conosciuto fin dall’infanzia. C’è un villaggio, distante alcune miglia dall’Oceano Orientale, vicino al quale quelle famose acque, comunemente dette Gipse, sgorgano dal suolo a varie sorgenti (non costantemente, anzi, ma ogni anno alterni), e, formando una notevole corrente, scivolano sopra le basse terre nel mare: è un buon segno quando questi ruscelli si sono prosciugati, perché il loro scorrere è detto indubbiamente presagire il disastro di una futura scarsità. Un certo contadino del villaggio, andando a trovare l’amico, che risiedeva nella borgata vicina, tornava, un po’ ubriaco, a tarda notte; quando, ecco, udì, per così dire, la voce di cantare e di gozzovigliare su un poggio adiacente, che ho visto spesso, e che è distante dal villaggio solo pochi stadi. Chiedendosi chi potesse disturbare così il silenzio della mezzanotte con rumorosa allegria, era ansioso di indagare più da vicino la questione; e vedendo nel fianco del colle una porta aperta, si avvicinò e, guardando dentro, vide una casa spaziosa e illuminata, piena di uomini e di donne, che erano seduti, per così dire, a un solenne banchetto. Uno degli inservienti, vedendolo in piedi sulla porta, gli offrì una coppa: accettandola, saggiamente si astenne dal bere; ma, versando il contenuto e trattenendo il vaso, se ne andò in fretta. Sorse un tumulto tra la compagnia, a causa della coppa rubata, e gli ospiti lo inseguirono; ma scappò per la rapidità del suo destriero, e raggiunse il villaggio con la sua straordinaria preda. Era un vaso di materiale sconosciuto, colore insolito e forma strana: fu offerto come grande regalo ad Enrico il Vecchio, re d’Inghilterra e poi consegnato al fratello della regina, David, re di Scozia, e depositato per molti anni tra i tesori del suo regno; e, alcuni anni fa, come abbiamo appreso da autentica parentela, fu ceduta da Guglielmo, re degli scozzesi, ad Enrico II, desiderandola vederla.”

A conclusione di questi episodi di cronaca medievale, l’autore ribadisce che si tratta di fatti veri, riportati da testimoni credibili. Tuttavia, mette in guardia noi lettori, attraverso una rapida spiegazione teologica, riguardo tali prodigi; ci dice di non credere che siano risultati di una creazione magica. Poiché se i maghi (come si narra nelle Scritture) furono in grado mediante incantesimi egizi, e qualche segreta collaborazione di angeli malvagi, di trasformare le verghe in serpenti, l’acqua in sangue, e di produrre rane (riferimenti a Mosé e alle Sette Piaghe d’Egitto), costoro non erano in alcun modo creatori; così come i contadini non sono creatori dei loro raccolti. L’unico Creatore è il Signore Iddio, il quale ha fornito svariati mezzi e poteri di cui possono avvalersi gli angeli e, talvolta, pure gli uomini malvagi.

La baldoria d’oltretomba nel tumulo, la coppa, i fossili di cani preistorici e la rana con la catena d’oro: sono tutte meraviglie che affascinano gli uomini, ma bisogna fare molta attenzione a non essere ingannati. Perché i demoni hanno riempito il mondo di simili fatti straordinari, e non l’hanno fatto a fin di bene. E con questo sermone si conclude questo episodio che ci mostra un possibile incontro tra due ere diverse, forse geologicamente molto distanti, o, forse, nient’altro che un insieme di burle e nient’altro.

Se i fossili di cani glabri e puzzolenti fuoriusciti dalla roccia, il rospo con la catena d’oro al collo e la festa di fantasmi-hobbit sotto la collina ti hanno appassionato, seguimi e condividi l’episodio per diffondere il verbo affilato. Alla prossima.

“Queste e simili cose sembrerebbero oltre ogni immaginazione, se non provassero che hanno avuto luogo da testimoni credibili. Ma se i maghi (come è scritto) furono in grado, mediante incantesimi egizi, e qualche segreta collaborazione di angeli malvagi, di trasformare le verghe in serpenti e l’acqua in sangue, e di produrre rane appena formate, tuttavia (come dice Agostino) non chiamate questi maghi i veri creatori né di serpenti né di rane, poiché i contadini non sono i produttori dei loro raccolti; poiché una cosa è formare e produrre una creatura dall’anello più lontano e remoto nella catena delle cause – che Colui che fa è Dio l’unico Creatore – e un altro dai mezzi e poteri da Lui forniti per indurre una seconda operazione, che in tale tempo, o in tale modo, ciò che è creato avrà un tale effetto, che non solo gli angeli malvagi, ma anche gli uomini malvagi possono fare. Se, dico, per il permesso di Dio, gli angeli malvagi avevano questo potere, per mezzo di maghi, non è meraviglioso se fossero in grado, per qualche potere di natura angelica (soprattutto quando consentito da un potere superiore), di fare quelle mostre in questione, in parte per illusione e magia (come nel caso della baldoria notturna sulla collina), in parte nella realtà (come dei cani, o del rospo dalla catena d’oro, o della coppa), per cui gli uomini possono essere tenuto in cieco stupore; e gli angeli malvagi, quando le è permesso, prontamente fanno quelle cose, per cui gli uomini possono essere ingannati più pericolosamente. In effetti, la natura di quei bambini verdi, che scaturivano dall’orecchio.”

  1. William of Newburgh, Libro I, Capitolo 28 “Di certi prodigi”
  2. Lo Hobbit, J.R.R. Tolkien
Lorenzo Manara
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