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31 Maggio 2023

Alexander Selkirk: il vero Robinson Crusoe

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La vera storia di Alexander Selkirk, abbandonato su un’isola per 4 anni e 4 mesi e fonte di ispirazione per il romanzo di Daniel Defoe, Robinson Crusoe

L’ultimo giorno di gennaio dell’anno 1709, due velieri giunsero in vista delle isole di Juan Fernandez, al largo del Cile, nell’Oceano Pacifico. Il Duca da 320 tonnellate, 30 cannoni e un equipaggio di 117 uomini; e la Duchessa, 260 tonnellate, 26 cannoni e 108 uomini: entrambe le navi sotto il comando del capitano inglese Woodes Rogers, entrambe autorizzate dal Lord dell’Alto Ammiragliato alla guerra di corsa contro velieri francesi e spagnoli.

Dopo aver doppiato Capo Horn, il punto più meridionale del Sud America, così a sud che molti dell’equipaggio avevano rischiato la morte per ipotermia, il capitano Rogers aveva deciso di tornare a nord, al caldo, per sbarcare a terra e tirare il fiato. Il timoniere, tale William Dampier, 56 anni, uno degli uomini più esperti dei mari del sud (tanto che per gli spagnoli il suo nome era secondo solo a William Drake), suggerì l’arcipelago Juan Fernandez, poiché su quelle isole vi era già stato, circa 4 anni prima, quando lui stesso era comandante di una spedizione corsara di 2 navi che, purtroppo, fu afflitta da svariati imprevisti, e ammutinamenti. Si diceva infatti che Dampier fosse un buon timoniere, ma un pessimo capitano1.

Verso le due del pomeriggio, a 4 leghe di distanza dall’isola, i marinai tirarono fuori la scialuppa per scendere a terra. Il capitano Rogers salì a bordo della Duchessa per osservare la scialuppa e i pochi uomini che la manovravano allontanarsi lentamente, verso quelle isole disabitate. Giunta a una lega di distanza, quando il sole era ormai tramontato, sulle spiagge assolate dell’isola principale si accese una luce. La scialuppa fece subito dietro front per tornarsene ai velieri, e il capitano Rogers ordinò di spegnere le luci del Duca e della Duchessa, preparandosi al peggio: forse, il nemico francese o spagnolo aveva avuto la loro stessa idea, ovvero di mettersi all’ancora proprio in quell’isola.

Verso le due del mattino, e 12 ore di attraversamento avanti e indietro, per un totale di 6 leghe, la scialuppa tornò finalmente alla Duchessa, seguendo le schioppettate dei moschetti che gli uomini facevano brillare dai ponti bui delle navi, come unico punto di riferimento nella notte tenebrosa. E non appena sorse l’alba, il capitano Rogers condusse le due navi attorno all’isola, passando da sud e facendo il giro fino a una baia deserta che si apriva a nord-est. Non c’era nessuna nave né in quella baia né da nessuna parte. Il capitano era convinto che avrebbe trovato i nemici lì, poiché era l’unico luogo dove gettare l’ancora. Forse erano fuggiti quella notte stessa?

Una scialuppa fu calata di nuovo in mare, stavolta molto più vicina alla terra per una rapida traversata: una scialuppa con a bordo un ufficiale, un sottufficiale e sei uomini, tutti armati. Costoro veleggiarono in direzione delle spiagge dell’isola di Juan Fernandez, scesero a terra e scomparvero tra la vegetazione per iniziare a esplorare. Il tempo passò, e nessuno di loro emergeva più dal folto degli alberi. Si stavano soffermando per troppo tempo, tanto da impensierire il capitano Rogers. Il corsaro inglese, infatti, temeva che sull’isola vi potesse essere rimasta una guarnigione nemica, e che i suoi uomini fossero stati catturati. Dunque preparò un’altra scialuppa e inviò nuovi uomini armati sull’isola, emettendo segnali dalla Duchessa.

Poco dopo, gli uomini della prima scialuppa comparvero sulla spiaggia, riunendosi con i compagni della seconda scialuppa, e tutti insieme tornarono alle navi, sani e salvi. Portarono una grande abbondanza di gamberi e la causa del contrattempo: “un uomo vestito di pelli di capra, che sembrava più selvaggio delle capre stesse.”

Costui era Alexander Selkirk, l’unico abitante dell’isola, abbandonato laggiù per quattro anni e quattro mesi.

Il capitano Rogers si dimostrò subito interessato a quel povero diavolo, e come lui pure il timoniere, William Dampier, il quale, avvicinandosi di più a Mr Selkirk si accorse di riconoscere quei lineamenti scozzesi, coperti dalla barba incolta. Selkirk aveva veleggiato proprio con la sua spedizione, quattro anni prima, e ritrovarlo in quelle condizioni era come assistere alla resurrezione dei morti.

Quattro anni e quattro mesi sull’isola di Juan Fernandez. Selkirk ne aveva di cose da raccontare, e quei marinai inglesi giunti fin lì nel corso del loro viaggio attorno al mondo, non vedevano l’ora di conoscere la sua storia.

Selkirk, scozzese della contea di Fife, era stato allevato come marinaio fin dalla giovinezza. Nel 1704 si era imbarcato nella spedizione capitanata da William Dampier, colui che adesso reggeva il timone del Duca di Rogers, anche se non aveva lavorato direttamente alle sue dipendenze. Selkirk aveva servito a bordo della seconda nave che componeva quella spedizione, la Cinque-Port del fu capitano Stradling, comandante in seconda di Dampier, e vero responsabile dell’abbandono.

Perché Selkirk e il capitano della Cinque-Port, ebbero a discutere. Dopo varie battaglie e peripezie contro i nemici spagnoli e francesi, la nave era ridotta in pessime condizioni, e Selkirk disse che avrebbe preferito restare su quell’isola piuttosto che salpare su una bagnarola che imbarcava acqua. Detto questo, il capitano Stradling lo prese in parola.

Dopo aver raccolto legna e acqua, l’equipaggio della Cinque-Port salpò dall’isola di Juan Fernandez, lasciando sulla spiaggia Mr Selkirk con i suoi vestiti, una cassa con lucchetto piena di biancheria, lenzuoli e coperte, un po’ di polvere da sparo, proiettili, tabacco, un’accetta, un coltello, un pentolino per scaldare l’acqua, una Bibbia, alcuni semplici attrezzi e qualche libro. Così fornito, Selkirk cominciò la sua vita da solitario governatore di un’isola, provvedendo a sé stesso come poteva. Per i primi otto mesi fu tormentato dalla malinconia, e dal terrore d’essere rimasto solo in un luogo così desolato, tuttavia si diede da fare. Costruì due capanni con il legno degli alberi di pimento, da cui si ricavava una spezia chiamata pepe della Giamaica, e li ricoprì con un tetto di paglia e pelli di capra, che uccideva col suo fucile, finché aveva polvere, che tra le altre cose era solo una libbra.

Per non sprecare la polvere accendeva il fuoco sfregando insieme due bastoncini di pimento. Nella capanna più piccola preparava da mangiare, e in quella grande dormiva, e si dedicava alla lettura della Bibbia, al canto dei salmi e alla preghiera. Perché in quella solitudine divenne un cristiano migliore di quanto non fosse mai stato prima. Nei primi giorni non mangiò nulla finché la fame non lo costrinse, in parte per la tristezza, e in parte per la mancanza di pane e sale, né andò a letto per la paura. Il legno di pimento ardeva chiarissimo, e lo accompagnava sempre di notte, oltre a diffondere un buon profumo.

Avrebbe potuto mangiare tutto il pesce che voleva, ma non gli piaceva molto vista la mancanza di sale; tranne i gamberi, che laggiù erano grandi come le aragoste e molto buoni: a volte li bolliva e altre volte li arrostiva, come faceva con la carne di capra, mangiata soprattutto in brodo, perché da sola era molto diversa da quella d’allevamento cui era abituato. Selkirk ammazzò 500 capre in quei 4 anni, e contò d’averne catturate molte altre, per segnarle sull’orecchio e lasciarle riprodursi, per evitare di sterminarle tutte. Quando finì la polvere da sparo, cominciò a catturare capre di corsa, poiché il suo modo di vivere e il continuo esercizio lo avevano messo in gran forma, liberando il suo corpo dagli umori grossolani della vita civile. Così in forma che imparò a correre con meravigliosa rapidità attraverso i boschi e su per le rocce e le colline. 

I marinai inglesi poterono osservare coi loro occhi l’agilità di Selkirk, quando lo accompagnarono a caccia, uno di quei giorni, per catturare qualche capra da portare a bordo prima della partenza. Il capitano Rogers aveva anche un bulldog, che sguinzagliò assieme ai marinai più svelti per fare a gara con Selkirk; ma il governatore dell’isola vestito di pelli di capra era più veloce del vento, e staccò di molto sia gli uomini che il bulldog, tornandosene poco dopo con una capra in spalla, acchiappata nel giro di pochi minuti.

Un’agilità acquisita a caro prezzo, giorno dopo giorno, nella solitudine dell’isola. Una volta era persino arrivato a tanto così da rimetterci la pelle, inseguendo una capra. Perché dopo essersi gettato tra i cespugli per afferrarla, non si era reso conto d’essere sull’orlo di un precipizio. Selkirk cadde di sotto da una grande altezza e svenne sul fondo del baratro. Quando si risvegliò molte ore dopo, si rese conto d’essere atterrato sopra la capra, che giaceva morta sotto di lui. Per un’intera giornata rimase là sotto, incapace di muoversi dal dolore, poi, piano piano, cominciò a strisciare verso la capanna, distante circa un miglio, per stramazzare sotto quel tetto di paglia, mezzo morto.

Col tempo, dopo i primi difficili mesi di permanenza sull’isola, Selkirk iniziò ad assaporare anche la carne di capra senza sale e senza pane, e aveva molte buone rape, che erano nate dai rifiuti degli uomini del capitano Dampier, quando erano giunti sull’isola per far legna e acqua, cresciute come se fossero state seminate. Aveva anche molti cavoli e più avanti comprese di poter condire la carne con il frutto degli alberi del pimento, quella spezia simile al pepe, dal profumo delizioso. Sull’isola cresceva anche un pepe nero chiamato Malagita, che era molto buono per espellere l’aria in pancia e lenire i dolori allo stomaco. Ben presto consumò tutte le scarpe e i vestiti girando per i boschi; e alla fine fu costretto a camminare scalzo. I suoi piedi divennero così duri che correva ovunque senza fastidio. Ci volle molto tempo, dopo il suo ritrovamento, prima che potesse indossare di nuovo le scarpe. Perché non era più abituato, e i suoi piedi erano troppo duri e gonfi per le normali calzature da uomo civilizzato.

Quando i suoi vestiti si consumarono, si fece un giacchetto e un berretto di pelli di capra, che cucì mettendo assieme piccole toppe tagliate a coltello, utilizzando al posto dell’ago un chiodo. Ed è proprio quel giacchetto che lo accompagnò fin sul veliero inglese, il Duca del capitano Rogers, il giorno in cui lo salvarono.

Durante la sua permanenza sull’isola, Selkirk vide passare diverse navi, ma solo due giunsero a calare l’ancora, battenti bandiera spagnola. Se fossero stati francesi, si sarebbe sottomesso, ma con gli spagnoli no, quelli l’avrebbero di certo ammazzato, o ridotto in schiavitù in miniera. Selkirk quindi scappò per i boschi e si nascose in cima a un albero. Gli spagnoli lo cercarono dappertutto ma, non trovandolo, tornarono alle navi e se ne andarono per sempre.

I mesi passavano, e Selkirk per distrarsi incideva il suo nome sugli alberi, segnando anche il tempo di permanenza sull’isola. All’inizio era molto infastidito da gatti e topi, portati lì dalle navi nel corso del tempo, e riprodotti in gran numero. I topi gli rosicchiavano i piedi e i vestiti mentre dormiva, il che lo obbligava ad addomesticare i gatti con l’aiuto della carne di capra; per cui molti di loro divennero così docili che si affollavano attorno a lui e presto lo liberarono dai topi. Allo stesso modo aveva addomesticato dei capretti, e di tanto in tanto cantava e ballava con quegli animali, per vincere la solitudine. 

Quando salì a bordo, dopo quattro anni e quattro mesi di solitudine, aveva così tanto dimenticato la lingua inglese, che i marinai riuscivano a malapena a capirlo, visto che pronunciava le parole a metà. Gli fu offerto dell’alcol, ma non lo volle toccare, non avendo bevuto altro che acqua da quando era lì, e gli ci volle parecchio tempo prima di apprezzare il cibo sulla nave. 

Il capitano Rogers, dopo qualche giorno trascorso sull’isola per fare rifornimenti e riparazioni, salpò con le sue due navi, stavolta senza dimenticarsi di Selkirk. Lo scozzese poté tornare alla civiltà, dando modo al capitano e a tutti gli altri marinai di riflettere sulle sue vicissitudini. Il capitano stesso ci racconta questa straordinaria vicenda nel resoconto vergato di suo pugno, pubblicato nel 1712 col titolo “Viaggio intorno al mondo”, chiarendo anche il destino della Cinque-Port, la nave su cui aveva veleggiato Selkirk, e che aveva ripreso il largo dopo averlo abbandonato. Era davvero messa male, e infatti colò a picco poco tempo dopo aver lasciato l’isola di Juan Fernandez, e ben pochi marinai si salvarono.

Insomma, tutto sommato, Selkirk ci aveva visto giusto.

Rogers conclude questo resoconto, che a detta di molti ha ispirato il romanzo di Robinson Crusoe di Daniel Defoe, con una sua riflessione personale, una vera e propria presa di coscienza riguardo lo stile di vita cosiddetto “civilizzato” all’insegna del benessere e, al tempo stesso, del malessere.

“Possiamo percepire da questa storia la verità della massima “la necessità aguzza l’ingegno”, poiché (Selkirk) ha trovato i mezzi per soddisfare i suoi bisogni in modo molto naturale, per sopravvivere in maniera efficace come siamo in grado di fare noi, con l’aiuto di tutte le nostre Arti e Società. Può anche insegnarci quanto un modo di vivere semplice e sobrio conduca alla salute del corpo e al vigore della mente, a noi che siamo inclini a distruggerci con l’eccesso e l’abbondanza (…): poiché quest’uomo, quando ha ripreso il nostro stile di vita, sebbene fosse abbastanza sobrio, ha perso gran parte della sua forza e agilità. Ma forse è meglio se metto da parte queste riflessioni, che sono più adatte a un filosofo che a un marinaio.”

Eppure, nonostante la modestia da corsaro, penso proprio che il capitano Woodes Rogers non avesse tutti i torti. Se questa storia ti ha appassionato, seguimi, perché di Leggende Affilate ce ne sono un’infinità da scoprire, anche se non sempre finiscono bene come questa.

  1. Resoconti del capitano Woodes Rogers, pubblicati nel 1712 col titolo “A cruising Voyage Round the World”, pubblicazione del 1928, Introduction, X, nota 4
Lorenzo Manara
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