Il Ladro e il Faraone: il Furto più FOLLE dell’Antico Egitto

La storia del faraone Rhampsinitus e del ladro che lo ingannò, narrata da Erodoto
In una notte avvolta dal mistero, sotto le stelle dell’Antico Egitto, due ombre si muovevano furtive nel palazzo del Faraone Rhampsinitus, il sovrano che si dice fosse il più ricco che la storia avesse mai conosciuto. Si trattava di due ladri, due fratelli, gli unici che avevano abbastanza coraggio e astuzia da sfidare il faraone e le sue orrende trappole. Infatti, durante l’esplorazione, uno dei fratelli rimase chiuso dentro una trappola senza alcun modo di uscirne, destinato a essere catturato non appena sarebbero giunte le guardie, e giustiziato. E dopo di lui il faraone avrebbe di certo catturato pure il fratello, e la madre, per vendetta. Nel buio del sontuoso palazzo, il ladro intrappolato, ormai spacciato, chiese al fratello di lasciarlo lì, e per evitare ripercussioni sull’intera famiglia, di decapitarlo, così avrebbero trovato un corpo irriconoscibile. E il fratello, acconsentì.
Ma facciamo un passo indietro, perché questa è una storia di tesori inestimabili, ingegno criminale e vendetta direttamente narrata da Erodoto. Erodoto è riconosciuto come il “Padre della Storia” per aver scritto la prima opera storiografica nel senso moderno del termine. Le sue narrazioni mescolano storia, geografia e mito con un metodo d’indagine critico, pur includendo elementi leggendari, come la storia che sto per raccontarvi, quella del ladro e del faraone. Perciò, buttiamoci subito sotto il cielo stellato dell’Antico Egitto e cominciamo.
Dopo la morte del re Proteo (un sovrano di cui la storia ci offre poche tracce certe, ma che si colloca in un periodo mitico o molto antico), salì al trono un faraone di nome Rampsinito. Questo Rampsinito era incredibilmente ricco. Parliamo di tesori d’argento così vasti che nessuno dei faraoni successivi, neanche i più potenti che conosciamo dai libri di storia, riuscì a eguagliare la sua fortuna. Era una vera potenza economica!
Per custodire questa ricchezza sterminata, il faraone Rampsinito ordinò la costruzione di una gigantesca camera del tesoro fatta di pietre squadrate, un vero e proprio caveau. Uno dei suoi lati doveva coincidere con il muro esterno del palazzo reale, un dettaglio che sembra innocuo ma che invece darà origine all’intera vicenda.
Poiché il costruttore incaricato della realizzazione dell’opera aveva però le sue oscure intenzioni. Mentre lavorava alla costruzione, inserì una singola pietra mobile nel muro esterno. Era un blocco così abilmente camuffato che poteva essere rimosso facilmente da uno o due uomini, senza far rumore o destare sospetti, permettendo così di accedere alla camera del tesoro.
La camera fu completata, il re stipò le sue immense ricchezze al suo interno e il tempo passò.
Il costruttore, ormai anziano, si ammalò gravemente. Sentendo avvicinarsi la fine, chiamò i suoi due figli. Rivelò loro il suo ingegnoso trucco, spiegando che l’aveva fatto per assicurare loro una vita di abbondanza eterna.
Diede ai figli tutte le istruzioni: la posizione esatta della pietra, le misure precise per trovarla e, soprattutto, l’ordine di mantenere il segreto assoluto. Finché avessero fatto così, sarebbero stati, di fatto, i veri controllori del Tesoro Reale. Un piano diabolico per diventare ricchi eredi di un faraone!
Dopo la morte del padre, i due fratelli non persero tempo. Si recarono di notte al palazzo, trovarono il punto esatto sul muro esterno e rimossero la pietra senza fatica. Con estrema facilità, penetrarono nella camera di Rampsinito e ne uscirono con un bel gruzzolo. L’avventura era appena iniziata!
Il re era tornato nelle stanze segrete dove teneva ammassate le sue ricchezze. Immaginate la sua sorpresa: il denaro, stipato in quei grandi vasi che fungevano da casseforti, era inspiegabilmente diminuito. Era come se una parte fosse sprofondata nel nulla. Il mistero era fitto: i sigilli erano intatti, i lucchetti della stanza in perfette condizioni. A chi dare la colpa? Il re non poteva accusare nessuno.
Eppure, ogni volta che tornava a controllare, la sparizione continuava. I ladri, lavorando nell’ombra, non smettevano di saccheggiare il tesoro reale. Il re decise allora di agire: ordinò di fabbricare e piazzare delle trappole proprio vicino ai vasi colmi d’oro.
Il gioco era cominciato. Quando i due ladri tornarono, strisciando attraverso l’apertura segreta che avevano creato, uno di loro si diresse subito verso i vasi. Un attimo dopo, un rumore secco e si ritrovò bloccato, catturato da una delle trappole del re. La fine era vicina, ma la sua mente era lucida.
Capendo di essere spacciato, chiamò subito il fratello. “Sono perduto!” gli gridò, “Entra e tagliami subito la testa! Se domani il mio corpo venisse scoperto senza volto, non potrà essere riconosciuto, e questo eviterà che la rovina cada su entrambi noi.”
L’altro ladro capì immediatamente il peso di quelle parole. Se il re avesse identificato il corpo, lo avrebbe collegato anche al complice, distruggendo entrambi. L’unica via di salvezza per sé stesso era compiere quell’atto terribile. Così, si convinse a seguire il consiglio del fratello. Eseguì l’ordine, compiendo l’estremo sacrificio, e mozzò la testa al fratello. Poi, con calma glaciale, uscì, sistemò la pietra che chiudeva il loro varco segreto, prese con sé la testa mozzata e si dileguò verso casa, lasciandosi alle spalle l’oro e un cadavere decapitato. Il mistero del furto era salvo, almeno per ora. Ma il prezzo da pagare era stato altissimo.
Quando l’alba squarciò l’oscurità, il re entrò nella stanza e rimase a bocca aperta. Davanti a lui, intrappolato, c’era il corpo senza vita del ladro, ma mancava la testa. Il vero mistero, però, era che l’edificio era ancora perfettamente integro: non si vedeva traccia di come fosse entrato o uscito.
Di fronte a questo enigma, che lo lasciava completamente interdetto, il sovrano diede un ordine inaspettato. Fece appendere il cadavere decapitato fuori dalle mura del palazzo, in bella vista, e dispose che una guardia lo sorvegliasse attentamente. Il loro compito? Se avessero visto qualcuno piangere o disperarsi vicino a quel corpo, avrebbero dovuto afferrarlo e portarlo immediatamente al suo cospetto. Era una mossa astuta, una trappola emotiva per scovare chi si nascondeva dietro il furto.
La notizia di quella macabra esposizione giunse presto alla madre del ladro, che ne fu devastata. Nel suo dolore, si rivolse all’unico figlio che le era rimasto, il fratello del defunto, implorandolo di trovare un modo per recuperare il corpo. La sua richiesta era un ultimatum: se non si fosse dato da fare, sarebbe andata lei stessa dal re, e con un gesto disperato, lo avrebbe denunciato come il vero e unico ladro. La posta in gioco era altissima, e l’ombra del tradimento incombeva sulla famiglia.
Il giovane, che di mestiere faceva il ladro, aveva provato in ogni modo a convincere la madre a lasciar perdere. La donna, però, era irremovibile nella sua richiesta: bisognava riprendere la salma del figlio, che era stata messa in esposizione con dei soldati di guardia per umiliarlo e per spaventare chiunque altro volesse commettere crimini. Alla fine, il ragazzo cedette all’insistenza materna (alla sua importunità, come si diceva un tempo) e mise in moto un piano che oggi definiremmo “geniale”.
Ecco come agì. Prese dei recipienti fatti di pelle animale, le otri (dei veri e propri sacchi di cuoio usati per il trasporto), e li riempì di vino. Caricò il tutto su alcuni asini e si diresse verso il luogo dove le guardie sorvegliavano il cadavere.
Arrivato vicino, il ladro finse un incidente incredibile. Spostò alcune delle otri verso di sé e allentò i lacci che ne tenevano chiuse le estremità, che penzolavano lungo i fianchi degli asini. Il vino cominciò a riversarsi a fiumi. A quel punto, il ragazzo diede il via alla sua sceneggiata: iniziò a urlare, a battersi la testa dalla disperazione e a recitare la parte dell’uomo rovinato che non sapeva come salvare il suo prezioso carico.
Le guardie, pensando di approfittare di quel regalo inaspettato, non esitarono un istante. Si precipitarono tutte sulla strada, ognuna con un recipiente in mano, per raccogliere più vino che potevano. L’astuto ladro le coprì di insulti, fingendosi furioso per il danno. I soldati cercarono di calmarlo e, piano piano, la sua rabbia sembrò svanire, lasciando spazio al buon umore.
Il ragazzo spostò gli asini di lato per risistemare il carico, ma continuò a chiacchierare amabilmente con le guardie. In questo scambio, uno dei soldati cominciò a scherzare e a farlo ridere. Fu il segnale. Per ricambiare l’amicizia, il ladro finse di cedere: regalò loro una delle otri piene di vino!
A quel punto, le guardie decisero di non muoversi più. Volevano fare un vero e proprio banchetto alcolico proprio lì, in mezzo alla strada. Lo pregarono di restare e di unirsi a loro. Lui si lasciò convincere, e il gioco era fatto.
La bevuta andò avanti. L’atmosfera si fece sempre più rilassata e amichevole, finché il ragazzo non fece un altro gesto generoso: diede loro anche la seconda otre. Il vino bevuto fu così tanto e così in fretta che, uno dopo l’altro, i soldati caddero addormentati, vinti dal sonno e dall’alcol.
Il ladro aspettò la morta della notte (il momento più buio e silenzioso, quando tutti dormono profondamente). Poi, con calma, prese il corpo del fratello. Ma non finì qui. Volendo lasciare un segno della sua beffa, si avvicinò ai soldati addormentati e, in un gesto di puro scherno, rase via metà della barba a ciascuno, proprio sul lato destro.
Infine, caricò il corpo del fratello sugli asini e lo riportò a casa dalla madre. Aveva compiuto l’impresa che gli era stata richiesta, e l’aveva fatto con uno stile che lo fece passare alla storia come un maestro dell’inganno.
Il Faraone in persona era furente. Il corpo del ladro, che aveva provato a catturare per l’ennesima volta, era sparito nel nulla, rubato da un misterioso complice. Il sovrano era ossessionato dal desiderio di mettere le mani su quell’uomo, non importava il prezzo.
Per questo, il re escogitò una mossa talmente audace, una vera e propria trappola psicologica, che gli antichi sacerdoti stessi la raccontavano con un certo scetticismo, tanto era incredibile. Incaricò sua figlia, la principessa, di recarsi in un luogo equivoco e frequentato, una sorta di postribolo, con un compito ben preciso. Avrebbe dovuto accogliere chiunque si presentasse, ma a ogni uomo doveva porre la stessa, singolare domanda: qual era la cosa più astuta e al contempo più malvagia che avesse mai compiuto in vita sua? Se qualcuno avesse rivelato la storia del furto del corpo del ladro, la principessa doveva subito afferrarlo e non lasciarlo scappare.
La figlia obbedì, ma il ladro, un vero maestro dell’inganno, sapeva benissimo il motivo di questa strana manovra. Anziché fuggire, fu spinto da un desiderio folle: superare in astuzia lo stesso Faraone.
Ideò un piano incredibile: procurò il cadavere di un uomo da poco deceduto. Con un gesto raccapricciante, gli tagliò un braccio all’altezza della spalla e se lo nascose sotto il vestito. Così mascherato, si presentò alla principessa. Quando lei gli fece la fatidica domanda, lui rispose con una freddezza glaciale. Disse che la cosa più malvagia era stata tagliare la testa di suo fratello quando questi era rimasto intrappolato nella tesoreria reale – un gesto compiuto per evitare che fosse riconosciuto e torturato. E la cosa più astuta? Aver fatto ubriacare le guardie e averne rubato il corpo.
Appena udì quelle parole, la principessa gli si avventò contro per trattenerlo. Ma il ladro, approfittando dell’oscurità, fu più veloce. Allungò verso di lei il braccio mozzato che aveva nascosto. La principessa, convinta di aver afferrato il vero braccio dell’uomo, lo strinse con forza. In quell’istante, il ladro si sfilò e, lasciando quell’arto macabro nella presa della figlia del Faraone, sgattaiolò via nella notte, beffando il re per l’ennesima, incredibile volta.
il Faraone in persona, di nome Rhampsinitus, era a dir poco sbalordito da quanto successo.
Gli erano arrivate voci di un altro incredibile colpo, l’ennesimo successo di un ladro così astuto e audace da sfidare apertamente la sua autorità. Non stiamo parlando di un furto qualsiasi, ma di un vero e proprio duello d’ingegno, perché questo abile criminale era riuscito a superare ogni trappola e meccanismo di sicurezza del palazzo.
Di fronte a tanta “genialità criminale”, il re prese una decisione inaudita. Non cercò la vendetta, ma l’ammirazione. Fece diffondere in tutte le sue terre, in ogni città e villaggio, un proclama solenne: il ladro avrebbe ricevuto un perdono totale e, anzi, una ricompensa incredibilmente ricca se solo si fosse presentato e avesse rivelato la sua identità.
E qui viene il colpo di scena degno di un’epopea. Il ladro, senza esitare, accettò la parola del sovrano. Si presentò audacemente davanti a Rhampsinitus.
Il Faraone, invece di punirlo, fu letteralmente conquistato. Lo ammirò profondamente, vedendolo come l’uomo più sagace e scaltro non solo dell’Egitto, ma forse del mondo intero. La sua ammirazione fu tale che, come in una favola, gli diede in moglie sua figlia. Un’unione incredibile, tra l’autorità massima e un ex-criminale geniale!
La frase finale del re riassume tutto il suo stupore e rispetto. Rhampsinitus dichiarò che, se già gli Egizi erano considerati il popolo più saggio e intelligente del mondo, allora quest’uomo doveva essere il migliore e il più acuto di tutti gli Egizi messi insieme.
E qui, amici, si conclude l’epilogo, il colpo di scena finale che dimostra quanto gli antichi Egizi, a volte, fossero… beh, diciamo fuori di melone!
Dopo aver svaligiato il tesoro del Faraone più e più volte, aver decapitato il fratello, aver fatto ubriacare e rasato a metà la guardia reale, e aver usato un braccio mozzato di un cadavere per sfuggire alla figlia del re… cosa succede? Il Faraone, stupito dalla sua “saggezza” e “audacia,” non lo punisce. Non lo impala. Il Faraone proclama la sua ammirazione e… gli offre sua figlia in matrimonio!
Io, magari nella mia semplicità, non posso che fare a meno di pensare questa storia sia tutta un’articolata presa in giro degli egizi e, soprattutto, del potere monarchico assoluto del faraone. Qui, a parer mio, si sta rappresentando il classico stilema del re ingenuo e stupidotto, che sarà poi usato anche nelle storie popolari e nelle fiabe. Avete presente la storia di Andersen, “i vestiti nuovi dell’imperatore”, no? Ecco, secondo me a parte il fondo di verità di una cronaca magari davvero avvenuta, ci vedo molta satira politica da parte del buon vecchio Erodoto.
Vi ringrazio di avermi fatto compagnia tra i palazzi degli antichi faraoni. Se vi è piaciuta, mi raccomando seguite Leggende Affilate, perché ci sono moltissime altre storie che meritano di essere conosciute.
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