Close

19 Maggio 2023

Il papa Diavolo

il papa diavolo

Articolo del podcast Storia della Magia, episodio 17: il Papa Diavolo, negromante e cacciatore di tesori

Nell’anno 999 divenne papa Silvestro II, nato Gerberto di Aurillac, primo pontefice di nazionalità francese e annoverato fra gli uomini di chiesa più importanti del suo tempo. La sua caratura intellettuale era tale da permettergli di essere considerato un grande teologo, scienziato, matematico e astronomo; qualità straordinarie che gli valsero un’aura leggendaria spesso associata all’esoterismo: Silvestro II era infatti ritenuto da alcuni un mago spietato e malvagio negromante, soprannominato il papa diavolo.

Le sue straordinarie capacità, attestate dalle posizioni di prestigio che ricoprì in varie corti e scuole d’Europa, ben prima della nomina a pontefice, derivarono dall’aver vissuto per un periodo di tempo in Spagna. La penisola Iberica era invasa dai musulmani e l’incontro fra le due religioni contribuì, in parte, alla rinascita culturale che più tardi avrebbe posto fine all’etichetta “Medioevo”. Mi riferisco alla riscoperta degli autori greco-romani e alla conoscenza del mondo antico che gli arabi avevano conservato e tradotto, permettendo ai cristiani di nutrirsi di materie talvolta perdute (per loro) fra le quali figuravano anche le arti magiche.

Quella che talvolta veniva identificata come la scuola saracena di magia fondava le proprie basi sui testi dell’Antichità riadattati e plasmati assieme alle discipline che oggi definiremmo scientifiche, come la matematica, ad esempio. Gerberto, prima di divenire papa Silvestro II, era un importante studioso di matematica nonché inventore di un nuovo metodo di calcolo chiamato “àbaco”, in grado di risolvere facilmente problemi fino a quel momento ritenuti molto difficili (un “metodo” di calcolo, da non confondersi con lo strumento di calcolo molto più antico omonimo). Le sue capacità straordinarie furono presto associate alla magia: “Il diavolo gli ha insegnato l’arte chiamata àbaco”, recita una poesia del XII secolo.

Le leggende sulla figura del papa diavolo sono innumerevoli, a cominciare dall’iscrizione sulla sua pietra tombale, nella basilica di san Giovanni in Laterano, dopo la morte avvenuta nel 1003, pochissimi anni dopo l’elezione pontificia:

“lste locus mundi Silvestri membra sepulti
Venturo domino conferet ad sonitum.”

“Quando tornerà il Signore, questo luogo terreno farà suonare le membra sepolte di Silvestro.” Il suono delle membra che si muovono è un rimando alla resurrezione dei morti, da alcuni associato, nello specifico, a un passo del libro del profeta Ezechiele, ovvero la “Visione della valle delle ossa secche”, un episodio dove il terrorizzato profeta assiste alla rumorosa resurrezione dei morti (e qui il rimando al suono delle membra), morti che si rianimano formando un esercito di scheletri, poi ricoperti di muscoli, carne e, infine, investiti dal soffio della vita. La similitudine con la negromanzia è molto forte secondo i detrattori di Silvestro II, ansiosi di dimostrare il suo coinvolgimento nelle arti della magia nera. Ma da dove nasce la leggenda vera e propria?

Guglielmo di Malmesbury, nella sua cronaca dei re inglesi del XII secolo, racconta il primo approccio di Gerberto alla stregoneria, nel corso della sua permanenza in Spagna. Secondo il cronista, Gerberto fuggì dal monastero perché aveva “orrore della vita monastica” ed era in cerca di gloria personale; sapeva che gli studi arcani gli avrebbero consentito di divenire un grande fra gli uomini ed è per questo che si recò nel regno della magia saracena, più precisamente a Hispalis (Siviglia), dove abitavano i più importanti astrologi, profeti ed evocatori.

Dagli arabi Gerberto imparò a leggere le stelle “più di quanto non avesse fatto alcun dotto prima di lui”, e così pure le svariate forme di divinazione d’antiche origini come quelle legate al canto e al volo degli uccelli. Imparò la filosofia e la matematica, strappando la scoperta dell’àbaco ai saraceni per attribuirsene la paternità. Ma la vera conoscenza che gli permise di divenire potente fra gli uomini, oscura e segreta come le ombre degli Inferi, era una sola: la negromanzia.

Apprenderla non fu così semplice. Colui che un giorno si sarebbe guadagnato l’appellativo di papa diavolo dovette restare in città a lungo e conquistarsi le simpatie di un mago saraceno, il quale custodiva tutta la sua dottrina all’interno di un libro. Un libro di magia, per l’appunto, o grimorio, come sarebbe stato chiamato più tardi. Gerberto provò più volte a convincerlo di prestargli quel libro, ma il mago si rifiutava sempre, categoricamente. Allora il nostro apprendista stregone escogitò un piano diabolico: sedusse la figlia del mago e la spinse a ubriacare suo padre per poi mandarlo KO.

Una volta impadronitosi del libro Gerberto fuggì, certo di averla fatta franca, tuttavia il mago, che era a conoscenza di arti molto potenti, al suo risveglio si accorse del furto e del tradimento, consultò le stelle e si mise all’inseguimento del ladro: grazie alla negromanzia poteva rilevare la sua esatta posizione e non ci avrebbe impiegato molto a raggiungerlo.

Gerberto non aveva scampo. Cosa fare? Semplice, applicare le conoscenze imparate a Hispalis. Esisteva infatti un modo per eludere l’incanto che lo avrebbe rintracciato, e gabbare così quel mago: Gerberto non avrebbe dovuto fare altro che tenersi sospeso per aria.

Questo mito esoterico, di cui ho già parlato nell’episodio di Storia della Magia sulla caccia alle streghe, ci racconta che alcuni maghi erano ritenuti capaci di sviluppare i propri poteri solo se mantenevano un contatto fisico con la terra. Gerberto, forte di questa consapevolezza, attraversò un ponte di legno e giunto alla sua metà si sporse di sotto, restando appeso nel vuoto. In questo modo non toccava né la terra, né l’acqua che scorreva sotto di lui. Il mago saraceno, quindi, non riuscì a individuarlo e il nostro eroe poté scappare col libro di magia appena rubato, la fonte del potere che di lì a qualche anno lo avrebbe reso fra gli uomini più sapienti del mondo.

Per assicurarsi di non essere mai più rintracciato, Gerberto evocò il Diavolo e chiese protezione perpetua in cambio della sua completa fedeltà. Ed è in quel momento che si consacrò alla magia nera, quella infernale, divenendo un nemico di Dio a tutti gli effetti. Abbandonò quindi Hispalis, Siviglia, la città che gli aveva consentito di apprendere l’arte negromantica, e iniziò una nuova vita.

Oltre a Siviglia, però, vi era anche un’altra città ritenuta culla della negromanzia, sempre compresa nell’odierna Spagna: Toledo. Una città pregna di magia, le cui storie fantastiche raggiunsero pure l’Italia. Salimbene de Adam, infatti, nel XIII secolo ci racconta la biografia romanzata di un legato pontificio, Filippo da Pistoia, anche lui, come Gerberto, giunto in terra saracena per ottenere certe capacità magiche derivanti, come al solito, da un libro. 

Un mago saraceno di Toledo aveva consegnato al giovane Filippo un libro di magia da studiare. Tuttavia, Filippo non riusciva a farlo, poiché demoni di ogni forma gli apparivano appena sfogliava le pagine: topi, cani, gatti e porci, così tanti da riempire la camera in cui si era rinchiuso per stare più tranquillo. E dopo la loro convocazione, Filippo si ritrovava all’improvviso catapultato fuori, in strada. Il mago disse che non aveva mai visto niente di simile con gli altri studenti. Ma Filippo non volle rinunciare.

Riprovò una seconda volta, e invece di animali apparvero giovani fanciulle che danzavano per la camera; richiamando ancora una volta la capacità dei demoni di tramutare il loro aspetto, dapprima in bestie e poi in fanciulle, un po’ come lo si trova negli scritti dell’abate di Heisterbach, in particolare nel racconto sulla scuola di magia, che ho già narrato in un altro episodio.

Di nuovo, dopo la scomparsa delle giovani danzanti, Filippo fu catapultato fuori. Il maestro gli disse, allora, che lui, come tutti i Lombardi (ovvero gli italiani settentrionali), non erano fatti per divenire negromanti, i quali devono essere necessariamente nativi di Spagna: “uomini fieri e simili ai demoni”.

Il cronista italiano, quindi, ci dà una conferma di quanto fosse diffusa nel medioevo la credenza che la Spagna fosse una terra magica, sede di potenti maghi, incanti straordinari e libri ricolmi di conoscenze occulte.

In ogni caso, dopo aver abbandonato Siviglia, Gerberto visse numerose altre avventure prima di ricoprire la carica di pontefice e divenire il “papa diavolo”. Una delle quali, sempre narrata da William of Malmesbury, gli permise di vestire i panni di archeologo avventuriero a caccia di tesori, stile Indiana Jones. E lo fece nella Città Eterna, a Campo Marzio (Campo di Marte, come viene definito nella cronaca), nei pressi di un’antica statua oggetto di una delle leggende più affascinanti del Medioevo.

Correva voce che quella statua fosse a guardia di un tesoro inimmaginabile, probabilmente l’entrata del palazzo sotterraneo di Ottaviano Augusto. La statua recava un’iscrizione in latino “hic percute”, che significa “colpisci qui”. Più volte numerosi tombaroli avevano tentato di scavare nelle vicinanze della statua, arrivando persino a colpire la scultura stessa, senza però ottenere successo. Finché non si fece avanti Gerberto che, forte di un patto col diavolo, il suo libro magico, e una vasta conoscenza occulta risolse l’enigma.

Studiando la statua, il negromante cacciatore di tesori si rese conto che la stessa posa della figura scultorea suggeriva dove scavare: il braccio della statua era infatti sollevato, e il dito indice allo scoccare di Mezzogiorno proiettava l’ombra in un preciso punto sul terreno. Gerberto non fece altro che seguire l’indicazione, ordinare a un servitore di scavare e le porte del leggendario palazzo gli si aprirono davanti.

“La terra che si apriva mostrò un ampio ingresso: un vasto palazzo con pareti d’oro, tetti d’oro, ogni cosa d’oro; e poi statue di soldati d’oro che si divertivano con dadi d’oro; un re dello stesso metallo, a tavola con la sua regina; prelibatezze e servi in ​​attesa; vasi di grande peso e pregio, dove la scultura superava la natura stessa. Nella parte più interna del palazzo, un carbonchio di prima qualità, anche se piccolo in apparenza, dissipava l’oscurità della notte. E nell’angolo opposto vi era la statua di un ragazzo con l’arco da guerra incoccato, e la freccia pronta da scagliare…”

Guglielmo di Malmesbury, De gestis regum Anglorum, XII secolo

Come nella caverna delle meraviglie di Aladino, il futuro papa diavolo si ritrovò in un palazzo da sogno, dove tesori fantastici attendevano chiunque fosse stato così bravo da scovarli. C’era perfino un rubino (il carbonchio), tanto prezioso da emanare luce tutto intorno.

Ma, proprio come nell’Aladino disneyano (e qui potremmo chiederci se gli sceneggiatori del film d’animazione non si siano ispirati a questa cronaca medievale), il palazzo d’oro si rivelò magnifico quanto pericoloso: l’esercito d’oro, composto da soldati, era infatti pronto a rianimarsi contro chiunque avesse osato anche solo sfiorare una monetina.

“Mentre la squisita arte di ogni cosa rapiva gli occhi degli spettatori, non c’era nulla che potesse essere maneggiato sebbene potesse essere visto: perché immediatamente, se qualcuno allungava la mano per toccare qualcosa, tutte queste figure si precipitavano in avanti per respingere tale presunzione.”

Il servitore che Gerberto si era portato dietro per scavare non riuscì a trattenersi. Sgraffignò un coltello di mirabile fattura, oggetto così piccolo e insignificante dinnanzi a tutta quella ricchezza che era sicuro non se ne sarebbe accorto nessuno. Ma si sbagliava. Subito l’esercito d’oro si risvegliò dall’incanto e l’arciere d’oro scagliò la sua freccia d’oro contro il rubino per avvolgere il palazzo nella più completa oscurità.

Gerberto ordinò al servitore di lasciar cadere il coltello ed entrambi fuggirono a mani vuote. L’avarizia è pur sempre un vizio capitale e nonostante Gerberto fosse protetto dal Diavolo, la punizione divina lo travolse in pieno.

Al termine di questa avventura fanta-archeologica Gerberto decise di non voler rischiare mai più la vita senza prima consultarsi con le stelle. Dopotutto era in grado di farlo, perché non sfruttare questa capacità? Dando fondo alle sue conoscenze magiche forgiò una testa in bronzo e la incantò in modo tale che, se interrogata, avrebbe sempre detto la verità. E la cosa funzionava benissimo, poiché la testa profetizzò che Gerberto sarebbe diventato papa… e che sarebbe morto dopo aver celebrato messa nella chiesa di Gerusalemme.

Gerberto ottenne la nomina di pontefice nell’anno 999 divenendo così il papa diavolo e fece in modo di non viaggiare mai fino in Terra Santa dove si trovava la città di Gerusalemme. Per restare immortale, no? Tutto sembrava andare alla perfezione se non fosse che questa, come tutte le profezie di stampo mitologico, nascondeva un inganno.

La chiesa cui faceva riferimento la testa divinatoria era la chiesa di Santa Croce in Gerusalemme, che si trova a Roma. Gerberto, dunque, divenuto papa Silvestro II, un giorno diede messa proprio lì e subito si ammalò. Sul letto di morte consultò un’ultima volta la testa di bronzo e comprese di essere vicino alla fine. Convocò allora i cardinali, confessò i propri peccati e chiese di distruggere il frutto delle sue stregonerie: la testa, il libro di magia e tutto il resto. Infine, spirò.

La leggenda del papa diavolo non si concluse con la sua morte. Il mito continuò a viaggiare in lungo e in largo finché nel 1648, più di seicento anni più tardi, un altro papa, Innocenzo X, decise di scoperchiare la tomba per capirci qualcosa di più sul mitico pontefice negromante. Ma non riuscì nel suo intento. Perché appena le spoglie emersero in superficie si polverizzarono all’istante e di Silvestro II non rimase più niente.

Oggi gli storici sono ben consapevoli che la figura del pontefice scienziato e matematico era ben più grandiosa di quanto le credenze esoteriche vogliono farci credere. Io, però, non posso fare a meno di apprezzare un mito così divertente, ricco di spunti narrativi.

Infatti, anche nel mio romanzo “La Stirpe delle Ossa”, i personaggi scoperchiano tombe per vedere cosa c’è dentro. Quel che ne viene fuori però non ha niente a che vedere col papa diavolo… ed è decisamente peggio. Se vuoi tuffarti in quest’avventura gretta e cupa, puoi acquistare La Stirpe delle Ossa in tutte le librerie e gli store online, Amazon compreso.

Il papa diavolo, però, ci ha lasciato con interrogativo riguardo la sua testa parlante, forgiata come una statua, ma animata magicamente. Un oggetto che sembrerebbe appartenere a una celebre tipologia di creazioni fantastiche, di cui voglio raccontarti il funzionamento nel prossimo episodio.

Mi raccomando, seguimi e condividi queste storie, se vuoi aiutarmi a diffondere le origini della magia. Alla prossima.

Lorenzo Manara
Latest posts by Lorenzo Manara (see all)