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20 Settembre 2025

Spartaco: il gladiatore che fece tremare Roma

Spartaco, gladiatore, schiavo

Prigioniero di guerra, schiavo, gladiatore e infine condottiero: la vita di Spartaco, l’eroe che osò sfidare Roma

Il suo nome era Spartaco. Un prigioniero di guerra venduto come schiavo per combattere nelle arene e intrattenere la folla. Un gladiatore. Ma questo non era il suo destino. Costui era votato a qualcosa di più grande. Si ribellò, raccolse seguaci e divenne capo di un’armata che per due anni, tra il 73 e il 71 a.C., mise a ferro e fuoco l’Italia intera.

Una storia nata per essere ricordata per l’eternità. Perché parla di rivincita, di riscatto. Di un uomo che si rialza dalla polvere per sfidare una potenza soverchiante: la Repubblica romana che gli aveva portato via tutto. E io voglio raccontarla, nel mio piccolo, riprendendola dalle due fonti storiche principali che ci hanno permesso di conoscerla. Le vite parallele di Plutarco1, e la storia romana di Appiano di Alessandria2

Questa è la leggenda di Spartaco, il gladiatore che fece tremare Roma.

Non sappiamo bene chi fosse Spartaco. Gli storici sono concordi sulle sue origini, ovvero che fosse nato in Tracia. La Tracia era una vasta regione antica, situata principalmente nell’odierna Bulgaria, nella Grecia settentrionale e nella Turchia europea. Per i Romani era considerata una regione di confine e una fonte di guerrieri valorosi. I Traci erano noti per la loro ferocia in battaglia e per le loro abilità di combattimento. Tuttavia, erano anche visti come un popolo barbaro e arretrato, spesso usati come schiavi o gladiatori a Roma. Il loro regno, un tempo indipendente, fu gradualmente sottomesso e infine trasformato in una provincia romana.

Spartaco veniva da lì, ed era di certo un grande guerriero. Sappiamo che a un certo punto fu fatto prigioniero e portato in Italia, a Capua, venduto come gladiatore. Al suo arrivo, cominciano già i primi segni leggendari, che lo associano ai semi dell’antica Grecia, perché racconta Plutarco che un serpente gli si attorcigliò sul viso mentre dormiva. E la moglie di Spartaco era lì, e vide la scena. Lo aveva seguito fin lì, ed era una donna della Tracia, una vera barbara nonché profetessa, nello specifico una baccante, ovvero una seguace del dio Bacco, divinità del vino, della gioia e della liberazione dei sensi. Il loro culto si manifestava con danze sfrenate e musiche intense. Durante questi riti, le baccanti entravano in uno stato di estasi, arrivando talvolta a compiere atti di violenza. Uno stato di follia, la frenesia dionisiaca, che permetteva loro di leggere il futuro.

E, insomma, la moglie di Spartaco interpretò questo serpente acciambellato sul viso del marito come un segno degli dèi. Un duplice segno: futuro grandioso, ma fine orripilante. Cosa che avvenne naturalmente. E già qui, fin dall’inizio, capiamo subito che la storia di Spartaco è nata per essere una grande storia, di quelle che emozionano tutte le generazioni sul modello degli eroi epici.

Spartaco fu addestrato per diventare un gladiatore, a Capua. Con lui vi erano altri traci e pure galli, dice Plutarco. Circa duecento gladiatori. E vivevano tutti in prigionia, sotto un padrone crudele. Per questo decisero di ribellarsi. I duecento gladiatori si procurarono coltelli da macellaio e spiedi per arrostire in una cucina e si ribellarono al loro padrone. Fu una lotta sanguinosa contro le guardie della città, che costò la vita a molti di loro. Ne sopravvissero solo 78.

Mentre fuggivano per la città, questi 78 gladiatori s’imbatterono in alcuni carri che trasportavano armi per i gladiatori, come spade e scudi. Mollarono quindi i coltelli da cucina e presero delle vere armi e armature, e si ritirarono così sul Vesuvio (Appiano dice che invece fossero armati solo di pugnali e bastoni). La notizia cominciò a spargersi per il territorio. Altri schiavi si unirono a loro e pure i braccianti agricoli. Tutti volevano unirsi a quei gladiatori fuggiti per guadagnarsi la libertà, che osavano sfidare Roma. Gladiatori riuniti sotto un nome che già era leggenda: Spartaco.

Spartaco era con loro, sul Vesuvio, e fu nominato capo assieme a due galli: Enomao e Crisso. Spartaco, però, era il vero leader. Era il più abile, intelligente e il più carismatico. Più simile a un greco che a un barbaro, dice Plutarco.

In molti si unirono a lui. Anche perché cominciò a compiere razzie, e saccheggi. E il bottino lo divideva equamente coi suoi uomini. Il loro numero cresceva. E Roma cominciò a trattare la cosa seriamente. Ma non abbastanza, dopotutto erano solo schiavi ribelli.

Roma inviò vari comandanti a risolvere la questione. Non avevano vere e proprie legioni, ma uomini arruolati in fretta (dice Appiano) perché la minaccia era considerata un atto di pirateria. Mica un nemico vero di una guerra vera. 

Il primo comandante mandò tremila uomini contro Spartaco, rifugiatosi su una montagna coi suoi ribelli. Si poteva accedere alla montagna solo attraverso uno stretto e difficile sentiero, che l’esercito romano sorvegliava. Tutti gli altri lati erano circondati da dirupi. Si poteva dire che fossero finiti in trappola. Ma non dimentichiamoci che Spartaco era astuto.

S’ingegnò per costruire lunghe e robuste scale con delle viti selvatiche. Così lunghe che tramite quelle poterono scendere fino alla base del dirupo e aggirare l’esercito romano, tutto concentrato sul sentiero (che sembrava l’unica via di accesso alla montagna). I romani non si accorsero di niente e si videro arrivare alle spalle i ribelli. E furono trucidati.

Spartaco si ritrovò contro altri eserciti romani. E li sbaragliò tutti. E si impossessò anche di simboli importanti del potere romano, come le insegne delle legioni e i fasci littori. Questa vittoria gli permise di prendere il controllo della dell’intera Campania. L’esercito di Spartaco arrivò a contare 70.000 uomini e iniziò a produrre armi e a raccogliere provviste. Ma secondo Appiano, Spartaco non voleva semplicemente far la guerra a Roma. Il suo desiderio era la libertà, ovvero che ogni schiavo fosse liberato e che potesse tornare a casa sua, chi in Tracia, chi in Gallia.

Ora, su questo, si possono fare tutte le supposizioni del mondo. Perché se Spartaco avesse voluto davvero lasciare l’Italia, probabilmente sarebbe riuscito a raggiungere la Tracia. Non con 70.000 uomini, però. Un esercito del genere non si tira su per scappare. Si tira su per combattere. L’occasione Spartaco l’aveva avuta, non appena fuggito da Capua, coi suoi compagni gladiatori. Ora, probabilmente, era troppo tardi. L’occhio di Roma era su di lui e il suo esercito di ribelli. Adesso sì che era una minaccia. E fu trattato come tale: Roma gli inviò contro due legioni.

Forse, però, non era tutta colpa di Spartaco. Plutarco, in questo senso, ci fornisce uno spunto per giustificare questa mania di grandezza, questa voglia di contrapporsi, da solo, a Roma. Infatti, si racconta che all’interno dell’armata ribelle cominciasse a serpeggiare il malcontento. Alcuni barbari, galli e germani, si dimostravano più feroci, mossi da pulsioni meno idealizzate. E si misero a saccheggiare spietatamente, ammazzando la popolazione, bruciando i villaggi. Il tutto contro il volere di Spartaco. Questa, dice Plutarco, fu la scintilla che fece balzare sulla sedia i senatori di Roma.

I ribelli di Spartaco, quindi, si divisero. Da un lato i feroci galli e germani, che rimasero a sud per saccheggiare e martoriare la popolazione. Dall’altro Spartaco stesso, che risaliva la penisola, attraverso gli appennini. Perché? Be’, per tornare a casa, si dice.

Senza Spartaco, però, si vide subito quanto valevano i ribelli. I barbari che avevano dilaniato la popolazione del sud furono trucidati da una legione. Di 3000 che erano, ne morirono 2000. La testa di uno dei comandanti di Spartaco, parte di quei 78 che riuscirono a scappare da Capua, finì su un piatto d’argento.

Spartaco rimase al comando dell’armata principale di ribelli, e marciava verso nord. I due consoli con le legioni al seguito gli andarono incontro, stringendolo in una morsa: un console gli sbarrò la strada, e l’altro gli chiudeva la ritirata. Ma Spartaco non fece una piega, ingaggiò prima con un console, e poi con l’altro, e li sconfisse entrambi.

A questo punto, Spartaco pareva invincibile. Nessuno riusciva a fermarlo. Appiano dice che pensò pure di muovere verso Roma, per prendere la Città Eterna. Ma naturalmente non lo fece. Sapeva bene che sarebbe stata una mossa suicida. Lui era un ribelle al comando di ribelli. Anche se fosse riuscito a entrare, nessuno lo avrebbe mai sostenuto.

La sua armata adesso contava 120.000 uomini. Ed erano tutti bene equipaggiati. Continuarono a fare spedizioni, e razzie, e a sconfiggere gli eserciti romani. E guadagnarono immensi bottini.

Questa guerra stava durando ormai da troppo tempo. Fu sottovalutata, perché era iniziata come una fuga di 78 gladiatori. Ma adesso era una questione pubblica. Furono proposti nuovi comandanti per sedare la rivolta, ma nessuno si faceva avanti. Troppo pericoloso, soprattutto per la reputazione. Adesso, chi sarebbe partito contro Spartaco doveva vincere. Non erano ammesse altre sconfitte. E l’unico che accolse la sfida fu un console: Marco Licinio Crasso. Colui che di lì a qualche anno avrebbe guidato Roma nel primo triumvirato, assieme a Pompeo Magno e Giulio Cesare. Mica l’ultimo arrivato, insomma.

Partì con 8 legioni, diretto contro Spartaco. E nel prepararsi allo scontro campale, inviò il suo luogotenente, Mummio, con due legioni, con il compito di osservare le mosse del nemico, ma senza attaccarlo in alcun modo. Mummio, però, decise di combattere alla prima occasione e subì una pesante sconfitta. Molti dei suoi uomini furono uccisi, altri riuscirono a salvarsi la vita solo abbandonando le loro armi.

Crasso rimproverò duramente Mummio. Fece riarmare i soldati e chiese loro di dare garanzie che non avrebbero più perso le armi. Poi mise in atto una tremenda punizione. Cinquecento uomini che erano stati i primi a fuggire furono divisi in cinquanta gruppi da dieci e, per ogni gruppo, uno di loro fu scelto a sorte e giustiziato. Crasso mise in atto la decimazione, un castigo terribile che univa alla morte anche un’enorme umiliazione, davanti a tutto l’esercito schierato. La stessa cosa è confermata da Appiano, che incrementa il numero di condannati a ben 4000. Ma i numeri di Appiano, abbiamo visto, sono sempre molto alti.

Crasso prese il controllo delle sue legioni e mosse contro Spartaco. Affrontò 10.000 ribelli che si erano accampati separatamente e lì sconfisse. Sei-settemila di loro furono ammazzati sul campo. Spartaco, a quel punto, cambiò strategia. Il gladiatore tornò verso sud, e nello specifico verso il mare della Calabria. Secondo gli storici, voleva imbarcarsi e raggiungere la Sicilia, dove avrebbe potuto unirsi a una ribellione di schiavi che stavano insorgendo nell’isola. Dice Plutarco, che Spartaco avesse preso accordi con dei pirati, per ottenere un passaggio. Che li pagò pure, ma questi presero i soldi e lo lasciarono lì sulla riva, coi suoi ribelli. Come dei fessi.

Spartaco, allora, si ritirò di nuovo dal mare e si accampò con il suo esercito presso Reggio. Crasso lo raggiunse e, approfittando della conformazione del luogo, decise di costruire un muro che tagliasse in due la penisola. Riuscì a completare quest’opera imponente e difficile in un tempo molto più breve del previsto. Costruì un fossato che andava da un mare all’altro, lungo cinquanta chilometri, largo e profondo quattro metri e mezzo. E sopra il fossato fece costruire un muro incredibilmente alto e solido. 

All’inizio Spartaco non diede peso a questa costruzione e la disprezzò. Ma quando le sue scorte di cibo cominciarono a scarseggiare, si accorse di essere rimasto intrappolato. Cogliendo l’occasione di una notte con neve e tempesta, riempì una parte del fossato con terra e rami e riuscì a far passare un terzo del suo esercito. Passò oltre il muro e andò a nord.

Tra le file romane c’era ancora il sentore che Spartaco fosse in grado di marciare su Roma. Tuttavia, Crasso vide che molti dei ribelli abbandonavano l’eroe gladiatore: l’immenso esercito ribelle perdeva continuamente dei pezzi. Inoltre, arrivò la notizia che Pompeo Magno stava arrivando. A questo punto, Crasso decise che era il momento di farla finita. Se non fosse riuscito a risolvere la cosa alla svelta e, soprattutto, prima dell’arrivo di Pompeo, avrebbe fatto la figura dell’idiota.

Ci fu anche un colpo di scena. Appiano dice che Spartaco avvicinò Crasso per trattare. Negoziare la pace, dopo tutto quel che era successo. Strana mossa, davvero, all’apparena disperata. Qualcosa che non mi aspetterei da Spartaco (per lo meno da come ha agito finora), e non menzionata da Plutarco. Infatti, Crasso rifiutò. Ormai si erano spinti troppo oltre, tutti quanti.

Spartaco si ritirò verso la Puglia, a Brindisi. E Crasso lo inseguì con le sue numerose legioni. Eserciti grandiosi, bene armati e pronti alla battaglia. I ribelli di Spartaco, invece, erano stremati. E il malcontento aleggiava tra le loro file. Forse, la vera causa della sconfitta del gladiatore di Tracia. Gli schiavi che si erano ribellati a Roma, ora si ribellavano pure al loro eroe gladiatore.

Crasso, ansioso di combattere la battaglia decisiva, si accampò molto vicino al nemico e iniziò a costruire un fossato. I ribelli lo videro e, contro ogni ordine di Spartaco, fecero una sortita per attaccare i romani durante la costruzione. Ma il grosso dell’esercito romano non aspettava altro, e si mosse in direzione dei ribelli. A quel punto, quel che era una scaramuccia si trasformò in battaglia, e Spartaco capì che non poteva evitare lo scontro. Schierò quindi l’intero esercito, visto che gran parte aveva già ingaggiato senza il suo ordine.

E qui abbiamo un altro segno glorioso, degno della sua figura leggendaria. Quando gli fu portato il suo cavallo, Spartaco sguainò la spada e lo uccise. Disse che se avesse vinto, avrebbe avuto molti cavalli migliori tra quelli dei nemici, e se avesse perso, non ne avrebbe avuto più bisogno. Lo sapeva, quella era la sua ultima battaglia, nel bene e nel male.

Poi si lanciò direttamente contro Crasso, nel mezzo della mischia più cruenta. Plutarco dice che non riuscì a raggiungerlo, ma uccise due centurioni che gli si scagliarono contro. Ed era una vera impresa, perché il centurione era il cuore dell’esercito, un ufficiale esperto e coraggioso che comandava la centuria, ovvero circa ottanta uomini.

Ma anche un eroe come Spartaco non può nulla contro la marea nemica. Appiano dice che fu ferito alla coscia da un colpo di lancia. Si inginocchiò, alzò lo scudo e respinse i suoi aggressori finché non venne circondato. Continuò a difendersi con coraggio, abbandonato da tutti i suoi compagni, rimasto solo come lo era all’inizio, prima che cominciasse questa epopea. E fu fatto a pezzi. Il resto del suo esercito finì allo sbando, massacrato. 

Difficile stabilire con esattezza le perdite. Perché i ribelli si disgregarono. Scrive Appiano che si rifugiarono in gran numero sulle montagne, organizzati in quattro armate. Crasso li andò a cercare e li catturò. Poi li crocifisse lungo tutta la strada che collegava Roma a Capua.

A conclusione di questa vicenda, scrive Plutarco che Crasso si dimostrò un bravo generale, ma gran parte degli onori, una volta ritornati a Roma, se li beccò comunque Pompeo. Perché quest’ultimo giungeva da una grande vittoria in Spagna. Crasso, invece, aveva vinto una guerra contro degli schiavi ribellati.

A prescindere dalle questioni di politica nell’Antica Roma, sempre raffinate e interessantissime, di Spartaco non si seppe più nulla. Il suo corpo non fu mai ritrovato, presumibilmente fatto a pezzi. Eppure, la sua figura ha un posto d’onore nell’immaginario collettivo, spesso più celebre di quelle di Crasso e perfino di Pompeo. Se chiedi in strada chi fosse Spartaco, probabilmente nove persone su dieci saprebbero rispondere con precisione. Ho i miei dubbi per quanto riguarda gli altri. Dunque, se c’è una storia che è entrata nella leggenda, questa è proprio quella del gladiatore che osò sfidare Roma per la libertà.

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  1. Crasso, Vite Parallele, Plutarco
  2. Appiano (Guerre Civili, 1.116-120)
Lorenzo Manara
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