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22 Agosto 2025

Głogów: L’assedio più crudele della storia

glogow bambini legati a macchine d'assedio

Bambini come scudi umani, legati alle macchine da guerra: l’assedio più crudele della storia (Głogów 1109)

Anno 1109. Siamo a Głogów, nell’odierna Polonia, cinta d’assedio da un esercito imponente. L’assedio medievale è sempre un momento drammatico per coloro che lo vivono, specialmente la popolazione. Ma stavolta, le armi che vengono impiegate sono davvero orride. Perché l’esercito che cinge d’assedio questa città ha deciso di schierare le proprie macchine da guerra per l’attacco decisivo, e farlo in maniera tale da spezzare il morale dei difensori, e al tempo stesso renderli inermi, impossibilitati a difendersi. Perché davanti a quelle macchine da guerra, che avanzano per l’assalto,  sono stati legati dei prigionieri: ovvero bambini, gli stessi figli di quei difensori che stanno lì, sulle mura della città, e adesso si trovano davanti una tragica scelta: arrendersi al nemico e salvare i bambini, oppure combattere, rischiando di uccidere i loro stessi figli, usati dagli avversari come scudi umani.

Questa è la tragedia di Głogów, l’assedio (forse) più crudele della storia.

I dettagli di questa battaglia sono giunti fino a noi grazie al “Gesta principum Polonorum”, una cronaca in latino scritta dal misterioso Gallo Anonimo nel 11131. Il contesto è quello dell’Europa del Sacro Romano Impero, guidato dall’imperatore Enrico V. Un uomo che, stando a questa fonte, non conosceva pietà e aveva un solo obiettivo in quel momento: piegare la Polonia. A capo dei polacchi c’era il duca Boleslao III, che viene dipinto come un giovane guerriero dal carattere fiero e ribelle.

Tutto ebbe inizio quando l’imperatore inviò un’ambasciata a Boleslao con un messaggio che era praticamente una dichiarazione di guerra. Chiedeva la metà del regno, oltre a un tributo annuale di 300 marche, e il diritto di passaggio per l’intero esercito imperiale. La parte più arrogante della richiesta fu la frase finale: “se ti senti abbastanza forte, dividi con me il regno di Polonia con la spada.” Praticamente, o mi dai metà Polonia e mi paghi, o me la prendo tutta.

La risposta di Boleslao fu secca: “Ci considereremmo donne, e non uomini, se non difendessimo la nostra libertà.” Insomma, mica siamo femminucce, noi (capite il contesto, siamo pur sempre nel XII secolo).

E aggiunse che nessun potere straniero l’avrebbe costretto ad accogliere un traditore o a dividere un regno che per sua natura era indivisibile. Boleslao terminò il suo messaggio con un avvertimento che suonò come una campana a morto per l’imperatore: “Bada, quindi, a chi minacci: se inizierai una guerra, la troverai!”

Questa risposta fece infuriare l’imperatore, che invase la Polonia. Credeva che avrebbe ottenuto una facile conquista, ma così non fu.

Quando il suo esercito arrivò alla città di Bytom, l’imperatore rimase deluso. La città era così ben armata e fortificata da sembrare inespugnabile, grazie anche alla sua posizione naturale tra i fiumi. All’inizio dell’assedio alcuni dei suoi cavalieri, desiderosi di mostrare il proprio valore, si avventurarono verso le mura, ma gli abitanti di Bytom non si fecero intimidire. Uscirono a spade sguainate, e affrontarono i cavalieri corazzati con un coraggio tale da sbalordire l’imperatore stesso. Quegli uomini si lanciavano nella battaglia come se nulla fosse. L’imperatore mandò arcieri e balestrieri per sterminarli, ma i polacchi non diedero peso a frecce e dardi, e continuarono a combattere, come se fosse semplice pioggia. Fu a Bytom che l’imperatore si rese conto per la prima volta del vero coraggio dei polacchi. E della loro testardaggine (cosa che riguarderà anche l’episodio successivo, e più tragico, quello dei bambini).

Nel frattempo, il duca di Polonia Boleslao III, sentendo che l’imperatore era entrato in Polonia, partì immediatamente con le forze che aveva a disposizione, per andare a fermarlo. Un esercito misero, e stremato, perché appena uscito da un altro conflitto. Ma la volontà di Boleslao era incrollabile. Ordinò di bloccare tutti i guadi e i passaggi sul fiume Odra, e inviò un gruppo di cavalieri in avanscoperta a Głogów, per resistere all’imperatore abbastanza a lungo da permettere l’arrivo di Boleslao stesso con tutto il resto dell’esercito. Boleslao si fermò a poca distanza da Głogów, per raccogliere informazioni, incontrare ambasciatori e attendere l’arrivo delle sue truppe e dei suoi alleati, i ruteni e gli ungheresi.

A questo punto, con l’arrivo dell’esercito di Boleslao, l’imperatore che stava ancora assediando la città propose un patto con i difensori. Costui avrebbe cessato le ostilità per cinque giorni, al termine dei quali ci sarebbe stato un incontro per discutere un eventuale accordo; un modo, insomma, per risolvere la questione diplomaticamente. A garanzia del patto, però, l’imperatore voleva degli ostaggi, ovvero i figli dei nobili polacchi, che abitavano a Głogów. Un patto che fu accolto positivamente dai cittadini polacchi. Perché l’assedio li aveva messi in condizioni disastrose, e cinque giorni di tregua erano una manna dal cielo. Poi, al termine della tregua, stando agli accordi avrebbero ripreso gli ostaggi, a prescindere dall’esito dell’incontro diplomatico. Insomma, per loro erano cinque giorni in più, guadagnati.

L’imperatore, però, aveva in mente tutt’altro. Costui, prendendosi gli ostaggi, sapeva bene di guadagnare una posizione di forza. Perché al termine dei cinque giorni, avrebbe potuto benissimo tenerseli, quelli ostaggi, e usarli come leva per le trattative. Cosa che avvenne, in maniera impensabile e orripilante, come vedremo fra poco.

Insomma, il patto tra l’imperatore e gli abitanti di Głogów fu stipulato. Ora, intendiamoci, i polacchi non erano degli ingenui sprovveduti. Io credo che loro fossero chiaramente a conoscenza dei rischi di una simile operazione. Mandare degli ostaggi, era sempre una scelta drammatica. Perché non si poteva mai sapere se sarebbero tornati indietro. La decisione quindi, fu dettata più dalla necessità. Di fatto, sono portato a pensare, che i polacchi erano disposti a tutto pur di resistere, e che per ottenere quei maledetti cinque giorni in più, acconsentirono persino a consegnare i propri figli.

Fuori città, accampato col suo esercito, vi era però il duca di Polonia, Boleslao. Non si capisce bene che ruolo abbia avuto nelle trattative di questo patto. Stando alla cronaca parrebbe che non fosse stato interpellato inizialmente, e che una volta venuto a sapere della cosa, si fosse dimostrato assolutamente contrario, e che chiese agli abitanti di ritirare tregua e ostaggi, minacciando di impiccare chiunque avrebbe preso ulteriori accordi con l’imperatore per cedere la città. Le sue parole furono durissime, a tal proposito, perché disse che sarebbe stato più onorevole per i cittadini e per gli ostaggi morire per la patria piuttosto che vivere una vita di disonore sotto il dominio straniero. Lui aveva una tremenda paura che i cittadini si accordassero segretamente con l’imperatore, senza dirgli niente. Cosa che nella storia degli assedi, avveniva non di rado.

In ogni caso, i cinque giorni passarono. La città venne fortificata, i difensori tirarono il fiato. E poi, al sesto giorno, andarono dall’imperatore a chiedere gli ostaggi indietro, senza consegnare la città, naturalmente. Perché il duca Boleslao non voleva. E, naturalmente, l’imperatore mise in atto il suo piano.

“Vi ridarò gli ostaggi quando cederete la città. Se opporrete resistenza, eliminerò voi e gli ostaggi”. Come volevasi dimostrare. A questo punto, però, la reazione dei polacchi fu un’altra prova di coraggio: “Puoi macchiarti di spergiuro e omicidio, ma sappi che in questo modo non otterrai ciò che chiedi!”

E quindi, visti i toni, lo scontro fu inevitabile. L’imperatore ordinò l’assalto.

Macchine d’assedio, legioni in assetto da guerra, e il suono delle trombe che annuncia l’attacco. L’assalto parte all’unisono, un inferno di ferro, fuoco e macchine d’assedio (che vengono brevemente menzionate in seguito, nella cronaca, ovvero coperture di legno, per proteggersi dai dardi, e arieti, scale). Gli abitanti non si fanno trovare impreparati. Si dividono, rafforzano le difese e si armano di tutto, dalle pietre alle provviste d’acqua per i turni di guardia.

L’imperatore, però, aveva in mente un piano. Convinto che il cuore di un genitore fosse più forte di qualsiasi fortezza, fece legare alle macchine d’assedio che avanzavano contro la città gli ostaggi più nobili, compreso il figlio del conte. Immaginava che i difensori avrebbero aperto le porte senza combattere, senza spargimento di sangue. Un piano diabolico, degno di un signore oscuro da Signore degli Anelli. Ma si sbagliava. Quegli abitanti, animati da un coraggio e una determinazione fuori dal comune, fecero la scelta che nessun genitore vorrebbe mai prendere: per salvare la città, rinunciarono alla salvezza dei propri figli.

Gli abitanti di Głogów non esitarono a lanciare pietre e armi per respingere i loro stessi figli e parenti. Dopotutto si trattava della sopravvivenza della comunità, sacrificarne pochi, per salvarne molti di più. Un dilemma narrativo potentissimo, che io che scrivo romanzi non posso che prendere d’ispirazione. Nel mio libro storico-fantasy, La Stirpe delle Ossa, il signore del castello di Malarocca si trova a dover compiere una scelta tragicamente simile; decisione che riguarda addirittura il proprio figlio. Si dice, a volte, che la storia vera supera la fantasia, ed è proprio vero.

O dentro o fuori: questa era la tragica regola di Głogów. E chi era fuori doveva restare tale. Gli abitanti polacchi erano decisi a difendere la loro terra a ogni costo.

Capito che il suo piano diabolico non aveva funzionato, l’imperatore decide di agire con la forza bruta. L’attacco si fa ancora più feroce, e l’aria si riempie di un grido potente. Macchine che scagliano massi, frecce che saettano.

L’esercito dell’imperatore assale con le macchine, e i polacchi rispondono con pietre e dardi. Quando gli attaccanti si avvicinano con le loro coperture di legno, i polacchi li accolgono con tizzoni ardenti e acqua bollente. Se gli assalitori usano gli arieti di ferro, i difensori fanno rotolare giù “ruote chiodate”, degli oggetti da scagliare giù, pesanti, muniti di chiodi acuminati. E quando vengono appoggiate le scale, i difensori usano degli uncini di ferro per agguantare gli assalitori, e far loro perdere l’equilibrio. 

In tutta questa descrizione, però, dei bambini non si fa più alcuna menzione. Non si sa se per tacere del loro orrido sacrificio, o perché, magari, non ebbero alcun ruolo un tutto questo. C’è da immaginare, però, che se quei bambini fossero stati legati alle coperture di legno degli arieti, ad esempio, si sarebbero presi in pieno i tizzoni ardenti, le pietre e l’acqua bollente rovesciata giù dai difensori. Dai loro concittadini. Dai loro genitori.

L’assedio proseguì, così. Ma nel frattempo, il duca di Polonia Boleslao fece di tutto per sfiancare l’esercito dell’imperatore. Lo attaccò di sorpresa, ai fianchi, nelle retrovie. Giorno e notte, senza mai riposare. Boleslao lanciava imboscate, metteva scompiglio, e non lasciava un attimo di respiro al nemico. 

La paura divenne una presenza costante, tra le file degli uomini dell’imperatore. Boleslao li tormentava senza sosta, rapendo pochi uomini alla volta come un lupo. I cavalieri erano costretti a marciare tutto il giorno con l’armatura completa, perché si aspettavano di vederlo spuntare da un momento all’altro. Persino di notte, dormivano con le cotte di maglia, o facevano la guardia. Urlavano, “Vegliate, state in guardia, fate attenzione!”.

Boleslao era instancabile, tanto da guadagnarsi il soprannome che potremmo tradurre più o meno come il “Senzasonno”.

L’imperatore lanciò altri assalti alla città, per conquistarla. Ma tutti quei giorni d’assedio, e gli attacchi di Boleslao, avevano messo alla prova anche il suo esercito, seppur grandioso. E i corpi dei suoi soldati venivano ammucchiati in cumuli sempre più alti: l’unico “tributo” che l’imperatore riuscì mai a ottenere dalla Polonia.

L’esito finale di questa vicenda, però, l’episodio centrale che riguarda i bambini, è avvolto nel mistero. La principale fonte storica, la cronaca di Gallus Anonimus, non chiarisce esplicitamente il destino ultimo degli ostaggi. L’autore si limita a descrivere la brutale tattica dell’imperatore e la coraggiosa resistenza dei polacchi, ma non specifica se i bambini fossero rimasti uccisi tutti o magari sopravvissero. Chi fossero, cosa accadde dopo… non sappiamo nulla.

Tuttavia, questa storia è stata raccontata nei secoli a venire. Il sacrificio di quei bambini, la tragica scelta dei loro genitori, e l’incredibile resistenza polacca sono stati onorati persino con un monumento. Oggigiorno se andate a Głogów, potete osservare una scultura imponente che raffigura proprio dei bambini sulla cima di una sorta di torre d’assedio, rappresentata in maniera moderna. Il monumento ai bambini. Non solo un omaggio all’evento storico, ma un eterno ricordo del costo della guerra e del valore inestimabile della libertà.

Se la storia dell’assedio di Głogów vi ha affascinato, vi ricordo di iscrivervi al canale YouTube. E le storie non finiscono qui, perché tutta la passione e la ricerca che avete scoperto in questo e altri episodi le ho riversate nel mio romanzo: “La Stirpe delle Ossa”. La storia di un cavaliere costretto a lottare con tutto sé stesso per salvare la sua famiglia.

Lo trovate in tutte le librerie, da cui potete ordinarlo senza problemi, e pure online. Mi raccomando, non perdetelo. Ciao!

  1. Gesta principum Polonorum Cronicae et gesta ducum sive principum Polonorum, Gallus Anonimus
Lorenzo Manara