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14 Novembre 2025

Giovanna la Fiammeggiante: una Condottiera Dimenticata

giovanna la fiammeggiante

Giovanna la Fiammeggiante (Giovanna di Fiandra). La disperata difesa all’assedio di Hennebont.

La città è sotto assedio. L’esercito nemico assalta le mura: l’obiettivo è entrare, saccheggiare e ammazzare. Sembra tutto perduto quando tra le strade si sente un grido femminile, forte. Una donna in armatura galoppa su un cavallo da guerra, con una torcia fiammeggiante in pugno. E dietro di lei trecento cavalieri, pronti a uscire dalle mura per combattere, in un ultimo disperato tentativo. Lei è la contessa di Montfort, e in quel preciso istante si sta guadagnando il soprannome che passerà poi alla storia: Jeanne la Flamme, ovvero Giovanna la Fiammeggiante.

Quella che voglio raccontarvi oggi è una storia incredibilmente affilata, la cui protagonista è una donna forte, che incarna i più alti valori della cavalleria medievale. Una guerriera la cui energia, il cui fuoco interiore permise di portare avanti un’estrema e disperata difesa, fino alla fine. Una cronaca narrata da uno storico francese del XIV secolo, Froissart1 nel grande contesto della Guerra dei Cent’anni tra Francia e Inghilterra. Una moltitudine di guerre, in realtà, piene di personaggi famosissimi, come lo fu l’altra Giovanna, ben più famosa, quella che molti di voi hanno subito immaginato quando ho descritto una donna in armatura: Giovanna d’Arco. Io, però, in Leggende Affilate preferisco parlare di personaggi meno conosciuti, che in certi casi sono praticamente ignorati dal grande pubblico, come se fossero dimenticati. In questo caso, mi riferisco alla contessa di Montfort, Giovanna di Fiandra, detta la Fiammeggiante.

Perciò, cominciamo la storia dall’inizio, ovvero dal motivo per cui questa donna così incredibile si trovò a condurre l’esercito in una situazione mortale.

Siamo nel 1329, Giovanna, figlia di gran signori francesi, si sposa con un altro gran signore francese Giovanni di Montfort. Costui sarebbe tecnicamente l’erede al titolo di Duca di Bretagna, e Giovanna dovrebbe tecnicamente diventare duchessa di Bretagna. Molto più che contessa, insomma, si parla del comando di un’intera regione. Se non fosse, che qualcuno si oppose a questa eredità. Un’altra grande casata, quella di Blois.

E come al solito, questa contesa su chi dovesse ereditare il ducato sfociò in una faida tra le due grandi famiglie, le quali cercarono appoggio presso altre famiglie, le quali radunarono eserciti che si schierarono per una bella guerra: la guerra di successione bretona. Guerra che poi fu tra le cause che scatenarono altri cent’anni di conflitti tra le due superpotenze medievali dell’epoca: Francia e Inghilterra. Un’escalation intensa, insomma. Ma come mai? Perché entrarono in gioco pure i regni di Francia e Inghilterra?

Perché si parlava di una regione importante, che si trovava in una posizione strategica fondamentale. Mettere le mani sulla Bretagna era la priorità per tutti. Dunque, il re di Francia appoggiò la casata di Blois, e il re d’Inghilterra, invece, appoggiò Giovanni di Montfort. Entrambi promettendo supporto militare per risolvere la disputa. Si stava per arrivare pesantemente alle mani. Inizialmente, però, si tentò la via diplomatica. Giovanni di Montfort, soprattutto, il marito di Giovanna, volle evitare la guerra e chiese un incontro col Re di Francia. Il re, che aveva preso le parti del nemico, promise che Giovanni sarebbe stato al sicuro e lo invitò a Parigi per discutere.

Ma fu una trappola! Appena arrivato, Giovanni fu imprigionato e i tribunali francesi dichiararono eredi legittimi i rivali di Blois. Bastardi!

A questo punto, la moglie Giovanna rimase sola. Ma quel che la rende unica in quel periodo storico, è il fatto che non stette ferma a guardare. Suo marito era in prigione, ma lei non volle cedere. Dichiarò subito il figlio, ancora un neonato, come  legittimo erede al ducato di Bretagna, prese il comando di un esercito, e scatenò una guerra di successione.

Nel 1342 gli avversari di Giovanna, guidati da Carlo di Blois, detto “il Santo”, si lanciarono dritti contro la città di Hennebont., dove Giovanna aveva dato inizio alla resistenza. Ed ebbe inizio un sanguinoso assedio. Giovanna era aveva radunato l’esercito, ma in quel momento era in netta inferiorità numerica. I nemici, infatti, godevano dell’appoggio del re di Francia. Lei aveva bisogno di un aiuto di pari valore, e diede subito l’incarico a un messaggero di recarsi in Inghilterra.

Il re d’Inghilterra fu contentissimo d’intervenire militarmente, perché quello era il pretesto ideale per mettere le mani su un importante territorio francese. Organizzò rifornimenti e navi per spezzare l’assedio, ma tale contingente doveva attraversare il mare,e sbarcare, e poi raggiungere il castello. Ci voleva molto tempo, insomma. Tempo che Giovanna mancava.

Perché le truppe nemiche erano alle porte, accampate fuori dalle mura, pronte a lanciare l’attacco. L’allarme risuonò: la campana della guardia diede il segnale e i difensori corsero ad armarsi e si recarono alle palizzate fuori città. Perché Giovanna aveva predisposto delle ulteriori difese, con fossati e palizzate, fuori dalle mura. Per meglio fortificare la propria città.

Ad attaccare per primi furono dei mercenari che i Blois avevano condotto con loro, per rompere il ghiaccio. Si trattava di italiani. E nello specifico genovesi. I temibili mercenari genovesi armati con strumenti micidiali, che i regnanti di tutto l’occidente strapagavano fior di monete d’oro, vista la loro efficacia: le balestre. E poi si dice che gli italiani sono dappertutto, nel mondo, era vero già nel medioevo.

I balestrieri genovesi si schierarono per primi e tirarono contro i difensori. Un attacco che mirava a sfoltire le file e fiaccare il morale con una letale tempesta di dardi. Giovanna però spronò i suoi a reagire, ordinando un contrattacco che costrinse i balestrieri a ritirarsi. E il primo giorno d’assedio terminò così. Ma era solo l’inizio. Il secondo giorno vide di nuovo la stessa tattica, con gli assedianti che punzecchiavano i difensori e si ritiravano. Infine, il terzo giorno, Carlo di Blois, il Santo, ordinò un vero e proprio attacco in massa.

Combatterono dalla mattina fino a mezzogiorno alle barricate fuori dalle mura, tra il fango e il sangue. Ed è qui che cominciano le prime imprese di Giovanna la Fiammeggiante.

Come un’eroina delle saghe epiche, indossò l’armatura completa, montò su un grande e potente cavallo da guerra e cavalcò di strada in strada, incitando i suoi uomini a resistere. Una visione che tenne alto il morale degli uomini, decisi a non fare un singolo passo indietro. Ma non solo. Giovanna organizzò le donne della città, ovvero quella parte di popolazione che tendenzialmente viene messa da parte durante i combattimenti veri e propri, relegata a ruoli di supporto fondamentali, come gli approvigionamenti o le cure. Ma in quel frangente Giovanna voleva che tutti si dessero da fare in prima linea, donne comprese.

Ordinò che dame e popolane smantellassero le strade (despecer les chaussees) e portassero quelle pietre fin sui merli delle mura. Lo scopo? Gettarle addosso ai nemici che assediavano la fortezza. Inoltre, fece in modo che le donne portassero vasi pieni di calce viva da lanciare giù dalle mura contro i nemici. Un materiale che, se miscelato con acqua, genera una reazione ustionante. 

Giovanna, insomma, guidava la difesa come un gran condottiero, decidendo pure al livello tattico cosa era meglio fare. E ne diede prova nella sua prima grande impresa, quello stesso giorno. Mentre il nemico attaccava senza posa, Giovanna si arrampicò fino alla cima di un’alta torre. Da lassù voleva sapere esattamente come era schierato l’esercito che assediava la sua città. Ed è proprio da quell’altezza che si rese conto del punto debole del nemico: si accorse che l’intero esercito assediante aveva lasciato l’accampamento per lanciare l’assalto. Stavano concentrando tutte le loro energie in un unico punto, lasciando sguarnite le retrovie.

Allora, lei non ha un attimo di esitazione. Era già armata, con l’armatura indosso, e aveva pure il cavallo da guerra sellato, perciò ordina immediatamente a trecento uomini a cavallo di tenersi pronti. Ma non per fare quel che vi aspettereste tutti. Bensì qualcosa di diverso.

Il piano è geniale: invece di gettarsi nella mischia dove l’assalto era in corso, si dirige verso un’altra porta della città, una che non era sotto attacco e quindi meno sorvegliata. Lei e la sua compagnia escono senza problemi e si lanciano nell’accampamento nemico rimasto praticamente indifeso.

L’azione è rapidissima e devastante: i suoi cavalieri irrompono tra le tende, le fanno a pezzi e danno fuoco a tutto l’accampamento. Non incontrano resistenza, perché erano rimaste le riserve e tutti i vari lavoratori che seguivano gli eserciti medievali e si occupavano della logistica, di tutto il sostentamento necessario a mantenere in piedi la macchina della guerra. Una macchina della guerra che non può sopravvivere d’aria, e Giovanna lo sapeva bene.

Il fumo denso e le fiamme che si alzano sono un segnale impossibile da ignorare. Quando i soldati, impegnati nell’assalto alle mura, si voltano e vedono il loro campo in fiamme e sentono l’urlo e il clamore, capiscono subito d’essere stati fregati. 

Il risultato? L’intero l’assalto alle mura viene interrotto di colpo. I soldati del santo devono ritirarsi in fretta e furia per salvare quello che potevano dal fuoco, costretti a interrompere la loro offensiva per colpa del raid di una singola, ma fiera, donna guerriera. Donna che, a questo punto, si guadagna il soprannome di Giovanna la Fiammeggiante. Proprio perché, torcia in pugno, guidò i suoi 300 cavalieri in un’impresa straordinaria, che ribaltò le sorti dell’assedio. 

Però, c’è un problema. Adesso lei e i suoi cavalieri si trovavano in una situazione critica. Dovevano rientrare in città, ma il nemico non era stupido e si era schierato per tagliarli fuori. Provare a passare, avrebbe dato inizio a un bagno di sangue, troppe perdite inutili per i suoi uomini. Così, Giovanna raduna in fretta i suoi trecento cavalieri e prende una decisione strana quanto fulminea: dirigersi verso il castello di Brest, che non era molto distante. Un castello che avrebbe fatto loro da rifugio sicuro: quello era l’obiettivo.

Nel frattempo, in un campo di battaglia avvolto da fuoco e fiamme e nuvoloni di fumo nero, laddove le tende dei nemici stanno bruciando, i Blois si accorgono che la Contessa abbandona in fretta il campo. Sta fuggendo. E allora i suoi avversari non ci pensano due volte: inseguiamola e facciamola prigioniera. Così la guerra avrà fine.

Un gran numero di cavalieri parte all’inseguimento. Giovanna e i suoi sono braccati. E vengono raggiunti, la retroguardia di quei 300 cavalieri, coloro che per un motivo o per l’altro restano indietro, finiscono uccisi.

Ma Giovanna la Fiammeggiante prosegue la sua corsa, al galoppo. Non si ferma, perché altrimenti morirebbero tutti. Lei e la maggior parte dei suoi continuano a cavalcare con una velocità e una resistenza incredibili, lasciandosi alle spalle il pericolo. Alla fine riescono a raggiungere il Castello di Brest, dove vengono accolti con gioia. 

A quel punto, il Santo era furioso. Avevano perso tende e provviste, diviso l’esercito a giro per mezza Bretagna. E, soprattutto, era stato beffato da una donna. Non gli rimaneva che proseguire quel che aveva iniziato. Tornare alla città di Hennebont per riprendere l’assedio, e rifarsela con la popolazione. Infatti, all’interno della città assediata, tutti erano in preda al panico. Anche perché gli abitanti non avevano idea di che fine avesse fatto la loro Contessa. Passarono ben cinque giorni senza notizie, con i nemici che continuavano ad assaltare le mura. E i difensori non sapevano come fare a resistere, perché avevano perso 300 cavalieri e la loro condottiera, tutti fuggiti per salvarsi. La tensione era altissima.

Ma all’alba del sesto giorno, quasi come Gandalf ne Il Signore degli Anelli, un contingente di cavalieri comparve alle porte della città, guidati proprio da lei: Giovanna la Fiammeggiante. Erano cinquecento cavalieri, ovvero i 300 partiti giorni prima più 200 di rinforzo da Brest, che avevano cavalcato tutta la notte, nel buio, per aggirare il nemico che poneva la città d’assedio e raggiungere silenziosamente le porte. Gli abitanti li fecero entrare e Giovanna coi suoi cavalieri irruppero dentro la città con un fracasso incredibile, suonando trombe e corni da guerra.

L’esercito nemico si svegliò con quel baccano. E non appena si resero conto di ciò che stava succedendo, si armarono in fretta e furia e si precipitarono verso le mura della città per un assalto furioso. Ma gli assediati, rinvigoriti dall’arrivo della Contessa e dei rinforzi, erano pronti a difendersi.

Iniziò una battaglia feroce che durò fino a mezzogiorno. I francesi persero molti più uomini di quanti ne persero i difensori. A mezzogiorno, l’assalto cessò. I capi francesi si riunirono per decidere cosa fare.

Capirono che non potevano più guadagnare nulla attaccando direttamente Hennebont. Stavano sprecando troppe risorse e, soprattutto, tempo. Ricordate che Giovanna aveva chiesto aiuto agli inglesi? Ecco, quelli erano in viaggio e presto sarebbero arrivati.

Così gli assedianti, visto che avevano il supporto del re di Francia, decisero di darci dentro duramente: mandarono a prendere dodici grandi macchine d’assedio, probabilmente trabucchi, e le montarono intorno alla città. Il loro scopo era tirare una fitta sassaiola costante, giorno e notte, sfiancando i difensori. Le mura col passare dei giorni, diventarono così danneggiate che il morale dei difensori scese sotto i piedi. Finora se l’erano cavata bene, ma l’assedio sembrava non finire mai e anzi andava sempre peggio. Gli uomini di Giovanna cominciavano a perdere ogni speranza.

Ed entra in scena pure un personaggio subdolo: il vescovo di Léon che cominciò a seminare zizzania in città, predicando la resa. E il cronista implica anche che tale Vescovo fosse corrotto, poiché voleva convincere i difensori a cedere la città e il castello al nemico, con la promessa di salvacondotto e salvaguardia dei beni: soldi, insomma.

Giovanna, che non era affatto stupida, capì subito che c’era puzza di tradimento. Convocò i cavalieri e disse loro di non cedere alla paura, perché era convinta che avrebbero presto ricevuto rinforzi dall’Inghilterra. Ma nonostante le sue imprese, e la sua figura carismatica, i massi scagliati dai trabocchi continuavano a martoriare la città, rimbombando di strada in strada. E le parole del Vescovo sul pericolo incombente fecero breccia. All’alba i cavalieri della città si riunirono per il consiglio di guerra. Perché erano a un passo dal cedere. Giovanna era ormai messa da parte, le sue parole non contavano più nulla. Presto gli uomini avrebbero preso il comando, e probabilmente lei sarebbe finita molto male.

Giovanna, mossa da chissà quali pensieri, si allontanò dai suoi cavalieri e si affacciò a una finestra del castello che dava sul mare. Quello che vide la fece sorridere per la gioia. Vele bianche squarciavano l’orizzonte, una moltitudine. I rinforzi dall’Inghilterra stavano arrivando.

Tutti i difensori corsero sulle mura. Una flotta immensa di navi grandi e piccole, a vele spiegate, stava navigando verso Hennebont. In totale erano passati sessanta giorni dalla richiesta d’aiuto, e quella flotta era stata ostacolata dai venti contrari, rischiando quasi di non arrivare in tempo. Ma invece, adesso, era lì, proprio nel momento più disperato.

L’assedio, così, fu spezzato. I Blois se ne andarono e Giovanna la Fiammeggiante rimase sulle sue mura, con l’armatura indosso e la spada in pugno, vincitrice indiscussa di questo frammento di guerra. Si tratta di una cronaca, come sempre, un tantino romanzata, e certi dettagli non coincidono incrociando le fonti, soprattutto l’arrivo inglese, che stando ad altri autori sarebbe stato ben più piccolo. Oltre al fatto che i francesi avevano perso interesse per quello specifico assedio, spostando i loro sforzi su altre città da conquistare. Resta però la gloria di un’impresa straordinaria che merita d’essere ricordata. Un personaggio storico che sono felice di aver portato in Leggende Affilate, perché non deve essere assolutamente dimenticato.

Tutto il lavoro di ricerca e documentazione dietro a queste storie fa da ispirazione per i miei romanzi storico-fantasy, “La Stirpe delle Ossa” e “La Canzone dei Morti”.

Li trovi ORA nelle librerie e online. Grazie mille e alla prossima!

  1. “Cronache” di Jean Froissart (Libro I, relativo all’assedio di Hennebont nel 1342)
Lorenzo Manara