LEGIONARI in CINA? L’Esercito Perduto di Roma

10.000 legionari romani scomparvero dopo la disfatta di Carre. La loro storia finisce in Cina?
Nel 53 a.C. sette legioni romane finirono massacrate. 20.000 morti. 10.000 prigionieri. L’Impero dei Parti annientò l’esercito di Roma in una battaglia epocale. Ma questa sconfitta è solo l’inizio di una grande storia. La storia di quei 10.000 legionari fatti prigionieri, che per quasi vent’anni scomparvero nel nulla. Non si seppe più nulla di loro. Finché, a migliaia di chilometri di distanza, le cronache cinesi registrarono un dettaglio molto strano: una formazione difensiva simile alla testuggine romana, avvistata in una battaglia dall’altra parte del mondo.
Oggi, in questo nuovo episodio di Leggende Affilate, scopriremo l’affascinante teoria della legione perduta, protagonista di uno scontro ai confini dell’antica Cina.
La storia inizia con la disfatta di Carre, nell’odierna Turchia. Al termine di questa grande battaglia della storia, il campo era praticamente un mattatoio. I legionari di Roma erano intrappolati tra la sabbia, la polvere e le frecce dei terrificanti arcieri a cavallo del nemico numero uno di allora: l’impero dei Parti. Un impero che si estendeva su gran parte dell’Iran e della Mesopotamia, famoso per la sua temibile cavalleria, e soprattutto gli arcieri a cavallo.
I legionari, infatti, si trovarono bloccati in uno stallo mortale, che impediva loro di prendere qualsiasi decisione: restare compatti in formazione significava morire lentamente, sotto la tempesta di dardi; assaltare il nemico, invece, significava inseguire dei cavalieri che non stavano mai fermi e continuavano a tirar frecce anche mentre fuggivano, veloci, irraggiungibili. Si trattava di una tattica militare spietata, quella dei Parti, che in quel frangente specifico i romani non riuscirono a contrastare.
Dice Plutarco che le punte di freccia dei Parti erano uncinate, e se provavi a toglierle, ti squarciavi da solo. I legionari sotto il tiro nemico, insomma, venivano massacrati senza alcuna possibilità di reagire. Non c’era scampo.
Il bilancio della battaglia di Carre fu devastante: 20.000 Romani morirono sul campo. Altri 10.000 furono fatti prigionieri. 10.000, ovvero più di una legione intera. Soldati di cui non si seppe più nulla, svaniti tra le sabbie del deserto… oppure no.
Perché a quasi due decenni di distanza, le cronache cinesi suggeriscono una conclusione completamente diversa. Una conclusione che condusse quei 10.000 legionari a combattere in Asia, nelle terre più lontane da Roma.
A parte Plutarco, altri storici romani hanno narrato l’epilogo della disastrosa battaglia di Carre. Nessuno però spiega dove siano finiti questi 10.000 uomini. Si può intuire che siano stati fatti schiavi, sparsi per il Vicino e il Medio Oriente, rivenduti, integrati negli eserciti locali, ammazzati… non si sa. Sembrava un mistero irrisolto, finché nel Novecento non saltò fuori uno strano dettaglio proveniente dal Libro degli Han, una monumentale storia cinese che copre la dinastia Han occidentale fino al I secolo. In un frammento dell’opera viene descritto l’avvistamento da parte dei cinesi di alcuni mercenari stranieri che si avvalevano di una strana formazione militare definita “a scaglie di pesce”, dagli osservatori cinesi. E questo ha fatto balzare gli storici sulla sedia. In che senso una formazione a scaglie di pesce? Vuol dire forse che tali mercenari stranieri formavano una sorta di muro di scudi? E quale di questi muri era rinomato per la sua composizione che poteva sembrare a scaglie? Esatto, proprio loro, i legionari romani con la celebre testuggine.
Ed ecco che l’ipotesi è presto fatta, quelli menzionati in Cina non erano mercenari qualunque, bensì nientemeno che i superstiti dell’armata di Crasso sconfitta a Carre. I superstiti della legione perduta.
A formulare questa teoria è stato un americano, Homer H. Dubs 1, di cui voglio parlarvi perché estremamente interessante per i suoi risvolti avventurosi.
Partiamo dall’inizio di questo frammento di storia cinese, ovvero dal 36 a.C. circa vent’anni dopo la tragedia di Carre. Dall’altra parte del mondo il Protettore Generale delle Regioni Occidentali Cinesi voleva compiere una spedizione contro un nemico che minacciava i confini del suo regno: lo Shan-yü, ovvero il capo di una popolazione nomade della steppa che a lungo tempo nella storiografia è stata ritenuta alle origini di un impero nomade che secoli più tardi avrebbe devastato l’Occidente: sì, mi riferisco agli Unni di Attila. Ecco, qui siamo davvero molti secoli indietro nel tempo, e non è stata dimostrata una discendenza diretta, ma è probabile che questi nomadi siano in parte “antenati” degli Unni.
Lo Shan-yü era il capo di questi nomadi, nemici della Cina. Lo dico subito, perché so già che molti di voi lo staranno pensando: sì, Shan Yu è l’antagonista del film d’animazione Disney “Mulan”, ovvero il capo di un esercito unno che invade la Cina. Evidentemente, questa è stata una delle ispirazioni storiche per gli autori Disney, come spesso fanno, attingendo a diverse storie e fonti, anche distanti tra loro nei secoli.
Insomma, lo Shan-yü riportò numerose vittorie e col suo esercito si stabilì ai confini dell’impero cinese, tra Kazakistan e Kirghizistan, costruendo persino una capitale fortificata da cui cominciò a esigere tributi. Il suo obiettivo era la formazione di un nuovo impero. Tutto questo ai cinesi non andava giù.
Radunarono l’esercito cinese già stanziato nelle Regioni Occidentali, aggiunsero anche le forze ausiliarie, ovvero soldati provenienti dagli stati che erano vassalli o protetti della Cina. E l’armata partì, pronta ad affrontare questo antenato di Attila e, forse, una sconosciuta minaccia venuta da Occidente.
Le truppe cinesi compiono una marcia lunghissima, circa mille miglia, un viaggio estenuante. Arrivano davanti alla capitale nemica, ed è qui che arriva il colpo di scena, quel che interessa a noi, oggi. All’inizio dell’assalto, fuori dalle mura della città, si racconta che vi erano più di cento fanti, schierati su entrambi i lati del cancello in una formazione a squame di pesce.
Ora, questa “formazione a squame di pesce” implica che i soldati si stringessero, sovrapponendo i loro scudi come le squame di un pesce, un vero e proprio muro difensivo. Un’azione del genere, eseguita sotto il fuoco nemico, richiede una disciplina elevata, il tipo che si trova solo in un esercito professionale.
A quell’epoca, dicono i promotori di questa ipotesi, gli unici soldati professionisti di cui si conoscono formazioni regolari erano i Greci e i Romani. Gli scudi dei falangiti macedoni però erano tondi e piccoli, non si prestavano a una sovrapposizione efficace. Invece, i legionari romani usavano grandi scudi, perfetti per incastrarsi e formare una protezione compatta contro i dardi. Quel che tutti noi conosciamo benissimo come la formazione a testuggine.
Quindi, la domanda è inevitabile e affascinante: stiamo forse parlando di una tattica romana che, vista frontalmente, da soldati cinesi che non avevano mai visto niente di simile assomigliava a quelle squame? E, soprattutto, cosa ci facevano dei legionari romani nel cuore dell’Asia Centrale, a migliaia di chilometri da Roma, al servizio di uno Shan-yü?
Qui, torniamo alla disfatta di Carre, e ai 10.000 legionari romani presi prigionieri al termine del massacro. Si dice che i Parti li avessero deportati in un’antica regione dell’attuale Turkmenistan, in Asia Centrale, per usarli come guardie di frontiera.
Un viaggio di quasi duemilaquattrocento chilometri, una marcia forzata da Carre fino a questa regione così remota. Quanti di loro arrivarono effettivamente non lo sapremo mai. Sia gli storici romani che quelli greci smisero di parlare di loro dopo la sconfitta, un silenzio tombale sulla sorte di quei legionari perduti. Solo il poeta Orazio azzardò un’ipotesi avvincente, ma senza certezze: forse, quei Romani si erano stabiliti in quei luoghi lontani, avevano sposato donne “barbare” e avevano finito per servire come soldati proprio negli eserciti dei loro nemici, i Parti.
Ed ecco l’aggancio che cerchiamo. Dopotutto questi prigionieri erano soldati professionisti. Per loro, l’opportunità di servire come mercenari era un’occasione d’oro per sopravvivere. Roma era lontana, ma le loro capacità di combattenti corpo a corpo – i migliori al mondo – erano una merce preziosa in ogni angolo del globo conosciuto. E l’occasione, forse, si presentò qualche anno dopo, a quasi ottocento chilometri di distanza dal confine partico. Dove sorgeva la capitale del nuovo impero dello Shan-yü. Un capo che era in guerra nientemeno che con la Cina e che aveva disperatamente bisogno di soldati.
Ed ecco che il cerchio si chiude. Le notizie, i sussurri, gli scambi commerciali portarono la voce del suo bisogno di truppe agli esuli romani, bloccati sul confine partico. E a una probabile alleanza militare. I romani della legione perduta di Crasso furono ingaggiati dallo Shan Yu, per proteggere la sua capitale dall’imminente attacco dell’esercito cinese.
Un’ultima battaglia, in uno degli angoli più remoti del mondo allora conosciuto.
Da una parte, al fianco dei superstiti della legione perduta, vi erano guerrieri nomadi che usavano l’arco a cavallo, e lo facevano in modo sublime, i guerrieri di Shan Yu. Erano temuti, proprio come i Parti. Dall’altra parte, però, i Cinesi avevano in serbo un asso nella manica tecnologico: la balestra.
Non era una balestra qualunque, ma un’arma così potente che per caricarla ci voleva un’impresa: un guerriero doveva sdraiarsi a terra, spingere con i piedi contro l’arco e tirare la corda con mani e braccia, sfruttando tutta la forza del suo corpo. Per gestire un tale mostro di potenza, i Cinesi avevano inventato un meccanismo di scatto, il grilletto, di un’efficacia incredibile.
Questa balestra non solo era precisissima, ma superava in gittata qualsiasi arma mobile avessero gli altri eserciti. I suoi dardi, si dice che fossero in grado di trapassare scudi e armature senza problemi.
Quando i Cinesi attaccarono la città dello Shan-yü, sapevano bene come annientare il nemico: ovvero con una bella pioggia di dardi di balestra. Così facendo, potevano colpire gli avversari tenendosi al sicuro, fuori dalla portata delle loro frecce. L’attacco fu devastante. Addirittura, lo Shan Yu fu ferito al naso mentre cercava di scagliare frecce da una torre della sua città.
Ma ecco, che davanti alle mura della città, si schierarono quei legionari romani, che proprio a colpa di una tempesta di dardi erano finiti laggiù. Quando si trovarono sotto la pioggia mortale dei dardi cinesi, si difesero istintivamente nello stesso modo in cui l’esercito di Crasso si era difeso contro i Parti a Carre: alzarono e incastrarono i loro scudi ovali o rettangolari (gli scuta), unendoli per creare una barriera impenetrabile: la testuggine. Questa manovra difensiva, che solo i legionari Romani conoscevano bene, era inconfondibile. Nessun altro tipo di soldato al mondo, con le sue armi e difese, avrebbe potuto produrre un effetto visivo descritto come “formazione a squame di pesce”. Questo è il pilastro su cui si fonda tutta questa teoria. Unito a un altro dettaglio, anch’esso interessante, ovvero la fortificazione fuori dalla città. La legione perduta non si era schiera lì, a caso, nella polvere. Ma era protetta da una doppia palizzata di legno. Questo è il secondo elemento che ha permesso agli storici di aggrapparsi a questa ipotesi. Perché una simile struttura non era tipica delle fortificazioni orientali. Invece, era un marchio di fabbrica dell’ingegneria militare romana.
I Romani usavano regolarmente le palizzate, delle fitte staccionate difensive, per rinforzare i fossati attorno ai loro accampamenti e alle loro mura, soprattutto vicino alle porte o ai ponti che attraversavano i fossati. Il fatto che i nomadi di Shan Yu, un popolo che non costruiva città, avessero questa difesa così specifica suggerisce che i legionari avessero dato anche una consulenza di architettura militare.
Quando i Cinesi attaccarono, però, lo fecero in forze. Erano un’armata soverchiante. Riuscirono a bruciare la palizzata e quei fanti che la difendevano, con la loro formazione a scaglie di pesce, si ritirarono rapidamente dietro le mura.
Come andò a finire? Be’, i Cinesi sbaragliarono rapidamente le difese e conquistarono la città. Lo Shan Yu finì decapitato e furono giustiziate 1.518 persone. Tuttavia, il registro cinese parla anche della cattura di 145 nemici vivi e di oltre mille arresi. Il numero di 145 è incredibilmente vicino a quei centinaia di soldati stranieri che difendevano le mura. È una coincidenza troppo affascinante per essere ignorata. E quindi l’ipotesi va ancora più avanti. Qualcuno si spinge a dire che i rimasugli di quella legione perduta, a questo punto ulteriormente sfoltiti, furono presi prigionieri dai cinesi e portati ancora più a est, forse nella stessa Cina.
Col tempo sono stati fatti studi, anche genetici, per capire se il sangue di quei legionari fosse rimasto nelle popolazioni di quei luoghi, e c’è persino un film del 2015 con Jackie Chan che si ispira a questa teoria storica, dal titolo “Dragon Blade – La battaglia degli imperi”. Niente di tutto questo, naturalmente, è confermato, ma si tratta di una storia così bella che mi ha affascinato tantissimo e volevo raccontarvela.
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- An Ancient Military Contact Between Romans and Chinese.” American Journal of Philology 42 (1941), Homer H. Dubs ↩
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