Risorta dalla forca: la storia di Ildegonda

La leggenda medievale di Ildegonda, risorta dalla forca e travestita da uomo per portare a termine una missione segreta
Anno 1186. Alcuni pastori stavano pascolando le pecore tra i campi, ma nell’avvicinarsi a un albero scorsero una sagoma dondolante tra i rami, appesa a una corda: era una fanciulla, ed era impiccata per il collo. I pastori, mossi a pietà per la macabra scoperta, decisero di tirarla giù e dar lei sepoltura cristiana. Ma quando tagliarono la corda, lei non cadde pesantemente al suolo come fanno i cadaveri. Piuttosto, fluttuò lentamente, fino a sfiorare il suolo con i piedi e rimanere ritta sulle sue gambe, con gli occhi aperti. I pastori furono colti dal terrore e fuggirono a gambe levate, lasciandola lì. La fanciulla misteriosa era risorta dalla forca, pronta a portare a termine la sua missione.
Questa vicenda viene narrata in un manoscritto medievale dell’abate cistercense di Heisterbach, vissuto a cavallo tra XII e XIII secolo1. Una vicenda tramandata come vera, un fatto di cronaca estremamente intrigante, pieno di avventura, colpi di scena e misteri soprannaturali: la storia di Ildegonda, così si chiamava la fanciulla, la quale risorse dalla forca per compiere una missione segreta, da completare dietro travestimento, per celare il suo vero sesso. Quale missione? Adesso ve lo racconto.
Nei pressi di Colonia, nell’odierna Germania, importantissima e grande città medievale, probabilmente la più grande del paese, all’epoca, viveva un uomo che aveva una bella e amata figlia di nome Ildegonda. La moglie era morta quando la bimba era ancora molto piccola e i due, rimasti soli, partirono in pellegrinaggio per Gerusalemme, per andare a pregare al Santo Sepolcro.
Siamo in piena epoca crociata, forse nel periodo più decantato dagli autori e dagli storici: Saladino aveva riconquistato Gerusalemme e molte altre città che furono cristiane, e Riccardo Cuor di Leone stava per salpare per dare inizio a una breve fase di rivalsa occidentale in Terra Santa, nella cosiddetta “crociata dei re”, battagliando lo stesso Saladino in grandiosi scontri campali. A margine di tutto questo, però, i pellegrinaggi proseguivano. Cristiani e musululmani ed ebrei continuavano a visitare quei luoghi santi, e soprattutto la città di Gerusalemme, affrontando pericolosissimi viaggi per la cura dell’anima. La città restava quasi sempre aperta per i pellegrini, persino durante la guerra. Era pericoloso? Certamente, era pericolosissimo, un viaggio della speranza talvolta di sola andata. Non solo per la tensione geopolitica, ma anche per la fatica del viaggio in sé, che esponeva a miserie di ogni tipo e bruttissime malattie. Cosa che accadde anche al padre di Ildegonda.
I due riuscirono a visitare il Santo Sepolcro, a pregare sui luoghi dove camminò Gesù Cristo, ma sulla via del ritorno, presso la città di Tiro, il babbo si ammalò e morì. Il poveraccio poteva essersi buscato di tutto, anche una semplice infezione. E sul letto di morte, prima di spirare, raccomandò la figlia, che era giovanissima, e tutto ciò che possedeva alla cura del servo. I due, infatti, non erano esattamente soli, ma si erano accompagnati nel viaggio a un uomo di fiducia, che li aveva scortati fin laggiù da Colonia, e su cui ora si sarebbe deciso il destino di Ildegonda, troppo giovane per sopravvivere da sola, dall’altra parte del Mediterraneo.
Quest’uomo di fiducia, però, non era poi così di fiducia. Non appena il padre di Ildegonda morì, infatti, prese tutti gli averi e i soldi, e salpò una notte, di nascosto, abbandonando Ildegonda, completamente sola. Quando lei si svegliò la mattina dopo, col padre morto nel letto e il servo scappato coi soldi e tutto quanto, rimase sconvolta. E adesso? Come avrebbe fatto laggiù, a Tiro, senza conoscere nessuno, senza sapere a chi rivolgersi, e senza poter barattare un passaggio per tornare a casa? Dopotutto, non conosceva manco la lingua del paese.
Come prevedibile, Ildegonda cadde in disgrazia, senza mezzi di sussistenza, e finì a mendicare. Per fortuna, attirò l’attenzione di persone del luogo, gentili, che le permisero di sopravvivere per un anno intero, finché non capitarono altri pellegrini tedeschi, con cui lei finalmente poté comunicare per raccontare tutto quel che le era capitato. Uno di questi pellegrini, il più nobile di cuore e di portafogli, la prese con sé sulla nave per riportarla a Colonia. E le sventure sembravano esser finite, finalmente. Ma la povera Ildegonda doveva passare ancora un mucchio di guai prima di trovare la pace.
Ora, a quel tempo non vi erano solo le crociate, ma un altro grande argomento medievale che si studia tutti a scuola, ovvero la lotta tra papato e impero: una lotta tra poteri che si protrasse per secoli, tra vari imperatori e pontefici. In quel momento l’imperatore di turno era nientemeno che Federico Barbarossa e si contendeva il dominio d’Occidente col papa, scatenando persino lo scontro aperto, in certe occasioni.
Per quel che riguarda la storia della nostra sventurata fanciulla, dalle parti di Colonia (la città di Ildegonda dove lei aveva intenzione di tornare) era in corso una controversia per la nomina di un vescovo: un contendente al seggio vescovile era favorito dal papa, l’altro dall’imperatore. Per evitare che il candidato di parte imperiale guadagnasse la carica di vescovo, la chiesa di Colonia decise di inviare una lettera al papa: missione pericolosa, perché tale lettera doveva restare segreta. Se i filo-imperiali avessero trovato la lettera, avrebbero di certo ammazzato chi la portava. E indovinate un po’ chi finì a portare quella lettera?
Il fato volle che Ildegonda, mentre tornava a casa dalla Terra Santa, s’imbatté nel corriere inviato da Colonia, il quale non era per niente contento di portare quella pericolosa lettera. Per giunta, quando il corriere vide la fanciulla, la scambiò pure per un ragazzo. Perché lei aveva intrapreso un viaggio durissimo, quasi in povertà, e probabilmente si era trovata a indossare abiti maschili e persino tagliarsi i capelli per stare più serena. Non c’è bisogno di spiegare il perché una ragazza avrebbe avuto più difficoltà di un ragazzo ad attraversare l’Europa medievale. Forse la cosa vale pure adesso, figuriamoci.
Il corriere, vedendola, decise quindi di passare l’incombenza a lei. Con preghiere, promesse di ricompensa, e assicurandole che un viaggiatore a piedi avrebbe attirato molto meno l’attenzione di uno a cavallo (perché il corriere era, giustamente, a cavallo), alla fine convinse Ildegonda. Lei nascose la lettera in un bastone, arrotolandola finemente e incastrandola nel legno, e come un pellegrino col suo “bordone”, il bastone, appunto, che contraddistingueva i viaggiatori, intraprese un nuovo viaggio verso Verona. Perché il papa, in quel momento, si trovava là.
Travestita da maschio, la fanciulla attraversò tutta la Germania meridionale fino alla città di Augusta, laddove incontrò un uomo che propose di viaggiare assieme a lei. Un uomo che, come al solito, era un poco di buono e, nello specifico, un ladro. Costui aveva appena rubato dei preziosi, rinchiusi in un fagotto, e se ne stava andando lontano per godersi il frutto della ruberia. Ma dopo un po’ che viaggiava con Ildegonda, si accorse che era seguito, quindi lasciò con una scusa il fagotto alla fanciulla e scappò nel bosco. Gli inseguitori, che erano uomini sulle tracce del ladro, beccarono Ildegonda con la refurtiva, la portarono dritta in tribunale e la fanciulla fu condannata all’impiccagione.
Tutto quel che aveva da raccontare era, naturalmente, assurdo, e non convinse nessuno. Una storia del genere pareva semplicemente di fantasia. E poi, era stata colta con le mani nel sacco, letteralmente. Ildegonda riuscì, però, a contattare un sacerdote, al quale fece segretamente vedere la lettera che doveva portare al papa. Lettera che non aveva potuto sbandierare ai quattro venti, neppure in tribunale, neppure per scagionarsi, perché se avesse incontrato dei filo imperiali, sarebbe finita impiccata comunque. E la lettera, con tutta la sacra missione, sarebbe andata perduta.
Il sacerdote, quindi, fu l’unico a scoprire la verità. E fece in modo che si andasse a cercare nel bosco il vero ladro, con i cani. E lo trovarono. Dunque il processo ricominciò da capo, perché a questo punto gli imputati erano due. Ancora Ildegonda non era scagionata.
Secondo le usanze dell’epoca, i giudici torturarono l’uomo che si era nascosto nel bosco, per estorcergli la verità. Tortura che, invece, non viene menzionata nei confronti di Ildegonda. Non si sa bene perché. La tortura era un procedimento molto regolato, che derivava tra le altre cose dal diritto romano, e non era assolutamente un’esclusiva medievale, come si crede nell’opinione comune. Si torturava nell’Antichità e si proseguì a farlo fin nell’Età Moderna.
In ogni caso, l’uomo sotto tortura riuscì a tenere duro, dicendo d’essere innocente: “colui che viene trovato in possesso della refurtiva dovrebbe essere, secondo la legge civile, quello condannato”. D’altra parte, la ragazza spiegò in tutte le maniere che il fagotto le era stato affidato con l’inganno. Ma a questo punto del processo, le prove oggettive erano terminate, si trattava della parola di Ildegonda contro la parola dell’uomo.
Ecco che in aiuto della fanciulla venne di nuovo il sacerdote, che sapeva tutta la verità, e che tirò fuori l’unica scappatoia possibile: l’unico modo per ottenere una prova oggettiva. Ovvero, la prova del ferro rovente. I due imputati avrebbero dovuto soffrire il contatto con un ferro rovente, e colui che ne sarebbe risultato bruciato, sarebbe risultato allo stesso tempo colpevole agli occhi dei giudici e del Signore Iddio.
Quella del ferro rovente è una delle cosiddette “ordalie”, ovvero una prova del giudizio di Dio, assieme al ben più celebre in ambito narrativo duello ordalico: quando due contendenti si sfidano a duello e colui che perde risulta anche condannato per il misfatto oggetto della disputa. Come si vede spesso fare in Game of Thrones. Cose rare nella storia medievale, eh, che dal XIV secolo in poi cominciarono a scomparire del tutto. Per poi essere tirate fuori nuovamente in alcuni episodi di cacce alle streghe, ma quello è tutto un altro argomento, se vi interessa ho pubblicato svariati episodi nella playlist Leggende Affilate proprio a tema streghe, consiglio di recuperarli.
Insomma, la prova del ferro rovente fu messa in atto. La mano dell’uomo fu bruciata ma quella di Ildegonda no, perché lei era nel giusto, e quindi innocente agli occhi di Dio. Il ladro fu così condannato all’impiccagione e la fanciulla no. Oh, finalmente, un lieto fine, direte voi. In realtà la faccenda non si concluse così, anche perché ho aperto l’episodio raccontando della drammatica risurrezione sovrannaturale della ragazza. Quindi, quel che successe, fu che un parente del ladro, infuriato per l’esito del processo, rapì Ildegonda, la portò fuori città, e la impiccò per vendetta.
Ed ecco che torniamo alla scena della fanciulla appesa per il collo tra i campi, che per due giorni rimase lì finché non giunsero dei pastori a tirarla giù. Non appena la liberarono, Ildegonda tornò in piedi sulle sue gambe, abbandonando nel pieno terrore quei poveri disgraziati che avevano assistito alla sua “risurrezione”. In verità, non si tratta di vera e propria risurrezione, perché Ildegonda non morì mai. Lei, dal momento in cui fu appesa per il collo, ricevette aiuto nientemeno che da un angelo, il quale la sostenne per l’intera durata dei due giorni, tenendola sospesa, senza che il cappio le stringesse il collo. E, oltre a sostenerla, le faceva sentire cori di angeli e le mostrava visioni estatiche, predicendole la sua ascesa al paradiso tra due anni esatti, laddove avrebbe potuto finalmente ricongiungersi coi suoi cari, che erano tutti morti.
Non appena la ragazza rimase sola, abbandonata dai pastori che correvano via in preda al panico, l’angelo le chiese cosa volesse fare. E lei disse che aveva una missione da compiere: recarsi a Verona per consegnare la lettera al papa. Ed ecco che l’angelo la teletrasportò immediatamente a Verona, risparmiandole sette duri e pericolosissimi giorni di viaggio. La lettera fu consegnata, il papa informato, e la missione compiuta.
A questo punto, la fanciulla sovrannaturale, aveva effettuato un vero e proprio cammino di conversione, o quanto meno si era avvicinata spiritualmente alla divina misericordia. Per questo, lasciò perdere il suo ritorno a Colonia, dimenticando l’eredità che le spettava di diritto, e persino di combattere con quel servo che inizialmente l’aveva abbandonata, per ritirarsi a vita monastica. E lo fece sotto mentite spoglie, gli abiti cui si era ormai abituata: ovvero, quelli maschili.
Ildegonda fece di nuovo finta di essere un uomo ed entrò in monastero. Incominciò come novizio, poi prese i voti, e infine divenne monaco a tutti gli effetti. Lasciando però vari dubbi ai suoi fratelli. Perché lei si vestiva e comportava da uomo, ma i lineamenti erano quelli dolci e femminili di una donna. L’abate che la trasportò a cavallo fino al monastero, ad esempio, in un primo momento rimase meravigliato dal suo tono di voce. Gli chiese, infatti, come mai la sua voce non fosse ancora cambiata, riferendosi al cambiamento di voce dei ragazzi durante la pubertà. E Ildegonda, che si faceva chiamare Giuseppe, disse semplicemente che quella era la sua voce e non sarebbe mai cambiata.
Nella vita monastica, poi, vi sono molti momenti “comuni” tra fratelli, di vita condivisa, per non dire intima. Come ad esempio il sonno. La consuetudine medievale era quella di dormire tutti assieme nel dormitorio. Le celle singole cui siamo abituati quando pensiamo ai monasteri sono state introdotte nei secoli successivi. Nel mio primo romanzo, La Stirpe delle Ossa, metto proprio in mostra alcune scene nel dormitorio di un monastero, laddove si nasconde un segreto da tenere nascosto; ed è difficile farlo, visto che si sta sempre tutti assieme.
Ildegonda, quindi, mangiava e beveva con gli uomini, offriva la schiena alla flagellazione di rito, come gli uomini. E non mancavano siparietti dubbiosi, come quando un giovane novizio di 14 anni, osservando il viso di Ildegonda da vicino, mentre bevevano il vino, le disse che assomigliava proprio a quello di una donna. E dopo quello scambio di battute, furono entrambi picchiati perché avevano infranto la regola del silenzio. Nel testo del manoscritto si lascia intendere che la presenza femminile di Ildegonda, seppure tenuta nascosta, abbia dato adito a tentazioni da parte dei fratelli che sentivano che c’era qualcosa di strano nel buon Giuseppe.
E tra segreti, momenti frizzantini, bevute e flagellazioni, giunse il tempo di Ildegonda. L’angelo, infatti, le aveva preannunciato la morte, che si sarebbe verificata due anni dopo l’episodio dell’impiccagione. E così avvenne: Ildegonda s’ammalò gravemente e nel confessarsi per l’estrema unzione, sul letto di morte, raccontò la sua storia, senza però dire di essere, in realtà, una donna.
Come era già accaduto al tribunale, i monaci non credettero a una storia così straordinaria. E allora Ildegonda fu costretta, sempre sul letto di morte, a profetizzare un evento straordinario che si sarebbe verificato dopo la sua morte, in modo da rendere credibile a tutti quel che aveva passato fino a quel momento. Lei disse che quando sarebbe morta, i monaci si sarebbero accorti di una rivelazione di cui si sarebbero meravigliati grandemente. E dunque, lei morì, loro la presero per seppellirla, e si resero conto, solo in quel momento, che era una donna.
Da lì in poi si diffuse la leggenda di Ildegonda, la quale, manco a dirlo, diventò santa. La cui particolarità non è stata quella di sterminare draghi (come san Michele), o farsi bruciare sulla graticola arroventata, ma di travestirsi da uomo. E scendere dalla forca fluttuando come le bambine degli horror koreani.
Se questa storia ti ha appassionato iscriviti e vola subito ad ascoltare gli altri episodi di Leggende Affilate, che son belli come questo. Grazie, alla prossima.
- “Della meravigliosa conversione della beata Vergine Ildegonda che finse di essere un uomo.” Dialogo sui Miracoli, Cesario di Heisterbach ↩
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