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20 Novembre 2019

L’ordine dei cavalieri di San Lazzaro

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I cavalieri di san Lazzaro, l’ordine militare dei Lazzariti: crociati immuni al dolore che combattevano la piaga della lebbra

Templari, ospitalieri e teutonici sono gli ordini cavallereschi più celebri della storia. Le avventure dei cavalieri del Tempio di Salomone, in primis, affollano gli scaffali delle librerie e i cataloghi di film e serie tv, dominando l’immaginario collettivo delle crociate neanche fossero figure mitologiche. Tuttavia esiste un quarto ordine militare che ha scritto pagine d’avventure nelle Terre d’Oltremare; un gruppo di fratelli accomunati dalla fede e dal dolore, la cui storia è così affascinante che mi ha spinto a scriverci sopra un vero e proprio romanzo: sto parlando dei cavalieri di San Lazzaro.

L’ordine dei Lazzariti venne fondato intorno al 1119, a Gerusalemme. Come i templari, anche i cavalieri di San Lazzaro portavano la croce sul petto cucita vicino al cuore, ma invece che rossa era verde, colore usato per differenziarsi dagli altri ordini monastico-cavallereschi presenti in Terra Santa. Si trattava di una necessità importante, quella della differenziazione. Non solo per riconoscersi in battaglia e radunarsi sotto lo stesso stendardo nelle fasi più concitate della mischia, ma anche per comunicare il proprio status sociale e, forse, come avvertimento. Già, perché la banda di fratelli lazzariti combatteva una personale battaglia contro un nemico più subdolo e terrificante dell’infedele saraceno, qualcosa che l’intera Cristianità temeva come le fiamme dell’Inferno: la lebbra.

La parola lebbra fa subito venire in mente tristi immagini di uomini deformi e respinti dalla società, che vagano per i vicoli medievali con una campana legata al collo. Alcune moderne ipotesi però restituiscono un quadro più complesso di come veniva vissuto quello che oggi chiamiamo il morbo di Hansen.

La lebbra è una malattia molto presente nei testi sacri e a differenza di altre, come la peste, assumeva forti connotati spirituali. Numerosi santi della cristianità si sono adoperati strenuamente per assistere e proteggere coloro che subivano gli effetti del castigo divino, proprio come accadde in Terra Santa nel XII secolo: la nascita dell’ordine di San Lazzaro è la prova che gli infermi non venivano sempre abbandonati a un misero destino.

A Gerusalemme sorgeva un lebbrosario che con l’arrivo dei crociati venne preso sotto la protezione dei Lazzariti. Era composto da un convento con una piccola chiesa, un chiostro, una sala capitolare, un refettorio e due dormitori separati per far fronte alle esigenze della comunità: separare i fratelli sani dai fratelli lebbrosi1. Si trattava di un compito sacro, che il nuovo ordine portava avanti con dedizione e che, con il tempo, diede modo all’organizzazione di accrescere i propri ranghi. Come? Semplice, quei cavalieri che si ammalavano di lebbra solitamente erano tenuti a ritirarsi dalla società abbandonando beni ed eventuali signorie2, le mogli li avrebbero abbandonati per ritirarsi in convento e tutto ciò che rimaneva da fare per trovare rifugio e proseguire la propria vita con una minima possibilità di salvezza era di entrare a far parte dell’ordine dei lazzariti.

“Quando, per volontà di Nostro Signore, un fratello contrae la lebbra, e viene provato che le cose stanno così, gli uomini onorati della casa devono esortarlo a chiedere il congedo dal Tempio per entrare nell’Ordine di San Lazzaro e prendere l’abito di quell’Ordine; e se il fratello infermo è un uomo pio, dovrà obbedire, anzi sarà egli stesso, di sua spontanea volontà, a chiedere il congedo dalla casa, prima che venga esortato a farlo. E il maestro, o chi ne ha la prerogativa, deve concederglielo, ma solo dopo aver sentito i fratelli; dopodiché il maestro e i gentiluomini devono prendersi cura di lui fino al giorno in cui non prende l’abito di San Lazzaro. E devono prendersi scrupolosamente cura di quel nostro fratello, e fare in modo che venga accolto nell’Ordine di San Lazzaro, cosicché non manchi nulla alla sua povera esistenza finché vivrà”.
Regola del Tempio, art. 443

“Tuttavia, sia chiaro che se un fratello, che ha contratto la lebbra, rifiuta ostinatamente di chiedere il congedo e di abbandonare la casa, non potrà essere privato dell’abito né allontanato dalla casa, ma dovrà essere mantenuto in un luogo separato dalla compagnia dei fratelli, come si è detto a proposito dei malati gravi; e lì deve ricevere il suo sostentamento”.
Regola del Tempio, art. 444

Due articoli del codice templare “La regola dei cavalieri del Tempio” conservato a Parigi

L’esortazione a congedare i fratelli templari qualora avessero contratto la lebbra appare evidente nel Codice dei cavalieri del Tempio. Si faceva leva perfino sulla devozione religiosa del malato: “se il fratello infermo è un uomo pio dovrà obbedire”. Tuttavia si specifica anche che si tratta di una libera scelta, che se il fratello rifiuta ostinatamente di chiedere congedo non potrà essere sbattuto fuori (anche se debitamente tenuto a distanza, in luogo separato). Insomma, date le premesse si potrebbe questionare su quanto fosse realmente libera la scelta ricordando vagamente il concetto di libero arbitrio cristiano: o così oppure l’Inferno.

La Regola del Tempio ha subito svariate mutazioni nel corso del tempo. Nacque come codice di 72 articoli e, a seguito di numerose aggiunte e modifiche, arrivò a contarne centinaia. Le versioni pervenute a noi sono numerose e ve n’è una conservata a Barcellona, scritta in catalano, che risulta molto più restrittiva riguardo i fratelli contagiati dalla lebbra. Nella Regola Catalana l’obbligo di entrare a far parte dell’ordine di San Lazzaro è imperativo, senza alcuna concessione.

Grazie alla spinta e al supporto degli altri ordini, nel XIII secolo la forza dei Lazzariti crebbe a tal punto da permettere loro di scendere in battaglia schierando tutti quei cavalieri che avevano contratto il morbo e potevano ancora impugnare la spada. Parteciparono agli scontri più celebri della storia delle Crociate, distinguendosi per il loro valore nonostante la debilitazione della malattia che lentamente li consumava fino a ucciderli. Le leggende narrano che i gravi disturbi della sensibilità dovuti all’incedere della lebbra rendessero i cavalieri di San Lazzaro immuni al dolore. Morti viventi, appunto, come nelle moderne storie fantastiche.

A onor del vero, le fonti che ci sono pervenute non li dipingono come guerrieri di particolare successo. Nel senso che ogni attività militare cui presero parte si concluse con un fallimento, spesso catastrofico. Come nella battaglia di La Forbie del 1244, quando le forze cristiane subirono una sconfitta terribile e al termine della battaglia di tutti i cavalieri che avevano preso parte allo scontro restarono solo 33 templari, 27 ospitalieri e 3 teutonici. Fra questi non vi era alcun lazzarita: la battaglia li aveva consumati tutti, fin all’ultimo uomo3.

Durante la crociata di Luigi IX il Santo, i cavalieri di San Lazzaro furono presenti4 in quello che fu il peggior disastro dell’intera spedizione, che si concluse con lo stesso sovrano catturato dal nemico e fatto prigioniero. Giovanni, vescovo di Gerusalemme, nel 1323 scrisse che “I fratelli cavalieri e altri del suddetto ospedale (San Lazzaro) sono stati molte volte orribilmente uccisi e la loro casa a Gerusalemme e in molti altri luoghi della Terra Santa è stata completamente distrutta”.

Nel 1253 Innocenzo IV ricevette una richiesta da parte dei fratelli lazzariti per modificare la regola dell’ordine al fine di consentire “a qualsiasi cavaliere sano tra i fratelli della casa di essere nominato comandante generale, poiché tutti i cavalieri lebbrosi di detta casa sono stati miseramente uccisi dai nemici della fede”5.

L’effetto cumulativo di tutti questi fallimenti fu estremamente grave per l’ordine, secondo alcuni storici votato al “suicidio” per via della propria stessa natura. E mi trovo d’accordo con questa interpretazione: in che altro modo si sarebbero dovuti comportare dei cavalieri sulla cui testa pendeva una condanna a morte? Per me è chiaro, con le sole armi di cui avevano disposizione: fede, dedizione, sacrificio.

Schiere di cavalieri spaventosi e aberranti, che combattevano con la furia di chi non ha niente da perdere, insensibili al dolore e a qualsiasi tipo di ferita: una forza che spesso non sopravviveva alla propria forza di volontà e s’infrangeva contro il nemico senza mai arrendersi. Ovviamente sono solo supposizioni un tantino esagerate da una visione “narratologica” della questione. Perché io mi occupo di storie, e quelle che parlano di riscatto e di estremo sacrificio sono le più appassionanti. Tuttavia non si tratta di robe completamente campate in aria. Perché le testimonianze delle numerose battaglie finite in tragedia sembrano avvalorare l’ipotesi dell’estremo sacrificio.

Intendo proseguire questa epopea dei cavalieri lazzariti perché su di loro non si è parlato abbastanza (o non si è parlato affatto), e siccome ho iniziato a scriverci su un romanzo ho già messo da parte del materiale interessante. Non perdete il prossimo articolo sui crociati non-morti!

  1. Monaci in armi, a cura di Franco Cardini
  2. L’ordine di San Lazzaro di Gerusalemme: fra guerra santa e assistenza, Rafaél Hyacinthe
  3. “Tutti i cavalieri lebbrosi della casa di San Lazzaro furono uccisi” Robert de Nantes, patriarca di Gerusalemme
  4. Salimbene de Adam, CronicaI
  5. King Saint Louis and the Order of Saint Lazarus, Charles Savona-Ventura
Lorenzo Manara
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