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24 Agosto 2015

Mad Max Fury Road

Il ritorno alla regia di George Miller con il miglior film d’azione degli ultimi anni, Mad Max Fury Road: 120 minuti di show adrenalinico ad alto numero di ottani.

Sono uscito dal cinema col sorriso sulle labbra. A casa ho cercato notizie sulle auto modificate, i personaggi, gli effetti speciali. Una cosa che non facevo dal 2002, quando avevo tredici anni. Con questo non voglio dire che sono troppo grande per farmi coinvolgere da un film, né ho intenzione di elogiare i bei tempi andati, quando c’erano tutti campi e le pellicole erano più belle. Voglio dire che il mio gusto si è evoluto, si è fatto molto più esigente, e non mi permette di apprezzare molti film che escono al cinema.

Dopo aver studiato sui manuali di scrittura faccio fatica a trovare opere coinvolgenti. Soprattutto adesso che sto scrivendo il prossimo romanzo “La Stirpe delle Ossa” e sono completamente immerso in strutture, archi di trasformazione, climax e momenti di trasformazione del personaggio. Però ogni tanto capita l’eccezione, quella storia che mi fa dimenticare di essere seduto su una poltrona, davanti a uno schermo. E quell’eccezione si chiama Mad Max Fury Road.

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Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il punto di forza di Mad Max è la trama. Sono molte le critiche che sono state rivolte al film in tal senso: “La trama è inesistente!” “E’ solo un inseguimento di due ore, c’è troppa azione!” Be’, un’opera cinematografica deve essere composta solo da azione. Immaginate un film narrato da qualcuno: non sarebbe più un film, ma un audio libro.

Sotto questo aspetto, Mad Max eccelle. Gli autori di Fury Road hanno fatto i compiti a casa. Il mondo che hanno creato è vivo. I personaggi hanno senso di esistere e non sono delle marionette al servizio della linea narrativa. Dal Figlio di Guerra con il collo gonfio di tumori all’ultimo motociclista dei Porcospini: ognuno di loro possiede un background percepibile dal contesto senza che nessuno ce lo venga a spiegare.

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L’intera ambientazione ci viene mostrata per quella che è, senza inutili chiacchiere. Lo spettatore viene gettato in mezzo alla sabbia e al metallo rovente fin dal primo istante, incatenato a quei bolidi rombanti senza possibilità di fuggire. Nessun narratore, nessun ridicolo artificio per fare in modo che i personaggi comunichino informazioni allo spettatore. Tutto accade con quella naturalezza e quel realismo che purtroppo sono molto rari nelle opere di narrativa fantastica. La trama è incastrata così bene nell’ambientazione che sembra quasi non esistere. Eppure è là, che scorre fluidissima per due ore intere.

I personaggi sono caratterizzati da infiniti dettagli. Sono certo che per ciascuno di loro gli autori abbiano scritto pagine e pagine di background. Il Fattore con i proiettili al posto dei denti, Doof Warrior che suona la chitarra-lanciafiamme, Organic Mechanic che tatua i gruppi sanguigni sulle “sacche umane” da usare per le trasfusioni (il tutto come analogia uomo-macchina, il sangue che viene paragonato al carburante): una sequenza di originalità geniali, che si fanno apprezzare anche alla seconda o terza visione del film.

E poi, le auto. Le vere protagoniste del film. La Blindocisterna, la Peacemaker, la Gigahorse, la Doof Wagon e la mitica Interceptor… No CGI, niente computer grafica: solo tanto metallo, un’equipe di meccanici e tonnellate di rottami presi dallo sfasciacarrozze.

La pellicola non è ovviamente esente da difetti. L’abuso dell’effetto velocizzato si nota troppo nelle prime fasi del film e ci sono un paio di scene nelle quali i manichini che vengono sbalzati via dai sedili o finiscono sotto le ruote non sono mascherati bene. Avrei preferito, inoltre, che non ci fosse stato quel pesante filtro blu nelle scene notturne, che a mio parere erano state girate in diurna e poi George Miller ha cambiato idea all’ultimo momento. A livello di sceneggiatura ho trovato debole il cambiamento decisionale che Max fa prendere al clan delle Molte Madri. Troppo repentino, così come la redenzione di Nux. Inoltre non ho ben capito come Max abbia ucciso il Fattore. La cosa mi torna strana. E poi la figlia di Lenny Kravitz dice poche battute e le dice pure male. Tuttavia, questi difetti spariscono totalmente di fronte all’incanto di polvere, fuoco e metallo.

Mad Max Fury Road mi ha riportato a quando avevo tredici anni. Quando mi emozionavo per un film e ci pensavo su per settimane intere. Questo è il potere di un’opera dal valore artistico elevato, e questo è il modello a cui tutti i creativi dovrebbero aspirare. Per me lo è sicuramente.

Lorenzo Manara
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