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24 Novembre 2024

Le morti più bizzarre del medioevo

le morti più bizzarre del medioevo

Tra spadate, suicidi ed evocazioni demoniache: le morti più bizzarre del medioevo

Salve, sono Lorenzo Manara. Forse vi ricorderete di me per il romanzo “La Stirpe delle Ossa”, dove un cavaliere medievale chiede la grazia a un santo e poi comincia a marcire. Oppure per il romanzo “La Canzone dei Morti”, dove un cavalier poeta deve scortare 3 carri pieni di cadaveri dal vescovo. Oppure, potreste essere giunti qui dalla playlist “Leggende Affilate”, dove racconto di episodi storici autentici, ripresi dalle cronache antiche e medievali, pieni di avventura, misteri, battaglie. E, quindi, di morte. Tante morti. Alcune delle quali davvero strane. Ecco perché oggi voglio mettere assieme le morti più bizzarre in cui mi sono imbattuto finora. 

Morti particolari che non trovate su web, narrate dagli pseudodivulgatori che si copiano a vicenda e raccontano sempre le stesse cose. Perché non fanno ricerca. Non vanno a spulciare nei manoscritti d’archivio, a leggere le fonti all’origine. Copiano gli articoli e i video, al massimo qualche saggio, rimaneggiano un po’ e ripetono. E hanno cominciato a farlo pure con me, eh. Io non dico mai nulla, non mi lamento mai, ma vedo tutto. Ormai è un bel po’ di tempo che vengo saccheggiato senza ritegno da gente che evidentemente non è in grado di fare altro se non copiare. Ma poco male. La verità salta sempre fuori, e visto le segnalazioni che ricevo (le vostre segnalazioni), lo fa anche abbastanza velocemente.

In ogni caso, bando alle ciance e iniziamo questa mia personale classifica delle 5 morti più bizzarre del medioevo, partendo proprio con una fonte storica abbastanza sconosciuta, ovvero la cronaca senese di Paolo Tommaso Montauri, anni 1378-1383. Una cronaca che riporta anno per anno i fatti salienti di quei luoghi, compresa la prima morte bizzarra di oggi, ovvero quella di Ser Agniolo.

“Ser Agniolo d’Andrea dal Pogio si ferì lui stesso sciaguratamente nella bottega di Gura spadaio con un coltello nella coscia, e morì in pochi dì.”

Questa “notizia”, come una sorta di sanguinario telegiornale del XIV secolo, riporta un evento tragico, ovvero l’incidente di tale Ser Agniolo avvenuto all’interno della bottega di uno spadaio di nome Gura. Agniolo non è un tizio qualsiasi, anzi, doveva essere un signore di una certa importanza; lo si capisce dal nome e dalla sua stessa presenza all’interno della cronaca: perché delle disgrazie dei disgraziati non frega niente a nessuno, giusto?

Quindi, intorno al 1380 questo Ser Agniolo si trovava nella bottega di Gura spadaio per un qualche genere di affari. Nello specifico non sappiamo quale fosse il motivo, ma possiamo ipotizzare, nel più semplice dei casi, che sia andato là per comprare una spada, una lama. Il fatto è che malauguratamente, questo signore finì per piantarsi nella coscia, da solo, la lama d’un coltello. Presumibilmente uno di quelli in vendita. Tale ferita, seppur non mortale nell’immediato, deve avergli provocato una qualche infezione, o setticemia, o chissà cosa, per cui dopo pochi giorni, Ser Agniolo morì.

La cosa bizzarra, ovviamente, sta nel fatto che si sia ferito da solo. La domanda è: ma come diavolo ha fatto? Stava provando qualche mossa di scherma nella bottega? E mentre provava è inciampato, o qualcosa del genere? Immaginate questo signore, che poteva anche essere cavaliere, per quel che ne sappiamo, e che avrà partecipato a chissà quali guerre e battaglie, che finisce per ferirsi da solo, in città, nella bottega dello spadaio, e muore in una maniera così ridicola. Immaginate cosa si siano raccontati tutti quanti nel sentire la notizia. Qualcuno potrebbe aver composto una poesiola o una canzone per deriderlo, da cantare ubriachi in taverna.

Da queste due frasi buttate così in mezzo alla cronaca possiamo fantasticare sulla vita quotidiana di quegli anni, che pure senza smartphone e social media aveva i suoi efficientissimi mezzi per fare meme. O, detta alla toscana, per pigliare per il culo. Povero Agniolo, la sua fine è stata decisamente imbarazzante. Sempre che non l’abbiano fatto fuori appositamente. Ma questa è tutta un’altra ipotesi.

Con la seconda tra le morti più bizzarre del medioevo si entra subito nel reame del misterioso, del soprannaturale. Perché i testi medievali, così come gli scritti antichi e pure quelli precedenti all’epoca contemporanea, (e all’avvento del metodo scientifico), sono intrisi di soprannaturale. Verità e mistero si intrecciano, così come la fede, la spiritualità, la magia. Assieme alla descrizione di eventi politici, di battaglie, guerre, gli autori medievali narravano anche di fatti che oggi noi consideriamo superstiziosi. 

Apro subito una parentesi: pure allora c’era chi NON credeva a questi eventi soprannaturali. La spiritualità era vissuta in maniera intensa dalla stragrande maggioranza della popolazione, però non tutti credevano a qualsiasi cosa, a qualsiasi evento: al Diavolo che compariva per portarti via, e ai demoni, e ai sortilegi, eccetera. Chi ha seguito la mia playlist “Storia della Magia” ha già capito di cosa parlo. Per tutti gli altri, consiglio assolutamente di recuperarla: sta su YouTube e tutte le piattaforme tipo Spotify, Apple, ecc… Merita davvero ascoltarla per comprendere la mentalità dell’epoca, tramite episodi interessanti tipo evocazioni demoniache, diavoli vari che se ne vanno a spasso… proprio la stessa tematica di questa seconda morte bizzarra: ovvero di quando un cavaliere finì catturato dal Diavolo1.

L’episodio proviene da un testo di un autore vissuto a cavallo tra XII e XIII secolo, un abate cistercense, Cesario di Heisterbach, il quale ci ha tramandato tantissime storie affascinanti, molte che sono vere e proprie storie fantastiche, ma che “fantastiche” non erano considerate affatto. Tali storie erano vere per lui e guai se pensavi diversamente. Storie che non servivano tanto per far cronaca, ma per insegnare i dettami cristiani, la dottrina. Lo scopo, quindi, era indottrinare.

Si parla di un cavaliere di nome Thiemon. Un nome che non ho idea di come pronunciare visto che ci troviamo nella diocesi di Colonia, nell’attuale Germania, e il latino utilizzato nel testo è mischiato con la lingua locale: un tedesco medievale che rende le cose abbastanza complicate.

Tale Thiemon viveva nella diocesi di Colonia ed era appassionato di gioco d’azzardo. E nello specifico del gioco coi dadi. Così sempre preso dal gioco che non poteva farne a meno, ogni giorno. Si portava sempre appresso i dadi e un bel sacchetto di monete, per essere pronto a giocare contro chiunque, in qualsiasi momento, nel caso si presentasse l’occasione. E qui apro una parentesi perché possiamo trarre già degli spunti interessanti. Il cavaliere Thiemon era considerato strambo perché giocava sempre a dadi e, soprattutto, perché girava sempre coi soldi. Questo significa che in quel periodo, in quel contesto, non era normale andare a giro coi soldi (o per lo meno una quantità che non fosse minima). 

Potrebbe sembrare una sciocchezza, ma provate a pensarci. Per noi, oggi, è impensabile uscire di casa senza soldi. Io quando esco ho sempre il portafoglio, sempre. E spesso, quando rappresentiamo il medioevo al cinema, o nei romanzi, trasliamo questo nostro comportamento contemporaneo nel Medioevo. Spesso, i personaggi del medioevo di finzione (pure quello fantasy, di ispirazione medievale) hanno sempre il sacchettino pieno di monete con loro. Ecco, da questo racconto emerge tutt’altra cosa.

E, attenzione, adesso apro una parentesi nella parentesi. Il cavalier Thiemon era considerato strambo lassù in Germania, sul finire del XII secolo. Ma ciò non significa che sarebbe successo lo stesso nella Firenze di Dante, dove magari era più comune veder gente che usciva sempre di casa con le monete. O nella Costantinopoli trecentesca. O che ne so io. Puntualizzo questo per ricordare che il “medioevo” è un insieme di infinite situazioni. Quindi non ragioniamo mai per assoluti, ma comprendiamo la ricchezza della diversità. Anche in un’epoca come il Medioevo che viene rappresentata sempre tutta uguale, ma non lo era affatto.

Dunque, Thiemon era un giocatore d’azzardo patologico. Ed era pure bravo. Ben pochi riuscivano a mandarlo a letto in mutande dopo una sessione di dadi. Ma tutto questo, il gioco d’azzardo, non piace al Signore Iddio. Anche perché il gioco nasconde in sé numerosi altri peccati, portando le persone ad arrabbiarsi, ad essere invidiose, a bestemmiare. Avete presente i vecchi eresiarchi che caricano briscole con accompagnamento sonoro? Ecco, non va bene. Iddio punisce tali comportamenti. E infatti punì Thiemon severamente. Molto severamente.

Una notte il Diavolo si presentò alla porta del cavaliere sotto mentite spoglie, facendo finta di essere un signore che aveva tanto sentito parlare di lui, e che voleva sfidarlo a dadi. Inutile dire che Thiemon era al settimo cielo. Con una sfida del genere lui ci andava a nozze. Il Diavolo travestito, poi, trasportava una grossa borsa di monete sotto il braccio, facendo presagire che sarebbe stata una lunga nottata di gioco. E così fu.

I due si sedettero. Tirarono fuori le monete, le impilarono sul tavolo facendo belle montagnole come si vede fare nei cartoni animati (è proprio così che ce le descrive l’autore). E iniziarono a giocare. Il cavaliere contro il Diavolo. E, naturalmente, il Diavolo vinse. Vinse ogni singolo match, senza mai perdere una sola puntata in tutta la notte. Si arrivò all’alba che il cavaliere aveva perso tutto. Non gli era mai accaduta una cosa simile. E, infatti, gli venne il dubbio che questo signore non fosse chi diceva di essere. E glielo disse in faccia: “Tu devi essere un Diavolo”. E il Diavolo rispose: “Abbiamo giocato abbastanza. L’alba è vicina e noi, adesso, dobbiamo andare.”

Il diavolo prese il cavaliere di peso, spiccò il volo verso l’alto, sfondò il tetto e se lo portò via con sé. Nel farlo, però, il cavaliere finì ammazzato di morte brutalissima. Perché sfondando il tetto, trascinato dal Diavolo, Thiemon si ritrovò sbudellato, letteralmente. Le viscere caddero a terra, sul pavimento, e il cavaliere sventrato scomparve col Diavolo. Il corpo non fu mai ritrovato, né da suo figlio né dai conoscenti. Restarono solo le viscere sbudellate, rimaste sul pavimento, che furono raccolte e seppellite nel cimitero per una parvenza di sepoltura.

Questo sbudellamento, tra le altre cose, è pure simbolico. Una sorta di contrappasso. Perché nel linguaggio usato nel testo si rifà a un modo di dire per indicare coloro che perdono al gioco e finiscono a secco di soldi. L’autore, infatti, fa riferimento al fatto che il cavalier Thiemon aveva sventrato molte borse (nel senso che le aveva svuotate dei soldi) e che, per contrappasso, era finito sventrato. Ecco il perché di una morte così specifica, oltre che bizzarra. La punizione divina per un peccatore impenitente.

La terza tra le morti più bizzarre del medioevo riguarda un altro cavaliere, anzi, sei cavalieri per la precisione: tutti approdati nell’Oltremare, la Terra Santa, per combattere il nemico saraceno e riconquistare così Gerusalemme. Questi sei cavalieri appartenevano alla masnada di un gran signore, sire di Joinville, il quale ci racconta della terribile vendetta divina che li travolse tutti e sei a causa della loro condotta da villani.

Siamo quindi di nuovo in territorio spirituale, ma stavolta molto più terra terra. Si tratta infatti dell’interpretazione religiosa di un uomo di fede nei confronti di un eventi bellico e dei suoi disastrosi effetti: ovvero, una specifica battaglia della Settima Crociata.

L’antefatto è questo. Alla vigilia della battaglia, i sei cavalieri si trovavano al funerale di un cavaliere, un alfiere, per la precisione, portatore di stendardo, e quindi signore molto importante. Costui era morto non si sa perché, presumibilmente per uno scontro precedente con i saraceni. I sei cavalieri presenziavano la cerimonia funebre, ma a giudicare da come si comportavano non sembravano affatto dispiaciuti. Perché passarono tutto il tempo a ridere e scherzare, importunando il prete e coloro che erano raccolti attorno alla salma, in preghiera. Il signore di Joinville, nonché autore della cronaca e quindi testimone oculare dei fatti, andò da loro per rimproverarli, poiché era “cosa villana che cavalieri e gentiluomini parlassero mentre si cantava la messa”. Ma nemmeno il suo intervento li ricondusse all’ordine. Quei sei mascalzoni continuarono a burlarsi del morto e pure del loro signore. 

Ma il motivo, alla fine, qual era? Be’, il fatto è che i cavalieri scherzavano sulla moglie del defunto. Per rimaritarla. Forse lei era parecchio bella e quindi si divertivano a immaginare chi se la sarebbe presa (visto che era molto comune per le vedove rimaritarsi). Magari loro stessi avrebbero voluto prendersela. Oppure, chissà, magari questa vedova era brutta, e quindi scherzavano sul fatto che sarebbe stato difficile rimaritarla. Insomma, l’autore non entra nel dettaglio della battuta, fatto sta che loro si scompisciavano dalle risate, a ‘sto funerale.

Fu allora, però, dice l’autore della cronaca, che Dio mise in atto la peggiore tra le punizioni. Perché l’indomani avvenne una grande battaglia, ovvero la battaglia di Mansura, dell’8 febbraio 1250. E tutti e sei i cavalieri incontrarono la morte. E, di conseguenza, tutte e sei le loro mogli dovettero riprendere marito. Occhio per occhio…

Con la quarta tra le morti più bizzarre di oggi abbandoniamo il campo dello scontro armato e della guerra per tornare in campo quotidiano e, direi, un po’ più intimo. Quasi psicologico. Il cronista che riporta la vicenda è italiano Salimbene, che nella seconda metà del XIII secolo si trovava a Pisa, in quanto novizio, appena entrato nell’ordine dei frati minori. Ci racconta che era giovinetto, all’epoca, e che era stato mandato a cercare il pane.

Essendo frate minore, il pane non lo andava a comprare. La “cerca” era di fatto una questua. Una elemosina. Perché l’ordine dei minori è quell’ordine basato sui dettami di San Francesco: la povertà, la vita semplice, eccetera eccetera. Non erano tutti così gli ordini, eh, anzi, alcuni erano pure parecchio facoltosi.

In ogni caso, l’autore fu mandato a prendere il pane da un frate più anziano, un frate laico, ovvero un frate non-sacerdote. Costui era un pisano, e ci viene presentato come “sporco e d’animo leggero”. In pratica era un peccatore, che si lasciava andare ai vizi, ovvero le cose sporche, come bere, giocare, o chissà, magari andare a donne. Ed era pure “leggero”, nel senso di superficiale, al livello spirituale: che non prendeva sul serio la dottrina. E di conseguenza, non era poi neppure tanto pentito di quel che faceva, della sua condotta.

Una condotta che, però, in qualche modo avrebbe pesato sul suo animo, più tardi. Perché Salimbene ci racconta che dopo esser stato trasferito da Pisa al convento di Fiesole, a Firenze, tale frate laico, preso da chissà quale follia o disperazione, si gettò nel pozzo.

I frati lo ritrovarono là in fondo, morto. Lo tirarono fuori e lo prepararono per la cerimonia funebre, la sepoltura, e tutto il resto. Ma, e qui arriviamo al pizzico di soprannaturale che mai non guasta, il corpo poi scomparve e non poterono seppellirlo. Perché? Ovviamente perché era stato il Diavolo: se l’era portato via all’Inferno visto che tale frate era stato un peccatore impenitente, in modo da non concedergli degna sepoltura cristiana.

Questa, in mezzo alle altre, sembra quasi una morte banale, ma non lo è affatto. Per come ci viene raccontata è un suicidio: il suicidio di un frate che s’è gettato in fondo al pozzo. La motivazione di un simile atto parrebbe essere la sua presa di coscienza: s’è accorto d’essere un gran peccatore, ed è giunto alla conclusione d’essere senza speranza, tanto vale farla finita. L’autore della cronaca parla pure di “follia”, parola generica all’interno della quale ricadeva ogni genere di comportamento ritenuto strano, che non ci aiuta a tratteggiare alcun tipo di profilo psicologico. Però resta un fatto di cronaca interessante, a mio avviso, perché allarga il nostro campo visivo su un’epoca trattata spesso in maniera superficiale, ma che (come tutte le epoche) presenta lo spettro completo delle emozioni umane. 

O magari mi sbaglio, e a quel frate ce l’hanno spinto, in fondo al pozzo. Chi lo sa.

Concludiamo questa macabra cavalcata delle morti più bizzarre del medioevo con la più spettacolare a mio avviso. Perché qui il soprannaturale, la spiritualità, prende decisamente il sopravvento. Siamo a Gaeta, nella cronaca di Donato Neri2, anno 1392.

Un tale signore di nome Cubello Afinato degli Afinati era un giocatore incallito. Pure lui, come quel cavaliere germanico. Pure lui era un signore, visto il nome che portava. L’unica differenza con la storia precedente, è il fatto che Cubello non fosse proprio bravissimo a giocare d’azzardo. E infatti, un giorno d’agosto del detto anno, perse tutto quanto. Tutto ciò che aveva. 

Cubello si alzò dal tavolo da gioco e si voltò per andarsene, ma nel farlo si trovò faccia a faccia con una figura. Ora, io credo che per via della rabbia d’aver perso tanto al gioco, assieme alla sorpresa, Cubello si sia un po’ spaventato. E quindi tira fuori il coltello e pugnala la detta figura che gli si era piazzata proprio lì, vicina. Il fatto è che tale figura era sant’Antonio.

Santo Antonio Abate, l’eremita egiziano che nel medioevo era associato alle pestilenze e ai morbi più orrendi e da cui dovrebbe essere derivato un altro malaccio, ovvero il fuoco di sant’Antonio. E infatti, non appena Cubello affondò il coltello nel corpo del santo, fu colto da un dolore pari a quello di un “fuoco” sul proprio corpo, nello stesso punto. Cioè, in pratica, l’atto malvagio gli si era ritorto letteralmente contro.

Cubello “per tre dì non fece altro che gridare e tutto arse”. Morì tre giorni dopo, fra atroci sofferenze, e in tutta Gaeta non si fece altro che parlare di questo. Della morte del giocatore colpito dal fuoco di sant’Antonio. Se non è bizzarra questa.

Ora, la maggior parte di queste storie contengono una componente che noi oggi definiremmo “fantastica”. Io vi ripeto che non era sempre così, non era sempre tutto “magico-spirituale”. Ho raccolto apposta gli episodi che suonano più interessanti per noi, e che tra l’altro derivano da tragedie “vere”. Quelle persone nominate nelle cronache sono morte per davvero. Il “come” e il “perché” vengono raccontati in maniera molto fantasiosa, ma i cadaveri son cadaveri.

Spero che questo articolo sulle morti più bizzarre del medioevo vi sia piaciuto, mi raccomando iscrivetevi e ascoltate Leggende Affilate (YouTube, Spotify, Apple, eccetera eccetera). Alla prossima.

  1. CHAPTER XXXIV. Of the knight Thiemon, whose bowels were torn out by the devil, after playing dice with him
  2. Cronaca senese di Donato di Neri e di suo figlio Neri, P.747
Lorenzo Manara
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