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10 Novembre 2024

La Spada magica di Cesare

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Crocea Mors: la spada magica di Cesare, affilata e mortale!

Il mondo greco-romano era un mondo dove il soprannaturale pervadeva ogni aspetto della vita, di tutti, a tutti i livelli. Dall’imperatore allo schiavo: si praticavano rituali tra i più svariati come mescolare ingredienti nel calderone, punzecchiare effigi scolpite a forma d’essere umano con degli spilli, maledire qualcuno tramite formule.

Nell’età antica nasce quello che noi intendiamo oggi come “magico”, come fantastico. Praticamente tutto quanto, pure i mostri, pure i draghi. Di tutte queste cose ne parlo in maniera approfondita nella playlist Storia della Magia, raccontando aneddoti ed episodi specifici, la maggior parte dei quali parecchio avventurosi. Proprio come quello che intendo raccontarvi oggi: un elemento magico molto particolare che riguarda un grande della storia antica, tra i più grandi della storia umana direi: Giulio Cesare. Il quale, a quanto pare, avrebbe fatto uso di magia persino in guerra. Una straordinaria spada magica: la Crocea Mors.

Di incanti e prodigi usati in guerra, per vincere il nemico, ne sono comparsi parecchi nelle fonti antiche. Soprattutto quelle romane. Soprattutto quando a scontrarsi coi romani vi erano popoli barbari di paesi remoti, sconosciuti ai più. E l’ignoto, lo sconosciuto, si sa, genera spesso inquietudine, e dà modo alle storie di proliferare. Storie di misteri, per l’appunto, di magia.

Più ci si spingeva ai confini del mondo allora conosciuto, più si doveva fare i conti con qualcosa di estremamente diverso. Come nel 60 d.C., quando le legioni di Roma avevano invaso la Britannia celtica, scontrandosi con dei personaggi che incarnano alla perfezione l’idea dei misteriosi barbari, strettamente connessi al mondo soprannaturale: i druidi.

I romani raggiunsero la soglia del bosco sacro dell’isola di Anglesey, a largo delle coste gallesi, l’isola sacra che le fonti riportano come principale santuario celtico, nonché centro spirituale (e politico) di tutte le isole britanniche. Un obiettivo militare, quindi. Un obiettivo da distruggere.

Tolti di mezzo i druidi, l’intera Britannia sarebbe caduta sotto il dominio di Roma. Perché questi sacerdoti, i membri più importanti di una casta sociale, in grado di riunire persino svariate tribù diverse (spesso in guerra tra loro) erano, stando alle fonti, il bersaglio perfetto per far cadere l’intero mondo celtico, l’anello di congiunzione da spezzare. 

Nel 60 d.C., quindi, le legioni romane sbarcarono sull’isola sacra dei celti. Fanterie addestrate e bene equipaggiate coadiuvate da contingenti di cavalleria ausiliaria. I difensori, i britanni, non avevano alcuna possibilità di resistere a una simile potenza. Laddove la spada britannica non poteva arrivare, però, poteva farlo la magia. Ed è proprio ciò che misero in campo i druidi per resistere: l’ultimo rituale prima della fine.

Tacito, nei suoi Annali, ci racconta di come la magia druidica fosse stata impiegata in quella battaglia, nell’isola santuario, per fermare la macchina da guerra romana. L’autore antico ci racconta che i druidi si disposero sulla spiaggia, davanti alla flotta romana, per effettuare il loro orrido incanto. 

I druidi, disposti in cerchio attorno a un gruppo di donne in abito nero come le Furie (personificazioni femminili della vendetta), cominciarono a maledire i romani nella loro lingua sconosciuta, con le mani sollevate, alla luce delle fiaccole, gridando formule e sbraitando: uno spettacolo da raggelare il sangue. Qualsiasi guerriero avrebbe vacillato a una simile vista. 

Tuttavia, come ci ricorda Tacito, quei romani che stavano per sbarcare non erano guerrieri comuni. Erano legionari. In un primo momento rimasero un po’ turbati da una tale visione mistica, però scesero comunque a terra, misero mano alle armi, si schierarono per la battaglia… e travolsero tutti quanti: druidi, furie e britanni. Una vittoria schiacciante.

La disciplina batte la superstizione, quindi. Ma questo non fu l’unico episodio in cui romani e celti si scontrarono a colpi di magia. A quanto pare era già successo in un’altra invasione alla Britannia, guidata da Gaio Giulio Cesare in persona. E la magia, stavolta, era dalla parte dei romani: uno straordinario manufatto magico impugnato dallo stesso Cesare: la Crocea Mors. La spada magica di Cesare.

A raccontarci la storia della spada magica di Cesare è Goffredo di Monmouth, agli inizi del XII secolo, andandola a pescare chissà dove. Perché non ci sono molte tracce di questa leggenda nelle fonti coeve.

Goffredo descrive così la spada:

“Il nome della spada era Crocea Mors, in quanto mortale per ogni ferita che infliggeva.”

Secondo il cronista medievale, Cesare impugnava una spada che infliggeva ferite mortali alle quali nessuno poteva sopravvivere. Un’arma col “tocco mortale”, insomma: basta un taglietto che muori.

Il significato del nome scritto in un latino medievale di inizio XII secolo non è affatto semplice da spiegare. MORS significa morte, e va bè, ma CROCEA invece dà qualche problema perché lo si ritrova tradotto nei dizionari col significato di “color giallo zafferano” relativo in particolare all’abbigliamento, e soprattutto agli abiti in seta. Infatti questa spada, in italiano, viene spesso tradotta, semplicemente, come Morte Gialla. Ma quel “gialla”, secondo me, dovrebbe essere approfondito. Sono convinto che ci sia un contesto diverso cui fare riferimento, e che esista un termine più preciso.

Insomma, cosa sia di fatto questa spada magica dal tocco mortale è un mistero, a partire dal nome. Sappiamo solo che Cesare la possedeva e che la portava con sé. Pure quando, nel 55 a.C. giunse con la sua flotta nell’odierna Gran Bretagna, alla foce del Tamigi, per sbarcare in forze col suo esercito e dare inizio all’invasione.

I britanni dell’isola dopo esser stati informati dell’invasione si riunirono per agire tutti assieme, mettendo da parte le loro divergenze. Alcuni capi guerrieri suggerirono di sferrare subito la controffensiva, ed è ciò che fu deciso di fare, poiché non c’era tempo da perdere: dovevano fermarli immediatamente, o i romani si sarebbero presi le prime fortezze lungo la costa e avrebbero cominciato a erigere i loro efficientissimi quanto fastidiosissimi accampamenti fortificati mettendo in piedi una struttura organizzativa che più si sarebbe radicata nel territorio e più sarebbe stata difficile da estirpare. Insomma, sappiamo benissimo cosa erano in grado di fare i romani.

I celti di Britannia, quindi, radunarono l’esercito e andarono incontro ai romani il prima possibile, sulle sponde del Tamigi, dove sorgeva l’accampamento degli invasori. La battaglia ebbe inizio. Dice il cronista che “combatterono corpo a corpo, lancia contro lancia e colpo di spada contro colpo di spada. I feriti caddero a mucchi da una parte e dall’altra e il suolo fu inzuppato del sangue degli uccisi”. La mischia fu così sanguinosa che il terreno venne lavato “come da un improvviso ritorno della marea”. Lavato di rosso, s’intende. I capi guerrieri dei britanni combattevano ferocemente e riuscirono a spingersi fino al cuore della formazione romana, dove lo stesso Cesare combatteva assieme alla sua coorte. Fu in quel frangente che uno dei capiguerra celti, Nennio, ebbe l’occasione di avvicinarsi a Cesare per incrociare le armi con “un uomo così grande”.

Purtroppo però, questo capoguerra celtico non aveva idea che una delle spade magiche più temibili della storia stava per decretare la sua fine.

Nennio si fece avanti coraggiosamente e menò un colpo di spada contro Cesare. Cesare sollevò lo scudo per pararsi e rispose a sua volta, colpendo Nennio dritto in testa con la sua spada magica. La spada magica di Cesare sbatté contro l’elmo del capoguerra celtico, lasciandolo un po’ stordito per la botta, ma ancora in vita. E allora Cesare menò un secondo colpo, stavolta per neutralizzare Nennio definitivamente. Ma Nennio sollevò lo scudo appena in tempo e riuscì a parare questo secondo poderoso colpo, così potente che la lama s’incastrò. E la spada magica di Cesare rimase conficcata nello scudo del capoguerra celtico.

A quel punto, nonostante questo duello spettacolare tra i due comandanti, la battaglia andava avanti. E si metteva male per i romani. I britanni stavano avendo la meglio, e lo stesso Cesare fu ripreso dai suoi uomini, per mettersi in salvo. Cesare, quindi, dovette lasciare la sua spada magica conficcata nello scudo del capo nemico e ritirarsi.

Nennio, dal canto suo, si ritrovò con la spada magica di Cesare conficcata sul suo scudo. In qualche modo riuscì a toglierla di lì, per brandirla e rivolgerla proprio contro i romani. Nennio il celtico impugnò la spada magica di Cesare e cominciò a menarla furiosamente contro i romani in fuga. L’autore dice che “Chiunque colpisse con la spada: o gli tagliava la testa o lo lasciava ferito senza speranza di guarigione.”

La spada mortale, infatti, faceva saltar teste come birilli. E i celti diedero inizio a una carneficina. La battaglia, quindi, si concluse in favore dei celti. Al termine della giornata i romani, decimati e feriti, fecero ritorno alle navi e s’imbarcarono per la Gallia. I consiglieri di Cesare lo pregarono di cessare l’invasione e lui fu contento di ascoltarli, affermando che non avrebbe mai più messo piede sull’isola. 

C’è qualcosa che non torna in questo finale? Be’, sì. Stando alle fonti, sembrerebbe che Cesare non abbia perduto alcuna battaglia importante nelle sue spedizioni in Britannia. E che, anzi, il suo contributo sia stato così importante da garantire il successo dell’invasione e conquista vera e propria, qualche anno più tardi, dell’intera Britannia. Di certo, poi, non è mai fuggito con la coda tra le gambe.

Questo finale, ovviamente è dovuto all’interpretazione del cronista britannico che tentava, nel medioevo, di dar lustro ai suoi antenati celti, originari abitanti dell’isola.

A parte tutto, quel che interessa a noi, adesso, è quel che accadde a Nennio. Perché la storia non è finita qui. Ricordate quando Cesare vibrò il suo colpo sull’elmo del capoguerra celtico? Ecco, tale botta, seppure non avesse scaturito alcuna ferita di contatto tra la lama e la pelle, in realtà conta come ferita. La spada per via della botta aveva ferito, seppur lievemente, Nennio. Nonostante l’elmo di mezzo. Quindi, Nennio doveva morire.

Quindici giorni dopo, il capoguerra celtico giaceva sul letto di morte. La ferita alla testa, infatti, era peggiorata fino a divenire incurabile. Nennio morì e fu sepolto alla maniera nordica, ovvero con i suoi possedimenti, la sua armatura, le sue armi e pure la spada magica, la Crocea Mors, che era riuscito a strappare dalle mani di Giulio Cesare in un appassionante duello. La stessa spada che purtroppo finì per ucciderlo.

Da allora, della spada mortale di Cesare, una delle spade magiche più misteriose della storia, non si seppe più nulla. Se ti è piaciuta questa storia medievale, tra eroismo e maledizioni soprannaturali, ascolta la playlist di Leggende Affilate, per ascoltare tantissimi episodi fantastici, ripresi sempre dalle autentiche cronache del passato.

Lorenzo Manara
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