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1 Gennaio 2021

La caccia selvaggia

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La leggenda della caccia selvaggia: da Odino all’Inferno di Dante, passando per The Witcher e Arlecchino

Nel Medioevo tenevano in altissima considerazione l’Evo Antico. Gli scritti degli autori greci e latini veicolavano la conoscenza e raramente venivano messi in discussione. Questo significa che perfino le leggende e le superstizioni che erano proprie dell’Età Antica penetrarono nella società medioevale.

Con le dovute modifiche l’insieme dei miti diffusi tra le popolazioni europee finirono per essere accolti come parte integrante della cultura e perfino della religione. Si evolvevano, certo, ma la base comune restava la stessa. Non a caso Dante nel suo Inferno inserisce un certo diavolo di nome Alichino, il quale nome deriva dal personaggio di una leggenda della tradizione britannica, che a sua volta pesca a piene mani dalla mitologia norrena…

Mentre scartabellavo alla ricerca di documentazione sulla caccia selvaggia per la scrittura di un romanzo mi sono ritrovato queste informazioni per le mani e sono sicuro che le troverete interessanti. Perciò bando alle ciance e cominciamo dall’inizio.

Secondo Jacob Grimm (Esatto, uno dei due fratelli Grimm!) la caccia selvaggia (Wild Hunt) ha origine dalla masnada di Odino, che con i suoi guerrieri morti si lanciava in impressionanti cavalcate nei cieli al sopraggiungere del solstizio d’inverno1.

Grimm condivideva l’ideologia tipica del suo tempo, ovvero che tutto il folclore moderno trae la propria origine dal passato; che religione e cultura popolare siano l’evolversi di vecchie credenze e superstizioni. In parte sono d’accordo con questa visione, ma non posso fare a meno di notare che spesso si tende a voler trovare a tutti i costi “l’origine delle cose”, cadendo preda di pregiudizi e del bias di conferma.

Insomma, nel folclore europeo è strapieno di personaggi che montano a cavallo e guidano una caccia selvaggia durante il periodo più buio e freddo dell’anno. Odino stesso viene spesso correlato a svariate altre entità nordiche come Wodan o Woden o, nel caso della Britannia, Herla.

Quella di re Herla è di certo una delle interpretazioni più famose all’origine della caccia selvaggia. Appare per la prima volta negli scritti di Walter Map, monaco che visse nel XII secolo, e si rifà a un periodo buio della storia britannica, ovvero all’abbandono dell’isola da parte dei romani e al susseguirsi d’invasioni che si alternarono una dopo l’altra, tra vichinghi e popolazioni dell’odierna Francia e della Germania (Bretoni, Angli, Sassoni e per finire i Normanni).

Secondo il monaco Map, Herla era un leggendario re d’Inghilterra (uno dei tanti prima dell’unificazione) che poco prima del suo matrimonio incontrò sul suo cammino uno strano essere a cavallo di un caprone. Si trattava del re dei nani, popolo mitico che abitava sotto le montagne. Il re dei nani aveva saputo del matrimonio di Herla e chiese di partecipare anche lui ai festeggiamenti, con la promessa di ricambiare l’invito. Mai nessun uomo era stato ospite dei nani, padroni di un regno che si diceva ricco ogni oltre immaginazione. Perciò Herla accettò senza esitazione.

Il nano partecipò al matrimonio, bevve e festeggiò per tre giorni. Al termine della cerimonia salì in groppa al suo caprone e invitò Herla a seguirlo nel suo regno. Herla raccolse i suoi cavalieri migliori e lo seguì fino alla scogliera, da cui sorgeva l’entrata per il regno sotterraneo. Per la prima volta gli uomini poterono ammirare le bellezze del regno dei nani, ricco di tesori e magia.

La festa durò altri tre giorni. Quando giunse il momento di tornare a casa dalla sua sposa, Herla venne richiamato dal re dei nani che voleva fargli dono di un tesoro: un segugio. Per ritrovare la strada Herla avrebbe dovuto seguirlo facendo molta attenzione: lui e i suoi cavalieri non sarebbero dovuti smontare da cavallo finché il segugio non fosse giunto a destinazione. Per nessuno motivo.

Herla e la sua schiera lasciarono la montagna, sulla scia del segugio. Attraversarono il territorio passando per luoghi che Herla non ricordava affatto. Gli sembrava d’essere finito da tutt’altra parte. Non appena scorse un contadino lo chiamò per chiedergli dove si trovassero, ma entrambi faticavano a comprendersi. Parlavano la stessa lingua eppure la utilizzavano in maniera differente, come se si trattasse di due dialetti diversi.

Per spiegarsi meglio Herla gli disse il proprio nome e il contadino aggrottò la fronte. Per lui si trattava di un nome antico, di un sovrano scomparso sotto la montagna, trecento anni prima…

Uno dei cavalieri del seguito di Herla scese di cavallo, sconvolto, e si polverizzò all’istante. L’inganno del re dei nani era ormai in atto: nessuno poteva smontare, non finché il segugio non avesse finito il suo viaggio. Herla e i suoi cavalieri avevano trascorso trecento anni sotto la montagna ed erano ormai condannati a un’eterna cavalcata. Il segugio, infatti, non si fermò mai più.

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Alichino finisce nella pece dopo la zuffa con Calcabrina. Dall’illustrazione di Gustave Dorè dell’Inferno

La figura di Re Herla è stata assimilata in quella di Hellequin (secondo alcuni derivato da Herla-king), diavolo armato di clava apparso negli scritti di un monaco benedettino normanno2. Hellequin guidava un’eterna processione di dannati al sopraggiungere del solstizio d’inverno. Vi sono numerose altre varianti che condividono la radice linguistica, sia germaniche che francesi, ma per quanto riguarda l’Italia dobbiamo attendere Dante Alighieri e il suo Inferno.

Il termine Alichino compare nell’Inferno dantesco, a indicare uno dei diavoli delle Malebolge, canti XXI, XXII e XXIII. E’ probabile che Dante abbia scoperto la storia del monaco normanno, che a sua volta aveva riadattato la leggenda di re Herla. Non possiamo saperlo con precisione, ma c’è un’ultima curiosità che voglio lasciarvi in fondo a questa caotica spiegazione delle origini della caccia selvaggia.

La famosa maschera italiana della commedia dell’arte di nome Arlecchino viene attribuita da molti a quell’Alichino dell’Inferno di Dante e, dunque, al diavolo. Vesti dipinte a rimarcare le schiere cavalleresche della caccia selvaggia, maschera grottesca, nera come la pece delle Malebolge, annerita dal fuoco e dai fumi…

Insomma, io di materiale per scrivere romanzi ne ho raccolto abbastanza. E voi al prossimo Carnevale sapete già come vestire il figlioletto pestifero che ve ne combina di ogni tipo in casa. Dopo aver letto questo articolo potrete ridervela sotto i baffi mentre lo vedete scorrazzare nella sua uniforme infernale, a tirar coriandoli e riempire di schiuma le persone col ghigno da necromante stampato in faccia.

  1. Deutsche Mythologie, 1835
  2. Historia Ecclesiastica, XII secolo, Ordericus Vitalis
Lorenzo Manara
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