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5 Luglio 2025

Il VERO Codice TEMPLARE (Tutta la Verità, Senza Fuffa)

il vero codice templare

Tutti gli articoli della Regola Primitiva, ovvero il codice templare del 1128

Tutti conoscono i Templari. Cavalieri leggendari, custodi di segreti inconfessabili, protagonisti di miti che si perdono tra il sacro e l’esoterico. Ma cosa succederebbe se vi dicessi che la vera storia di questi uomini era molto più complessa e affascinante di qualsiasi leggenda? Che il loro potere non nasceva da tesori nascosti o da rituali proibiti, ma da un Codice: il codice templare, una regola di vita (monastica) rigorosissima, che li trasformò da un piccolo gruppo di monaci guerrieri in una delle forze più influenti del Medioevo.

Faccio subito una premessa per accontentare gli appassionati di esoterismo e complotti: tesori nascosti e rituali proibiti che riguardano i templari sono davvero menzionati nelle fonti storiche di epoca medievale, perché già allora si scrivevano cose misteriose sul conto di questo ordine monastico cavalleresco. Quindi, le leggende che tutti abbiamo sentito raccontare hanno un riscontro effettivo; nel senso che sono menzionate nei documenti: poi, sull’effettiva veridicità, è tutto un altro paio di maniche. Ho parlato ampiamente di tutto questo in altri episodi, che trovate raccolti in Leggende Affilate, la mia playlist di storie riprese dalle autentiche fonti d’epoca. L’episodio sulla vita di un templare rinnegato, in particolare, un avventuriero italiano straordinario, è pieno di misteri che riguardano l’ordine, compreso un tesoro nascosto: Ruggero da Fiore, si chiamava, ascoltate l’episodio se non lo avete già fatto perché è pazzesco.

Oggi non parleremo di leggende (e della tanta fuffa che circola sull’argomento), ma di aspetti concreti, scritti nero su bianco. Analizzeremo insieme la Regola Primitiva dei Templari, il documento che ha plasmato ogni singolo aspetto della loro esistenza. Articolo per articolo, parola per parola. Dimenticate i romanzi e le teorie del complotto. Vi porterò direttamente alle origini, nel vero mondo quotidiano dei Templari per scoprire chi fossero veramente, a partire dalla loro stessa legge:

“A voi tutti, che in cuor vostro rinunciate ai vostri desideri e con animo puro bramate servire il Re supremo come valorosi cavalieri, e con devozione profonda aspirate a indossare, per sempre, la santa armatura dell’obbedienza: noi vi esortiamo. Voi, che finora avete vissuto come cavalieri mondani, (…) affrettatevi ora a seguire coloro che Dio, nella Sua immensa grazia, ha scelto dalla moltitudine dei perduti (…). Venite, e unitevi a loro per l’eternità.”

Questo, signore e signori, è uno stralcio di incipit del codice templare, o meglio, della “regola primitiva”. Il termine “primitiva” si riferisce alla prima stesura ufficiale del codice templare, quella che fu discussa e approvata nel Concilio di Troyes nel 1128. Prima di quel momento, i primi cavalieri Templari vivevano già secondo alcune consuetudini e pratiche proprie, ma non c’era ancora un documento formale e riconosciuto.

Nel corso del tempo, man mano che l’Ordine dei Templari cresceva in dimensioni, influenza e complessità operativa (con la gestione di beni, castelli, e un numero sempre maggiore di membri), la Regola primitiva venne modificata, ampliata e integrata con nuove disposizioni. Queste aggiunte e modifiche servivano ad adattare il codice templare alle nuove esigenze, rendendolo più dettagliato e specifico.

Un’ulteriore piccola nota, prima di iniziare, questa mia traduzione in italiano deriva da una trascrizione del 1886 dal latino al francese1. In latino, perché era questa la lingua usata all’epoca, per la scrittura, soprattutto per quanto riguarda le “Regole” che nascevano in ambito monastico. La Regola del Tempio, infatti, è modellata su alcuni fondamenti di un’altra regola che è quella benedettina, dell’ordine dei monaci benedettini. Perché, ricordiamolo, l’ordine templare è un ordine religioso. E come vedremo fra poco, i templari si comportavano proprio come dei monaci (se non fosse che avevano la licenza di uccidere, e altre licenze a corredo). Detto questo, indossate il manto bianco che si parte a menar sacre spadate!

Articoli da 1 a 5: Qui inizia il prologo alla Regola del Tempio

I primi 5 articoli del codice templare fanno da prologo. Un prologo che stabilisce il fondamento ideologico e storico dell’Ordine dei Cavalieri Templari. Parla a coloro che desiderano dedicare la loro vita a servire Dio come cavalieri, abbandonando la vita secolare, mondana, in favore di una “nobilissima armatura dell’obbedienza”, come vi ho già letto prima. Si sottolinea come l’Ordine sia una rinascita della vera cavalleria, quella che “difendeva i poveri, le vedove, gli orfani e le chiese”, in contrasto con una cavalleria precedente che si dedicava al saccheggio e alla violenza.

Articoli da 6 a 8: I Nomi dei Padri che Presenziarono al Concilio

Il testo narra poi l’evento cruciale della fondazione e approvazione dell’Ordine a Troyes nel 1128, con l’intervento di figure chiave come Hugues de Payens (fondatore e primo maestro ufficiale dell’ordine templare) e Bernardo di Chiaravalle (uno degli uomini di chiesa più influenti del tempo, che supportò la fondazione di questo ordine, contribuendo alla stesura dello stesso codice templare).

Viene descritto questo concilio avvenuto in Francia, dove l’Ordine fu formalmente riconosciuto al cospetto del papa e di molti altri influenti uomini di chiesa dell’epoca. E si descrivono i partecipanti al concilio. Tolti questi articoli introduttivi, arriviamo, quindi, all’articolo numero 9, dove inizia la regola vera e propria, quel che interessa a noi, con i precetti, i comandi, e le consuetudini di vita quotidiana, dove si scende anche abbastanza nel dettaglio. La cosa interessante della regola templare, e delle regole in generale, è che ti dice molto su come vivevano nel concreto.

Articoli 9 e 10: Qui Inizia la Regola della Povera Cavalleria del Tempio

Il nono articolo ci rivela subito una delle peculiarità più sorprendenti di questi cavalieri: la loro dedizione alla preghiera. Immaginate questi uomini, con le loro pesanti armature, che ogni giorno dovevano rispettare rigorosamente gli orari della preghiera, proprio come qualsiasi monaco. La Regola imponeva loro di “sforzarsi di ascoltare i mattutini e l’intero servizio secondo il diritto canonico.” Non erano semplici soldati: erano monaci che combattevano, e la loro disciplina spirituale era tanto importante quanto quella militare. Quindi, dovevano pregare, sempre, tutti i giorni, sforzandosi di seguire le ore liturgiche.

Ed è proprio questa disciplina che infondeva loro il coraggio. Il codice templare afferma chiaramente che “alla fine dell’ufficio divino, nessuno deve temere di andare in battaglia se d’ora in poi porta la tonsura.” La tonsura, il taglio di capelli che li identificava come religiosi, non era solo un simbolo, ma una promessa: avendo adempiuto ai loro doveri spirituali, erano pronti ad affrontare qualsiasi pericolo, persino la morte, senza paura. La loro fede era la loro armatura più resistente.

Avevano tutti la tonsura, quindi, come i frati? Be’, viene menzionata, ma su questo c’è dibattito. Perché non tutti i cavalieri templari osservavano vita clericale. Il discorso vale anche per i voti, come quello di castità. C’erano varie eccezioni, e le vedremo nel corso dell’episodio.

Ora, qualcuno di voi si chiederà: ma questi dovevano andare in guerra. Combattere. E come facevano ad andare in chiesa 3-4-5 volte al giorno? Qui, entra subito in gioco la prima “licenza” a parte quella di uccidere, dei cavalieri templari.

Perché la vita in Terra Santa era fatta di continue spedizioni e imboscate, e non sempre era possibile rispettare gli orari fissi delle preghiere. E l’articolo 10 lo spiega bene. I Templari sapevano che le missioni sul campo sarebbero state frequenti “se qualche fratello viene inviato per il lavoro della casa e della cristianità in Oriente — cosa che crediamo accadrà spesso — e non può ascoltare l’ufficio divino, dovrebbe dire invece tredici paternostri (al posto dei mattutini); sette per ogni ora e nove per i vespri.” Un numero preciso di preghiere sostitutive di ogni ora liturgica, i Paternostri, per assicurare che il loro legame con Dio non si spezzasse mai, anche nel caos della battaglia. Era un adattamento intelligente: la fede rimaneva la priorità, ma si piegava alle esigenze pratiche della guerra senza mai essere abbandonata. Insomma, se non si poteva andare in chiesa fisicamente, si diceva le preghierine “in remoto”, come lo smart working.

Il codice templare non riguardava solo la guerra e la preghiera, ma anche l’integrazione di nuovi membri. L’articolo 11 ci svela il processo rigoroso e ponderato per accogliere chi desiderava unirsi a questi monaci guerrieri.

Articolo 11: Il Modo in cui i Fratelli devono essere Ricevuti

Questo articolo è fondamentale per capire quanto fosse seria e ponderata la decisione di diventare un Templare. Non era una cosa da prendere alla leggera, né per chi entrava né per l’Ordine stesso.

Il testo recita: “Se qualche cavaliere secolare, o qualsiasi altro uomo, desidera lasciare la massa della perdizione e abbandonare quella vita secolare e scegliere la vita comune, non acconsentire a riceverlo immediatamente”. Questo è un dettaglio cruciale! Ci mostra subito che non c’era spazio per gli impulsi o le decisioni affrettate. L’Ordine, consapevole della gravità dell’impegno, imponeva un periodo di prova.

Piccolo approfondimento sul termine “secolare”, che forse ho già pronunciato, sicuramente anche in altri episodi, ma adesso vale la pena definire bene. La parola “secolare” nel contesto medievale, specialmente quando si parla di ordini religiosi come i Cavalieri Templari, si riferisce semplicemente a tutto ciò che è legato al mondo laico, alla vita ordinaria e alle questioni terrene. In pratica, indicava chi non aveva preso voti religiosi o non faceva parte di un ordine monastico. Un “cavaliere secolare” era un nobile guerriero che viveva la sua vita nel mondo, con proprietà, famiglia e doveri legati alla società civile, in contrapposizione a chi, come i Templari, rinunciava a tutto questo per dedicarsi interamente a una vita consacrata. Quindi, “abbandonare la vita secolare” significava lasciare dietro di sé tutte le preoccupazioni e i piaceri del mondo terreno per abbracciare un’esistenza di servizio religioso e spirituale. Secolo fa riferimento al tempo terreno, fatto di giorni, mesi, anni. Cosa che invece interessa poco a chi si occupa di questione più alte, che spesso hanno a che fare con l’eternità.

Per tornare al periodo di prova imposto dalla regola, si trattava di un lasso di tempo che andava dai 30 giorni ai 90, secondo contratto collettivo nazionale. No, sto scherzando. Perdonate la battuta, ma il periodo di prova per diventare templare era regolato, e io ci scherzo su, perché molto simile al nostro periodo di prova lavorativo. Perché non bastava il “curriculum”, ovvero le competenze. Non cercavano solo guerrieri forti, ma anime pure e motivate da una vera vocazione divina. Era un test non solo delle capacità fisiche, ma soprattutto della fede e della determinazione interiore.

Infine, il processo culminava in un atto pubblico e solenne, dove i fratelli leggevano la regola, questi articoli, su cui il nuovo cavaliere avrebbe poi giurato. Questo rituale pubblico era un momento di grande importanza. Era un impegno totale, che richiedeva non solo la rinuncia alla vita secolare, ma un cuore e uno spirito puri.

Gli articoli seguenti, 12 e 13, ci rivelano come si relazionava l’ordine con una delle pene più temute del Medioevo: la scomunica.

Articolo 12 e 13: Sui cavalieri scomunicati

L’articolo 12 ci mostra una sorprendente flessibilità e compassione da parte dell’Ordine verso i cavalieri che erano incappati nella scomunica, la massima pena ecclesiastica che estrometteva una persona dalla comunità dei fedeli. Perché accadeva d’essere scomunicati, e chi ha ascoltato gli episodi di Leggende Affilate lo sa bene.

Il codice templare stabilisce: “Dove sono riuniti cavalieri scomunicati, lì vi comandiamo di andare; e se qualcuno lì desidera unirsi all’ordine della cavalleria dalle regioni d’oltremare, non dovreste considerare tanto il guadagno mondano quanto la salvezza eterna della sua anima.” Questo passaggio è incredibile! Non solo i Templari erano autorizzati ad avvicinare gli scomunicati, ma erano addirittura comandati a farlo, con l’obiettivo primario di salvare la loro anima. Era un tentativo di recupero spirituale in un’epoca dove la scomunica significava spesso l’esclusione sociale e la dannazione eterna. Oppure, per vederla sotto un’altra ottica, era un modo per reclutare milizie addestrate e di valore (cavalieri) in maniera più semplice. Perché un cavaliere nobile magari non aveva tanta voglia di abbandonare gli agi del suo castello in Francia per andare nella polvere a combattere i saraceni, e pregare e fare digiuno. Uno scomunicato, forse, non aveva altra scelta. Un po’ come avverrà successivamente con le guerre moderne, laddove si reclutavano i condannati e i tagliagole tra i fucilieri e i granatieri dei reparti, tanto per fare un’analogia.

Il processo per l’accoglienza degli scomunicati, poi era controllato dal vescovo di quella provincia, che prendeva in esame il caso e faceva un po’ da garante, assolvendo lo scomunicato per poi fargli prendere il manto bianco. Possiamo vederla come una sorta di via d’uscita?

Qui torniamo anche agli articoli iniziali, sulla tonsura e i voti: perché cominciamo a capire che i cavalieri templari potevano provenire da ogni genere di situazione, anche molto diversi tra loro.

L’articolo 13, integra il precetto del 12, chiarendo che gli scomunicati che non hanno voluto ravvedersi, sono assolutamente da evitare. Perché un conto è accogliere un cavaliere che si è pentito, con la garanzia e assoluzione del vescovo, ed è entrato nell’ordine eccetera eccetera. Un conto sono gli scomunicati che se lo meritano.

Il codice templare è categorico: “Sotto nessun’altra circostanza i fratelli del Tempio dovrebbero condividere la compagnia di un uomo ovviamente scomunicato, né prendere le sue cose; e questo lo proibiamo fortemente perché sarebbe una cosa spaventosa se fossero scomunicati come lui.” Questo passaggio ci fa percepire la paura reale della scomunica. Contattare uno scomunicato significava rischiare la stessa sorte, e i Templari non potevano permetterselo. La loro missione dipendeva dalla loro legittimità e dal favore divino, e una scomunica collettiva sarebbe stata un disastro.

Articolo 14: Sul Non Ricevere Bambini

L’articolo 14 ci offre una prospettiva affascinante sull’età in cui si poteva entrare a far parte dell’Ordine. Contrariamente a pratiche comuni in altri ordini religiosi, i Templari avevano una politica molto chiara sui bambini: “Sebbene la regola dei santi padri permetta di ricevere i bambini in una vita religiosa, noi non vi consigliamo di farlo.”

Questo è un punto di rottura significativo. A differenza di monasteri che accettavano oblati fin dall’infanzia, i Templari erano categorici. Perché? La loro missione richiedeva una forza fisica e una maturità di intenti che un bambino non poteva avere.

“Poiché colui che desidera dare suo figlio eternamente all’ordine della cavalleria dovrebbe allevarlo fino a quando non sia in grado di portare le armi con vigore, e liberare la terra dai nemici di Gesù Cristo.” L’enfasi è tutta sull’efficacia militare e sulla capacità di combattere. Non si trattava di un ripiego per bambini orfani o destinati alla vita religiosa, ma di una scelta consapevole e matura, orientata alla guerra santa.

E ancora: “è molto meglio se non prende il voto quando è un bambino, ma quando è più grande, e sarebbe meglio che non si penta.” Questa frase ci rivela una profonda saggezza psicologica. L’Ordine voleva membri pienamente convinti, che non si sarebbero pentiti della loro scelta in età adulta. Era una decisione di vita o di morte, e doveva essere presa con piena consapevolezza. Cosa che non avvenne per il templare italiano, e rinnegato, Ruggero da Fiore. Lui fu accolto da bambino, e infatti successe un gran casino. Poi, terminato questo episodio, vi consiglio di attaccare subito con quello, ne vale assolutamente la pena.

Articoli 15 e 16: Sui Fratelli che Stanno Troppo a Lungo in Cappella

Gli articoli 15 e 16 ci portano all’interno della cappella templare, rivelando come la loro devozione fosse temperata da un sano pragmatismo e rispetto per il benessere dei fratelli.

L’articolo 15 affronta un problema inaspettato: stare troppo in piedi durante le funzioni. “Ci è stato fatto sapere e lo abbiamo sentito da veri testimoni che immoderatamente e senza ritegno ascoltate il servizio divino stando in piedi. Noi non ordiniamo che vi comportiate in questo modo, al contrario lo disapproviamo.” Questo è curioso: i Templari dovevano essere forti e resistenti, eppure il codice templare li ammoniva a non esagerare con la posizione eretta. Probabilmente, stare in piedi per ore dopo una giornata di battaglia o di addestramento poteva essere estenuante e distrarre dalla preghiera.

Ed ecco la soluzione è pratica: “Comandiamo che i forti così come i deboli, per evitare un fastidio, dovrebbero cantare il salmo (…) e l’inno seduti, e dire le loro preghiere in silenzio, piano e non ad alta voce, in modo che il proclamante non disturbi le preghiere degli altri fratelli.” Qui vediamo un attenzione al comfort e alla quiete comune. La preghiera era personale e intima; il brusio o le voci alte avrebbero disturbato la contemplazione altrui. È un dettaglio che ci mostra la loro vita comunitaria, e che io, personalmente, mi sono molto meravigliato di trovare. Mi sarebbe piaciuto molto capire dove sedessero, secondo questo precetto. Se su panche, o per terra, come viene raccontato in altre cronache medievali riguardo i monaci. Scrivendo romanzi, non potete capire quante volte io cerchi dettagli del genere, concreti, perché nelle scene in cui i personaggi vanno a messa bisogna essere precisi. E di certo non si può rappresentare la messa come la conosciamo noi oggi, perché il rito è diverso, è diversa la disposizione nella stessa chiesa, la collocazione dell’altare, e pure le panche che vediamo noi nelle chiese, non erano così. Sapere che la regola prevede che i templari dovessero sedersi, mi fa esplodere il cervello perché a questo punto vorrei sapere nel concreto: dove? Nel mio romanzo, La Stirpe delle Ossa, ho risolto lasciandoli in piedi. Ed è anche storicamente confermato da questa regola, perché gli stessi templari a quanto pare preferivano stare in piedi e dovettero essere comandati di non farlo. Ma insomma, lasciamo da parte le mie follie da scrittore e andiamo avanti.

L’articolo 16 specifica poi i momenti in cui era doveroso alzarsi durante le funzioni religiose: “Alla fine dei salmi, quando viene cantato il Gloria patri, per reverenza verso la Santa Trinità, vi alzerete e vi inchinerete verso l’altare… E quando viene letta la spiegazione dei Vangeli, e viene cantato il Te deum laudamus, e mentre vengono cantate tutte le laudi, e le mattutini sono finite, sarete in piedi.” Questi momenti specifici di devozione, come l’inchino all’altare o l’alzarsi durante il Vangelo, erano espressioni visibili della loro fede e disciplina. E questo lo abbiamo mantenuto anche oggi, col continuo alzarsi e sedersi durante la messa. Ora mettiamo da parte le preghierine e concentriamoci sull’aspetto che tutti aspettavamo: l’estetica leggendaria del templare.

Articoli 17, 18, 19: Sull’abito dei fratelli

Gli articoli 17, 18 e 19 si concentrano sull’aspetto più iconico dei Templari: il loro abbigliamento, simbolo della loro identità.

L’articolo 17 rivela il colore distintivo: “Comandiamo che tutti gli abiti dei fratelli debbano essere sempre di un solo colore, cioè bianco o nero o marrone. E concediamo a tutti i fratelli cavalieri in inverno e in estate se possibile, mantelli bianchi; e nessuno che non appartenga ai suddetti Cavalieri di Cristo è autorizzato ad avere un mantello bianco”. Il mantello bianco era il loro segno distintivo, un simbolo esclusivo dei fratelli “cavalieri”. Non un semplice abito, ma un’identità.

E il significato del bianco è chiaro: “in modo che coloro che hanno abbandonato la vita di tenebre si riconoscano come riconciliati con il loro creatore dal segno degli abiti bianchi: il che significa purezza e completa castità.” Il bianco rappresentava la purezza morale e la castità.

E qui abbiamo il riferimento al voto di castità. Buttato lì, parlando del mantello. Verrà menzionato altre volte nel corso del codice templare, ma non vi sarà mai un articolo dedicato esclusivamente al voto. Nella regola primitiva non c’è un articolo che dice “ogni cavaliere deve fare voto di castità”. C’è un articolo che ti dice come devi portare la camicia, ma non sulla castità. Gli storici hanno dato una risposta a tutto questo, ovvero che semplicemente non era obbligatorio.

L’articolo 18 impone l’umiltà e l’uniformità anche nel vestiario: “Queste vesti dovrebbero essere senza alcun ornamento e senza alcuna ostentazione di orgoglio.” L’abbigliamento doveva essere pratico e uguale per tutti, per evitare vanità e distinzioni sociali. E doveva anche essere realizzato su misura, a regola d’arte, “in modo che gli occhi degli invidiosi e dei maldicenti non possano osservare che le vesti sono troppo lunghe o troppo corte; ma dovrebbe distribuirle in modo che si adattino a coloro che devono indossarle, secondo la taglia di ciascuno.” Un dettaglio minuzioso che mostra la cura per evitare il minimo segno di ostentazione o favoritismo, garantendo che ogni fratello fosse vestito in modo adeguato ma semplice.

L’articolo 19 svela la severità verso l’orgoglio: “E se qualche fratello per un sentimento di orgoglio o arroganza desidera avere come suo diritto un abito migliore e più fine, gli sia dato il peggiore.” Una punizione immediata e visibile per chi mostrava vanità. Le vecchie vesti non andavano sprecate: “E coloro che ricevono nuove vesti devono immediatamente restituire quelle vecchie, da dare agli scudieri e ai sergenti e spesso ai poveri.” Un sistema efficiente che univa l’umiltà all’efficienza e alla carità.

Articolo 20: La Camicia

L’articolo 20 ci offre un piccolo, ma significativo, dettaglio sulla vita quotidiana in un clima impietoso. “Tra le altre cose, con misericordia stabiliamo che, a causa della grande intensità del calore che esiste in Oriente, da Pasqua a Ognissanti, per compassione e in nessun modo come un diritto, una camicia di lino sarà data a ogni fratello che desidera indossarla.”

Questo è un tocco di umanità in una Regola altrimenti molto severa. La “grande intensità del calore” in Terra Santa era una realtà dura, e l’Ordine, pur mantenendo la disciplina, mostrava compassione per il benessere fisico dei suoi membri. La camicia di lino era una concessione, un privilegio per alleviare le sofferenze del clima, non un diritto. Come il dress code in ufficio, durante l’estate, quando si possono indossare camicie a maniche corte.

Il codice templare continua a svelare i dettagli più intimi della vita di questi monaci-guerrieri, dalle loro abitudini nel sonno e nel vestire, fino alle complesse norme che regolavano i loro pasti.

Articolo 21: il letto

L’articolo 21 ci porta direttamente nelle camerate templari, offrendoci un’immagine vivida delle loro abitudini notturne e della loro meticolosa cura personale.

Il codice templare stabilisce che durante la notte, a letto, i templari “saranno sempre vestiti con camicia e brache e scarpe e cinture, e dove dormono sarà illuminato fino al mattino.” Non si dormiva nudi o al buio! Questo dettaglio è cruciale per capire la disciplina costante e la prontezza all’azione. Erano sempre pronti a scattare, a combattere o a pregare, in qualsiasi momento della notte. La luce costante, poi, serviva a garantire la disciplina e forse anche, azzardo io, un maggiore controllo?

E non è tutto: “il Drappiere dovrebbe assicurarsi che i fratelli siano così ben tonsurati che possano essere esaminati dalla parte anteriore e da quella posteriore; e vi comandiamo di aderire fermamente a questa stessa condotta riguardo a barbe e baffi, in modo che nessuna eccedenza possa essere notata sui loro corpi.” 

Qui si fa riferimento alla tonsura. E parrebbe che tutti i cavalieri fossero obbligati a radersi i capelli come i monaci. Molti storici però, vista la grande varietà di status, e tipologie di cavalieri che entravano a far parte dell’ordine, tra i quali probabilmente vi erano anche cavalieri non chierici, che non avevano i voti, ritengono che la tonsura non fosse obbligatoria. Insomma, c’è dibattito.

Articolo 22: Sulle Scarpe a Punta e i Laccetti delle Scarpe

L’articolo 22 ci mostra un’altra sfaccettatura della loro rinuncia al mondo secolare, vietando con fermezza ogni forma di vanità o comodità eccessiva. “Proibiamo scarpe a punta e lacci per scarpe e vietiamo a qualsiasi fratello di indossarle; né le permettiamo a coloro che servono la casa per un periodo determinato (perché nell’ordine non erano tutti cavalieri e vi erano anche lavoratori che andavano e venivano); piuttosto proibiamo loro di avere scarpe con punte o lacci in qualsiasi circostanza. Perché è manifesto e ben noto che queste cose abominevoli appartengono ai pagani.”

Le “scarpe a punta” erano un vezzo della moda del tempo, simbolo di ricchezza e status. I Templari le bandivano perché considerate “abominevoli” e “appartenenti ai pagani”, un chiaro rifiuto di ogni mondanità e un segno di austerità.

Articolo 23: Come mangiare

Gli articoli 23 e 24 ci immergono nel refettorio templare, un luogo dove anche il semplice atto di mangiare era regolato da norme monastiche di silenzio e riflessione.

L’articolo 23 stabilisce: “Nel refettorio si deve mangiare insieme in silenzio.” La convivialità, ma sempre sotto stretta disciplina. E se un fratello aveva bisogno di qualcosa? “Se avete bisogno di qualcosa perché non siete abituati ai segni usati da altri religiosi, tranquillamente e privatamente dovreste chiedere ciò di cui avete bisogno a tavola, con tutta umiltà e sottomissione.” Il silenzio era d’oro. Ogni richiesta doveva essere discreta, quasi sussurrata, per non rompere la quiete del refettorio e non disturbare la meditazione degli altri. Era una lezione di umiltà e controllo.

Articolo 24: Sulla Lettura della Lezione

L’articolo 24 aggiunge un altro elemento fondamentale del pasto: la lettura. “Alla cena, sia letta la Sacra Scrittura. Se amiamo Dio e tutte le Sue sante parole e i Suoi santi comandamenti, dovremmo desiderare di ascoltare attentamente; il lettore della lezione vi dirà di mantenere il silenzio prima che inizi a leggere.” Il pasto non era solo nutrimento per il corpo, ma anche per l’anima. Noi guardiamo Striscia la Notizia mentre si cena? I templari ascoltavano le Scritture. Più o meno la stessa cosa, no?

Articolo 25: Sulle Ciotole e i Vasi per Bere

L’articolo 25 ci offre un piccolo scorcio sulle risorse materiali e sul modo in cui venivano gestite. “A causa della scarsità di scodelle, i fratelli mangeranno in coppia, in modo che uno possa studiare l’altro più da vicino, e in modo che né austerità né astinenza segreta sia introdotta nel pasto comune.”

La “scarsità di scodelle” è un dettaglio che ci riporta alla realtà materiale dell’Ordine: non erano ricchi di tutto. Ma anche in questo c’era una lezione: mangiare in due dalla stessa scodella favoriva la comunione e la sorveglianza reciproca, evitando che qualcuno introducesse pratiche di austerità eccessiva o, al contrario, si nascondesse dal controllo della Regola. Insomma, niente dolcetto preso di nascosto, perché il cavaliere vicino a te ti avrebbe sgamato.

Articoli 26: Sul Mangiare Carne

Gli articoli 26, 27 e 28 ci rivelano le norme alimentari dei Templari, un regime che bilanciava la necessità di forza fisica con la disciplina religiosa.

L’articolo 26, sulla carne, è molto specifico: “Dovrebbe essere sufficiente per voi mangiare carne tre volte a settimana, eccetto a Natale, Ognissanti, l’Assunzione e la festa dei dodici apostoli. Perché è inteso che la consuetudine di mangiare carne corrompe il corpo.” Tre volte a settimana era relativamente poco per dei cavalieri. Il codice templare rifletteva la convinzione medievale che il consumo eccessivo di carne potesse stimolare i vizi e corrompere lo spirito. Tuttavia, era permessa in alcune festività speciali, e in caso di digiuno che cadesse di martedì, la si poteva recuperare il giorno dopo.

Importante notare la differenza di trattamento: “E la domenica tutti i fratelli del Tempio, i cappellani e i chierici riceveranno due pasti di carne in onore della santa resurrezione di Gesù Cristo. E il resto della famiglia, cioè gli scudieri e i sergenti, si accontenteranno di un solo pasto e ringrazieranno Dio per questo.” Una chiara distinzione gerarchica anche nel cibo, con i cavalieri che ricevevano un trattamento privilegiato la domenica in segno di onore.

Articoli 27 e 28: sui pasti feriali, sui pasti del venerdì

Gli articoli 27 e 28 descrivono il resto della settimana: “Negli altri giorni della settimana, cioè lunedì, mercoledì e anche sabato, i fratelli avranno due o tre pasti di verdure o altri piatti mangiati con il pane.” E il venerdì, “per reverenza per la passione di Gesù Cristo”, si prevedeva “carne di quaresima”, ovvero piatti magri. Il periodo dal 1° novembre a Pasqua era di digiuno, con eccezioni per i malati e per le festività.

Ganzo, no? Ora se volete seguire la dieta del templare, potete farlo. Non mi ringraziate.

Articoli 29: sul rendere grazie

Gli articoli 29 e 30 ci conducono attraverso il rituale del pasto serale e della preparazione al riposo, evidenziando l’importanza della gratitudine e della moderazione.

Dopo ogni pasto, i Templari dovevano sempre “rendere grazie a Dio in silenzio,” un gesto di umiltà e devozione che si compiva “se la chiesa è vicina al palazzo dove mangiano, e se non è vicina, nel luogo stesso.” Questo ci mostra una costante riconoscenza per il cibo ricevuto, ovunque si trovassero. E a dimostrazione della loro carità, la Regola stabiliva che “i resti del pane spezzato siano dati ai poveri e i pani interi siano conservati,” con una direttiva esplicita di destinare “una decima parte del pane” all’Elemosiniere, per i bisognosi. 

Articolo 30: sulla collazione

Poi, al calar della notte, prima della Compieta, c’era un pasto leggero. L’articolo 30 ci dice: “Quando la luce del giorno svanisce e la notte cala ascoltate il segnale della campana o il richiamo alle preghiere… vi comandiamo prima di prendere la collatione.” Questa “collatione”, un piccolo pasto serale, era un momento di sollievo, ma sempre sotto l’autorità del Maestro. E, cosa interessante, si parlava anche di vino: “Quando vuole acqua e quando ordina, per misericordia, vino diluito, sia dato con sensatezza.” Il vino c’era, ma sempre diluito e in moderazione, a riprova della loro disciplina. Questo dettaglio è significativo: anche in un momento di “relax”, la sobrietà era un must.

Articoli 31 e 32: Il silenzio

Gli articoli 31 e 32 ci rivelano un aspetto cruciale della disciplina templare: il silenzio, considerato quasi sacro dopo le preghiere serali.

L’articolo 31 è categorico: “Quando i fratelli escono dalla compieta non hanno permesso di parlare apertamente se non in caso di emergenza.” Il silenzio era imposto come norma, un modo per evitare distrazioni e mantenere la mente focalizzata sulla spiritualità prima del riposo. “Ognuno vada al suo letto in silenzio e in quiete, e se ha bisogno di parlare al suo scudiero, dovrebbe dire ciò che ha da dire a bassa voce e sottovoce.” Persino le conversazioni necessarie dovevano essere ridotte al minimo e condotte con discrezione. Tuttavia, il codice templare mostrava pragmatismo: “Ma se per caso… la casa ha un problema serio che deve essere risolto prima del mattino, intendiamo che il Maestro o un gruppo di fratelli anziani che governano l’Ordine sotto il Maestro, possano parlare in modo appropriato.” La necessità operativa, la guerra, poteva superare anche il più rigido dei divieti, ma solo in casi eccezionali e con le persone autorizzate.

L’articolo 32 rafforza ulteriormente questo concetto, citando le Sacre Scritture per giustificare il rigore sul parlare: “durante la conversazione proibiamo del tutto parole oziose e scoppi di risa malvagi.” Persino le risate erano controllate! E se, nonostante tutto, si commetteva un’infrazione parlando inopportunamente, la pena era immediata: “quando andate a letto vi comandiamo di dire la preghiera del paternoster con tutta umiltà e pura devozione.” Un richiamo all’autodisciplina e alla penitenza immediata. Sulle risate, poi, subito ci viene in mente Il nome della rosa di Umberto Ecoi.

Articoli 33: Sui Fratelli Sofferenti

Gli articoli 33 e 34 ci offrono uno sguardo più umano sull’Ordine, mostrando attenzione per i malati e un forte senso di comunità.

L’articolo 33 rivela che “i fratelli che soffrono di malattia a causa del lavoro della casa possono essere autorizzati ad alzarsi alle mattutini con l’accordo e il permesso del Maestro o di coloro che sono incaricati di quell’ufficio.” La malattia non esentava totalmente dal dovere, ma c’era flessibilità. Se un monaco-guerriero era troppo malato per andare a messa, poteva recitare “tredici paternostri”.

Articoli 34: Sulla vita comune

L’articolo 34 ci ricorda il principio evangelico della condivisione:  Cioè che a ciascuno veniva dato secondo il suo bisogno.” Questo significava che nessuno doveva elevarsi sugli altri. Al contrario, “tutti dovrebbero prendersi cura dei malati; e chi è meno malato dovrebbe ringraziare Dio e non essere turbato; e chi è peggio si umili per la sua infermità e non diventi orgoglioso per la pietà.” Era un invito alla solidarietà interna e all’umiltà, sia nella malattia che nella salute.

Articolo 35: Il Maestro

L’articolo 35 ci rivela l’autorità quasi assoluta del Maestro dell’Ordine. “Il Maestro può dare a chiunque gli piaccia il cavallo e l’armatura e qualsiasi cosa gli piaccia di un altro fratello, e il fratello a cui appartiene la cosa data non dovrebbe infastidirsi o arrabbiarsi: perché siate certi che se si arrabbia andrà contro Dio.”

Questo è un passaggio incredibilmente significativo sulla sottomissione totale richiesta ai Templari. Il Maestro aveva il potere di prendere qualsiasi cosa da un fratello e ridarla a un altro, senza che il proprietario originale potesse lamentarsi. Era una prova estrema di distacco dai beni materiali e di obbedienza. Disobbedire al Maestro, o persino arrabbiarsi per le sue decisioni, significava “andare contro Dio” stesso. Questo evidenzia l’enorme potere e l’autorità sacra della figura del Gran Maestro all’interno dell’Ordine.

Articolo 36: Il Consiglio

L’articolo 36 ci offre uno sguardo sulla struttura decisionale dell’Ordine, evidenziando come le scelte più importanti fossero affidate a un gruppo selezionato, con l’ultima parola sempre al Maestro.

La Regola stabilisce che “solo quei fratelli che il Maestro sa che daranno saggi consigli siano chiamati al consiglio; per questo noi comandiamo, e in nessun modo tutti dovrebbero essere scelti.” Il processo decisionale era centralizzato e selettivo. Non era un’assemblea democratica. Le decisioni più gravi, come “la cessione di terre comuni, o di parlare degli affari della casa, o ricevere un fratello,” potevano richiedere l’assemblea dell’intero capitolo per sentire il parere di tutti, ma poi, senza esitazione, “ciò che sembra al Maestro migliore e più benefico, lo faccia.” Il Maestro aveva l’ultima parola, un’autorità assoluta che garantiva efficienza e unità in un’organizzazione militare e religiosa complessa.

Articolo 37: I fratelli Oltremare

L’articolo 37 è fondamentale per capire come i Templari si presentavano al di fuori dei loro castelli, quando erano in missione o in viaggio. “I fratelli che sono inviati in diversi paesi del mondo dovrebbero sforzarsi di mantenere i comandamenti della Regola secondo la loro capacità e vivere senza rimprovero riguardo alla carne e al vino, ecc. così che possano ricevere un buon rapporto dagli esterni e non macchiare con atti o parole i precetti dell’Ordine, e così che possano dare un esempio di buone opere e saggezza.”

I Templari in viaggio erano veri e propri ambasciatori dell’Ordine. La loro condotta doveva essere impeccabile, specialmente per quanto riguarda vizi comuni come la gola (carne e vino). La loro reputazione era cruciale per l’Ordine, e dovevano essere un “esempio di buone opere e saggezza” per chiunque incontrassero. Ogni loro azione, ogni parola, doveva riflettere la purezza e la disciplina del Tempio.

E un altro piccolo, ma significativo, dettaglio sulla sicurezza notturna: “E se possibile, la casa dove dormono e prendono alloggio non dovrebbe essere senza luce di notte, in modo che i nemici oscuri non possano portarli alla malvagità, cosa che Dio proibisce loro.” Anche quando erano fuori casa, la precauzione di tenere una luce accesa durante la notte era un must, sia per la loro sicurezza fisica che spirituale, per evitare tentazioni o pericoli.

Articolo 38: Mantenere la pace

L’articolo 38 ci mostra la Regola nell’ottica della vita comunitaria, enfatizzando l’importanza della pace e della carità tra i confratelli. “Ogni fratello dovrebbe assicurarsi di non incitare un altro fratello all’ira o alla rabbia, poiché la sovrana misericordia di Dio tiene il fratello forte e debole uguali, nel nome della carità.”

Un comandamento semplice, ma essenziale per la convivenza di uomini abituati al combattimento e forse inclini a temperamenti focosi. Il codice templare mirava a creare un ambiente di carità e armonia, dove la dignità di ogni fratello, indipendentemente dalla sua forza fisica o dal suo ruolo, fosse rispettata.

Articoli 39, 40, 41: Come i Fratelli Dovrebbero Comportarsi

Gli articoli 39, 40 e 41 mettono in luce il principio cardine dell’Ordine Templare: l’obbedienza assoluta.

L’articolo 39 è perentorio: “Per adempiere ai loro santi doveri e ottenere la gloria della gioia del Signore e per sfuggire alla paura del fuoco infernale, è opportuno che tutti i fratelli che sono professi obbediscano strettamente al loro Maestro. Poiché niente è più caro a Gesù Cristo dell’obbedienza.” Questa è una delle affermazioni più potenti della Regola. L’obbedienza non era solo una virtù, ma la via per la salvezza e per adempiere alla loro missione. Era un atto di fede.

E l’obbedienza doveva essere immediata: “Poiché non appena qualcosa viene comandato dal Maestro o da colui al quale il Maestro ha dato l’autorità, dovrebbe essere fatto senza indugio come se Cristo stesso l’avesse comandato.” Non c’erano eccezioni, non c’erano ritardi. La parola del Maestro era la parola di Dio.

L’articolo 40 e 41 specificano l’applicazione di questa obbedienza nella vita quotidiana. I fratelli non potevano andare in giro liberamente: “Per questa ragione preghiamo e fermamente comandiamo i fratelli cavalieri… di non uscire in città senza il permesso del Maestro o di colui che ha quell’ufficio; eccetto di notte al Sepolcro e ai luoghi di preghiera che si trovano entro le mura della città.” (la città di riferimento, in questo caso, era Gerusalemme). La libertà personale era quasi inesistente. Anche le uscite religiose notturne erano permesse solo “in coppia”, per sicurezza e sorveglianza. La vita Templare era rigidamente controllata, senza spazio per le iniziative individuali, se non strettamente autorizzate.

Articolo 42: Come Devono Effettuare uno Scambio

L’articolo 42 rafforza il concetto di controllo totale sui beni personali, persino i più piccoli. “Senza il permesso del Maestro o di colui che detiene quell’ufficio, nessun fratello scambi una cosa per un’altra, né lo chieda, a meno che non sia una cosa piccola o insignificante.”

Anche un semplice scambio tra fratelli, per esempio un pezzo di equipaggiamento, richiedeva il permesso. Questo impediva il commercio o l’accumulo di beni personali, garantendo che ogni risorsa rimanesse sotto il controllo dell’Ordine. L’eccezione per le “cose piccole o insignificanti” mostra un pizzico di flessibilità, ma la norma era chiara: la proprietà individuale era quasi inesistente.

Articoli 43: Serrature

Gli articoli 43 e 44 sottolineano la completa rinuncia alla proprietà personale e il rigido controllo dell’Ordine su ogni aspetto della vita dei fratelli, anche il più privato.

L’articolo 43 è inequivocabile: “Senza il permesso del Maestro o di colui che detiene quell’ufficio, nessun fratello abbia una borsa o una sacca con lucchetto”. Questo dettaglio è potente: nessun Templare poteva avere beni privati o segreti. Il controllo era totale, garantendo che non ci fossero tesori nascosti o interessi personali. Le uniche eccezioni erano i comandanti di casa, di provincia e il Maestro stesso, a cui era riconosciuta una certa autonomia. Il codice templare estendeva il controllo anche alla comunicazione: “Senza il consenso del Maestro o del suo comandante, nessun fratello abbia lettere dai suoi parenti o da qualsiasi altra persona”. Le lettere, se permesse, dovevano essere “lette a lui” (probabilmente in presenza di un superiore), per evitare complotti, informazioni non autorizzate o legami troppo forti con il mondo esterno.

Articoli 44: Doni secolari

L’articolo 44 ribadisce il concetto di proprietà comune anche per i doni esterni. Se un “secolare” (un laico) donava qualcosa a un fratello, specialmente qualcosa di consumabile come la carne, doveva “presentarlo al Maestro o al Comandante delle Vettovaglie.” E, cosa ancora più significativa: “se succede che qualcuno dei suoi amici o parenti abbia qualcosa che desiderano dare solo a lui, non lo prenda senza il permesso del Maestro o di colui che detiene quell’ufficio.” Addirittura, un regalo personale era soggetto all’approvazione del superiore! Non esisteva il concetto di “dono personale” se non sotto la supervisione e la proprietà ultima dell’Ordine. Questo garantiva che non ci fossero favoritismi, accumuli di beni o deviazioni dalla disciplina della povertà.

Articoli 45: le colpe

Gli articoli 45, 46, 47 si addentrano nel sistema giudiziario interno dell’Ordine, mostrando come venivano gestite le infrazioni, dalle più lievi alle più gravi.

L’articolo 45 riguarda le “colpe leggere”: “Se qualche fratello, nel parlare o nel combattere, o in qualsiasi altro modo commette un lieve peccato, egli stesso dovrebbe volontariamente far conoscere la colpa al Maestro, per fare ammenda con cuore puro.” L’enfasi è sull’auto-denuncia e sull’umiltà. Per una “lieve penitenza” bastava una semplice ammenda. Ma per una “colpa molto grave”, la punizione era più severa: “si separi dalla compagnia dei fratelli in modo che non mangi né beva a nessuna tavola con loro, ma tutto solo; e dovrebbe sottomettersi alla misericordia e al giudizio del Maestro e dei fratelli.” Essere isolato, persino a tavola, era una punizione dura in un Ordine basato sulla comunione.

Articoli 46, 47: le colpe gravi

L’articolo 46 affronta le “colpe gravi” e l’orgoglio del colpevole. L’Ordine era intransigente: “Ma se non vuole espiare, gli sia data una punizione più severa.” La gravità massima era riservata a chi si ostinava nel peccato: “E se per pio consiglio vengono dette preghiere a Dio per lui, e non vuole fare ammenda, ma desidera vantarsene sempre di più, sia sradicato dal pio gregge.” La comunità non poteva tollerare la corruzione al suo interno. Un monaco-guerriero che non si pentiva e si vantava delle sue malefatte veniva espulso senza esitazioni.

L’articolo 47 descrive il ruolo del Maestro come giudice: “Il Maestro, che dovrebbe tenere in mano il bastone e la verga – il bastone con cui sostenere le debolezze e le forze degli altri; la verga con cui battere i vizi di coloro che peccano.” 

Articoli 48: la Maldicenza

L’articolo 48 e 49 sono dedicati a uno dei maggiori nemici della vita comunitaria: la maldicenza e l’ozio verbale.

L’articolo 48 comanda di “evitare invidia, pettegolezzi, dispetti, calunnie.” Questi erano considerati peccati gravi. Il codice templare stabiliva un processo chiaro per affrontare i peccati di un fratello: “silenziosamente e con misericordia fraterna sia castigato privatamente tra i due, e se non vuole ascoltare, sia chiamato un altro fratello, e se li disprezza entrambi dovrebbe ritrattare apertamente davanti a tutto il capitolo.” Un sistema graduale, dall’ammonizione privata alla confessione pubblica, per preservare l’onore e la pace interna.

Articolo 49: Che Nessuno si Vanti dei Propri Difetti

L’articolo 49 va oltre, proibendo persino la vanagloria delle “gesta valorose” della vita secolare: “Proibiamo e fermamente vietiamo a qualsiasi fratello di raccontare a un altro fratello né a nessun altro le gesta valorose che ha compiuto nella vita secolare, che dovrebbero piuttosto essere chiamate follie commesse nell’esecuzione dei doveri cavallereschi, e i piaceri della carne che ha avuto con donne immorali.” Non solo si vietava il vanto delle proprie imprese passate, ma queste venivano esplicitamente etichettate come “follie”. La vita precedente, con i suoi eccessi e peccati, doveva essere completamente rinnegata e mai celebrata. E se un fratello sentiva un altro raccontare tali storie, doveva “immediatamente farlo tacere; e se non può farlo, dovrebbe subito lasciare quel luogo e non prestare l’orecchio del suo cuore al venditore di sporcizia.” Una tolleranza zero per la corruzione morale e il ricordo del passato mondano.

Articolo 50: Nessuna Richiesta Personale

L’articolo 50 ribadisce un principio già visto: la totale sottomissione e l’assenza di desideri personali.

“Che nessun fratello dovrebbe chiedere esplicitamente il cavallo o l’armatura di un altro.”

Questo va oltre il divieto di possesso: proibiva persino di desiderare o chiedere i beni di un altro fratello. Se c’era una necessità, come la malattia di un animale o la fragilità di un’armatura, il fratello doveva semplicemente “andare dal Maestro… e fargli conoscere la situazione in pura fede e vera fraternità, e d’ora in poi rimanere a disposizione del Maestro”.

Articolo 51: Sugli Animali e gli Scudieri 

“Ogni cavaliere fratello può avere tre cavalli e non di più senza il permesso del Maestro… Ad ogni fratello cavaliere concediamo tre cavalli e uno scudiero, e se quello scudiero serve volentieri per carità, il fratello non deve picchiarlo per alcun peccato che commette.”

Questo articolo ci svela un aspetto cruciale della vita templare: nonostante la loro crescente ricchezza, i singoli fratelli dovevano vivere in una severa povertà personale. Tre cavalli per un cavaliere erano un equipaggiamento di alto livello per l’epoca, ma comunque servivano perché era probabile che morissero in battaglia. E attenzione al dettaglio sullo scudiero: era proibito picchiarlo! Un monito sorprendente alla carità e al rispetto, anche verso i sottoposti.

Articolo 52: Che Nessun Fratello Possa Avere una Briglia Ornata 

“Proibiamo del tutto a qualsiasi fratello di avere oro o argento sulla briglia, né sulle staffe, né sugli speroni… ma se gli capita di ricevere in carità un’imbracatura così vecchia che l’oro o l’argento sono appannati… allora può averli.”

Qui la Regola va dritta al punto: niente lusso personale. I Templari, pur essendo simbolo di potenza, dovevano rinunciare a qualsiasi segno di sfarzo come oro e argento sull’equipaggiamento. La ragione? Evitare l’orgoglio e la vanità. L’unica eccezione era se l’oggetto era così vecchio e rovinato da non essere più sfarzoso. 

Articolo 53: Sulle Coperture delle Lance

“Nessun fratello abbia una copertura sullo scudo o sulla lancia, perché non è un vantaggio, al contrario capiamo che sarebbe molto dannoso.”

Qui si fa riferimento al coprire le armi, ovvero lance e scudi, per la precisione. Coprire come? Non si sa di preciso. Le punte di lancia magari potevano essere coperte dopo l’affilatura, per preservare il filo. Oppure queste coperture indicavano modi di trasporto. In ogni caso, l’idea del “pronto all’uso” che abbiamo visto in altri articoli sembrerebbe il motivo di questo articolo.

Articolo 54: Sulle Borse per il Cibo

“Che nessun fratello possa fare una borsa per il cibo di lino o lana.”

Perfino per un oggetto semplice come una borsa per il cibo, il codice templare imponeva uno standard specifico nessun materiale da usare tranne il “profinello”, termine difficile da tradurre, perché non si sa bene cosa sia, a parte significare un generico sacco, forse di tela. Forse era il miglior tessuto per quel clima? Forse volevano uniformarsi? Non si sa.

Articolo 55: Sulla Caccia 

“Proibiamo collettivamente a qualsiasi fratello di cacciare un uccello con un altro uccello… Non è opportuno per un uomo di religione soccombere ai piaceri… comandiamo specialmente a tutti i fratelli di non andare nei boschi con arco lungo o balestra a cacciare animali o ad accompagnare chiunque lo faccia, tranne per amore per salvare lui [un cristiano] da pagani infedeli.”

Questo è un divieto che vi farà riflettere! La caccia con i falchi era un passatempo nobile e un simbolo di status per l’aristocrazia. Ma ai Templari era severamente proibita, perché considerata un “piacere” mondano. La loro vita doveva essere dedicata alla preghiera e alla guerra santa. L’unica eccezione? Se la caccia era un pretesto per salvare i cristiani dai pagani.

Articolo 56: Sul Leone 

“Questa suddetta proibizione della caccia non intende in alcun modo includere il leone, poiché egli viene circondando e cercando ciò che può divorare, le sue mani contro ogni uomo e la mano di ogni uomo contro di lui.”

E qui arriva la sorpresa: la caccia al leone non era proibita! Mentre ogni altro tipo di caccia era vietato, il leone era un’eccezione esplicita. Non era per sport, ma per necessità. Si dice che in Terrasanta fosse possibile imbattersi in un leone, talvolta testimoniati nelle cronache, e anche nei pellegrinaggi. Se così fosse, e non si tratasse di un’allegoria, i leoni erano predatori pericolosi: e quindi, i Templari essendo protettori della comunità e del territorio dovevano lottare pure contro i leoni.

Articolo 57: Come Possono Avere Terre e Uomini

“Crediamo che questo tipo di nuovo ordine sia nato dalle Sacre Scritture… questa compagnia armata di cavalieri può uccidere i nemici della croce senza peccare… e che potete avere terre e tenere uomini, servi e campi e governarli giustamente.”

Questo articolo è fondamentale per capire il potere e l’organizzazione dei Templari. La Regola legittimava il loro ruolo di “compagnia armata di cavalieri che può uccidere i nemici della croce senza peccare”. Ma non solo: potevano possedere e governare terre, villaggi e servi. Questo li distingueva dagli ordini monastici tradizionali, unendo la spiritualità con la gestione economica e militare. Erano veri e propri signori feudali, ma con una missione divina.

Articolo 58: Sulle Decime 

“Voi che avete abbandonato le piacevoli ricchezze di questo mondo… siete risoluti che voi che vivete la vita comune possiate ricevere le decime. Se il vescovo del luogo… desidera darvela per carità… può dare quelle decime che la Chiesa possiede.”

Pur vivendo in povertà individuale, l’Ordine del Tempio era autorizzato a ricevere le decime, una parte del raccolto o dei redditi tradizionalmente dovuti alla Chiesa. Questo dimostra la loro posizione privilegiata e il sostegno della Chiesa alla loro missione. Era un modo per finanziare le loro vaste operazioni senza compromettere la regola di povertà personale dei singoli Templari.

Articolo 59: Sul Dare Giudizio 

“Se c’è qualcuno nelle parti d’Oriente o in qualsiasi altro luogo che vi chiede qualcosa, per uomini fedeli e amore di verità dovreste giudicare la cosa, se l’altra parte è disposta a permetterlo. Questo stesso comandamento dovrebbe essere osservato in ogni momento quando qualcosa vi viene rubato.”

Sorprendentemente, i Templari avevano anche un ruolo di giudici. Potevano intervenire nelle dispute, soprattutto per difendere i cristiani e la Chiesa. Questo rivela l’enorme autorità e fiducia che godevano. Non erano solo guerrieri, ma anche figure di riferimento per la giustizia in una terra spesso senza legge. Un dettaglio che li rende ancora più importanti nella società medievale.

Articolo 60: Sui Fratelli Anziani

“Comandiamo con pio consiglio che i fratelli anziani e deboli siano onorati con diligenza e considerati secondo la loro fragilità; e, ben curati dall’autorità della Regola in quelle cose che sono necessarie al loro benessere fisico, non debbano in alcun modo essere in difficoltà.”

I fratelli anziani e malati non venivano abbandonati, ma onorati e assistiti in ogni necessità.

Articolo 61: Sui Fratelli Malati 

“Che ai fratelli malati sia data considerazione e cura. Perciò comandiamo all’Infermiere di provvedere studiatamente e fedelmente quelle cose che sono necessarie ai vari fratelli malati, come carne, uccelli e tutti gli altri cibi che portano buona salute, secondo i mezzi e la capacità della casa.”

L’Infermiere aveva il compito di garantire ai fratelli malati non solo cure, ma anche una dieta speciale e abbondante, che includeva carne e uccelli, un lusso per l’epoca. 

Articolo 62: Sui Fratelli Defunti 

“Quando un fratello passa dalla vita alla morte… comandiamo di cantare messa per la sua anima… e tutti i fratelli che sono presenti… dovrebbero dire cento paternostri durante i prossimi sette giorni… Inoltre preghiamo e comandiamo per autorità pastorale che un povero sia nutrito con carne e vino per quaranta giorni in memoria del fratello morto, proprio come se fosse vivo.”

Questo articolo ci apre una finestra sui rituali funebri propri dei Templari. Non solo messe e preghiere (ben cento paternostri da recitare!), ma un dettaglio incredibile: in memoria del fratello defunto, un povero doveva essere nutrito per quaranta giorni con carne e vino, “proprio come se fosse vivo”. Questa usanza, che oggi diremmo di “beneficenza post-mortem”, era un modo per continuare l’opera di carità del defunto e dimostrava la loro profonda fede e un senso di comunità che trascendeva la morte stessa. I quaranta giorni, poi, al livello biblico richiamano molte cose.

Articolo 63: La Professione di Fede 

“Inoltre, dovreste professare la vostra fede con cuore puro notte e giorno… Poiché così come Gesù Cristo ha dato il suo corpo per me, io sono preparato allo stesso modo a dare la mia anima per i miei fratelli.’ Questa è un’offerta adeguata; un sacrificio vivente e molto gradito a Dio.”

Questo articolo è il cuore pulsante della loro spiritualità e della loro dedizione alla causa. Non era una semplice professione di fede, ma un giuramento di sacrificio estremo. I Templari si impegnavano a “vendicare la morte di Gesù Cristo con la propria morte”, pronti a “dare la propria anima per i fratelli”. È l’espressione più chiara del loro essere monaci guerrieri, per i quali la morte in battaglia non era una fine, ma un “sacrificio vivente” e un mezzo per raggiungere la salvezza. 

Articolo 64: Sui Sacerdoti e Chierici che Servono per Carità 

“Secondo l’autorità del Signore Dio, i servi della Chiesa possono avere solo cibo e vestiti, e non possono presumere di avere altro a meno che il Maestro non voglia dare loro qualcosa volentieri per carità.”

Anche i sacerdoti e i chierici al servizio del Tempio erano soggetti a regole severe. Potevano ricevere offerte e elemosine, ma la loro vita doveva essere improntata alla povertà. “Solo cibo e vestiti” erano concessi, a meno che il Maestro non decidesse altrimenti per carità. 

Articolo 65: Sui Cavalieri Secolari 

“Quelli che servono per pietà e rimangono con voi per un termine fisso sono cavalieri della casa di Dio e del Tempio di Salomone… se durante la loro permanenza il potere di Dio prende qualcuno di loro, un povero sia nutrito per sette giorni per la sua anima, e ogni fratello in quella casa dovrebbe dire trenta paternostri.”

Non solo fratelli a pieno titolo: il Tempio accoglieva anche cavalieri secolari che si impegnavano a servire per un periodo determinato. Questi “membri onorari” non erano veri e propri templari col manto bianco, ma beneficiavano delle preghiere dell’Ordine e, in caso di morte, si prevedeva un gesto di carità simile a quello per i fratelli: un povero nutrito e trenta paternostri. Una misura minore rispetto a un vero e proprio templare, ovviamente.

Articolo 66: Sui Cavalieri Secolari che Servono per un Termine Fisso 

“Comandiamo a tutti i cavalieri secolari di comprare fedelmente un cavallo e armi adatti… E tutto ciò di cui il cavaliere, il suo scudiero e il cavallo hanno bisogno, persino i ferri di cavallo, sia dato per carità fraterna secondo i mezzi della casa… Se, durante il termine fisso, capita per caso che il cavallo muoia al servizio della casa, se la casa può permetterselo, il Maestro dovrebbe sostituirlo.”

Questo articolo entra nei dettagli pratici dell’accordo con i cavalieri secolari, ovvero i cavalieri che prestavano servizio presso i templari, ma non erano cavalieri templari a tutti gli effetti. Dovevano procurarsi da soli cavallo e armi, ma l’Ordine forniva il sostentamento completo: cibo, vestiti e persino ferri di cavallo. E la cosa più sorprendente: se il loro cavallo moriva in servizio, l’Ordine lo rimpiazzava, se ne aveva i mezzi. 

Articolo 67: Sull’Impegno dei Sergenti

“Poiché gli scudieri e i sergenti che desiderano servire la carità nella casa del Tempio per la salvezza delle loro anime e per un termine fisso vengono da diverse regioni, ci sembra benefico che le loro promesse siano ricevute, in modo che il nemico invidioso non metta nei loro cuori di pentirsi o rinunciare alle loro buone intenzioni.”

In una vasta organizzazione come era quella templare, abbiamo già capito che non c’erano solo cavalieri dal manto bianco. Ma anche monaci, preti, e cavalieri secolari, ovvero nobili esterni, che combattevano temporaneamente tra le file dell’ordine, e pure lavoratori esterni. E quindi, anche soldati secolari, definiti sergenti, oltre che scudieri. Il codice templare prevedeva che le loro “promesse fossero ricevute”, ovvero di far giurare fedeltà pure a loro, non come cavalieri, naturalmente, ma come membri dell’ordine, seppure temporaneamente. Questo sottolinea l’importanza di ufficializzare l’impegno anche dei ranghi inferiori, proteggendoli da ripensamenti e mantenendo alta la motivazione in un ambiente difficile e pericoloso.

Articolo 68: Sui Mantelli Bianchi 

Questo articolo svela un problema serio per l’Ordine: l’uso improprio del mantello bianco. Era un simbolo così potente che “falsi fratelli, uomini sposati e altri” lo indossavano per trarre vantaggio, causando “vergogna e danno” ai Templari. La soluzione fu drastica: ai sergenti e agli scudieri era proibito indossare il mantello bianco, e dovevano vestire di nero o marrone. Questo dimostra la forte necessità di proteggere l’identità e la reputazione dell’Ordine, evitando confusioni e abusi che minacciavano la loro immagine.

Articolo 69: Sui Fratelli Sposati 

“Se uomini sposati chiedono di essere ammessi alla fraternità, beneficio e devozioni della casa, vi permettiamo di riceverli alle seguenti condizioni: che dopo la loro morte vi lascino una parte della loro proprietà e tutto ciò che hanno ottenuto d’ora in avanti… Ma non devono indossare abiti o mantelli bianchi.”

Un altro punto sorprendente: i Templari ammettevano anche uomini sposati come confrères! Non potevano vivere nella casa con i fratelli celibi né indossare il mantello bianco, ma contribuivano con una parte delle loro proprietà dopo la morte. E qui c’è un dettaglio molto pratico: se il marito moriva per primo, la vedova riceveva il necessario per vivere, ma il resto andava all’Ordine. Questo mostra una strategia intelligente per acquisire beni e sostenitori, integrando anche chi non poteva abbracciare la vita monastica completa, ma voleva beneficiare delle preghiere e dei vantaggi spirituali dell’Ordine. Perché, specifica la regola, “non è giusto che tali confratelli debbano vivere in una casa con fratelli che hanno promesso castità a Dio.”

Ancora una volta si fa riferimento alla castità dei fratelli, sottintendendo che ve ne erano, forse in maggioranza, non si sa. Ma ormai, arrivati a questo articolo (che guardacaso è il 69), abbiamo capito che di eccezioni ce n’erano parecchie.

Articolo 70: Sulle Sorelle 

“La compagnia delle donne è una cosa pericolosa, perché per essa il vecchio diavolo ha condotto molti lontano dal sentiero retto al Paradiso. D’ora in poi, non siano ammesse donne come sorelle nella casa del Tempio; per questo, carissimi fratelli, d’ora in poi non è opportuno seguire questa usanza, affinché il fiore della castità sia sempre mantenuto tra voi.”

E qui si ritorna sull’argomento. Nonostante alcune leggende moderne, l’Ordine era estremamente chiaro: le donne erano considerate un pericolo per la castità e non potevano essere ammesse come sorelle nel Tempio. Questo ci conferma la natura prettamente monastica dell’Ordine, mirata a evitare qualsiasi distrazione o tentazione.

Articolo 71: Che Non Abbiano Familiarità con le Donne 

“Crediamo sia una cosa pericolosa per qualsiasi religioso guardare troppo il volto di donna. Per questa ragione nessuno di voi può presumere di baciare una donna, sia essa vedova, giovane ragazza, madre, sorella, zia o qualsiasi altra; e d’ora in poi la Cavalleria di Gesù Cristo dovrebbe evitare a tutti i costi gli abbracci delle donne, dai quali gli uomini sono periti molte volte, affinché possano rimanere eternamente davanti al volto di Dio con una pura coscienza e vita sicura.”

Il codice templare sulle donne diventa ancora più stringente! Non solo non potevano essere sorelle, ma i Templari dovevano evitare ogni familiarità fisica con le donne. “Nessuno può presumere di baciare una donna, sia essa madre o sorella.” Una misura drastica per garantire una “pura coscienza” e concentrarsi interamente sulla loro missione spirituale e militare. 

Articolo 72: Il Non Essere Padrini 

“Proibiamo a tutti i fratelli d’ora in poi di osare di tenere a battesimo i bambini al fonte e nessuno dovrebbe vergognarsi di rifiutare di essere padrino o madrina; questa vergogna porta più gloria che peccato.”

I Templari non potevano essere padrini. Questo potrebbe sembrare strano, ma aveva una logica. Essere padrino creava un legame di parentela spirituale che avrebbe potuto generare obblighi non desiderati, e situazioni spiacevoli. Il codice templare incoraggiava persino il rifiuto. Anche perché il battezzato poteva trasformarsi in nemico. E siccome la spiritualità era molto importante, un templare padrino di un criminale (o peggio di uno scomunicato!) avrebbe generato grande scalpore.

Articolo 73: Sui Comandamenti 

“Tutti i comandamenti che sono menzionati e scritti sopra in questa presente Regola sono a discrezione e giudizio del Maestro.”

Questo articolo ci rivela che il codice templare, per quanto dettagliato, non era rigido. Ogni sua applicazione era a discrezione del Maestro. Questo conferiva al Gran Maestro un’autorità immensa e flessibilità, permettendogli di adattare le regole alle circostanze e alle necessità dell’Ordine. Era il vertice assoluto, capace di interpretare e modellare la vita dei Templari.

Articolo 74: Giorni di Festa e Digiuni da Celebrare e Osservare 

“Sia noto a tutti i presenti e futuri fratelli del Tempio che essi dovrebbero digiunare alle vigilie dei dodici apostoli… La vigilia di San Giovanni Battista; la vigilia dell’Ascensione e i due giorni prima, i giorni delle rogazioni; la vigilia di Pentecoste; i giorni delle quattro tempora; la vigilia di San Lorenzo; la vigilia della Nostra Signora a metà agosto; la vigilia di Ognissanti; la vigilia dell’Epifania… E se la natività di Nostro Signore cade di venerdì, i fratelli dovrebbero mangiare carne in onore della festa. Ma dovrebbero digiunare nel giorno della festa di San Marco a causa delle Litanie.”

Questo articolo ci immerge nel calendario liturgico dei Templari riguardo il digiuno. Ci elenca una serie impressionante di vigilie e giorni di digiuno, in linea con le pratiche monastiche dell’epoca e i comandamenti papali. E dopo il digiuno, abbiamo un articolo sulle feste.

Articolo 75: Giorni di Festa da Osservare nella Casa del Tempio 

“La natività di Nostro Signore; la festa di Santo Stefano; San Giovanni Evangelista; i Santi Innocenti; l’ottavo giorno di Natale, che è il Capodanno; Epifania; Santa Maria Candelora; San Mattia Apostolo; l’Annunciazione di Nostra Signora a marzo; Pasqua e i tre giorni seguenti; San Giorgio; i Santi Filippo e Giacomo, due apostoli; il ritrovamento della Santa Croce; l’Ascensione di Nostro Signore; Pentecoste e i due giorni seguenti; San Giovanni Battista; San Pietro e San Paolo, due apostoli; Santa Maria Maddalena; San Giacomo Apostolo; San Lorenzo; l’Assunzione di Nostra Signora; la natività di Nostra Signora; l’Esaltazione della Santa Croce; San Matteo Apostolo; San Michele; i Santi Simone e Giuda; la festa di Ognissanti; San Martino in inverno; Santa Caterina in inverno; Sant’Andrea; San Nicola in inverno; San Tommaso Apostolo.”

Ecco, per chi fosse interessato, questo è l’elenco delle festività maggiori che i Templari dovevano osservare. Così a occhio mi sembrano di più delle festività che osserviamo noi, oggi ditemi un po’ se mi sbaglio. Sarebbe una buona giustificazione da portare al proprio datore di lavoro, per farsi dare ferie nel giorno del ritrovamento della Santa Croce.

Articolo 76: Nessuna Festa Minore e Digiuni Speciali 

“Nessuna delle feste minori dovrebbe essere osservata dalla casa del Tempio.”

Questo articolo chiude il cerchio sulle festività. I Templari dovevano concentrarsi solo sulle feste maggiori, evitando quelle minori per mantenere la disciplina e la sobrietà. E qui viene anche comandato un altro digiuno speciale e molto lungo: un periodo di digiuno rigoroso dall’inizio di novembre fino a Natale, simile alla Quaresima, a meno di impedimenti per malattia. Forse festeggiavano molto, per riprendersi da tutti questi digiuni.

Ed eccoci giunti al termine di questo nostro viaggio nel vero Codice Templare. Spero che abbiate apprezzato la verità dietro i miti, toccando con mano la disciplina, la fede e la vita quotidiana di questi monaci guerrieri. Anche perché non immaginate la mole di lavoro per preparare questo episodio che, a occhio e croce, potrebbe essere il più lungo di qualsiasi altro abbia mai pubblicato su Leggende Affilate.

Se vi affascinano le storie che racconto, inoltre, ho qualcosa di speciale per voi. Perché tutta la passione e la ricerca che avete assaggiato in questo e altri episodi le ho riversate nel mio romanzo: La Stirpe delle Ossa. La storia di un cavaliere italiano costretto a lottare contro carestie, pestilenze e una faida sanguinosa per salvare la sua famiglia.

Lo trovate in tutte le librerie, da cui potete ordinarlo senza problemi, e pure online. Mi raccomando, non perdetelo. Vi ringrazio per avermi fatto compagnia finora, e vi ricordo di iscrivervi al canale YouTube. Ciao!

  1. Henri de Curzon, La Régle du Temple
Lorenzo Manara