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24 Gennaio 2019

Il mito delle frecce infuocate

frecce infuocate incendiarie

Le frecce infuocate sono una spettacolare rappresentazione del medioevo cinematografico. Ma quanto erano efficaci nella realtà questi proiettili incendiari?

“Ogni volta che fanno un film su Robin Hood bruciano completamente il nostro villaggio.”

Robin Hood, un uomo in calzamaglia.

Il cielo notturno sopra la città s’illumina. Una volata di frecce infuocate oltrepassa le alte mura di pietra e si riversa all’interno; tetti di paglia e porte di legno s’incendiano, le travi si spezzano, gli edifici crollano e i poveri abitanti fuggono in strada avvolti dalle fiamme, gridando e agitando le braccia. Scene del genere sono ormai un cliché del cinema che mette in mostra i bei protagonisti (sempre vestiti di marrone) di una qualsiasi ambientazione simil-medievale. Ma quanto c’è di vero in tutto questo?

Nei film le frecce incendiarie vengono scagliate soprattutto di notte perché sono più ganze. Le usano indistintamente buoni e cattivi, assedianti e assediati, guerrieri bene addestrati e fuorilegge che hanno da poco completato un training di due giorni di tiro con l’arco. La freccia incendiaria è ottima contro le strutture lignee e i carinissimi tetti di paglia alla Biancaneve che vanno tanto di moda fra i villici, ma non solo. Il dardo infuocato dà il suo meglio contro le macchine d’assedio come i trabucchi, i mangani, gli arieti e le torri su ruote piene zeppe di soldati. Qualche volta si pianta perfino nel petto del nemico dandogli istantaneamente fuoco. Una roba pazzesca.

Basandosi su ciò che vediamo al cinema e leggiamo nei libri (non colpevolizziamo sempre i film, che spesso i romanzi sono peggio), verrebbe da chiedersi come mai nell’antichità non sia sempre stata utilizzata la freccia incendiaria. I vantaggi rispetto a una freccia normale sembrerebbero considerevoli, giusto? Restate con me e scopriamo la verità legata al mito delle frecce infuocate (Sull’argomento ho caricato anche un video sul mio canale YouTube, corri a vederlo!).

Una questione scottante

L’elemento fondamentale alla base del funzionamento di una freccia incendiaria è il fuoco e, più precisamente, la sostanza usata per produrre la fiamma. Potrebbe sembrare una stupidaggine, ma è un aspetto da studiare a fondo per comprendere quanto sia realmente efficace questo tipo di arma. Un tipico arciere inglese della metà del XIV secolo armato di longbow avrebbe potuto scoccare una freccia fino a 300 metri e oltre1. Il proiettile viaggiava a velocità notevole e un normale straccio da torcia non sarebbe bastato a mantenere viva la fiamma durante la traiettoria fino al bersaglio: il fuoco si sarebbe spento!

Provate a tenere una fiaccola accesa mentre percorrete l’autostrada, in motocicletta a 180 all’ora. Ecco, la stessa cosa vale per le frecce infuocate. Per evitare che il fuoco si spegnesse al momento del lancio esistevano svariate soluzioni. La più semplice era quella di impiegare archi più deboli per diminuire la traiettoria e la velocità del proiettile, e sperare che la fiamma giungesse ancora accesa fino al bersaglio. Questo però riduceva l’efficacia dell’arma in sé, poiché gran parte dell’energia necessaria all’impatto andava perduta. Inoltre si obbligava il povero arciere a tirare da distanza ravvicinata.

Un’altra soluzione era quella di incrementare la lunghezza della freccia e aggiungere combustibile dando vita a una fiamma più forte. Però anche qui ci sono dei lati negativi. La freccia diventava pesante, meno bilanciata; diminuiva la gittata e la capacità di penetrazione.

Punta di freccia a cesto o gabbia. All’interno del cesto veniva stipata la sostanza incendiaria, nella maggior parte dei casi non era altro che una palla di stoppa e sego fuso (grasso animale usato anche per fare le candele). Il materiale doveva essere ben assemblato e infiammato prima del lancio o si sarebbe spento durante il volo.

L’unica vera possibilità di scagliare una freccia incendiaria da un potente arco da guerra, mantenendo viva la fiamma il più a lungo possibile anche dopo aver colpito il bersaglio, era di utilizzare qualcosa di tecnologicamente più avanzato di grasso, resina o pece: la polvere nera. Questo però non era semplice da ottenere e quando nel Tardo Medioevo le conoscenze chimiche si fecero un po’ più consolidate le attenzioni vennero rivolte a ben altro tipo di armi incendiarie. A chi interessano più le frecce quando si possono costruire cannoni?

Massima spesa, poca resa

Sono poche le testimonianze storiche che citano l’impiego di frecce infuocate in guerra, e tutte quante riguardano gli assedi. Sun Tzu suggerisce di incendiare l’accampamento nemico e scatenare il panico2. Plutarco riporta l’attacco degli arcieri di Silla con i loro dardi incendiari3 e Ammiano Marcellino scrive dell’assedio di Bezabde, e dell’attacco persiano all’ariete imperiale tramite frecce di fuoco4. Tra i vari tentativi moderni di replicare questa antica tecnica bellica, molti hanno convenuto su una cosa: i risultati non sono così spettacolari come possiamo osservare nei film5.

Una sola freccia conficcata su un tetto di paglia ha una buona probabilità di scatenare un incendio. Ma non tutti gli edifici erano di paglia. Cosa succede se dopo tanta fatica la freccia si va a conficcare su un portone di legno? Il portone prende fuoco, direte voi. Certo, ma dopo quanto? La sostanza incendiaria non brucia per sempre. Dopo qualche minuto la fiamma si spegne naturalmente. Perciò per dar fuoco a un portone è probabile che ci vogliano due frecce. O forse quattro. E non stiamo tenendo conto del contesto. L’aria è secca? Oppure ha smesso di piovere da poche ore? Chi ha provato ad accendere il caminetto con legna umida sa di cosa parlo.

Per danneggiare qualcosa di rilevante in una città dunque erano necessarie un bel po’ di frecce infuocate, scagliate assieme da un nutrito gruppo di arcieri e per un periodo di tempo prolungato. Considerata la difficoltà nel reperire sostanze incendiarie ottimali come una mistura a base di polvere nera, gli arcieri avrebbero dovuto portarsi a breve distanza dalle mura, esponendosi magari a un contrattacco, e sfruttando archi dal libbraggio più basso. Il risultato erano frecce di minore impatto di quelle normali, che non si sarebbero fatte strada neppure tra le semplici corazze di cuoio bollito dei fanti. Ed eccoci arrivati all’ultima nonché più divertente considerazione: una freccia infuocata non incendia le persone.

Al cinema vediamo spesso soldati avvolti dalle fiamme che si dimenano dopo essere stati colpiti da una singola freccettina. Per ottenere un risultato simile bisognerebbe tuffarli nel napalm. Non c’è molto da confutare a riguardo. Insomma, basta un po’ d’immaginazione.

Giunti in fondo all’articolo ci troviamo davanti la stessa conclusione che accomuna molti altri miti che amiamo approfondire da queste parti. Esistevano numerosi espedienti per far male alle persone, ben più economici ed efficaci delle frecce infuocate, e gli strateghi medievali lo sapevano bene. A volte non era neppure necessario sbattersi più di tanto. Bastava avvelenare qualche pozzo, tagliare le vie d’approvvigionamento e attendere la morte dell’avversario.

Oppure gli si scagliava addosso una pioggia di frecce alla vecchia maniera, di quelle di ferro che t’ammazzano punto e basta.

Spente? Evviva!!!! Buon compleanno!!!
  1. Strickland, Matthew; Hardy, Robert (2005). The Great Warbow: From Hastings to the Mary Rose. P. 408-418
  2. Sun Tzu, L’arte della Guerra
  3. Plutarco, Le vite di Lisandro e Silla
  4. Ammiano Marcellino, Rerum Gestarum
  5. Mark Stretton fire arrow test, 2005
Lorenzo Manara
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