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11 Aprile 2025

I maranza nel Medioevo: la guerra tra “gang” di Firenze

maranza nel medioevo

L’origine dei maranza nel medioevo, tra indumenti “firmati”, dissing musicali e scontri di strada: le lotte tra famiglie nella Firenze medievale

Avete presente le storie di maranza che girano oggi riguardo scontri tra gang, centri urbani contesi a suon di trap e magari qualche rissa e lancio di bottiglie? Beh, preparatevi, perché nel medioevo, e soprattutto nei comuni e nelle signorie italiane, accadeva quasi la stessa cosa… solo che al posto di felpe col cappuccio, pantaloni della tuta, borselli a tracolla, vi erano stemmi blasonati della propria famiglia indossati sopra armature a maglie di ferro ad anelli, a cavallo di destrieri da guerra, con la spada in pugno, per menarsi per davvero, tra gang di strada.

Perciò preparatevi a vivere un’avventura urbana alla scoperta degli ancestrali maranza medievali, soprattutto i ragazzi delle famiglie della Firenze a cavallo tra ‘200-’300, la culla dell’arte e del rinascimento italiano, che era piena zeppa però, proprio come oggi, di gruppetti di giovani strafottenti, in abiti pittoreschi, che ostentavano baldanza e aggressività. E sono convinto che resterete stupiti per il gran numero di analogie, tra i tempi moderni e il medioevo, persino per quanto riguarda l’ambito musicale: il dissing e la trap c’erano già, a loro modo, e lo vedremo fra poco.

Dino Compagni, autore e cronista vissuto a cavallo tra XIII e XIV secolo, ci racconta di come la città di Firenze cadde in pericolo, a un certo punto della sua storia medievale, perché i cittadini erano divisi. La divisione era di origine politica, ma si rifletteva sulla vita quotidiana, sulla vita di strada. E una famiglia in particolare emerse tra le altre. La famiglia dei Cerchi. Costoro non erano nobili, ma anzi venivano definiti uomini di basso stato, poiché saliti alla ribalta grazie ai soldi, al commercio, come i trapper dei quartieri più degradati che diventano ricchi tutto assieme, con le catene d’oro e la Lamborghini. 

I Cerchi, come le altre che vedremo fra poco, venivano definiti una “famiglia”, ma non si trattava semplicemente di un ristretto gruppo di parenti. Perché attorno al nucleo famigliare vero e proprio, si aggregavano numerosi seguaci, appartenenti ad altre famiglie, e che quindi davano luogo a una vera e propria compagnia, spesso armata: una gang, insomma. E l’autore scrive che questi Cerchi erano in tanti, e avevano cavalli, e vestivano bene, e “aveano bella apparenza”. Perché l’apparire era importante, il presenziare la strada con indumenti “firmati”, laddove la firma era lo stemma; il tutto per essere bene identificati, rispettati, e temuti. E già, qui cominciamo a vedere alcune analogie. Anche se io non mi sento di definire la moda “maranza” di oggi di bella apparenza, perché mi fa alquanto cacare, ma tant’è.

Alla fama dei Cerchi cominciò a contrapporsi quella di un’altra famiglia della Firenze urbana medievale: i Donati. Costoro erano più antichi di sangue dei Cerchi, e quindi di importanza famigliare più elevata, ma non erano ricchi. Ed ecco perché cominciarono a odiare particolarmente questi rivali emergenti. Oltre al fatto che vi fu un episodio che gli storici definiscono all’origine di questa faida, al cui centro vi era una donna. Una delle maranze.

Il capo dei Donati, Corso, che veniva chiamato Barone per il suo bell’aspetto, la sua nobile figura, e il fatto che s’accompagnava ai seguaci armati per le strade e tutti lo conoscevano e lo ammiravano per le prodezze (poiché aveva combattuto in battaglia e si era distinto per il suo valore, la stessa battaglia in cui combatté pure Dante Alighieri, tra le altre cose: la battaglia di Campaldino, nel 1289). Il capobanda, Corso, ammirato, temuto (e anche odiato), aveva scelto una dolce fanciulla per risposarsi, perché la sua ex-moglie era morta, poco prima. La nuova fanciulla oggetto dell’amor cortese era una ricca ereditiera imparentata proprio con i Cerchi, i rivali, i quali non volevano assolutamente che tutta quella eredità passasse al Barone, loro nemico, tramite matrimonio. Di solito si parla di matrimoni per conciliare le rivalità, per unire famiglie. Ma in questo specifico caso, un matrimonio tra famiglie rivali non fece che inasprire ancora di più l’odio. Perché Corso riuscì a ottenere la mano di quella fanciulla, buscarsi tutta l’eredità che apparteneva alla famiglia rivale, e la faida di sangue ebbe inizio.

Una vera e propria guerra, che macchiò le strade di Firenze da lì in poi, tramite scontri armati ma anche spietati sotterfugi, come quello del migliaccio avvelenato. Perché alcuni giovani maranza dei Cerchi furono attirati nel cortile del podestà con una scusa, e invitati a mangiare un migliaccio di porco, ovvero una sorta di frittella di sangue di maiale appena scannato, fritta con la farina e l’olio probabilmente, croccantina, buonissima, ma che in realtà nascondeva un attacco vero e proprio. Perché dopo aver mangiato quel migliaccio, molti giovani dei Cerchi si ammalarono gravemente, e alcuni ne morirono. E la notizia si sparse per tutta la città, incolpando naturalmente i Donati del barone, Corso. Il quale fu pure incolpato di aver avvelenato la sua ex-moglie, per potersi risposare con la ricca ereditiera. La figura dell’eroe venne quindi macchiata dall’infamia d’avvelenatore, che ammazza moglie e rivali col sotterfugio e il peggiore strumento dei vigliacchi: il veleno.

Accuse di assassinio e maleficio, che non furono mai provate. Ma l’odio crebbe di giorno in giorno. E la città si spaccava sempre di più, tra chi patteggiava per l’una e chi per l’altra parte. E gli scontri si moltiplicavano. Un giorno, durante un funerale, nel momento della sepoltura di una donna morta, vi erano presenti entrambe le fazioni. Per usanza, racconta il cronista, i normali cittadini presenziavano al funerale sedendo per terra, su stuoie di giunchi, mentre i cittadini importanti, cavalieri e nobili, sedevano più in alto su delle panche. Ora, sia Donati che Cerchi erano lì, al funerale, seduti rispettivamente ai lati opposti della cerimonia, che si guardavano negli occhi; separati come lo erano sempre, in due fazioni. Possiamo immaginare la tensione, perché in un momento delicato come un funerale, dove è necessario mantenere un certo riserbo per educazione e spiritualità, le due gang si trovavano però a condividere il momento assieme, laddove non avevano la minima intenzione di stare insieme. E, inoltre, erano pure armate. Perché per le strade della città, in quel contesto storico, era normale ed era un diritto, passeggiare armati, con la spada alla cintura, o quantomeno una lama affilata. Io mi immagino anche il disagio del prete, nel mezzo di due fazioni che si guardano in cagnesco.

Fatto sta, che a un certo punto del funerale, un membro delle due fazioni, un maranza medievale qualsiasi, si alzò in piedi, dice il cronista, per “racconciarsi i panni”, ovvero per “rimbuzzarsi la maglietta”, diremmo oggi, o sistemarsi il borsello di Gucci. Ma questo gesto, in una situazione così tesa, ruppe l’equilibrio. Perché dal lato opposto subito si alzò un maranza rivale, credendo che stesse per succedere qualcosa. E se ne alzò un altro, e un altro ancora, generando una reazione a catena con tanto di spade sguainate, grida e, infine, la rissa vera e propria: le due famiglie si caricarono l’un l’altra, perché in verità non vedevano l’ora di farlo. Ma finì quasi subito, perché tutti gli altri cittadini che erano presenti li fermarono: si trattava comunque di un funerale.

Firenze divenne un’arena, e per le strade prese piede la guerriglia. Altre famiglie e altri giovani violenti presero parte a questo gioco di gang, tra cui un personaggio che serve a introdurre l’argomento “musica”, soprattutto per quanto riguarda il dissing. Perché assieme al sangue, tra le strade della Firenze medievale, volavano insulti. Anche insulti poetici, in rima, alle origini del dissing tra rapper.

Guido Cavalcanti era un nobile cavaliere, bravo con la spada ma anche con le parole, attraverso le quali si affermò come poeta, nonché rivale di penna di Dante Alighieri (con cui si scontrava spesso per diverse visioni intellettuali); Guido era un cavaliere della famiglia Cavalcanti che finì coinvolto nella guerra urbana, contrapposto allo stesso Barone, capobanda dei Donati, Corso. I due si odiavano a tal punto che Corso mandò degli assassini per far fuori Guido durante un pellegrinaggio a Santiago de Compostela. Tornato a Firenze, Guido lo affrontò per strada, a cavallo con i suoi, in gruppo, in un piccolo scontro armato che, viste le armi usate, pareva una vera e propria battaglia. Guido scagliò la lancia contro Corso Donati, ma lo mancò. E fu preso a sassate dalle finestre dei palazzi circostanti, in mano alla fazione rivale, finché non fu ferito a una mano e fu costretto a ritirarsi.

Tornando alla questione “dissing”, si dice che Corso Donati avesse insultato Guido Cavalcanti dopo questi episodi, affibbiandogli il soprannome di “Cavicchia”. Si è perso un po’ l’esatto significato, ma doveva essere certamente dispregiativo, laddove alludeva a un qualche difetto fisico, o probabilmente a un riferimento sessuale che doveva avere a che fare con le chiavi. E pure il capo dei Cerchi fu rinominato dal Barone con un insulto: lo chiamava il “somaro della Porta”. Perché i Cerchi erano, appunto, ricchi, e si erano comprati un bel palazzo vicino a una porta cittadina (san Piero), e il loro capo, considerato stupido, era divenuto il “somaro della Porta”. “Ha ragliato, oggi, l’asino della Porta?” chiedeva Corso Donati. E gli insulti venivano ripetuti dai giullari, come tale Scampolino, dice il cronista. Dando così vita a rime e canzoni conosciute in tutta la città.

Talvolta, grazie alle rime poetiche, che erano in musica (perché allora la poesia si faceva con la musica), si mettevano in scena duelli senza spade, attraverso una violenta tenzone poetica (nel senso che ci si offendeva pesantemente, più o meno come nelle moderne battaglie fra rapper: le diss song o diss track, che hanno dato origine al termine “dissing”, usato oggi soprattutto in ambito web). Ma esisteva già, è sempre esistito. Soprattutto nel medioevo tra quei ragazzi violenti che per le strade cittadine passeggiavano armati, e ben vestiti (firmati), atteggiandosi a signori della città, nell’attesa di trovare rivali con cui scontrarsi, con le armi o a parole, come fanno oggi i maranza (anche se il livello di violenza è decisamente più modesto, oggigiorno, e meno male).

Tutto questo sfociò nello scontro più sanguinoso di tutti: una vera battaglia per il centro della città. Accadde il 1 maggio dell’anno 1300, giorno di festa, ovvero il Calendimaggio, la celebrazione nel pieno della primavera. Un gruppo di giovani dei Cerchi, dopo aver cenato e bevuto, “montarono in tanta superbia” che finirono per armarsi e andare incontro ai nemici per menare le mani: i Donati. Le due fazioni, che si trovavano già in strada a festeggiare, si scontrarono in battaglia armati di ferro, con le spade. E combatterono tra loro, a sangue, tanto che uno dei Cerchi, tale Ricoverino, si trovò col naso mozzato.

Questa faida si allargò a macchia d’olio, coinvolgendo tutta la città e pure oltre. Secondo gli storici fu l’origine della guerra tra guelfi neri e guelfi bianchi. Ma come tutte le guerre non portò a nulla di buono, perché gli stessi capi finirono morti ammazzati, soprattutto il Barone, Corso Donati.

La morte del capobanda che dissava i maranza rivali per il centro città, è stata immortalata pure dalle rime di Dante, che lo getta tra le fiamme dell’Inferno anche a causa della stessa terribile morte. Nel 1308, dopo un altro degli innumerevoli scontri, Corso Donati fu costretto a lasciare la città, galoppando via per non finire linciato. Nel fuggire, però, cadde da cavallo e rimase impigliato alla staffa, finendo trascinato impietosamente dal destriero nella polvere, martoriato, finché non fu raggiunto dai nemici che lo finirono a colpi di lancia.

Se dovessimo trarre un insegnamento da tutto questo, è certamente quello di non mettersi a giocare alle gang di città, che va a finire sempre male. Senza contare che oggi il sistema giuridico è un tantino diverso e finisci in gabbia per molto meno. E’ vero anche che finché si rimane sullo scontro “poetico”, insultandosi in rima tramite poesia medievale o tramite freestyle trap, va benissimo. L’unica cosa su cui si può discutere è l’evoluzione artistica, della musica in sé, che può piacere o meno. E del cosiddetto “bell’aspetto”, laddove prima s’indossavano abiti sgargianti da gaglioffi stemmati, mentre oggi i maranza si fregiano con le firme di brand costosi, che in qualche modo possono essere considerati “stemmi” pure quelli. Io le analogie ve le ho fornite, le conclusioni toccano a voi.

Se questo episodio sui maranza medievali ti ha appassionato, seguimi: per scoprire altri articoli di curiosità storiche, battaglie, imprese eroiche e misteri soprannaturali. Grazie e alla prossima.

Lorenzo Manara
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